Non finirò mai di ringraziare i bambini perché è grazie a loro che esiste il mondo delle favole.
I bambini infatti danno la possibilità a noi adulti di scrivere cose che non stanno né in cielo né in terra, senza farci sentire dei perfetti idioti. E questo è molto bello!
Occhi azzurri, capelli rossi e
ricci….questo è Louis, un giovanotto di quattro anni e mezzo.
Con una personalità dirompente,
divertente e …inquietante. Così almeno mi viene descritto, perché
io non l’ho mai visto , anche se lo conosco molto bene…..
Louis che tutti chiamiamo Lu, è
arrivato in una fredda mattina di quattro anni e mezzo fa.
Sembra impossibile che ai nostri
giorni possano ancora accadere cose come queste, ma è proprio così
che è andata..........
Quella sera addormentare Asher era
stato più arduo del solito. Asher ora è un giovanottino di sei
anni, ma al tempo in cui accaddero queste cose di dormire non ne
voleva proprio sapere. Il mio piccolo tiranno allora aveva poco più
di due anni e già faceva chiaramente capire che in casa comandava
lui. E di dormire la notte non se ne parlava nemmeno. Di giorno era
come tutti gli altri bambini, mangiava, faceva i suoi sonnellini, ma
la notte, la notte no! Non c’era niente da fare. Era come se
aspettasse che dovesse accadere qualcosa, che invece non accadeva mai
e alla fine riuscivo ancora ad avere il sopravvento su di lui,
leggendogli pagine e pagine di interminabili racconti, con un tono di
voce monotono che faceva addormentare anche me.
Alla fine eravamo entrambi sfiniti e
il sonno scendeva sui nostri occhi senza che ce ne accorgessimo.
Quando mio marito Tim tornava a casa trovava invariabilmente la
stessa scena: Asher addormentato beatamente nel lettone, sorretto da
due guanciali e Joanna, che sono io, messa di traverso sullo stesso
letto, con le gambe che penzolavano fuori, un braccio a fare la
guardia di nostro figlio e un’espressione di stupito smarrimento
sul viso che non credeva ancora di aver vinto per l’ennesima volta
l’impari lotta. Una bella lotta, non c’è che dire.
Slim |
Poi un giorno entrò un palloncino
nella nostra vita. Era un palloncino rosso colorato a forma di cuore,
uno di quei palloncini gonfiato con l’elio , con un filo legato al
suo culetto rosso, un palloncino destinato a soggiornare sul soffitto
di casa, dove andò sin dal giorno dopo il suo arrivo, quando io,
stanca di andarci sempre a sbattere addosso lo slegai dalla maniglia
del cassetto della credenza.. Tim l’aveva comprato una sera
passando davanti a un camioncino dove un omino buffo con un grande
cappello a tese larghe, un giubbotto a righe rosse e nere e un
incredibile paio di calzoni alla zuava cercava di smerciare la sua
mercanzia mentre una scimmietta, di quelle dispettose, che saltano
sulle spalle di tutti, grattava un orecchio a mio marito nel
frattempo che i soldi passavano dalle sue mani in quelle dell’omino
e il palloncino nelle sue.
“Vedrà come sarà contento il suo
bambino signore! La sua scelta è stata proprio giusta!” gli disse
con un gran sorriso sdentato parlando in un dialetto che Tim non
riuscì a capire di che provenienza fosse, così mi disse appena
rientrato in casa
La nostra vita continuava con i soliti
ritmi e il palloncino ci guardava dall’alto, come un angelo
custode.
Asher un giorno cominciò a interagire
con lui. Quando lo scorgeva lassù, attaccato al soffitto, stendeva
le manine paffute e un po’ a gesti, un po’ col nuovo e
irripetibile linguaggio che aveva cominciato a usare mi faceva
chiaramente capire che avrebbe voluto averlo più vicino, ma non
c’era niente da fare. Anche se avevamo provato a raggiungere
l’estremità del filo che penzolava tristemente dal soffitto, non
c’era riuscito neanche con l’aiuto dello scaleo o di qualunque
mezzo che chiamavamo in nostro aiuto. Il palloncino era rimasto
caparbiamente attaccato al soffitto della nostra mansarda, proprio
nel punto più alto. Passarono parecchi giorni e stranamente non ci
domandammo mai come mai il bel palloncino fosse sempre gonfio come
il primo giorno che l’avevamo comprato. Eppure era una cosa strana
che avrebbe dovuto colpirci! Tutti i palloncini, dopo un po’ di
tempo si sgonfiano, avvizziscono e alla fine raggiungono il pavimento
con sconsolati atterraggi. Lui no!
Poi arrivò quel giorno.
La mattina Asher si svegliò piangendo
e lamentandosi e mi accorsi subito che aveva un bel febbrone. Fu
noioso per tutto il giorno e ogni volta che passavamo sotto il
palloncino, allungava le mani e piangeva. Lo voleva vicino a sé, ma
non sapevo come fare a far felice il mio bambino. Asher guardava il
palloncino e il suo pianto diventava sempre più disperato. La febbre
era alta. Fu allora che successe.
Ero andata a cambiare il mio piccolo e
poi ero tornata in salotto dove c’erano i suoi giocattoli
e….meraviglia. Il palloncino rosso era sceso fino a mezza altezza e
se allungavo una mano potevo tranquillamente prendere il suo filo e
tirarlo verso di me. Cosa che feci immediatamente. Asher allargò le
braccia e si strinse al petto il suo nuovo amico e cosa incredibile
si calmò del tutto.
“Hai visto amore che bella cosa?”
gli dissi tutta felice “Il tuo amico è venuto a trovarti e a
sentire come stai!”
Da quel momento diventarono
inseparabili. Per cui il palloncino divenne qualcosa di più di un
passatempo e gli mettemmo anche un nome: Slim.
Asher cominciò a camminare e Slim lo
seguiva come un cagnolino, saltellando silenziosamente nell’aria.
Riusciva persino a passare da una stanza all’altra abbassandosi
quel tanto che serviva per attraversare il vano della porta e poi si
fermava e sembrava che guardasse e seguisse con interesse i continui
progressi che mio figlio faceva giornalmente.
Cosa inspiegabile, ora cominciavamo a
chiederci come mai, non accennava a sgonfiarsi e quel cuore rosso
sembrava pulsare di affetto verso Asher, che lo ricambiava con tutto
se stesso.
Io ero contenta. Da quando Slim era
entrato nella nostra casa Asher si addormentava all’ora giusta e
faceva sonni profondi, mentre lui, il cuore rosso, lo guardava
dall’alto.
Sembrava che tra il bimbo e il
palloncino ci fosse una sorta di intesa dalla quale tutti gli altri
erano esclusi. Certo è che se c’era qualcuno che riusciva a
calmare le bizze di mio figlio quello era il grande cuore rosso che
aleggiava su di noi. Ci si può affezionare a un palloncino? Sembrerà
strano, ma io mi affezionai a Slim con estrema facilità, per cui
rimasi molto male una mattina quando, svegliatami, non lo trovai più.
Insieme a mio marito girammo tutta casa
e l’ispezionammo accuratamente. Guardammo anche sotto i letti e i
divani, pensando che potesse essersi sgonfiato improvvisamente e che
con una di quelle traiettorie impazzite che fanno i palloncini quando
perdono l’aria che li sostiene fosse andato a infilarsi in qualche
anfratto.
Provammo anche a chiamarlo. “Slim –
dicevo vergognandomi un po’ di chiamare un pallone – Slim ma dove
sei andato a ficcarti?”
Del resto sapevamo benissimo che doveva
essere in casa, perché le finestre erano tutte sigillate….ma per
quanto cercassimo, per quanto ci affannassimo a chiamarlo, Slim non
si vide più.
Per qualche tempo mi rimase un po’ di
amaro in bocca perché la presenza di quel grande cuore rosso che era
rimasto con noi per più di quattro mesi, mi metteva allegria e più
che altro perché c’era comunque sempre la domanda rimasta
sospesa:
”Ma dove è andato a finire?”
”Ma dove è andato a finire?”
Poi, come capita a tutti la vita
riprese il suo tran tran e Slim rimase un bel ricordo. Del resto
Asher era tranquillissimo, era rimasto tranquillo sin dal momento
della sua scomparsa, e al posto delle lacrime che io avevo paventato,
erano arrivati immediatamente nuovi interessi che mi affrettai ad
assecondare, anche se in cuor mio pensavo che mio figlio era un po’
insensibile. La perdita di Slim era dispiaciuta più a me che a lui.
O almeno allora io credetti così.
Il mio cucciolo, sempre più
autosufficiente ora si ingegnava molto a costruire. Naturalmente a
modo suo. Gli avevamo comprato i primi mattoncini per fare ardite
torri e case per i pupazzi, ma Asher ci fece da subito capire che
avrebbe preferito altro genere di materiale con cui interagire e dare
sfogo alla sua creatività.
Un giorno mi prese per una gamba e mi
trascinò verso la libreria, poi guardandomi con il suo solito
sguardo sorridente e birichino, puntò il ditino verso i libri e mi
disse:
“Chelli lì” lasciandomi libera di
scegliere i libri che volevo dargli.
Lo guardai con tenerezza. In quegli
ultimi giorni era molto cresciuto. Era diventato un ometto e il mio
sguardo corse sui suoi riccioli biondi che si inanellavano in teneri
boccoli, agli occhi intelligenti, neri come l’ebano, alla bocca ben
modellata che si allargava quasi sempre in sorrisi accattivanti e
bellissimi…come in quel momento!
Non sapevo resistere ai richiami di
Asher.
Ne tirai giù tre o quattro e lui
felicissimo li prese ad uno ad uno e andò a portarli in un angolo
della sua cameretta, poi li guardò, guardò nuovamente me e disse:
“’ncoa”
“Ma non posso darti tutti i libri
Asher via! Cerca di trovare qualche altra cosa per giocare!” cercai
di persuaderlo
“’ncoa mamma ‘ncoa…’ncoa…daiiii!”
Ne presi altri tre dicendomi che in fin
dei conti rimettere a posto sette libri non sarebbe stata poi una
gran fatica e li consegnai al mio piccolo despota che corse subito a
sistemarli con gli altri.
“Chissà che vuole fare!” pensavo
dentro di me
Fortunatamente in quel momento squillò
il telefono e corsi a rispondere.
“ Ciao Tim! Sei uscito prima stasera
e vuoi che andiamo al parco? Che bellezza! Hai sentitoAsher? Il
babbo ci viene a prendere e ci porta al parco…sei
contento?.........Benissimo tra cinque minuti siamo in strada”
E così almeno per quella sera Asher
dimenticò i suoi progetti architettonici.
Che ripresero ben presto e con lo
spirito complice di Tim.
Quel giorno Tim era libero e io ne
avrei approfittato per fare le centomila cose che rimandavo i attesa
di un po’ di tempo da dedicare a me stessa. Sarei stata fuori tutto
il pomeriggio e la cosa mi faceva veramente piacere. Erano mesi e
mesi che non avevo più un attimo per me!
Quando uscii mi portai dietro
l’immagine dei miei due uomini, seduti nel divano con un grande
libro di favole. Tim leggeva le incredibili avventure del mago
Piripiri con un tono di voce profondo e accattivante e Asher, ad
occhi spalancati, ma non tanto quanto la bocca, era completamente
entrato in quel mondo di favola. Un quadretto idilliaco e pieno di
pace. Sorrisi a entrambi e me ne andai.
Il mio pomeriggio trascorse veramente
bene. Feci tutti i giri che dovevo fare, compreso una scappatina in
pasticceria dove mi saziai oltre che con la bocca anche con gli occhi
, degli squisiti bon bon che Ettore preparava a meraviglia ogni
giorno, usando una fantasia sempre nuova e invitante. Pensai anche ai
miei uomini e feci incartare un vassoio di biscottini per Tim mentre
per Asher presi un leccalecca gigantesco a forma di fragola.
Con questo stato d’animo così
edulcorato feci il mio ingresso in casa e forse fu per quello che non
inorridii davanti allo spettacolo che si presentò ai miei occhi.
Libri sparsi ovunque, si rincorrevano
dalla libreria fino alla camera di Ashere, dalla quale mi giungevano
voci allegre e gridolini concitati di mio figlio.
Senza fare rumore mi avviai seguendo le
tracce lasciate con tanta abbondanza e arrivata alla porta della
camera mi sporsi un po’ in avanti per sbirciare e misi
immediatamente una mano davanti alla bocca per reprimere l’urlo di
raccapriccio che istintivamente mi era venuto in gola.
Libri su libri si ammucchiavano
nell’angolo della camera di Asher, formando una capanna con tanto
di porta d’ingresso. La prima impressione che ebbi fu quella di
trovarmi davanti a un trullo fatto con mezzi di fortuna.
Ma Asher era addirittura euforico.
Gattonando entrava e usciva dalla sua nuova casa, rischiando di
tirarsi addosso con un movimento un po’ più azzardato una valanga
di erudizione e di narrativa.
Tim lo guardava ridendo, seduto in
terra a gambe incrociate.
A quel punto ritenni opportuno
manifestare la mia presenza e con noncuranza dissi
“Buonasera a tutti!”
“Ciao Jo – Tim mi sorrise dalla sua
postazione di sorveglianza – com’è andata?”
“Benissimo. Ho passato proprio un bel
pomeriggio e mi sono abbastanza riposata, per cui sono pronta per
rimettere a posto la libreria!” dissi tranquillamente dando una
rapida occhiata circolare a tutto il disordine che vedevo, aspettando
la risposta che non si fece attendere e che aspettavo del tutto
diversa, come….aspetta! Ti aiutiamo noi! O meglio ancora…non ti
preoccupare oggi era il tuo pomeriggio libero, goditelo fino in
fondo. Qualche volta è bello anche sognare!
“Eh no! Ci abbiamo messo tutto il
pomeriggio per fare questo capolavoro. ….Almeno per due o tre
giorni Asher ci vorrà giocare immagino!” rispose Tim con uno
sguardo innocente
“E io dovrei tenere questo …questo
obbrobrio per due o tre giorni?” domandai incredula sentendo che
cominciavo ad alterarmi.
“Beh…sì! Che c’è di male? In
fin dei conti è la camera di Asher o mi sbaglio? Avrà pure il
diritto di fare quello che crede?” rispose candidamente mio marito.
“Come no! – sentivo che la mia voce
stava aumentando di tono – così se un giorno decide che camera sua
deve diventare una discarica, dobbiamo lasciarglielo fare no? In fin
dei conti è o non è camera sua?”
“Via Joanna, non essere sempre così
estremista!” Quando Tim mi chiama Joanna, è bene che mi dia una
calmata, perché vuol dire che comincia ad arrabbiarsi e Tim
arrabbiato non è davvero un bello spettacolo. La casa di ghiaccio a
suo confronto è una sauna. Ho sempre dovuto constatare che le gelide
ire di mio marito sono molto più pericolose delle mie scoppiettanti
eruzioni vulcaniche…e mi fanno andare terribilmente in tilt.
Stavo per ribattere all’ingiustificata
accusa di estremismo, quando Asher richiamò la nostra attenzione con
gridolini di gioia e una nuova parola dal significato inequivocabile,
dato che fu accompagnata da un dito che si sporgeva a indicare il
famigerato trullo.
“capannettì…..capannettì!”
E a quel punto mi sentii
come Napoleone a Waterloo: sconfitta su tutti i fronti ma con la
differenza che mi sentivo anche contenta di quella sconfitta. Mio
figlio aveva coniato una nuova parola, azzeccata, ma tutta sua e
dimostrava la sua soddisfazione continuando a
ripeterla….Capannettì..capannettì…capannettì!
Tim mi guardò mentre rideva di gusto
davanti all’enfasi di Asher e a quel punto non mi rimase altro da
fare che unirmi alla risata, scartare i biscotti, consegnare con
solennità il leccalecca e mettermi seduta a gambe incrociate davanti
a Capannettì.
Inutile dire che Capannettì entrò a
fare parte della nostra vita proprio come era successo con Slim.
Per Asher diventò il suo rifugio, per
noi il luogo dove lo mandavamo in castigo quando faceva qualcuna
delle sue birichinate.
Pensavamo che di lì a pochi giorni
anche questa infatuazione sarebbe passata come tante altre prima, ma
non fu così. Anzi! Ogni giorno Asher cercava qualcosa di nuovo per
abbellire la sua capannettì e più che altro cominciò a cercare
qualcosa di morbido e di caldo da mettere al suo interno. Me ne
accorsi un giorno in cui cercò di infilarci un guanciale del
lettone, facendo cadere gran parte dell’instabile pertugio che vi
era stato fatto. I pianti furono tanti, rumorosi ed efficaci, perché
pur di non sentirlo più urlare con voce stridula, Tim ed io ci
rassegnammo a passare un’altra serata per rimettere in sesto la
Capannettì che ora il nostro rampollo voleva anche arredata.
Il problema della stabilità della
nuova casa di Asher fu risolto tempestivamente da un fulmine.
Proprio così! Erano giorni e giorni
che l’aria era piena di elettricità, ma di piovere non se ne
parlava proprio. Poi un giovedì pomeriggio, mentre guardavo un
programma alla televisione vidi un bagliore fortissimo seguito dallo
schianto di un tuono e aihmè…..della nostra televisione!
Purtroppo non ci furono scelte.
Ordinammo una nuova televisione, di quelle che si appendono alla
parete come giganteschi quadri e già che c’eravamo prendemmo anche
un mobile da tenerle sotto.
Il tutto ci fu consegnato con una
rapidità che ci lasciò stupiti e allo stesso tempo contenti.
Eravamo impazienti di vedere come sarebbero stati in casa i nostri
nuovi acquisti.
Proprio bene, niente da dire. Ora
dovevo liberarmi del grande scatolone che aveva contenuto il grande
mobile modulare laccato che adornava il nostro salotto.
Ma Asher fu più svelto di me.
Mi prese per mano e mi trascinò
letteralmente davanti allo scatolone dicendomi tutto eccitato:
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.
Come si fa a dire di no a due occhi che
ti guardano supplichevoli e nello stesso tempo ti fanno capire che se
ti azzardi a fare un diniego, sarà guerra dichiarata?
Non dissi di no e dopo dieci minuti la
nuova capannettì riempiva gran parte della cameretta di mio figlio
ed era così brutta che mi sentii andare giù le spalle tutto di un
colpo, pensando a quanto ci eravamo dati da fare con Tim per
scegliere la cameretta di Asher, di colori delicati, di bella
fattura, di sobria eleganza. Tutto era sciupato da quell’orribile
scatolone color caffellatte.
“La potrai sempre dipingere e
abbellirla con qualche decorazione” cercò di consolarmi Tim, che
si era accorto del mio stato d’animo, ma Asher era al settimo
cielo.
Gli occhi gli brillavano di entusiasmo
e cominciò subito a fare il trasloco dalla vecchia alla nuova casa.
“Ti piace eh? Birbante che non sei
altro” gli disse mio marito ridendo e Asher guardandolo gli
rispose:
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
Quella fu la prima volta che Louis
entrò nella nostra vita.
“Chi è Louis” chiesi a Tim,
quando Asher finalmente si fu addormentato.
“Non ne ho la minima idea….forse
sarà un bambino che ha conosciuto ai giardinetti” rispose Tim
distrattamente mentre sfogliava il giornale.
Non so perché ma non riuscivo a
togliermi dalla testa l’espressione di mio figlio, risoluta,
tranquilla, ovvia “La casina di Louis!”.
Né del resto lui mi permise di
dimenticarmene. Tutti giorni aveva qualcosa da fare per rendere più
accogliente la casina di Louis, una volta era un coniglio di pezza,
un’altra una serie di cubi colorati, un’altra ancora un bibe
pieno d’acqua….ma la cosa che mi intenerì più di tutte fu
quando ci sistemò un grande cuscino rosso e una copertina.
“Il nanno di Lu!” mi disse tutto
orgoglioso.
Poi per un po’ di giorni sembrò che
anche questo nuovo gioco fosse superato, che l’interesse fosse
passato. Capannettì restava sola soletta in camera di Asher mentre
lui si divertiva con i nuovi giochi che ogni tanto apparivano
magicamente in casa, dono di nonni e di zie compiacenti.
Io cominciavo già a pensare che forse
avrei potuto liberarmi di quel cubo ingombrante dal colore orrendo e
la cosa mi dava una tacita soddisfazione che non osavo manifestare in
alcun modo. Una parte di me però al solito era delusa, da come
durassero poco gli affetti di mio figlio. Prima con Slim, ora con
Capannettì.
Quanto mi sbagliassi potei constatarlo
proprio il giorno dopo, quando nel pomeriggio, vidi Asher passare a
tutta velocità stringendo Potti tra le braccia e andare in camera
sua. Potti è il suo orsetto preferito, quello col quale si
addormenta e col quale si risveglia…il suo amico del cuore.
Dopo due minuti mi ripassò davanti, ma
di Potti neanche l’ombra.
Si fermò davanti a me, che sferruzzavo
un maglioncino con gli orsetti, tanto per cambiare, e guardandomi mi
disse risoluto e sorridendo:
“Potti è a nanna di Lu!” e con
queste parole mi fece chiaramente intendere che voleva che lo
seguissi e andassi a verificare. Cosa che feci subito.
In effetti Potti dormiva a pancia in
giù sul grande cuscino rosso e Asher mi guardava soddisfatto
“Appetta Lu!”
“Ah sì? E quando arriva Lu?” gli
domandai per dargli soddisfazione
“Tla poco….tla poco alliva” mi
rispose convintissimo incurante della mia risata. Sentirlo parlare
così era divertentissimo e non potevo fare a meno di ridere anche se
Tim mi brontolava perché secondo lui Asher avrebbe potuto sentirsi
offeso
“Ma chi è Louis?” domandai a mio
figlio
“Mio amico…Lu mio amico”.
“Ah!” non sapevo più che dire per
tenere viva quella conversazione che sembrava dovesse interessare
tanto a Asher
“Louis …..vediamo….Louis è alto
come te?” ecco avevo fatto una domanda intelligente. Dio com’è
difficile parlare con i bambini!
“ Lu …poco poco alto!” E Asher
chinandosi in terra mise il palmo della mano all’altezza di circa
cinque centimetri da terra “Ecco…Lu”.
Quindi il suo amico immaginario era
alto poco più di un soldo di cacio, per quello che Capannettì
andava bene come casa e il cuscino rosso come letto.
“Asher sei fantastico!” e schioccai
un bacio sulla gota paffuta di mio figlio “ e si può sapere quando
arriva di preciso questo Louis? Almeno gli facciamo trovare qualcosa
da mangiare dentro la capannettì!” continuavo a stare al gioco,
per vedere dove andava a parare la fantasia di Asher.
“Alliva domani mammina…..”
“Ma te l’ha detto lui?”
“No.” Rispose convinto scuotendo i
riccioli biondi
“E allora chi te l’ha detto?” gli
chiesi incuriosita dalla risposta che mi avrebbe dato
“Ad Asher l’ha
detto Slim!” rispose serio serio
“Slim?” ripetei aprendo la bocca
per la sorpresa “Stai parlando di Slim, proprio di lui? Del tuo
palloncino?”
In quel momento arrivò Tim.
“Ciao a tutti!” rumoreggiò secondo
il suo solito
“Babbo….babbino!” gli fece eco
Asher correndo da lui. Anch’io mi voltai per salutare mio marito ma
quello che riuscii a dirgli fu:
“Lo sai che domani arriva Louis ? E
sai chi gli ha detto di venire da noi? Non potresti mai
immaginarlo……Ti aiuto io vuoi? Slim! Ti ricordi di Slim vero ?”
“Certo che mi ricordo di Slim –
disse Tim come se fosse la cosa più ovvia del mondo – ma Louis chi
è?” stavolta la sua domanda era un tantino più curiosa.
“Luois è un nuovo amico di Asher
…….e ha deciso che verrà a stare un po’ da noi. !”
Asher ci guardava sorridendo, poi il
suo sguardo fu catturato dalla sciarpa rossa di Tim
“Vollo chella…voloo chella ….dai
babbo”
“Per farne che?” domandò Tim
sospettoso. L’ultima volta che Asher gli aveva chiesto la sciarpa
era per fare un guinzaglio a un cane randagio incontrato ai
giardinetti, con tutto quello che ne segue. Fortunatamente il padrone
di Fred, così si chiamava il cagnolino era stato ritrovato, e
l’episodio era finito nel giro di due o tre ore.
“Sciappa a Lu. Per nanno di Lu…..E’
feddo!”
In effetti l’inverno appena iniziato
non prometteva niente di buono e il vento che si sentiva sibilare
fuori dalle finestre, faceva rabbrividire anche se in casa c’era un
bel calduccio.
Il giorno dopo arrivò in un lampo e
con lui arrivò anche la neve. La mattina ci svegliò un’aria
luccicante come non mai e anche dalle tapparelle socchiuse si capiva
che non era un’aria normale. Era l’aria della neve, quella che
porta il gelido vento dell’est, il profumo di pulito, i lucciconi
agli occhi, e un’allegria irrefrenabile che ti spinge ad alzarti
subito, a vestirti senza ricordarti che prima ti devi lavare e uscire
in tutto il candore che ti avvolge di luce e di silenzio.
Non ci fu neanche bisogno di dircelo e
in cinque minuti eravamo pronti per uscire. Fu a quel punto che
successe…..e campassi cent’anni non riuscirò mai a capire come!
Proprio mentre stavamo aprendo la
porta, una delle finestre del salotto si spalancò, portando dentro
una corrente di aria gelida piena di farfalline e……rimanemmo
tutti a bocca aperta, cioè io e Tim rimanemmo a bocca aperta, ma non
Asher.
Asher staccò subito la sua mano dalla
mia e corse verso la finestra, corse verso l’aria gelida e verso
Slim, che, come se niente fosse, rientrava non dalla porta stavolta,
ma dalla finestra aperta sulla bufera e correva ad abbracciare Asher.
Possono i palloncini abbracciare una
persona? No davvero, lo so anch’io. Mica sono impazzita! Ma
evidentemente i palloncini possono abbracciare i bambini e averne un
abbraccio in cambio. E’ così diverso il mondo dei bimbi da quello
di noi adulti.
“Hai vitto mamma?....Slim è tonnato
e ha pottato Lu”
“Ha portato Lu? E dove è? Io non
vedo nessun Lu” disse Tim pragmatico come al suo solito
“Ma è qui babbo!” rispose
orgoglioso Asher mostrando il palmo della sua manina.
Da quel giorno noi sapemmo che Louis
viveva sul palmo della mano di Asher, e quando non era lì era sulla
sua spalla.
Noi non vedemmo mai Louis, ma
istintivamente sapevamo che nostro figlio ci diceva la verità, la
sua verità naturalmente e ci adattammo alla presenza di quel piccolo
bimbo che poi ci fu descritto fin nei minimi particolari.
Cominciò un bel periodo per noi. Asher
era sereno e cresceva in maniera stupenda. Era una fucina di idee e
di iniziative. La sua fantasia si sviluppò in maniera incredibile e
la sua creatività non finiva mai di stupirci. Quando gli chiedevamo
dove sognasse tutte le cose che decideva di fare, invariabilmente
rispondeva
“E’ Lu che me le insegna!”
La sera era bello mettere a letto Asher
e preparare anche il lettino per Louis nella Capannettì.
Slim vegliava il sonno di entrambi.
Il tempo volò e passarono gli anni.
E venne il giorno che Asher, ormai un
bel bambino di sei anni, mi disse senza tanti preamboli, come faceva
lui, che era giunto il momento di levare Capannettì dalla sua
camera.
Non mi dette spiegazioni, né io gliele
chiesi. Sapevo che non le avrei avute.
Dentro di me sentivo però che questa
cosa era legata a Louis.
Infatti la mattina seguente Asher mi
disse sorridendo:
“Oggi Louis parte”
“E tornerà?” provò a chiederegli
Tim
“Mi ha detto che quando sarà il
momento lo rivedrò. Ha detto che io ora non ho più bisogno di lui,
e che ci sono altri bambini dai quali deve andare”.
Tutto finì lì e al solito Asher non
dimostrò tristezza. Quel giorno cercai Slim per tutta la casa, ma
non lo trovai. Così compresi che Louis se ne era andato davvero, ma
era rimasta la speranza che lui aveva lasciato. Un giorno Asher
l’avrebbe rivisto.
Non volevo deludere la fiducia di mio
figlio. Del resto per lui Louis era stato un amico vero. Che
importava se era stato solo il frutto della sua vivida immaginazione?
Alla fine, mi dissi sorridendo tra me e me, anche se noi eravamo
perfettamente consapevoli che Louis esisteva solo nella fantasia di
nostro figlio, il piccolo bimbo invisibile che per anni era stato in
casa nostra, faceva parte della famiglia e, almeno nei nostri ricordi
non avremmo mai rinunciato a lui.
Grover incassò il capo tra le
spalle, mentre si avviava nella gelida nebbia che avvolgeva gli
alberi del viale. Anche stavolta era stata dura lasciare l’amico
che per anni aveva seguito con intelligenza e acume e al quale aveva
insegnato ad acuire due grandi doti che il destino gli aveva
regalato: la fantasia e la creatività. Era sicuro che Asher non
avrebbe sprecato quei doni e che nella sua vita l’avrebbero portato
a fare cose grandi.
Poi il suo pensiero andò alla sua
di vita! Quanti anni aveva lui, Grover Mc Cormich? Centocinquanta
forse?O centosettanta? Non lo ricordava più. Per farlo doveva
ripensare ai tanti bambini ai quali era rimasto accanto durante i
primi anni della loro vita, quando la personalità si forma. Erano
stati tanti…ma uno come Asher non l’aveva mai trovato.
Asher era stato il discepolo
prediletto, il migliore, quello che aveva imparato prima di tutti,
quello dotato di una sensibilità unica, gentile e allegra. Asher
sarebbe cresciuto, sarebbe diventato uomo e lui Grover sarebbe
rimasto sempre l’eterno bambino, quello che i poeti dotati di
sensibilità sanno che esiste senza averlo mai visto e che chiamano
il fanciullino, che rimane sempre tale, nonostante gli anni che
passano.
Era duro andarsene da quella casa
accogliente, ma il suo compito era stato svolto e la sua comunità lo
reclamava per altri incarichi.
I Tampis esistevano dalla notte dei
tempi e le loro origini si perdevano nelle pieghe del grande libro
eterno e da sempre svolgevano un ruolo primario nella formazione del
carattere dei pochi eletti che venivano loro assegnati. Vicini nella
scala gerarchica al grande Formatore, erano coloro che regolavano le
sorti delle civiltà, quelli che facevano uscire l’uomo dalle
barbarie per avviarlo sulla strada maestra della sapienza e della
fantasia.
Un uomo sapiente se non ha fantasia
è un pedante, mentre un uomo fantasioso se non ha sapienza è un
perdente.
Il compito importante ed esclusivo
del popolo dei Tampis era quello di saper miscelare nella giusta
misura queste doti così selettive, per renderle utili al progresso e
all’uomo come entità.
Compito dei Tapis era quello di
equilibrare questi meravigliosi doni per rendere gli uomini degni di
grandi cose.
Grover era soddisfatto del compito
svolto. Sapeva di aver fatto un bel lavoro e di avere trovato terreno
fertile e ben drenato. Ripensò anche a Joanna e a Tim.
Asher con due persone come loro
sarebbe cresciuto bene, con saldi principi, voglia di fare cose nuove
e ardite, ma giuste e per il bene di tutti.
Improvvisamente si sentì meglio.
Era quasi giunto in prossimità della porta temporale che a breve
l’avrebbe fatto entrare nel suo mondo. Si permise però il lusso di
voltarsi per un’ultima volta e agitare una manina verso la casa di
Asher che vedeva in lontananza. Era certissimo che l’avrebbe
rivisto e questa certezza d’un tratto scacciò il breve attimo di
tristezza e di rimpianto e gli fece spuntare un sorriso sulle labbra.
Venticinque anni dopo!
Il giovane uomo uscì dall’ufficio ed
entrò nella bellissima giornata di maggio che lo accolse con i suoi
colori e i suoi profumi.
Aveva fretta di tornare a casa per
portare un nuovo giocattolo a suo figlio. Sua moglie proprio mentre
usciva di casa gli aveva detto:
“Asher, potresti fermarti a quella
bancarella che è proprio vicina al tuo ufficio e comprare un
palloncino per Ted? Sai quella bancarella dove c’è quell’omino
con una giacca a righe e i calzoni alla zuava! Te lo ricorderai?”
“Tranquilla tesoro, appena esco mi
fermo e prendo il palloncino!”
Quanti ce n’erano! E di tutte le
forme e i colori. Stette un attimo a guardare e senza sapere neanche
lui perché, disse all’omino:
“Vorrei quel palloncino !” e indicò
con il dito un palloncino rosso a forma di cuore! E mentre così
faceva si domandava con un sorriso di divertimento se era proprio lui
Asher, che aveva deciso di comprare un palloncino a forma di cuore,
lui che di romantico non aveva proprio niente!
Eppure istintivamente seppe che voleva
proprio quello! Alzò le spalle pagò e si avviò verso casa seguito
dalle parole dell’omino che gli dicevano:
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”
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