Una giornata come tante, con i suoi
impegni, le sue corse, le sue arrabbiature, le poche soddisfazioni.
Giornate frettolose che si snodano sin dal mattino in corse
frenetiche con la macchina o a piedi per andare al lavoro. Si passa
indifferenti tra la gente, qualche volta si urtano anche le persone
che incontriamo e nella fretta di andare non domandiamo nemmeno
scusa. Anzi! Il fastidio appare nei nostri volti. E poi il lavoro! La
sua insoddisfacente prevedibilità, le incomprensioni con i colleghi,
le scartoffie che si accumulano nella scrivania, la burocrazia
sempre più vampira, gli sguardi all’orologio, per vedere quanto
tempo manca all’uscita, e non per il desiderio di tornare a casa,
ma solo perché una volta fuori da lì ci sono altre cose da fare,
altre impellenze, altri problemi, altre preoccupazioni per noi e per
la nostra famiglia, con il rincaro della vita, le bollette che
arrivano sghignazzanti a ricordarci che i nostri soldi bastano sempre
di meno a coprire tutto ciò che riteniamo necessario per la nostra
vita.
Ma è questa la vita?
E’ questo l’uomo, signore della
terra, creato da Dio a sua immagine e somiglianza?
Basta! Appoggio la penna che tengo in
mano da un bel po’ di tempo senza farne uso, me ne sto accorgendo
ora, e al diavolo l’irpef, l’imu, la ritenuta d’acconto e le
altre svanziche ugualmente antipatiche. In questo momento non posso!
In questo momento la vita, questa
nostra vita, così evoluta, così etichettata e
piena di simbolismi, ciascuno dei quali parla di potere, piccolo o
grande che sia, questa nostra vita che noi uomini ci siamo costruiti
a nostra immagine e somiglianza, mi sta soffocando. Crediamo di aver
conquistato il mondo e non ci accorgiamo di essere caduti nei suoi
ingranaggi che ci stanno stritolando.
Alzo gli occhi verso il cielo, che è
sempre stato lì, da quando esiste l’universo, ma da quanto tempo
non lo guardavo? E’ grigio oggi il cielo, ma non importa. Mi
permette di uscire da me stessa e dal groviglio dei miei pensieri, mi
riporta in una dimensione di normalità e di speranza. Guardo le
nuvole che corrono e il mio spirito corre con loro. Dove? Non lo so e
non importa in questo momento. Guardo gli uccelli che volano e si
rincorrono. Magari per loro è una corsa frenetica per la
sopravvivenza, ma a me in questo momento parlano di libertà. Chissà
se il carcerato, guardando il cielo prova le mie stesse sensazioni e
le mie stesse emozioni?
Forse sono un po’ idealista, forse
faccio parte della schiera dei sognatori, che non si vogliono
arrendere all’evidenza della quotidianità, che ci vuole proni a
soddisfare le sue esigenze di padrona della nostra vita. Non voglio
ancora arrendermi e pensare che sia proprio la quotidianità la
padrona del gioco. Non ci sto!
Mi basta pensare che al di fuori della
nostra routine c’è il cielo, ci sono i boschi, il mare, le
montagne, una natura insomma della quale l’uomo doveva essere il
signore, e che da buon signore avrebbe dovuto proteggere e
salvaguardare, cosa che ci siamo ben guardati dal fare; mi basta
pensare che ci sono le piccole cose, il sorriso dei bambini, lo
sguardo degli anziani, lo scodinzolio del nostro cane, che potrebbero
scaldarci il cuore e che invece guardiamo il più delle volte con
distaccata superficialità; mi basta ricordare che fuori da me ci
sono gli altri, tanti altri, l’intera umanità che vive sempre più
sola, sempre più col pudore dei propri sentimenti e delle proprie
idee che non si manifestano quasi fossero un delitto di cui
vergognarsi, mentre invece dovrebbero essere il nostro retaggio, la
nostra identità, la nostra storia per ché per dirla con Dante”fatti
non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtude e canoscenza”.
Quanto lavoro vero, da fare su noi stessi! Saremo ancora in tempo?
Invece il nostro modo di vivere che è
diventato la base della nostra società, ci ha reso bruti e non ci ha
permesso di avere conoscenza e perciò non ci ha reso liberi.
Un passo indietro! E’ ciò che si
dovrebbe fare! E’ giusto lavorare, perché si deve mangiare, ma
anche nel lavoro bisognerebbe portare quella carica di umanità che
faccia vedere sempre in chi ci sta davanti non solo un altro uomo, ma
quel fratello, con il quale in questo spazio temporale, costruiamo la
storia dell’umanità.
Se ciascuno di noi si facesse carico
di questo briciolo di fratellanza, la vita sarebbe migliore per
tutti.
Utopia? Senz’altro! Ma non mi
arrendo.
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