venerdì 10 agosto 2012

Il bambino che parlava con i Tampis


Non finirò mai di ringraziare i  bambini perché è grazie a loro che esiste il mondo delle favole. 
I bambini infatti danno la possibilità a noi adulti di scrivere cose che non stanno né in cielo né in terra, senza farci sentire dei perfetti idioti. E questo è molto bello!




Occhi azzurri, capelli rossi e ricci….questo è Louis, un giovanotto di quattro anni e mezzo.
Con una personalità dirompente, divertente e …inquietante. Così almeno mi viene descritto, perché io non l’ho mai visto , anche se lo conosco molto bene…..
Louis che tutti chiamiamo Lu, è arrivato in una fredda mattina di quattro anni e mezzo fa.

Sembra impossibile che ai nostri giorni possano ancora accadere cose come queste, ma è proprio così che è andata..........

Quella sera addormentare Asher era stato più arduo del solito. Asher ora è un giovanottino di sei anni, ma al tempo in cui accaddero queste cose di dormire non ne voleva proprio sapere. Il mio piccolo tiranno allora aveva poco più di due anni e già faceva chiaramente capire che in casa comandava lui. E di dormire la notte non se ne parlava nemmeno. Di giorno era come tutti gli altri bambini, mangiava, faceva i suoi sonnellini, ma la notte, la notte no! Non c’era niente da fare. Era come se aspettasse che dovesse accadere qualcosa, che invece non accadeva mai e alla fine riuscivo ancora ad avere il sopravvento su di lui, leggendogli pagine e pagine di interminabili racconti, con un tono di voce monotono che faceva addormentare anche me.
Alla fine eravamo entrambi sfiniti e il sonno scendeva sui nostri occhi senza che ce ne accorgessimo. Quando mio marito Tim tornava a casa trovava invariabilmente la stessa scena: Asher addormentato beatamente nel lettone, sorretto da due guanciali e Joanna, che sono io, messa di traverso sullo stesso letto, con le gambe che penzolavano fuori, un braccio a fare la guardia di nostro figlio e un’espressione di stupito smarrimento sul viso che non credeva ancora di aver vinto per l’ennesima volta l’impari lotta. Una bella lotta, non c’è che dire.
Slim
Poi un giorno entrò un palloncino nella nostra vita. Era un palloncino rosso colorato a forma di cuore, uno di quei palloncini gonfiato con l’elio , con un filo legato al suo culetto rosso, un palloncino destinato a soggiornare sul soffitto di casa, dove andò sin dal giorno dopo il suo arrivo, quando io, stanca di andarci sempre a sbattere addosso lo slegai dalla maniglia del cassetto della credenza.. Tim l’aveva comprato una sera passando davanti a un camioncino dove un omino buffo con un grande cappello a tese larghe, un giubbotto a righe rosse e nere e un incredibile paio di calzoni alla zuava cercava di smerciare la sua mercanzia mentre una scimmietta, di quelle dispettose, che saltano sulle spalle di tutti, grattava un orecchio a mio marito nel frattempo che i soldi passavano dalle sue mani in quelle dell’omino e il palloncino nelle sue.
“Vedrà come sarà contento il suo bambino signore! La sua scelta è stata proprio giusta!” gli disse con un gran sorriso sdentato parlando in un dialetto che Tim non riuscì a capire di che provenienza fosse, così mi disse appena rientrato in casa
La nostra vita continuava con i soliti ritmi e il palloncino ci guardava dall’alto, come un angelo custode.
Asher un giorno cominciò a interagire con lui. Quando lo scorgeva lassù, attaccato al soffitto, stendeva le manine paffute e un po’ a gesti, un po’ col nuovo e irripetibile linguaggio che aveva cominciato a usare mi faceva chiaramente capire che avrebbe voluto averlo più vicino, ma non c’era niente da fare. Anche se avevamo provato a raggiungere l’estremità del filo che penzolava tristemente dal soffitto, non c’era riuscito neanche con l’aiuto dello scaleo o di qualunque mezzo che chiamavamo in nostro aiuto. Il palloncino era rimasto caparbiamente attaccato al soffitto della nostra mansarda, proprio nel punto più alto. Passarono parecchi giorni e stranamente non ci domandammo mai come mai il bel palloncino fosse sempre gonfio come il primo giorno che l’avevamo comprato. Eppure era una cosa strana che avrebbe dovuto colpirci! Tutti i palloncini, dopo un po’ di tempo si sgonfiano, avvizziscono e alla fine raggiungono il pavimento con sconsolati atterraggi. Lui no!
Poi arrivò quel giorno.
La mattina Asher si svegliò piangendo e lamentandosi e mi accorsi subito che aveva un bel febbrone. Fu noioso per tutto il giorno e ogni volta che passavamo sotto il palloncino, allungava le mani e piangeva. Lo voleva vicino a sé, ma non sapevo come fare a far felice il mio bambino. Asher guardava il palloncino e il suo pianto diventava sempre più disperato. La febbre era alta. Fu allora che successe.
Ero andata a cambiare il mio piccolo e poi ero tornata in salotto dove c’erano i suoi giocattoli e….meraviglia. Il palloncino rosso era sceso fino a mezza altezza e se allungavo una mano potevo tranquillamente prendere il suo filo e tirarlo verso di me. Cosa che feci immediatamente. Asher allargò le braccia e si strinse al petto il suo nuovo amico e cosa incredibile si calmò del tutto.
“Hai visto amore che bella cosa?” gli dissi tutta felice “Il tuo amico è venuto a trovarti e a sentire come stai!”
Da quel momento diventarono inseparabili. Per cui il palloncino divenne qualcosa di più di un passatempo e gli mettemmo anche un nome: Slim.
Asher cominciò a camminare e Slim lo seguiva come un cagnolino, saltellando silenziosamente nell’aria. Riusciva persino a passare da una stanza all’altra abbassandosi quel tanto che serviva per attraversare il vano della porta e poi si fermava e sembrava che guardasse e seguisse con interesse i continui progressi che mio figlio faceva giornalmente.
Cosa inspiegabile, ora cominciavamo a chiederci come mai, non accennava a sgonfiarsi e quel cuore rosso sembrava pulsare di affetto verso Asher, che lo ricambiava con tutto se stesso.
Io ero contenta. Da quando Slim era entrato nella nostra casa Asher si addormentava all’ora giusta e faceva sonni profondi, mentre lui, il cuore rosso, lo guardava dall’alto.
Sembrava che tra il bimbo e il palloncino ci fosse una sorta di intesa dalla quale tutti gli altri erano esclusi. Certo è che se c’era qualcuno che riusciva a calmare le bizze di mio figlio quello era il grande cuore rosso che aleggiava su di noi. Ci si può affezionare a un palloncino? Sembrerà strano, ma io mi affezionai a Slim con estrema facilità, per cui rimasi molto male una mattina quando, svegliatami, non lo trovai più.
Insieme a mio marito girammo tutta casa e l’ispezionammo accuratamente. Guardammo anche sotto i letti e i divani, pensando che potesse essersi sgonfiato improvvisamente e che con una di quelle traiettorie impazzite che fanno i palloncini quando perdono l’aria che li sostiene fosse andato a infilarsi in qualche anfratto.
Provammo anche a chiamarlo. “Slim – dicevo vergognandomi un po’ di chiamare un pallone – Slim ma dove sei andato a ficcarti?”
Del resto sapevamo benissimo che doveva essere in casa, perché le finestre erano tutte sigillate….ma per quanto cercassimo, per quanto ci affannassimo a chiamarlo, Slim non si vide più.
Per qualche tempo mi rimase un po’ di amaro in bocca perché la presenza di quel grande cuore rosso che era rimasto con noi per più di quattro mesi, mi metteva allegria e più che altro perché c’era comunque sempre la domanda rimasta sospesa:
”Ma dove è andato a finire?”
Poi, come capita a tutti la vita riprese il suo tran tran e Slim rimase un bel ricordo. Del resto Asher era tranquillissimo, era rimasto tranquillo sin dal momento della sua scomparsa, e al posto delle lacrime che io avevo paventato, erano arrivati immediatamente nuovi interessi che mi affrettai ad assecondare, anche se in cuor mio pensavo che mio figlio era un po’ insensibile. La perdita di Slim era dispiaciuta più a me che a lui. O almeno allora io credetti così.
Il mio cucciolo, sempre più autosufficiente ora si ingegnava molto a costruire. Naturalmente a modo suo. Gli avevamo comprato i primi mattoncini per fare ardite torri e case per i pupazzi, ma Asher ci fece da subito capire che avrebbe preferito altro genere di materiale con cui interagire e dare sfogo alla sua creatività.
Un giorno mi prese per una gamba e mi trascinò verso la libreria, poi guardandomi con il suo solito sguardo sorridente e birichino, puntò il ditino verso i libri e mi disse:
“Chelli lì” lasciandomi libera di scegliere i libri che volevo dargli.
Lo guardai con tenerezza. In quegli ultimi giorni era molto cresciuto. Era diventato un ometto e il mio sguardo corse sui suoi riccioli biondi che si inanellavano in teneri boccoli, agli occhi intelligenti, neri come l’ebano, alla bocca ben modellata che si allargava quasi sempre in sorrisi accattivanti e bellissimi…come in quel momento!
Non sapevo resistere ai richiami di Asher.
Ne tirai giù tre o quattro e lui felicissimo li prese ad uno ad uno e andò a portarli in un angolo della sua cameretta, poi li guardò, guardò nuovamente me e disse:
“’ncoa”
“Ma non posso darti tutti i libri Asher via! Cerca di trovare qualche altra cosa per giocare!” cercai di persuaderlo
“’ncoa mamma ‘ncoa…’ncoa…daiiii!”
Ne presi altri tre dicendomi che in fin dei conti rimettere a posto sette libri non sarebbe stata poi una gran fatica e li consegnai al mio piccolo despota che corse subito a sistemarli con gli altri.
“Chissà che vuole fare!” pensavo dentro di me
Fortunatamente in quel momento squillò il telefono e corsi a rispondere.
“ Ciao Tim! Sei uscito prima stasera e vuoi che andiamo al parco? Che bellezza! Hai sentitoAsher? Il babbo ci viene a prendere e ci porta al parco…sei contento?.........Benissimo tra cinque minuti siamo in strada”
E così almeno per quella sera Asher dimenticò i suoi progetti architettonici.






Che ripresero ben presto e con lo spirito complice di Tim.
Quel giorno Tim era libero e io ne avrei approfittato per fare le centomila cose che rimandavo i attesa di un po’ di tempo da dedicare a me stessa. Sarei stata fuori tutto il pomeriggio e la cosa mi faceva veramente piacere. Erano mesi e mesi che non avevo più un attimo per me!
Quando uscii mi portai dietro l’immagine dei miei due uomini, seduti nel divano con un grande libro di favole. Tim leggeva le incredibili avventure del mago Piripiri con un tono di voce profondo e accattivante e Asher, ad occhi spalancati, ma non tanto quanto la bocca, era completamente entrato in quel mondo di favola. Un quadretto idilliaco e pieno di pace. Sorrisi a entrambi e me ne andai.
Il mio pomeriggio trascorse veramente bene. Feci tutti i giri che dovevo fare, compreso una scappatina in pasticceria dove mi saziai oltre che con la bocca anche con gli occhi , degli squisiti bon bon che Ettore preparava a meraviglia ogni giorno, usando una fantasia sempre nuova e invitante. Pensai anche ai miei uomini e feci incartare un vassoio di biscottini per Tim mentre per Asher presi un leccalecca gigantesco a forma di fragola.
Con questo stato d’animo così edulcorato feci il mio ingresso in casa e forse fu per quello che non inorridii davanti allo spettacolo che si presentò ai miei occhi.
Libri sparsi ovunque, si rincorrevano dalla libreria fino alla camera di Ashere, dalla quale mi giungevano voci allegre e gridolini concitati di mio figlio.
Senza fare rumore mi avviai seguendo le tracce lasciate con tanta abbondanza e arrivata alla porta della camera mi sporsi un po’ in avanti per sbirciare e misi immediatamente una mano davanti alla bocca per reprimere l’urlo di raccapriccio che istintivamente mi era venuto in gola.
Libri su libri si ammucchiavano nell’angolo della camera di Asher, formando una capanna con tanto di porta d’ingresso. La prima impressione che ebbi fu quella di trovarmi davanti a un trullo fatto con mezzi di fortuna.
Ma Asher era addirittura euforico. Gattonando entrava e usciva dalla sua nuova casa, rischiando di tirarsi addosso con un movimento un po’ più azzardato una valanga di erudizione e di narrativa.
Tim lo guardava ridendo, seduto in terra a gambe incrociate.
A quel punto ritenni opportuno manifestare la mia presenza e con noncuranza dissi
“Buonasera a tutti!”
“Ciao Jo – Tim mi sorrise dalla sua postazione di sorveglianza – com’è andata?”
“Benissimo. Ho passato proprio un bel pomeriggio e mi sono abbastanza riposata, per cui sono pronta per rimettere a posto la libreria!” dissi tranquillamente dando una rapida occhiata circolare a tutto il disordine che vedevo, aspettando la risposta che non si fece attendere e che aspettavo del tutto diversa, come….aspetta! Ti aiutiamo noi! O meglio ancora…non ti preoccupare oggi era il tuo pomeriggio libero, goditelo fino in fondo. Qualche volta è bello anche sognare!
“Eh no! Ci abbiamo messo tutto il pomeriggio per fare questo capolavoro. ….Almeno per due o tre giorni Asher ci vorrà giocare immagino!” rispose Tim con uno sguardo innocente
“E io dovrei tenere questo …questo obbrobrio per due o tre giorni?” domandai incredula sentendo che cominciavo ad alterarmi.
“Beh…sì! Che c’è di male? In fin dei conti è la camera di Asher o mi sbaglio? Avrà pure il diritto di fare quello che crede?” rispose candidamente mio marito.
“Come no! – sentivo che la mia voce stava aumentando di tono – così se un giorno decide che camera sua deve diventare una discarica, dobbiamo lasciarglielo fare no? In fin dei conti è o non è camera sua?”
“Via Joanna, non essere sempre così estremista!” Quando Tim mi chiama Joanna, è bene che mi dia una calmata, perché vuol dire che comincia ad arrabbiarsi e Tim arrabbiato non è davvero un bello spettacolo. La casa di ghiaccio a suo confronto è una sauna. Ho sempre dovuto constatare che le gelide ire di mio marito sono molto più pericolose delle mie scoppiettanti eruzioni vulcaniche…e mi fanno andare terribilmente in tilt.
Stavo per ribattere all’ingiustificata accusa di estremismo, quando Asher richiamò la nostra attenzione con gridolini di gioia e una nuova parola dal significato inequivocabile, dato che fu accompagnata da un dito che si sporgeva a indicare il famigerato trullo.
“capannettì…..capannettì!”
E a quel punto mi sentii come Napoleone a Waterloo: sconfitta su tutti i fronti ma con la differenza che mi sentivo anche contenta di quella sconfitta. Mio figlio aveva coniato una nuova parola, azzeccata, ma tutta sua e dimostrava la sua soddisfazione continuando a ripeterla….Capannettì..capannettì…capannettì!
Tim mi guardò mentre rideva di gusto davanti all’enfasi di Asher e a quel punto non mi rimase altro da fare che unirmi alla risata, scartare i biscotti, consegnare con solennità il leccalecca e mettermi seduta a gambe incrociate davanti a Capannettì.


Inutile dire che Capannettì entrò a fare parte della nostra vita proprio come era successo con Slim.
Per Asher diventò il suo rifugio, per noi il luogo dove lo mandavamo in castigo quando faceva qualcuna delle sue birichinate.
Pensavamo che di lì a pochi giorni anche questa infatuazione sarebbe passata come tante altre prima, ma non fu così. Anzi! Ogni giorno Asher cercava qualcosa di nuovo per abbellire la sua capannettì e più che altro cominciò a cercare qualcosa di morbido e di caldo da mettere al suo interno. Me ne accorsi un giorno in cui cercò di infilarci un guanciale del lettone, facendo cadere gran parte dell’instabile pertugio che vi era stato fatto. I pianti furono tanti, rumorosi ed efficaci, perché pur di non sentirlo più urlare con voce stridula, Tim ed io ci rassegnammo a passare un’altra serata per rimettere in sesto la Capannettì che ora il nostro rampollo voleva anche arredata.
Il problema della stabilità della nuova casa di Asher fu risolto tempestivamente da un fulmine.
Proprio così! Erano giorni e giorni che l’aria era piena di elettricità, ma di piovere non se ne parlava proprio. Poi un giovedì pomeriggio, mentre guardavo un programma alla televisione vidi un bagliore fortissimo seguito dallo schianto di un tuono e aihmè…..della nostra televisione!
Purtroppo non ci furono scelte. Ordinammo una nuova televisione, di quelle che si appendono alla parete come giganteschi quadri e già che c’eravamo prendemmo anche un mobile da tenerle sotto.
Il tutto ci fu consegnato con una rapidità che ci lasciò stupiti e allo stesso tempo contenti. Eravamo impazienti di vedere come sarebbero stati in casa i nostri nuovi acquisti.
Proprio bene, niente da dire. Ora dovevo liberarmi del grande scatolone che aveva contenuto il grande mobile modulare laccato che adornava il nostro salotto.
Ma Asher fu più svelto di me.
Mi prese per mano e mi trascinò letteralmente davanti allo scatolone dicendomi tutto eccitato:
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.





Come si fa a dire di no a due occhi che ti guardano supplichevoli e nello stesso tempo ti fanno capire che se ti azzardi a fare un diniego, sarà guerra dichiarata?
Non dissi di no e dopo dieci minuti la nuova capannettì riempiva gran parte della cameretta di mio figlio ed era così brutta che mi sentii andare giù le spalle tutto di un colpo, pensando a quanto ci eravamo dati da fare con Tim per scegliere la cameretta di Asher, di colori delicati, di bella fattura, di sobria eleganza. Tutto era sciupato da quell’orribile scatolone color caffellatte.
“La potrai sempre dipingere e abbellirla con qualche decorazione” cercò di consolarmi Tim, che si era accorto del mio stato d’animo, ma Asher era al settimo cielo.
Gli occhi gli brillavano di entusiasmo e cominciò subito a fare il trasloco dalla vecchia alla nuova casa.
“Ti piace eh? Birbante che non sei altro” gli disse mio marito ridendo e Asher guardandolo gli rispose:
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
Quella fu la prima volta che Louis entrò nella nostra vita.




“Chi è Louis” chiesi a Tim, quando Asher finalmente si fu addormentato.
“Non ne ho la minima idea….forse sarà un bambino che ha conosciuto ai giardinetti” rispose Tim distrattamente mentre sfogliava il giornale.
Non so perché ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’espressione di mio figlio, risoluta, tranquilla, ovvia “La casina di Louis!”.
Né del resto lui mi permise di dimenticarmene. Tutti giorni aveva qualcosa da fare per rendere più accogliente la casina di Louis, una volta era un coniglio di pezza, un’altra una serie di cubi colorati, un’altra ancora un bibe pieno d’acqua….ma la cosa che mi intenerì più di tutte fu quando ci sistemò un grande cuscino rosso e una copertina.
“Il nanno di Lu!” mi disse tutto orgoglioso.
Poi per un po’ di giorni sembrò che anche questo nuovo gioco fosse superato, che l’interesse fosse passato. Capannettì restava sola soletta in camera di Asher mentre lui si divertiva con i nuovi giochi che ogni tanto apparivano magicamente in casa, dono di nonni e di zie compiacenti.
Io cominciavo già a pensare che forse avrei potuto liberarmi di quel cubo ingombrante dal colore orrendo e la cosa mi dava una tacita soddisfazione che non osavo manifestare in alcun modo. Una parte di me però al solito era delusa, da come durassero poco gli affetti di mio figlio. Prima con Slim, ora con Capannettì.
Quanto mi sbagliassi potei constatarlo proprio il giorno dopo, quando nel pomeriggio, vidi Asher passare a tutta velocità stringendo Potti tra le braccia e andare in camera sua. Potti è il suo orsetto preferito, quello col quale si addormenta e col quale si risveglia…il suo amico del cuore.
Dopo due minuti mi ripassò davanti, ma di Potti neanche l’ombra.
Si fermò davanti a me, che sferruzzavo un maglioncino con gli orsetti, tanto per cambiare, e guardandomi mi disse risoluto e sorridendo:
“Potti è a nanna di Lu!” e con queste parole mi fece chiaramente intendere che voleva che lo seguissi e andassi a verificare. Cosa che feci subito.
In effetti Potti dormiva a pancia in giù sul grande cuscino rosso e Asher mi guardava soddisfatto
“Appetta Lu!”
“Ah sì? E quando arriva Lu?” gli domandai per dargli soddisfazione
“Tla poco….tla poco alliva” mi rispose convintissimo incurante della mia risata. Sentirlo parlare così era divertentissimo e non potevo fare a meno di ridere anche se Tim mi brontolava perché secondo lui Asher avrebbe potuto sentirsi offeso
“Ma chi è Louis?” domandai a mio figlio
“Mio amico…Lu mio amico”.
“Ah!” non sapevo più che dire per tenere viva quella conversazione che sembrava dovesse interessare tanto a Asher
“Louis …..vediamo….Louis è alto come te?” ecco avevo fatto una domanda intelligente. Dio com’è difficile parlare con i bambini!
“ Lu …poco poco alto!” E Asher chinandosi in terra mise il palmo della mano all’altezza di circa cinque centimetri da terra “Ecco…Lu”.
Quindi il suo amico immaginario era alto poco più di un soldo di cacio, per quello che Capannettì andava bene come casa e il cuscino rosso come letto.
“Asher sei fantastico!” e schioccai un bacio sulla gota paffuta di mio figlio “ e si può sapere quando arriva di preciso questo Louis? Almeno gli facciamo trovare qualcosa da mangiare dentro la capannettì!” continuavo a stare al gioco, per vedere dove andava a parare la fantasia di Asher.
“Alliva domani mammina…..”
“Ma te l’ha detto lui?”
“No.” Rispose convinto scuotendo i riccioli biondi
“E allora chi te l’ha detto?” gli chiesi incuriosita dalla risposta che mi avrebbe dato
“Ad Asher l’ha detto Slim!” rispose serio serio
“Slim?” ripetei aprendo la bocca per la sorpresa “Stai parlando di Slim, proprio di lui? Del tuo palloncino?”
In quel momento arrivò Tim.
“Ciao a tutti!” rumoreggiò secondo il suo solito
“Babbo….babbino!” gli fece eco Asher correndo da lui. Anch’io mi voltai per salutare mio marito ma quello che riuscii a dirgli fu:
“Lo sai che domani arriva Louis ? E sai chi gli ha detto di venire da noi? Non potresti mai immaginarlo……Ti aiuto io vuoi? Slim! Ti ricordi di Slim vero ?”
“Certo che mi ricordo di Slim – disse Tim come se fosse la cosa più ovvia del mondo – ma Louis chi è?” stavolta la sua domanda era un tantino più curiosa.
“Luois è un nuovo amico di Asher …….e ha deciso che verrà a stare un po’ da noi. !”
Asher ci guardava sorridendo, poi il suo sguardo fu catturato dalla sciarpa rossa di Tim
“Vollo chella…voloo chella ….dai babbo”
“Per farne che?” domandò Tim sospettoso. L’ultima volta che Asher gli aveva chiesto la sciarpa era per fare un guinzaglio a un cane randagio incontrato ai giardinetti, con tutto quello che ne segue. Fortunatamente il padrone di Fred, così si chiamava il cagnolino era stato ritrovato, e l’episodio era finito nel giro di due o tre ore.
“Sciappa a Lu. Per nanno di Lu…..E’ feddo!”
In effetti l’inverno appena iniziato non prometteva niente di buono e il vento che si sentiva sibilare fuori dalle finestre, faceva rabbrividire anche se in casa c’era un bel calduccio.



Il giorno dopo arrivò in un lampo e con lui arrivò anche la neve. La mattina ci svegliò un’aria luccicante come non mai e anche dalle tapparelle socchiuse si capiva che non era un’aria normale. Era l’aria della neve, quella che porta il gelido vento dell’est, il profumo di pulito, i lucciconi agli occhi, e un’allegria irrefrenabile che ti spinge ad alzarti subito, a vestirti senza ricordarti che prima ti devi lavare e uscire in tutto il candore che ti avvolge di luce e di silenzio.
Non ci fu neanche bisogno di dircelo e in cinque minuti eravamo pronti per uscire. Fu a quel punto che successe…..e campassi cent’anni non riuscirò mai a capire come!
Proprio mentre stavamo aprendo la porta, una delle finestre del salotto si spalancò, portando dentro una corrente di aria gelida piena di farfalline e……rimanemmo tutti a bocca aperta, cioè io e Tim rimanemmo a bocca aperta, ma non Asher.
Asher staccò subito la sua mano dalla mia e corse verso la finestra, corse verso l’aria gelida e verso Slim, che, come se niente fosse, rientrava non dalla porta stavolta, ma dalla finestra aperta sulla bufera e correva ad abbracciare Asher.
Possono i palloncini abbracciare una persona? No davvero, lo so anch’io. Mica sono impazzita! Ma evidentemente i palloncini possono abbracciare i bambini e averne un abbraccio in cambio. E’ così diverso il mondo dei bimbi da quello di noi adulti.
“Hai vitto mamma?....Slim è tonnato e ha pottato Lu”
“Ha portato Lu? E dove è? Io non vedo nessun Lu” disse Tim pragmatico come al suo solito
“Ma è qui babbo!” rispose orgoglioso Asher mostrando il palmo della sua manina.
Da quel giorno noi sapemmo che Louis viveva sul palmo della mano di Asher, e quando non era lì era sulla sua spalla.
Noi non vedemmo mai Louis, ma istintivamente sapevamo che nostro figlio ci diceva la verità, la sua verità naturalmente e ci adattammo alla presenza di quel piccolo bimbo che poi ci fu descritto fin nei minimi particolari.
Cominciò un bel periodo per noi. Asher era sereno e cresceva in maniera stupenda. Era una fucina di idee e di iniziative. La sua fantasia si sviluppò in maniera incredibile e la sua creatività non finiva mai di stupirci. Quando gli chiedevamo dove sognasse tutte le cose che decideva di fare, invariabilmente rispondeva
“E’ Lu che me le insegna!”
La sera era bello mettere a letto Asher e preparare anche il lettino per Louis nella Capannettì.
Slim vegliava il sonno di entrambi.

Il tempo volò e passarono gli anni.
E venne il giorno che Asher, ormai un bel bambino di sei anni, mi disse senza tanti preamboli, come faceva lui, che era giunto il momento di levare Capannettì dalla sua camera.
Non mi dette spiegazioni, né io gliele chiesi. Sapevo che non le avrei avute.
Dentro di me sentivo però che questa cosa era legata a Louis.
Infatti la mattina seguente Asher mi disse sorridendo:
“Oggi Louis parte”
“E tornerà?” provò a chiederegli Tim
“Mi ha detto che quando sarà il momento lo rivedrò. Ha detto che io ora non ho più bisogno di lui, e che ci sono altri bambini dai quali deve andare”.
Tutto finì lì e al solito Asher non dimostrò tristezza. Quel giorno cercai Slim per tutta la casa, ma non lo trovai. Così compresi che Louis se ne era andato davvero, ma era rimasta la speranza che lui aveva lasciato. Un giorno Asher l’avrebbe rivisto.
Non volevo deludere la fiducia di mio figlio. Del resto per lui Louis era stato un amico vero. Che importava se era stato solo il frutto della sua vivida immaginazione? Alla fine, mi dissi sorridendo tra me e me, anche se noi eravamo perfettamente consapevoli che Louis esisteva solo nella fantasia di nostro figlio, il piccolo bimbo invisibile che per anni era stato in casa nostra, faceva parte della famiglia e, almeno nei nostri ricordi non avremmo mai rinunciato a lui.

Grover incassò il capo tra le spalle, mentre si avviava nella gelida nebbia che avvolgeva gli alberi del viale. Anche stavolta era stata dura lasciare l’amico che per anni aveva seguito con intelligenza e acume e al quale aveva insegnato ad acuire due grandi doti che il destino gli aveva regalato: la fantasia e la creatività. Era sicuro che Asher non avrebbe sprecato quei doni e che nella sua vita l’avrebbero portato a fare cose grandi.
Poi il suo pensiero andò alla sua di vita! Quanti anni aveva lui, Grover Mc Cormich? Centocinquanta forse?O centosettanta? Non lo ricordava più. Per farlo doveva ripensare ai tanti bambini ai quali era rimasto accanto durante i primi anni della loro vita, quando la personalità si forma. Erano stati tanti…ma uno come Asher non l’aveva mai trovato.
Asher era stato il discepolo prediletto, il migliore, quello che aveva imparato prima di tutti, quello dotato di una sensibilità unica, gentile e allegra. Asher sarebbe cresciuto, sarebbe diventato uomo e lui Grover sarebbe rimasto sempre l’eterno bambino, quello che i poeti dotati di sensibilità sanno che esiste senza averlo mai visto e che chiamano il fanciullino, che rimane sempre tale, nonostante gli anni che passano.
Era duro andarsene da quella casa accogliente, ma il suo compito era stato svolto e la sua comunità lo reclamava per altri incarichi.
I Tampis esistevano dalla notte dei tempi e le loro origini si perdevano nelle pieghe del grande libro eterno e da sempre svolgevano un ruolo primario nella formazione del carattere dei pochi eletti che venivano loro assegnati. Vicini nella scala gerarchica al grande Formatore, erano coloro che regolavano le sorti delle civiltà, quelli che facevano uscire l’uomo dalle barbarie per avviarlo sulla strada maestra della sapienza e della fantasia.
Un uomo sapiente se non ha fantasia è un pedante, mentre un uomo fantasioso se non ha sapienza è un perdente.
Il compito importante ed esclusivo del popolo dei Tampis era quello di saper miscelare nella giusta misura queste doti così selettive, per renderle utili al progresso e all’uomo come entità.
Compito dei Tapis era quello di equilibrare questi meravigliosi doni per rendere gli uomini degni di grandi cose.
Grover era soddisfatto del compito svolto. Sapeva di aver fatto un bel lavoro e di avere trovato terreno fertile e ben drenato. Ripensò anche a Joanna e a Tim.
Asher con due persone come loro sarebbe cresciuto bene, con saldi principi, voglia di fare cose nuove e ardite, ma giuste e per il bene di tutti.
Improvvisamente si sentì meglio. Era quasi giunto in prossimità della porta temporale che a breve l’avrebbe fatto entrare nel suo mondo. Si permise però il lusso di voltarsi per un’ultima volta e agitare una manina verso la casa di Asher che vedeva in lontananza. Era certissimo che l’avrebbe rivisto e questa certezza d’un tratto scacciò il breve attimo di tristezza e di rimpianto e gli fece spuntare un sorriso sulle labbra.


Venticinque anni dopo!


Il giovane uomo uscì dall’ufficio ed entrò nella bellissima giornata di maggio che lo accolse con i suoi colori e i suoi profumi.
Aveva fretta di tornare a casa per portare un nuovo giocattolo a suo figlio. Sua moglie proprio mentre usciva di casa gli aveva detto:
“Asher, potresti fermarti a quella bancarella che è proprio vicina al tuo ufficio e comprare un palloncino per Ted? Sai quella bancarella dove c’è quell’omino con una giacca a righe e i calzoni alla zuava! Te lo ricorderai?”
“Tranquilla tesoro, appena esco mi fermo e prendo il palloncino!”
Quanti ce n’erano! E di tutte le forme e i colori. Stette un attimo a guardare e senza sapere neanche lui perché, disse all’omino:
“Vorrei quel palloncino !” e indicò con il dito un palloncino rosso a forma di cuore! E mentre così faceva si domandava con un sorriso di divertimento se era proprio lui Asher, che aveva deciso di comprare un palloncino a forma di cuore, lui che di romantico non aveva proprio niente!
Eppure istintivamente seppe che voleva proprio quello! Alzò le spalle pagò e si avviò verso casa seguito dalle parole dell’omino che gli dicevano:
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”


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