I racconti di Fuf


Signora Solitudine

Era il primo giorno di primavera quando tutti gli abitanti del bosco decisero di ritrovarsi sul grande poggio per parlare di un argomento che stava a cuore a tutti: l’amicizia.
Era stato scelto quel luogo per il grande rispetto verso l’albero che era lì da più di mille anni e che senz’altro era la creatura più antica di tutto il bosco. Neanche gli elefanti, dei quali i più vecchi avevano una veneranda età, potevano paragonarsi alla vetustà del grande albero.
Le scimmie avevano portato a tutti gli abitanti del bosco il proclama che il loro grande re Leone aveva bandito, preannunciando una data solenne: il primo giorno di primavera infatti segnava la rinascita della vita e il tema dell’amicizia era proprio intonato per l’occasione.
Tutte le creature del bosco avevano aderito senza indugio e chi non poteva andare al convegno, per ovvi motivi, aveva delegato qualcuno a rappresentarli. Le rane e i coccodrilli si sarebbero fatti portavoce per tutti i pesci dei ricchi ruscelli che scorrevano in quel luogo felice e i passeri si erano impegnati a tenere un filo diretto con loro per tenerli sempre al corrente dei risultati che sarebbero emersi.

E finalmente il grande giorno arrivò. Il sole nacque splendido sul poggio dove il grande albero allargava le sue braccia, quasi a chiamare a raccolta tutti gli abitanti del bosco, che già dalle prime ore del mattino cominciarono ad arrivare e si accamparono ai suoi piedi, sotterrando l’ascia di guerra, per cui tigri e gazzelle non rifiutarono di stare vicine, e neanche gli elefanti e i topolini furono da meno.
Si respirava sin dalle prime ore della giornata un’aria che parlava di dignità, di rispetto, di consapevolezza dell’importanza di quel ritrovo. Quel luogo in cui la guerra era di casa , anche se regolata da leggi antiche che parlavano di onore, di cavalleria, e mai di odio, quel luogo sentiva il bisogno di scoprire qualcosa di nuovo, che lentamente si era insinuato tra di loro: l’amicizia.
Avevano bisogno di scoprire, di definire che cosa volesse dire amicizia, avevano bisogno di capire che nome avesse il più alto grado dell’amicizia, avevano insomma bisogno di confrontarsi e di imparare e di dare delle regole.
Quando furono tutti, il re Leone alzò il suo bellissimo muso in tutta la sua fierezza e improvvisamente scese un gran silenzio.

“Vi ho chiamati perché voglio condividere con voi le mie esperienze, sperando che anche da parte vostra ci sia lo steso desiderio. Inizierò dicendo che credo di avere molti amici, specialmente tra le iene e gli avvoltoi e penso che la loro amicizia si manifesti standomi vicino in ogni mio spostamento”.
“Mi permetto di non essere d’accordo con te sire, - rispose un vecchio leone che aveva visto molte primavere. Anch’io una volta avevo intorno iene e avvoltoi e mi sentivo al centro dell’attenzione e confortato dalla loro presenza…ma quando sono diventato vecchio, sono tutti spariti e gli unici amici che mi sono rimasti sono le mosche e i tafani “.
“E come mai? – chiese timidamente una gazzella
“Semplicemente perché non avevano più bisogno di me. Io non gli servivo più e oggi è più facile che mi sia amica tu, piuttosto che loro”.
“Vuoi dunque dire che dovrei guardarmi da loro?” chiese il re leone
“Non dico questo. Ma bisogna stare attenti a non confondere l’amicizia con il lavoro. Iene e avvoltoi lavorano con te e ti aiutano a portare a termine le tue imprese. Ma questa non è amicizia”
“E’ vero! Ha ragione il vecchio leone – intervenne un’antilope – amicizia è stare insieme e andare a bere allo stesso ruscello e a mangiare nello stesso prato”
“Anche questa sono sicuro che non è amicizia – riprese il leone con la criniera bianca scuotendo il capo – anche questa è una forma di collaborazione, è unione che rende più forti, ma prova a pensare a quando una tigre vi corre dietro. Che fate?”
“Scappiamo con tutta la velocità delle nostre gambe” rispose stupita l’antilope per quella domanda così ovvia.
“Già e non vi preoccupate nemmeno quando vi accorgete che qualcuno meno fortunato è finito nelle fauci della tigre. Ti sembra amicizia questa?”
“Hai ragione!”rispose mortificata la piccola antilope

Continuarono a parlare per ore e ore, ma nessuno riusciva a trovare che cosa fosse la vera amicizia.
Intanto dense nubi nere si stavano avvicinando, senza che loro, presi come erano nelle loro discussioni, se ne fossero accorti, finché un tuono con un forte ruggito scosse la terra.
Grosse gocce di acqua cominciarono a cadere dal cielo e di lì a poco un uragano si abbatté nel poggio. Tutti gli uccelli si alzarono in volo e corsero a rifugiarsi nelle fronde del grande albero dalle braccia aperte. Le scimmie si arrampicarono veloci tra i suoi rami e tutti gli animali si misero al riparo sotto la sua folta chioma.
Il grande albero accolse tutti in silenzio, mentre il vento lo scuoteva e lo avvolgeva in spirali sempre più strette, facendo scricchiolare il suo vecchio scheletro. Ma lui rimase impavido ad affrontare la tempesta.

Poi, come era arrivata, la bufera si placò e il sole tornò a brillare in tutto il suo splendore, illuminando le gocce di pioggia che si erano posate sulle foglie del grande albero, che brillò come un diamante prezioso.
Il re Leone alzò lo sguardo sul vecchio tronco che svettava verso il cielo e rivolgendosi a se stesso e agli altri disse:
“Ora ho capito che cos’è l’amicizia! Guardate, guardate tutti che cos’è un amico! Un amico è colui che ti accoglie in silenzio, che allarga le sue braccia e si protende su di te e ti protegge nelle tempeste della tua vita … e dopo non ti chiede niente, contentandosi di aver fatto per te tutto quello che poteva…..non credete anche voi che questo grande, maestoso albero, sia ciò che di più grande e di più vero possa definire l’amicizia?”
“E’ vero, hai ragione!” dissero gli altri guardando con riconoscenza il vecchio albero “ora abbiamo capito!”

A quel punto si sentì la voce del vecchio albero, profonda e lenta, come di chi non parla ormai da tanto tempo e deve ritrovare la scioltezza del discorso.
“Amici miei, quello che ha detto il nostro re è vero, ed è molto bello, ma non è tutto, perché l’amicizia credetemi, può andare oltre, molto oltre questa definizione che le è stata data. Questa forma di amicizia che può definirsi anche come accoglienza e protezione è una forma molto alta di amore e di dedizione agli altri, ma è pur sempre qualcosa che gratifica non solo chi riceve, ma anche chi dona. Sappiate comunque che anche l’amico più caro un giorno si staccherà da voi e anche se non vi dimenticherà non cercherà più la vostra protezione e la vostra accoglienza, perché la troverà là dove lo porterà la vita, e allora l’amicizia, se è vera come quella che io ho avuto per voi, prenderà un altro nome. Sarà l’amicizia della solitudine. Non è un’amicizia facile nei suoi primi momenti, perché la solitudine deve farsi prima capire,per poter essere accettata ed infine vista come una luce che ravviva l’anima. La solitudine è come una signora elegante che incede con passo leggero ed entra dentro di te e ti aiuta a sapere chi sei. Ti fa conoscere nella tua vera essenza, senza più maschere, senza più veli, senza più domande. Sublima i tuoi sentimenti e li esalta, ti allontana dal dolore perché lo trasforma nell’essenza che ti fa raggiungere stadi di pensiero più alti e meno egoistici. L’amicizia che prende il nome di solitudine fa aprire nuovi orizzonti in cieli più chiari, dove tutto è più visibile e più giusto.
Io sono qui da più di mille anni e i miei amici, chi prima, chi dopo, sono andati tutti via, e li ho seguiti prima con lo sguardo, poi con il pensiero ed infine con i nuovi occhi, dono della mia solitudine e ora, sono qui con me, dentro di me, parte di me per sempre.

Amici miei, il cammino della vera amicizia è un cammino lungo e anche doloroso che però porta alla gioia della scoperta del sentimento più nobile che una creatura possa provare. Se vorrete trovare veramente l’amicizia più alta, anche voi, chi prima, chi dopo, dovrà varcare la porta della solitudine e accettare la catarsi che dovrà avvenire per raggiungere la purezza della vera amicizia. E’ un cammino solitario, che condurrà a una scoperta incredibile, che vi condurrà a fare la conoscenza dell’amico più grande che potrete mai avere in questa vita: voi stessi”.

Il sole tramontava dietro il grande albero, che dopo queste parole sembrava ancora più maestoso. Tutti lo guardarono con rispetto e con il nuovo silenzio di una lezione appresa ma ancora tutta da vivere. Domani era già alle porte e il nuovo giorno avrebbe portato nuove cose da vivere, nuove esperienze da affrontare: in qualcuno di loro avrebbe infuso anche nuova voglia di scoprire che si può migliorare, crescere, dare di più, offrirsi in dono, annullarsi in nome dell’amicizia per poi finalmente entrare nella porta di Signora Solitudine.














VALLEDORO















Poiché un sognatore
è colui che vede la
sua strada solo al
chiaro di luna,
la sua punizione è
vedere l’alba prima
del resto del mondo











Questa novella è dedicata a Bali, mio insostituibile amico, fiero, indipendente, fedele compagno delle mie avventure nella vita reale e onirica. Emulando l’imperatore Caligola, che nominò il suo cavallo Senatore nell’Impero Romano, io nomino il mio cane Senatore a vita nella Contea di Valledoro













Cap.1

C’era una volta, tanto tempo fa, ma così tanto che gli orologi non erano ancora stati inventati e neanche le clessidre se per questo…..insomma quando ancora il tempo si calcolava col sorgere e il tramontare del sole…….c’era allora una terra beata, una vallata, circondata da monti altissimi e pieni di neve.
Questa valle era tutta verde, ma non di un verde come tutti gli altri perché la sua erba era fatta di pura menta e i fiori che vi nascevano erano tutti canditi, e a guardare proprio per bene la cima dei monti, si vedeva che la neve non era proprio neve, ma una bellissima panna montata, che le fate, quando volando, facevano ritorno a casa, assaggiavano, prendendola con la punta della bacchetta magica che in cima aveva una stellina che poteva a piacimento funzionare anche da cucchiaino Bastava fare un volo un po’ più radente, abbassare la bacchetta e…zac! La stellina si adornava di panna che poi le fate leccavano golosamente e quando erano sazie, non facevano altro che scuotere le loro bacchettine e la panna avanzata diventava delle bellissime nuvole bianche che correvano nel cielo spinte dal vento che si alzava dalla valle. Di notte le buone fate si riposavano nelle tende vellutate e nascoste del cielo e le loro bacchette, poste una accanto all’altra illuminavano la volta celeste, formando il firmamento.
Era uno spettacolo bellissimo e la gente della valle si sentiva sicura e protetta da quelle stelle che vegliavano su di loro.
Gli abitanti di quella valle si chiamavano Valdorati, ma siccome il nome era troppo lungo, per gente come loro che era alta si e no cinquanta centimetri, si erano da soli abbreviati in Val. Il popolo dei Val non era come tutti gli altri popoli. Oh sì! Anche loro avevano due gambe, due braccia, un naso, una bocca e due occhi, ma i loro occhi avevano tutti il colore della valle e la bocca era rossa come un lampone e come i lamponi piena di puntolini.
Le loro casette erano tutte bianche, traboccanti di fiori canditi e di gatti di pannolenci con i baffi di saggina. I cani invece avevano un bel pelo come quello dei tappeti persiani e le orecchie con le nappe. Tutti avevano cani e gatti. Qualcuno aveva persino un cavallo e una mucca. E non crediate che fossero come quelli che si vedono da noi, perché i cavalli erano a dondolo e le mucche avevano i boccoli biondi o bruni….qualcuna rossi, ma erano tutte delle vere signore.
In una delle ultime casette, vicino al torrente di marmellata vivevano Samo e Var. Nessuno sapeva da dove fossero giunti. Il giorno prima non c’erano e il giorno dopo erano lì, molto diversi dagli abitanti di Valledoro, ma molto disposti a fare amicizia con tutti loro. Samo era un uomo di nobile aspetto e di bel portamento , mentre Var era biondissima e leggiadra. Avevano una bellissima figlia che tutti i valligiani guardavano affascinati, per via del colore dei suoi occhi che era identico al colore del cielo in una calda giornata d’estate. Nessuno di loro aveva mai visto occhi simili, ma lungi dall’esserne invidiosi erano contenti di avere tra di loro una simile perla rara e tutti volevano bene a quella fanciulla bella come il sole, ridente come una giornata di primavera, candida come la neve dei monti, che aveva un nome scintillante come una goccia d’acqua attraversata dall’arcobaleno: Iris.
I genitori di Iris non avevano mai detto a nessuno la loro storia, ma le brave persone di Valledoro intuivano che non erano persone comuni e che solo per far perdere le loro tracce erano venuti ad abitare in quel luogo, così isolato dal resto del mondo, ma non avevano mai fatto domande e dopo un po’ Samo, Var e Iris, erano diventati parte di loro. Avevano una sala da the dove ogni sera si radunavano tutte le persone stanche della lunga giornata di lavoro, per fare un bel bagno nel the zuccherato. Non c’era niente di più tonificante di un bagno con abbondante zucchero di canna….e il popolo dei Val lo sapeva ormai da innumerevoli generazioni e sapeva anche che il bagno di the zuccherato conservava la giovinezza per lunghissimo tempo. Infatti non vedevi nessun abitante di Valledoro che avesse una ruga, neanche a cercargliela col lanternino. Le giornate trascorrevano tranquille e sempre uguali, ma un giorno…..

























Cap. II

Un giorno il sole si svegliò come tutte le mattine e corse affannosamente su nel cielo per far luce agli abitanti di Valledoro che dovevano andare al lavoro, e per poterlo fare il sole doveva essere puntuale e non poteva fare neanche un po’ il suo comodo.
Perché, se ancora non lo avete capito il sole illuminava il giorno e i centomila elfi che tiravano il suo carro, al comando del mago Spacamalosse avevano un bel da fare e le stelle delle bacchette delle fatine,schiarivano la notte insieme alla luna che era la lanterna del mago Spiridone, ma tolte queste cose non esisteva nessun altro tipo di illuminazione, tranne il fuoco d’inverno, quando la gente si riuniva intorno al suo calore per raccontarsi gli eventi della giornata e le antiche storie del popolo dei Val, che venivano tramandate di generazione in generazione. E anche il fuoco non era alla portata di tutti; ci voleva il permesso del mago Similoro, per poterlo accendere e si doveva sorvegliare continuamente perché non facesse danni che avrebbero provocato l’ira del potente mago.
Il sole, dicevo, si svegliò come tutte le mattine e la giornata cominciò. Le fate si stiracchiarono nei loro letti celesti e sbadigliando si riappropriarono delle bacchette magiche e battendosele leggermente in testa, in un attimo furono tutte pronte e come ogni mattina andarono a rapporto da fata Filigrana, che era la più importante di loro.
Questa era già in perfetta tenuta da lavoro: Abito lungo e trasparente, cappello a punta tempestato di fili d’argento e un velo talmente lungo che non si riusciva mai a vedere dove finisse.
Anche quella mattina la giovane fata Dollarina, che tutti chiamavano Dolly cercò di vedere dove terminasse il velo della sua potente regina, senza riuscirci. Con una mano si toccò il suo, molto ma molto corto e si domandò quali imprese avrebbe dovuto compiere per riuscire ad avere un velo lungo come quello di Filigrana. Sapeva che il velo rappresentava il successo di una fata e che l’importanza di una fata si misurava dalla lunghezza di quella nuvola diafana. “Un giorno ce l’avrò anch’io!” sospirò con un’alzata di spalle. Poi non ci pensò più e dopo aver ascoltato ciò che le diceva la bellissima fata, più giudiziosa e più assennata di lei, con un leggero colpo di tacchi si alzò in volo, per dirigersi a fare il suo lavoro quotidiano. Non doveva andare molto lontano.
Tutti i giorni raggiungeva una gola, formata da due monti dirimpettai che non facevano altro che farsi i dispetti. Il monte Star era proprio di fronte al monte Nuto e non facevano altro che soffiarsi vicendevolmente addosso tutti i venti che le loro cime riuscivano a catturare, formando sempre un tale groviglio di nuvole, che se non ci fossero state le buone fate, su Valledoro sarebbe sempre piovuto. Invece le Fate, raccoglievano con le loro bacchette le nuvole e le giravano intorno a queste, quasi come se fossero state zucchero filato e poi volando le andavano a buttare in un lago che era poco lontano. E così il popolo dei Val poteva lavorare tranquillamente nei campi e nei boschi, facendo dei bellissimi raccolti.
Quel giorno però la Fata Dollarina era più distratta del solito. Il velo lunghissimo di fata Filigrana le era rimasto in testa e non riusciva a dimenticarlo. Era così bello! Muoveva distrattamente la sua bacchetta, agitandola con leggerezza e non si accorse della grossa nuvola nera, che, minacciosa, si dirigeva a grande velocità verso di lei. Quando la vide era troppo tardi. La nuvola l’avvolse in tutte le sue spirali e cominciando un girotondo turbinoso la vece volare da una parte all’altra, finché in un sussulto più forte, la bacchetta magica sfuggì di mano alla giovane fata, che inorridita la vide precipitare giù, più giù, sempre più giù, sempre più giù, fino a che sparì in una nera e profonda voragine, che faceva paura solo a guardarla.
La giovane fata, riuscì a malapena ad aggrapparsi al ramo di un albero, e a sottrarsi così all’ira della nuvola nera, e piangendo diceva: “Come posso continuare ad essere una fata, se non ho più la mia bacchetta magica?”.
Si sdraiò sul prato pieno di fiori, che si spostarono per farle posto e poi le dettero il loro profumo più dolce per rincuorarla, ma la piccola Dolly non riusciva a fermare le sue lacrime.
Dopo un po’, sentì una voce rauca che le diceva: “Perché piangi piccola fata?”
“Piango perché ho perso la mia bacchetta magica e se non riuscirò a riaverla, non sarò più una fata e non avrò mai il velo bellissimo che ha fata Filigrana!”
“Su piccola, non fare così – le rispose la voce rincuorandola gentilmente – il velo lungo di fata Filigrana non si può avere dall’oggi al domani. A lei sono occorsi più di cento anni per riuscire ad avere il suo….e tu da quanto è che sei fata? Non da molto suppongo, da quello che vedo!”
“Mi sono diplomata l’anno scorso e ora sto facendo il tirocinio!” rispose la piccola fata, che ora sembrava ancora più piccola.
“Lo supponevo – rispose sospirando la voce – e presumo vorrai riavere la tua bacchetta magica…ma per fare ciò avrai bisogno di aiuto”.

“ E chi mi può aiutare?”
“Ti aiuterò io! Ma nemmeno io posso scendere in quella voragine. Nessuno può scendere in quella voragine…….se non due persone speciali, così almeno narra da sempre la leggenda, un principe e una principessa dal cuore puro e intrepido. Laggiù – continuò la voce – abita il mago più potente di tutta la terra. Si chiama Avidus ed è il mago di Ego. Ego è un regno potentissimo e per ora inespugnabile e tutto ciò che viene catturato, non è mai più ridato. Ma la leggenda degli antichi Val parla appunto di un giovane principe e di una bella principessa, che se si incontreranno, riusciranno a sconfiggere il potente mago:”
“Ma io devo riavere la mia bacchetta al più presto, perché la stella che ha in cima, è una stella importante, anche se non è luminosa come quelle delle altre fate. E se non ho la mia bacchetta, di notte una stella mancherà in cielo….come posso fare?” singhiozzò rumorosamente la fata
“Che stella è?” chiese la voce incuriosita
“Si chiama Stella Polare” rispose fata Dollarina con un ultimo singhiozzo
“Cosa? La stella polare? Ma stai scherzando? O mi stai prendendo in giro?”
“No, ti assicuro,si chiama proprio stella polare. Perché è una stella che tu conosci?”
“E chi non conosce la stella polare? E’ la stella che indica la via a tutti…e proprio a te l’hanno data! Che incoscienti! Ma non si sono accorti che sei troppo giovane per una simile responsabilità?......Suvvia ora non ricominciare a piangere e lasciami pensare.”
“Va bene – sospirò la fata – ma almeno potresti farti vedere? Sto parlando con te da mezz’ora e non so neanche chi sei!”
“Scusami, non ci avevo pensato. Arrivo subito” E quasi all’istante Fata Dollarina vide smuoversi la terra avanti ai suoi occhi e dopo un po’ uscì un lunghissimo lombrico con un paio di occhiali dalle spesse lenti e un berretto scozzese in testa.
“E tu chi saresti? – chiese la fata arricciando la bocca
“Ciao mi presento. Io sono l’amico Lombricone e vivo in quel canneto laggiù. Lo so che non sono troppo bello. Ma madre natura mi ha fatto così, che ci posso fare?”
“Piacere io sono Fata Dollarina, ma se vuoi puoi chiamarmi Dolly”
“Bene Dolly, diamoci da fare. Io non so chi può essere il principe che ci può aiutare, ma credo di non sbagliarmi se dico che conosco la principessa…….”
“Davvero? E chi è”
“Tutto a suo tempo……….e tu mi dovrai aiutare……”

















Cap- III

Era quasi sera quando arrivarono in paese. La piccola fata, senza la sua bacchetta magica sembrava aver perso tutta la sua leggerezza e la sua velocità e il vecchio Lombricone, anche se faceva del suo meglio, era poco più veloce di una lumaca. Però alla fine giunsero alle prime case e Lombricone si diresse senza esitazioni verso la sala da thè, che brillava poco più in là.
A quell’ora si sentivano già voci allegre che parlavano tra di loro della giornata che stava languendo dietro i monti, anche se l’aria ancora era chiara e tiepida.
“Ma non ho voglia di andare a prendere il thè” si lagnò la piccola fata con un filo di voce.
“Stai zitta e seguimi senza fare troppe domande!” rispose l’affannato Lombricone, mentre arrancava su per il primo scalino “ E per piacere….lascia parlare me, hai capito?”
“Va bene” rispose docile Dollarina e abbassò mestamente gli occhi……..per rialzarli quasi subito perché in quel momento una voce dolcissima e gentile giunse sino a lei con una melodia, talmente bella, ma talmente bella, che faceva venire i brividi
“Chi è che canta?” chiese incuriosita
“Come,….non conosci Iris, la figlia di Samo e di Var?”
“No…sai non mi ero mai spinta fin qui e non so chi sia Iris”
“Iris è la bellissima figlia di un re, che tempo fa dovette lasciare il suo paese e nascondersi qui, sotto mentite spoglie, perché il suo regno era finito nelle mani di un usurpatore che voleva disfarsi di lui, della sua bella moglie e della sua bellissima figlia. Iris non sa di essere una principessa, e pensa soltanto di essere una ragazza qualunque che vive in un paese nel quale le persone sono molto diverse da lei……ma non conoscendone altre non se ne fa un problema ed è una fanciulla serena e felice, non lo senti dalla sua voce?”
“Oh sì! E mi piacerebbe conoscerla e parlare con lei” disse subito Dollarina, che essendo giovane, sentiva il desiderio di stare con giovani come lei.
“La conoscerai prestissimo, anche perché ritrovare la tua bacchetta di pende da lei per il cinquanta per cento……”
“E per l’altro cinquanta per cento, come si fa?” chiese allarmata la fata
“Non ne ho la minima idea, ma occupiamoci di una cosa alla volta. Intanto pensiamo alla principessa, poi penseremo al principe”
“Ma dobbiamo fare presto, lo capisci questo? Se verrà la notte spunteranno le stelle in cielo e tutti, dico tutti, fate comprese e per prima Fata Filigrana – e qui la giovane fata fece un sospirone da commuovere anche un elefante – si accorgeranno che la stella polare non è al suo posto….”
“Ho capito, ho capito” e l’amico Lombricone guardò fissamente la fata da dietro le spesse lenti che coprivano i suoi occhi miopi, domandando in cuor suo perché si era impicciato di cose che in fin dei conti non lo riguardavano. Ma gli amici Lombriconi, suoi parenti e antenati, da che mondo è mondo, erano sempre stati sensibili e generosi e si erano sempre ritrovati in un mare di guai e lui non poteva fare diversamente.
Alzò le spalle, (sinceramente non so come, perché non ho mai visto un lombrico alzare le spalle, ma giuro che lui lo fece) e con voce più gentile disse:
“Allora non perdiamo tempo in inutili discorsi e diamoci da fare” e con nuovo vigore si diresse verso Samo, che in quel momento era apparso sulla soglia.
“Buon pomeriggio Maestà – disse Lombricone facendo un inchino sperticato (non so come fece a farlo, ma vi garantisco che gli riuscì benissimo)
“Buon pomeriggio a te amico carissimo – rispose Samo guardandosi repentinamente intorno – ma mi raccomando – sussurrò pianissimo- non mi chiamare Maestà. Qui nessuno sa niente di noi, a parte te, che sei mio amico da sempre”
“Scusami Samo, è vero, ma mi viene istintivo rivolgermi a te dandoti l’appellativo che ti meriti, e spero che un giorno tu possa tornare a rivestire gli abiti che ti spettano di diritto”
“Lo spero anch’io! Chissà? Ma intanto dimmi….Cosa ha potuto smuoverti dal tuo canneto, se non qualcosa di estremamente importante?”
“Come mi conosci bene Samo – ridacchiò Lombricone – in effetti è una cosa di estrema importanza e di estrema urgenza. In due parole: il Mago di Ego, Avidus, ha rubato la Stella Polare”
“Cosa mi dici!” esclamò Samo “E io come posso aiutarti?”
“Tu direttamente non puoi fare niente, ma Iris sì” disse lentamente Lombricone, sapendo che quanto stava per dire e chiedere a Samo era molto difficile da fare e soprattutto da accettare.
Samo infatti impallidì visibilmente e dopo aver ascoltato tutto il discorso di come si erano svolte le cose il suo viso rimase turbato per almeno cinque minuti. Poi, solo come i veri Re sanno fare, si ricompose e un sorriso spianò la sua bocca e illuminò i suoi occhi
Tese la mano a Lombricone che la strinse fra le sue (non so dove le avesse tenute fino ad allora, ma Lombricone aveva proprio due mani…ed erano anche belle) e disse con voce un po’ commossa:
“Te l’affido mio caro amico. Veglia su di Lei” poi volgendosi indietro chiamò a gran voce:
“Iris?”















Cap. IV

Quando Iris arrivò, tutti si girarono a guardarla e rimasero ammutoliti per l’ammirazione. La fanciulla quel giorno indossava un diafano vestito color del cielo e tra i biondi capelli sciolti sulle spalle alcuni fiori color pervinca esaltavano la sua bellezza in modo incantevole. Aveva ancora negli occhi la gioia che il canto appena eseguito le aveva procurato ed era……bellissima!
“Mi hai chiamato babbo?” chiese con voce gentile
“Sì figlia mia….siediti e ascolta questi amici che devono parlare con te di una cosa della massima urgenza”
Iris fece come il padre le aveva chiesto e ben presto Lombricone la mise al corrente di tutta la storia, non senza scuotere il capo ogni volta che si riferiva alla fata Dollarina. Quando ebbe finito, le fece un profondo inchino, come solo il Lombriconi di alto lignaggio sanno fare e aggiunse con un lungo sospiro:
“Vedi bene principessa, che il tuo aiuto ci è indispensabile, perché solo grazie a te e a un’altra persona che ancora non conosciamo, potremo salvare non solo la bacchetta magica di fata Dollarina, ma l’intero genere umano. Si è mai visto il cielo senza la stella polare? Immagini che confusione ci sarebbe nelle rotte dei naviganti e nel cammino solitario dei viandanti che cercano il nord per orientarsi? Senza la stella Polare, tutto il mondo dovrebbe trovare un altro punto celeste verso cui indirizzarsi, ma passerebbero secoli prima che ciò possa accadere. …….Capisco che ti chiedo tanto, ma ti prego dacci una mano,”
“Caro signor Lombricone, certo che vi aiuterò, anche se ancora non so come. Cosa dovrò fare me lo dovrete dire voi. Penso che abbiate già studiato un piano…io mi atterrò esattamente a quello, sperando di esservi utile!” rispose Iris con un sorriso
“Un piano???!!!” rispose Lombricone sconcertato
“Ma sì, un piano! Non verrete a dirmi che non sapete che cosa dobbiamo fare!” La voce di Iris era sempre gentile, ma un tantino stupita
“Certo che sappiamo che fare. Dobbiamo andare sul monte, scendere nella gola profonda, prendere la bacchetta magica, tornare su il più presto possibile per rimettere la Stella polare al suo posto, prima che si noti la sua mancanza…….vero Dollarina?” chiese conferma Lombricone, cominciando ad accorgersi che il suo programma faceva acqua da tutte le parti
“E tutto questo in quanto tempo dovrebbe essere fatto?” chiese nuovamente Iris, stavolta veramente stupita
“Beh! Diciamo che ora sono le cinque e comincia appena ad imbrunire, quindi…..calcolando che fa buio alle otto, diciamo che abbiamo tre ore di tempo per andarci a riprendere la stella polare” concluse sottovoce, consapevole per la prima volta che il tempo lo aveva superato e aveva deciso per lui che quella sera non sarebbe stato più possibile fare niente
“Io direi di partire domattina appena albeggia. Se tutto va bene abbiamo una giornata intera per rimettere al suo posto la stella polare” Samo parò per la prima volta, ma le sue parole avevano tutte l’autorità che solo un re può imprimere e nessuno osò contraddirlo.
Solo la fata Dollarina, che temeva più di Samo la sua fata Filigrana si azzardò a dire:
“E come si fa stanotte senza Stella polare? Per di più è tutto sereno e non c’è una nuvola neanche cercandola con il caleidoscopio!”
“Già…la Stella polare” rispose pensieroso Lombricone “Non possiamo creare il panico tra la gente! E’ proprio quello che vuole Avidus e se ciò succedesse, diventerebbe padrone incontrastato di questa valle libera e felice, perché dovremo rivolgerci a lui per riavere la stella che ci indica da sempre la via….E lui non esiterebbe un attimo a ricattarci per aumentare il suo potere!
“Fata Dollarina – disse Iris dolcemente pensosa – i tuoi poteri magici sono tutti esauriti senza la tua bacchetta, o continui ancora ad averne un po’?”
La fatina chinò il capo, quasi vergognandosi di quello che stava per dire ma poi lo rialzò velocemente e disse;
“Posso ancora volare, posso rimpicciolire i cavalli e ingrandire i topini, posso far sognare i bambini, posso preparare delle torte squisite e far cantare gli uccellini,,,,posso..”
“Hai detto che puoi volare vero? E che puoi ingrandire le cose….per caso puoi anche tenerle sospese?” la voce di Iris era elettrizzata e tutti l’ascoltavano senza sapere dove volesse andare a parare
“Sì, Certo…….tenere sospese le cose è uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto. Lo sanno fare anche le fate apprendiste. E’ una cosa da niente” concluse sorridendo Dollarina
“No che non è una cosa da niente. E’ semplicemente la cosa che ci risolverà il problema della stella polare…almeno per stanotte”
“Ma come?” chiese Lombricone allungandosi in maniera sperticata, come del resto fanno tutti gli amici Lombriconi quando sono molto curiosi.
“Aspettate e vedrete. Torno subito” e Iris sparì in un attimo all’interno della casa
Dopo neanche un minuto era di ritorno tenendo in mano un pennello da pittore e una stellina rossa, che consegnò alla fata Dollarina
“Tieni – le disse allegramente – questa è la tua bacchetta magica e questa è la stella polare. Vai, corri su nel cielo, dipingi questa stellina con il colore delle stelle e poi ingrandiscila come sai fare tu. Quindi fai in modo che stia sospesa lassù insieme a tutte le altre”
Dollarina guardò l’esile pennello e la stellina rossa, chiedendosi come mai avrebbe fatto a farla diventare una stella polare, ma dopo un po’ un grande sorriso le spianò la bocca e disse con quanto fiato aveva in gola:
“Ci sono, ci sono!”
“Come farai? Insomma dite qualcosa anche a noi!” si stizzì Lombricone che non stava più nella pelle e si era allungato a tal punto che sembrava si dovesse dividere in due
“Avete ragione. Scusate. Bene, prenderò un po’ del mio velo che è del colore delle stelle e lo scioglierò con le gocce di rugiada che si formano nel cielo prima di cadere sulla terra…e con questo dipingerò una Stella Polare, come non se ne sono mai viste” concluse Dollarina che aveva ritrovato tutta la sua sicurezza di neo fata appena diplomata e che non vedeva l’ora di dimostrare a se stessa prima che a tutti, che non era poi così sprovveduta come forse gli altri avevano pensato.
“Quanto tempo pensi che ci vorrà?” domandò Iris accorgendosi che stava ormai diventando notte
“Oh! Fare questa cosa sarà una sciocchezza credetemi! Importante era pensarla” e sorrise a Iris
“Allora vai!” le disse Samo “Noi staremo qui finché vedremo la stella brillare nel cielo e poi andremo a riposare perché domani ci attende una lunga giornata. Ci vediamo qui domattina alle cinque in punto. Va bene?”
“Va bene” risposero in coro gli altri, mentre Dollarina con un guizzo improvviso spariva su nel cielo
“Speriamo bene” disse Lombricone scuotendo il grosso berretto scozzese “mi sembra così giovane e sprovveduta”.
Ma dovette rimangiarsi le parole e lo fece ben volentieri, perché dieci minuti dopo una bella stella, la copia esatta della Stella Polare brillava alta nel cielo.

Cap. V

Si ritrovarono la mattina seguente davanti alla sala da the, tutti molto insonnoliti, ma decisi a fare del loro meglio perché l’impresa riuscisse.
Samo con la solita calma autorevolezza che lo distingueva parlò per primo:
“Amici miei, state partendo per un’impresa molto difficile, ma io credo in voi e so che ce la metterete tutta per portarla a buon fine. Purtroppo non abbiamo avuto tempo per poter fare un piano che permetta di agire con una certa coerenza. Dobbiamo affidarci alla sensibilità di ciascuno di noi e pensar che agiamo non soltanto per il bene nostro, o per restituire la bacchetta magica a fata Dollarina, ma più che altro per il bene e la serenità di tutta Valledoro.
Questo mi ha convinto a darvi il tesoro più grande che possiedo, mia figlia, e la regina Var si unisce a me in questo sacrificio. Vi prego di proteggerla e di vegliare su di lei, che è la luce dei nostri occhi. Io da parte mia, comincerò a fare preparativi nel caso vi occorresse aiuto”. E qui Samo si interruppe perché l’emozione rischiava di spezzargli la voce
“Stai tranquillo Samo. Iris è in buone mani, parola di Lombricone. Non permetterò che le succeda niente di male. Stai tranquillo. Diglielo anche tu Dolly…”
“I poteri che mi sono rimasti saranno tutti a disposizione di Iris e serviranno per proteggerla…non preoccupatevi maestà….ce la metterò tutta e non mi dimenticherò mai di voi” rispose la fatina rizzandosi sulla punta dei suoi piedini per far vedere che tutto sommato, qualcosa contava anche lei.
“Bene…ora partite perché non c’è tempo da perdere…….La strada è lunga per arrivare nel regno di Ego ed è bene cercare di essere lì prima che Avidus si svegli”
Si misero dunque in cammino e attraversarono la fiorente vallata, mentre il sole lentamente saliva su nel cielo cancellando le tremule stelle. Per un giorno intero il segreto della Stella Polare sarebbe stato salvo, ma poi?
Intanto avevano lasciato il borgo e la campagna si allargava davanti a loro in morbide colline di pannolenci dai colori smaglianti, piene di alberi da frutto, che lasciavano pendere i loro rami carichi delle più deliziose confetture di marmellata, mentre più in basso si stendevano ettari di vigne, i cui grappoli a forma di bottiglia si riempivano via via che la stagione si inoltrava e giungeva il momento della vendemmia. Allora bastava staccare la bottiglia dalla vite e tapparla, perché il pregiato nettare era già pronto per essere consumato.
Nel cielo cominciavano a volare i primi uccellini con la carica a molla e qualche volta, si vedeva passare anche il cucù, che di tanto in tanto si appoggiava sul ramo di qualche albero per riposarsi un po’, non mancando mai di ricordare l’ora.
Già si vedevano nei campi appena illuminati dal sole nascente, i fornai che, girando tra le spighe di grano, staccavano dal loro fusto i panini che di lì a poco avrebbero venduto nella panetteria del borgo.
Insomma tutta Valledoro si risvegliava e cominciava a lavorare di buona lena.
Iris si guardava intorno felice! Amava molto la sua terra e sentiva di appartenerle anche se sapeva di essere molto diversa dagli abitanti di Valledoro.
Intanto, si erano lasciati dietro le spalle anche i fertili campi e ora cominciavano ad addentrarsi nel bosco che era ai piedi del monte , regno del potente Avidus.
Lombricone, si fermò e rivolgendosi a Dolly e a Iris chiese gentilmente:
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
“No caro Lombricone, non siamo stanche- rispose Dolly per entrambe – però vorremmo tanto sapere cosa faremo una volta che siamo arrivati nel regno di Ego.”
“Vorrei sapervi rispondere, ma non lo so….proprio non lo so. L’unica cosa di cui sono certo è che Avidus sarà sconfitto solo dall’amore……..ma non chiedetemi come perché io dell’amore non ne so proprio niente!!”
“Allora cosa facciamo?”chiese Dollarina che aveva bisogno più di fatti che di parole
“Toc toc toc!”
“Avete sentito anche voi?” chiese Iris
“Toc toc toc”
“Ma non sentite anche voi questo toc toc toc?” ripetè nuovamente Iris
“Certo che lo sentiamo - rispose sottovoce Lombricone – ma non sappiamo da dove venga”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
Alzarono gli occhi sulla grande querce che era proprio davanti a loro e Iris vide un bellissimo picchio che col becco batteva sulla ruvida scorza della pianta
“Ma….sei tu che hai parlato?” domandò allibita
“Certo, e chi sennò?” rispose il picchio continuando a battere il becco. “Buongiorno principessa Iris”
“Mi conosci?”
“Sicuro che ti conosco. Qui tutti ti conoscono e ti vogliono bene e tutti sono pronti ad aiutarti a ritrovare la stella polare”
“Ma che dobbiamo fare?” si intromise Dollarina che aveva voglia di recuperare quanto prima la sua bacchetta
“Toc toc toc….è inutile che vi fermiate all’imbocco dell’antro di mago Avidus. Da soli non riuscireste mai a recuperare la bacchetta magica.”
“E allora signor picchio cosa dobbiamo fare?” chiese gentilmente Iris
“Toc toc toc…. Io non sono il signor picchio, per te sono soltanto Berto! Toc.toc toc…che dicevo? Ah! Sì! Lombricone e Dollarina dovranno fermarsi lì, perché a loro non è concesso andare oltre, ma tu Iris, dovrai proseguire fino alla vetta della montagna”
“E poi?” chiesero tutti e tre all’unisono
“E poi dovrai aspettare gli eventi…..l’unica cosa che so con certezza è che Avidus è molto curioso e gli piacciono gli indovinelli. Purtroppo conosce la soluzione di quasi tutti gli indovinelli che gli sono stati proposti, per cui è difficile tenere la sua mente occupata per più di un minuto, ma se tu sapessi qualcosa che lui non sa, allora sarebbe tutto più semplice, perché la sua attenzione sarebbe tutta rivolta a risolvere l’enigma e per te sarebbe facile riprendere la stella polare,………comunque vai, non perdere tempo, tutto si compirà secondo quanto è stato scritto nell’alba dei tempi”
“Grazie amico Picchio” disse Lombricone avviandosi
“Non c’è di che” rispose il Picchio “ e state tranquilli! Noi animali della foresta vi seguiremo e se sarà necessario faremo la nostra parte, ma confidiamo che l’amore vinca ogni cosa”
“Arrivederci signor Picchio….cioè Berto!” Iris sorrise all’impettito uccello
“Toc toc toc…arrivederci principessina e non aver paura di smarrire la strada. Mentre cammini ogni tanto guarda il cielo e lassù vedrai Agora, la regina delle aquile che ti indicherà la strada. Con lei non potrai sbagliare”
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
“E’ perché te lo meriti mia cara…..e ora non indugiare ….vai..vai”
Dopo un’ora arrivarono all’imbocco dell’antro del regno di Ego, ed era cos’ buio, ma così buio, che non si riusciva di vedere a un passo di distanza.
“Noi ci fermeremo qui allora e cercheremo di fare buona guardia e tu mia cara Iris, dovrai proseguire da sola fino lassù- e con il dito della mano sinistra Lombricone indicò un punto in alto “Te la senti di arrivarci? Guarda, che se vuoi sei sempre in tempo a dire di no….”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
E la fanciulla con passo deciso e leggero si incamminò per il viottolo che portava in cima alla montagna.
Non sapeva perché dovesse andare proprio fino lassù, ma era certa che il Picchio le aveva detto cose giuste e sagge, e decise di seguire alla lettera ciò che le era stato detto. Con Agora vicina poi si sentiva sicura. L’aquila bianca come la neve, volteggiava nel cielo lasciando scie colorate di arcobaleno e le indicava la strada che doveva percorrere.
Ma nonostante la sua agilità e la sua sveltezza, la strada non finiva mai e Iris si lasciò dietro i boschi di querce e anche quelli degli altissimi faggi e quando arrivò in vista della vetta era stremata, e con orrore si accorse che il sole cominciava già a calare e le ombre diventavano più lunghe.
“Ancora pochi passi e potrò vedere cosa c’è di là del monte. Immagino che ci sarà un’altra vallata! Ma a che mi serve? Come mai sono dovuta venire sino qui se poi non c’è niente e nessuno che mi possa aiutare?” Mentre così pensava il sentiero ebbe una brusca svolta e…..rimase a bocca aperta.
Sotto di lei si stendeva un mare di luci, ancora non molto forti, ma stabili…che anzi aumentavano sempre di più, come se se ne accendesse una dietro l’altra. Non aveva mai visto luci così, e rimase affascinata a guardare quella distesa di puntolini luminosi, che sembravano tante stelle in terra.
“Cosa saranno?” si chiese a voce alta incuriosita e impaurita allo stesso tempo?”
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
“Lampadine? Cosa sono le lampadine?” chiese sconcertata
“Mah! Non ti so proprio rispondere! So solo che servono a fare luce”
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
“Sembra un cavallo con il suo cavaliere – bisbigliò alla lucertola- ma io non ho mai visto cavalli con zampe in quella maniera , né che nitrissero in quel modo!...........e non ho mai visto cavalieri che indossassero simili elmi………..o mamma mia….mi gira la testa, mi gira la testa” e la poverina svenne mentre la piccola lucertola preoccupatissima gridava “Aiuto la Principessa Iris sta male….presto correte ad aiutarmi” e con un rombo più forte di tutti gli altri la lucente motocicletta si fermava davanti a lei.


Brando scese agilmente dal sellino e senza perdere tempo si inginocchiò davanti a Iris, dandole piccoli colpi leggeri sulle guance per farla riprendere.
“Chissà perché si è impaurita tanto!” si chiese sorpreso “Non andavo neanche tanto veloce!”
“Ma che bella ragazza! Che capelli stupendi! Chissà chi sarà? Non l’ho mai vista da queste parti. Che strano abbigliamento ! Non ho mai visto nessuna delle nostre ragazze vestita in questo modo! Ma è proprio bella, anzi bellissima!”.
Andò a prendere la piccola borraccia che teneva sempre nella sua moto e le spruzzò qualche goccia d’acqua sul viso. Immediatamente gli occhi di Iris si aprirono e si rivelarono in tutto il loro splendore a Brando che con sollecitudine la guardava e cercava di tenerle sollevata la testa.
“Va meglio?” chiese con un sorriso
“Oh! Sì! Molto meglio grazie! Mi scusi tanto del disturbo che le sto arrecando, ma sinceramente mi sono proprio impaurita. Sa…non avevo mai visto un cavallo come il suo, né tantomeno un cavallo che avesse il fuoco negli occhi” si scusò Iris additando la motocicletta di Brando.
“Un cavallo?” rise il giovanotto sgranando gli occhi con stupore!” Possibile che lo svenimento avesse procurato alla ragazza un piccolo choc? Decise di prendere tempo e di assecondarla
“Più che un cavallo, questa è una mandria di cavalli. Per l’esattezza cinquecento! E comunque dammi del tu.” e sorrise nuovamente
Iris lo guardò stupita. Possibile che quel bel ragazzo non avesse tutti i venerdì a posto? Come faceva a vedere cinquecento cavalli, quando lei ne vedeva solo uno ….e di una razza sconosciuta, con bruttissime zampe tonde, una testa piccola e tonda che era ancora illuminata e due orecchie che avevano la forma di due tubi, neanche tanto dritti? Decise comunque di non dire niente, anche perché quel giovane era gentile e parlare con lui le piaceva e la incuriosiva.
“Senti” le disse Brando dopo aver pensato un attimo “che ne diresti di arrivare in quel prato verde pieno di fiori?? Fare due passi ti farà bene e da lì pare che si goda un’ottima vista perché siamo proprio in cima al monte e si vedono le valli sottostanti. Che ne dici?”
“Mi sembra una buona idea” rispose contenta Iris, che aveva ancora un po’ di tremarella alle gambe e pensava in tal modo di poter riacquistare il suo abituale equilibrio “andiamo” e si incamminò con passo veloce verso il praticello verde che cominciava proprio a due passi da lei, seguita da Brando, che ogni tanto le gettava un’occhiata colma di ammirazione. Quella ragazza le sembrava più bella ogni istante di più!
Arrivarono in cima al monte dopo cinque minuti e veramente da lì lo sguardo spaziava da tutte le parti e si perdeva lontano
“E’ bellissimo” disse Iris commossa
“Sì! Vedi tutte quelle luci laggiù?”
“Vuoi dire quelle lampadine?” domandò Subito Iris, contenta di far vedere che anche lei conosceva qualcosa
“Beh! Lampadine e altro ancora!” Brando era sempre più stupito dell’ingenuità di quella ragazza. Sembrava uscita da un altro tempo “E’ la mia città, Geapolis! Si chiama Geapolis! La conosci?”
“No rispose piano Iris “Non sono mai uscita da Valledoro e non immaginavo neppure che dietro il monte ci sarebbe stata una città di simili proporzioni e così diversa da dove vivo io!”
“Come hai detto che si chiama la tua città?”
“Valledoro…e non è una città, è più un borgo, un bel borgo tranquillo e sereno”
“E hai detto che è…….?”
“Proprio dalla parte opposta della tua città. Ecco se ti giri e guardi là in fondo, là c’è Valledoro e la mia casa”
“In effetti è una valle bellissima. Sembra quasi incontaminata, mentre invece di qua è tutto rumore e agitazione. Certe volte non ne posso più di tutto il baccano che sento e della vita frenetica che sono costretto a vivere………Ma tu che ci fai qui invece di essere nella tua bella valle?
“E’ una storia lunga. Sappi solo che devo andare nell’antro del mago Avidus a riprendere la bacchetta magica di fata Dollarina, perché nella punta di questa bacchetta c’è la stella polare”
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
“Va bene” acconsentì Iris e cominciò a narrare tutto per filo e per segno concludendo “Sicché come vedi se riuscissi a trovare un indovinello difficile e a proporlo ad Avidus, forse riuscirei nel mio intento e……..”
“Ma questa è una cosa semplicissima. Te lo do io l’indovinello. L’ho proprio letto stamani in internet….”
“Internet?....che cos’è? Non ho mai sentito questo nome” disse Iris
“Te lo spiego più tardi! Ora non c’è tempo, però mi ci vuole qualcosa per scrivere, perché non lo ricordo benissimo. Accidenti, non ho niente con me per scrivere! Brontolò Brando tastandosi il giubbotto che aveva addosso
“Non ti preoccupare. Ho io quanto ti serve” e dalla sua microscopica borsetta che portava a tracolla Iris tirò fuori un foglietto di carta leggerissimo, quasi diafano,una penna con un pennino a punta e una piccolissima boccetta di inchiostro.
Brando guardò stupito il tutto ma preferì non fare domande e si limitò a scrivere sul foglietto queste parole:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS


Cap. VI

“Sator, arepo tenet,opera?.........che vuol dire?” domandò Iris allibita
“E’ un’iscrizione antichissima scoperta in tanti reperti archeologici. In molti hanno cercato di interpretarla e di darle un senso logico, ma fin’ora nessuno con certezza sa che cosa vogliono dire queste parole……..però ora non perdiamo tempo e andiamo a cercare il posto dove è caduta la bacchetta magica di Dollarina.”
“Questo è semplicissimo, proprio come per te è stato semplice trovare l’indovinello. Dolly e Lombricone sono proprio davanti all’antro che porta al regno di Ego e stanno facendo la guardia sperando che Avidus non decida di uscire con la bacchetta magica per distruggere la mia valle.”
“Allora andiamo subito da loro. Guidami da loro”e presala per mano si incamminarono verso la terribile porta di Ego.
Intanto il sole cominciava a scendere e Iris guardò allarmata il cielo, che era ancora chiaro, ma non aveva più la lucente vividezza di poco prima.
“Bisogna fare in fretta. Se sorgono le stelle, stavolta sarà difficilissimo che Avidus non si accorga che la Stella Polare che è in cielo è falsa come l’oro d’oria che quando passò dal ponte vecchio scappò via” disse in fretta iris cominciando a correre
“Che dici?” chiese Brando stupito. Quella frase la conosceva anche lui. Gliela diceva sempre la sua bisnonna, ma non si ricordava più a che cosa si riferisse. Ma anche lui cominciò a correre. Fortunatamente la discesa aiutava molto i loro sforzi e dopo poco tempo arrivarono trafelati davanti all’antro.
“Fermi tutti. Non muovetevi e alzate le mani” si sentirono apostrofare all’improvviso e i due giovani si trovarono davanti un cespuglio che camminava velocemente verso di loro.
“Ah! Iris, sei tu…..che spavento mi hai fatto prendere” e Lombricone si materializzò davanti alla ragazza, liberandosi di tutte le fronde con cui si era mimetizzato.
“E Dollarina dov’è?”chiese Iris preoccupata
“Sono qui, sono qui!” rispose un altro cespuglio addossato a un albero.”Che sollievo rivederti Iris…..e questo giovane chi è?” disse guardando Brando
“Scusate! Questo è Brando e si è offerto di aiutarci a recuperare la bacchetta magica. Ha un indovinello da proporre ad Avidus e ora proverà ad entrare”.
Intanto che loro parlavano Brando si guardava intorno con aria perplessa. Il suo sguardo era stato catturato da un suono che proveniva dalla cima di un poggio.
Lombricone se ne accorse e subito gli andò vicino e con voce preoccupata gli disse:
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
“Non lo so” rispose Brando pensieroso “ma so che a casa mia questi tentacoli, come dici tu, si chiamano antenne e il sibilo, elettromagnetismo”.
“Lombricone guardò il giovane non riuscendo a capire neanche una parola di quello che gli diceva, ma Iris lo tranquillizzò
“Non ti preoccupare amico Lombricone. Brando sa quello che dice. La valle da dove proviene lui è molto diversa dalla nostra,. Un giorno ti spiegherò tutto, ma non ora! Ora non c’è tempo. Fidati di lui. Vuoi?”
Lombricone, allungò il collo fino all’inverosimile e guardò Brando da dietro le sue spesse lenti, mentre a poco a poco un sorriso gli spianava la bocca grinzosa.
“Mi fido!” disse semplicemente
“E allora che facciamo ora ?” chiese Dollarina che vedeva avanzare la sera e le si ripresentava davanti l’immagine di fata Filigrana.
“Voi per ora niente…. O meglio no! Riuscite in qualche modo a mettervi in contatto con Samo? Forse sarebbe meglio se mandasse qualche rinforzo, nel caso ce ne fosse bisogno”
“Ci penso io- e Lombricone si diresse immediatamente verso una querce che era poco distante- Squirrol !Squirrol! –intimò con voce autoritaria
“Sergente Squirrol a rapporto signore!” E un impettito scoiattolo si presentò sull’attenti davanti a lui.
“Squirrol, ho bisogno di affidarti un incarico della massima urgenza, della massima rapidità, della massima efficienza”
“Conti su di me Signore! Che devo fare Signore?”
“Metti in moto la tua staffetta e il più velocemente possibile consegna questo dispaccio a Samo. Gli devi dire di venire con tutto l’aiuto possibile all’ingresso del regno di Ego. Pensi di potercela fare nel giro di venti minuti?”
“Credo che un quarto d’ora sia più che sufficiente per far giungere l’ultimo della staffetta fino da Samo. Tu sai che tutti noi Squirrol siamo bene addestrati. Non per niente siamo considerati un corpo speciale conosciuto in tutto il mondo, anche se in pochi sanno che la nostra base è a Valledoro”
“Benissimo sergente. Parti subito. Noi aspettiamo il tuo ritorno”
“Da questo punto di vista siamo a posto- disse Lombricone soddisfatto della disponibilità degli Squirrol. Del resto non ne aveva mai dubitato. Se non fossero stati ciò che erano non avrebbero mai avuto l’onore di montare la guardia al Sacrario di Lincoln, né di diventare due personaggi celebri nelle avventure di un altrettanto celebre papero, né …………
“Lombricone, ehi! Torna tra noi” Brando lo scosse leggermente con la mano
“Eh!........a sì”
“Allora ascoltatemi bene. Voi ora restate qui e tenete gli occhi bene aperti. Io provo a entrare ….e vedrò che posso fare. Del resto ancora non ho ben capito che cosa troverò là dentro.”disse Brando più a sé che agli altri
“Io vengo con te” e Iris mosse un passo verso di lui
“No, tu resti qui! Potrebbe anche essere pericoloso” le rispose Brando
“No! Iris deve venire con te. Lo deve proprio, perché sennò l’antica profezia non si realizzerà. Lei deve venire con te” Lombricone era molto solenne mentre diceva queste parole.
“Di che profezia parla?” chiese sottovoce brando a Iris. Decisamente gli amici di quella ragazza erano tipi strani…….però simpatici ecco! Questo doveva proprio ammetterlo.
“Non c’è tempo ora per nessuna spiegazione” continuò Lombricone con aria autoritaria. – Dovete andare e quindi andate….però siate prudenti mi raccomando!”
“Sei pronta?” domandò Brando a Iris
“Prontissima” rispose lei
“Allora andiamo” e senza più dire niente si incamminò verso l’entrata scura della grotta, di fianco alla quale un minaccioso cartello giallo minacciava con due sole parole: LIMITE INVALICABILE.
Si trovarono davanti una porta chiusa, che non riuscirono ad aprire.
“Si comincia bene!” disse Brando
“Bisogna chiamare Dollarina” disse Iris
“Questa è una porta blindata che si apre solo con la parola chiave” ribattè Brando
“Io chiamo Dollarina, vedrai che lei una chiave la troverà!” e Iris tornò indietro per riapparire dopo due minuti con una Fata un po’ impaurita della porta, ma molto meno che di Fata Filigrana.
“Ce la fai ad aprire questa porta?” le chiese Brando dubbioso
“Beh! Posso provarci!” e tirato fuori da una tasca un libricino, cominciò a sfogliarlo cercando le parole magiche che avrebbero dovuto aprire la pesante porta
“Ala cabana sala gomò…si apra la porta almeno un po’…” Ma la porta non si aprì
“Provane un’altra” la supplicò Iris
“Ora ci provo….Aspettate….ecco! Meca mecone, taca tacone, si vuole aprire questo portone?”. Ma non c’era niente da fare. La porta non voleva saperne di aprirsi. Dollarina aveva quasi le lacrime agli occhi, ma caparbiamente continuò a sfogliare il suo libercolo
“Ecco…questa è una delle più potenti……Abra cadabra mumina zagabra gugù..apriti tu!” Ma non ci fu niente da fare.
“Possibile che in questo libro non ci sia niente di decente? Ma che ci insegnano ai corsi che facciamo? E pensare che ci fanno studiare ore e ore su queste parole!” Dollarina si era arrabbiata e gettato il libretto in terra ci saltò sopra con tutte le forze. “E poi ci dicono che siamo progrediti! Che questi sono i programmi nuovi.! Per quello che servono tanto valeva che ci fossimo fermati ad ..apriti sesamo”
In quel momento si udi un clac metallico e tutti e tre allibiti videro la porta aprirsi lentamente.
“Brava Dolly” rise Brando che fu il primo a riaversi dallo stupore “ci sei riuscita. Brava!”
“Bravissima” Iris l’abbracciò contenta e senza indugiare oltre entrò con Brando dentro la porta, lasciando una fata stupefatta e incredula che a un certo punto disse
“Già…ci sono riuscita” e si chinò a raccattare il suo libretto
Si appiattirono contro la parete buia di quella che sembrava un’enorme caverna. Tutto era silenzio lì dentro e loro potevano sentire benissimo il loro respiro e i battiti dei loro cuori-
Poi improvvisamente una luce rossa si materializzò davanti ai loro occhi, che non ancora abituati al buio, non si erano accorti che il buio non era propriamente tale, perché una nubilescenza verdastra permetteva di andare avanti anche se continuava ad avvolgere nel mistero tutto quello che li circondava. Tutto fuorché la luce rossa che proveniva da un unico gigantesco occhio, laggiù in fondo, davanti a loro.

























Cap VII

Fecero appena in tempo ad appiattirsi dietro a una colonna, che un rumore inconfondibile di passi giunse fino a loro. Trattennero il respiro, mentre i passi si avvicinavano sempre di più e poco dopo ombre lunghe si proiettarono davanti ai loro occhi. Poco dopo tre uomini, vestiti con camici verdi si fermarono davanti all’occhio rosso e cominciarono ad armeggiare con qualcosa che era più in basso
“Ecco fatto- disse uno di loro- anche per stasera Mister Chip è a posto. Domattina chi deve tornare per togliere l’allarme?”
“Domani tocca a me – rispose la voce di una donna- e guardando meglio Brando e Iris si accorsero che effettivamente uno dei tre era una ragazza poco più grande di loro
“Bene, allora possiamo andare. Domani ci aspetta una giornatina niente male, per cui cerchiamo di riposarci stasera”
“Ok capo!” risposero gli altri due e si incamminarono verso l’uscita
Quando il rumore dei loro passi si fu dissolto nell’oscurità Iris disse piano a Brando :
“Come mai non avevano paura di quel mostro e del suo terribile occhio? E poi chi è questo mister Chip?”
“Iris, bisogna che ti dica qualcosa, ma non c’è molto tempo per cui mi auguro che tu ti fidi di me! Dimmi! Hai fiducia in me? Guardami per piacere e dimmi se hai fiducia in me!”
Iris si voltò leggermente e guardò Brando negli occhi.
“Certo che ho fiducia in te. Se non l’avessi avuta non ti avrei detto tutto ciò che ti ho detto!”
“Allora ascoltami. Quello che sto per dirti forse ti sembrerà assurdo, perché bene o male ho capito che tu fin’ora hai vissuto in un posto diverso dal mio, ma ti garantisco che tutto ciò che sentirai è la verità”
“Vai avanti…ti ascolto” rispose Iris impaziente
“Quello che tu chiami un mago terribile, noi lo chiamiamo computer. Noi siamo appena penetrati in un laboratorio informatico, dove vengono elaborati progetti di sicurezza, che nessuno deve conoscere e infatti l’ingresso era vietato….ricordi?”
“Certo che mi ricordo,….ma questo marchingegno che tu chiami computer, perché vuole fare del male alla mia gente?”
“Questo è quello che crede la tua gente. Io non penso che voglia farvi nessun male, se non quello di portarvi un progresso, che molte volte distrugge la bellezza di tanti posti incontaminati…..ma questo è un altro discorso”
“E tu vivi in un mondo così?” chiese Iris incuriosita nonostante ci fossero ben altre cose a cui pensare.
“Sì, io vivo in un mondo dove tutto è meccanizzato, computerizzato, programmato. Nel mio mondo la gente si sposta con le automobili o con le moto, come quella che hai visto quando sono arrivato…
“Nel mio mondo andiamo a piedi o con i cavalli a dondolo …..
“Nel mio mondo abbiamo la luce elettrica…
“e noi le candele e la luce delle stelle delle fate…
“nel mio mondo guardiamo la televisione e ascoltiamo la musica stereo….
“ e noi guardiamo i tramonti e raccontiamo le favole e suoniamo i pifferi e le cetre…
“nel mio mondo…..ma ora basta! Ce lo diremo dopo che cosa facciamo nel nostro mondo, ora abbiamo cose più importanti da fare. La vuoi riprendere sì o no la bacchetta magica di Dollarina?”
“Certo….e allora che facciamo?”
“Vieni con me e non avere paura! Il terribile occhio rosso, come lo chiami tu non è altro che una spia luminosa che dice che il computer è acceso”
“Posso continuare a chiamarlo Avidus?” disse Iris”Chiamalo come vuoi” e presola per mano si incamminarono verso la grande consolle piena di tasti e di pulsanti.
Iris guardava affascinata tutte quelle cose che non aveva mai visto in vita sua, ma Brando conosceva bene le tastiere dei computer e anche quella, anche se molto sofisticata, non lo impressionò più di tanto.Premette un tasto e improvvisamente non uno ma dieci, venti, cento schermi si accesero in tutta la stanza, lasciandoli per un momento esterrefatti.
“Ora non bisogna perdere tempo. Hanno innescato il sistema di allarme e appena Avidus riuscirà a risolvere l’indovinello che ora gli proporrò, tutti i campanelli di questo antro suoneranno e noi saremo perduti.”
“Pensi che riuscirà a risolverlo?” chiese Iris
“Credo proprio di sì. Bisogna vedere quanto tempo ci mette. Quindi faremo così! Io ora scrivo le parole dell’indovinello e nel frattempo tu guardati intorno per vedere se riesci a trovare la bacchetta magica con la stella polare. Appena ce l’hai in mano avvertimi che scappiamo…..e speriamo bene. Sei pronta?”
“Prontissima”la voce di Iris tremava un po’, ma non si sapeva se era per la paura o per l’eccitazione di quell’avventura così strana
Brando si chinò sulla tastiera e cominciò a scrivere: sator, arepo, tenet, opera, rotas. “invio!” disse tra i denti e immediatamente sugli schermi apparvero schermate di parole, che si cancellavano e si riscrivevano con una velocità impressionante.
“Non ce la faremo mai. E’ velocissimo! Sta già dando tantissime probabili soluzioni. Cerca più in fretta Iris, cerca più in fretta!”
La ragazza correva intanto di qua e di là, guardando in ogni pertugio, in ogni più piccolo anfratto, sotto i tavoli e sotto le sedie, ma non riusciva a vedere niente.
“Non c’è, non c’è” gridava disperata mentre Brando, seguiva con occhi affascinati il lavoro di Avidus, che tra poco avrebbe risolto l’arcano che nessuno fino a quel momento era riuscito a districare. Eppure erano passati millenni da quando quelle parole avevano fatto impazzire migliaia di generazioni di uomini!
All’improvviso in un angolo Iris vide qualcosa che brillava fiocamente. Si avvicinò col cuore in tumulto ed era là la piccola bacchetta magica, con la sua stellina in cima, quella stellina tanto importante, e della quale ancora nessuno aveva notato l’assenza.
“L’ho trovata, l’ho trovata” disse Iris raccattando la bacchetta e stringendola in mano
“E ‘ tardi Iris è tardi….Non ce la faremo a fuggire. Guarda manca solo una parola e l’indovinello sarà risolto!” disse Brando afferrando Iris per una mano e cercando di spingerla verso l’uscita mentre lui avrebbe cercato di ostacolare come poteva la soluzione del rebus. Ma Iris si fermò interdetta. Qualcosa, una forza più grande di lei, la spingeva a restare in quel posto, mentre davanti ai suoi occhi appariva un viso dolcissimo avvolto in un velo trasparente di stelle e una voce dolce e gentile le diceva”Fermati Iris e fai quello che ti dirò. Io sono fata Filigrana. Hai mai sentito parlare di me? Sì? Lo vedo dai tuoi occhi. Allora ascoltami. Punta la bacchetta verso l’occhio di Avidus e recita a voce alta queste parole: “Velo di fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi” presto cara, non perdere tempo e fai esattamente quello che ti ho detto.
“Scappa Iris, scappa!” Brando la sollecitava ad andarsene, ma inutilmente. I piedi della fanciulla erano incollati al pavimento.
Quasi come una sonnambula si voltò verso il grande occhio e, puntando la bacchetta magica proprio al centro di quella luce, a voce alta recitò quello che fata Filigrana le aveva suggerito
“Velo di fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi”
Immediatamente accadde qualcosa che Brando e Iris guardarono affascinati e increduli. Una ridda di parole senza senso apparve in tutti gli schermi, rimbalzando da uno all’altro in un carosello infinito, e con una velocità che aumentava ad ogni secondo.
“Ecco miei cari, questo è il momento di andarsene. Non tentiamo troppo la fortuna. Avidus ha delle risorse inaspettate anche per una fata potente come me. E’ meglio non indugiare”.
“Andiamo, andiamo” disse Iris a Brando, che continuava a guardare affascinato tutto ciò che stava accadendo. Una parte di lui era estremamente interessata a quello che si stava svolgendo in quella lotta tra tecnologia e magia, ma il buon senso di Iris ebbe la meglio e i due giovani riuscirono in breve tempo a riguadagnare l’uscita.











Cap. VIII

Giunsero all’aria aperta nell’arco di due minuti e con stupore si accorsero di essere rimasti dentro l’antro solo per pochi attimi, anche se a loro erano sembrati lunghissimi.
Il sole era ancora in cielo, anche se ormai cominciava a cambiare colore e guardando verso Valledoro si potevano vedere i primi picchi che si levavano in volo per andare a riporlo dietro la montagna. Era una cosa bellissima vedere il tramonto del sole a Valledoro. I picchi si mettevano tutti intorno al disco dorato e al comando del loro generale il picchio Picone,( pluridecorato per il compito importantissimo che aveva assolto per tanti anni, talmente decorato che ormai non poteva più volare da quanto pesavano le medaglie appuntate alle sue piume), afferravano un lembo dell’infuocato disco e all’unisono con volo circolare, facendo ampie evoluzioni lo andavano a riporre nella vaschetta dietro il monte Poitorno, dove sarebbe rimasto fino al mattino successivo quando la staffetta delle civette diurne, al grido di tuttomio-tuttomio, l’avrebbero riportato sul suo trono nel cielo, dove gli elfi l’avrebbero preso e, caricato sul carro d’oro l’avrebbero portato in giro per tutto il giorno. Era così da tempo immemorabile e nessuno aveva ricordo di ritardi o di incidenti di percorso. Ma non fu quello che fece rimanere a bocca aperta i due giovani, appena giunti fuori, anche perché da quella parte il sole tramontava come tramonta sempre il sole e solo Iris sapeva che invece c’era tutto un lavoro di alta responsabilità e di grande affiatamento. No! Non fu quello!
Ma lo spettacolo che si presentò ai loro occhi! Un esercito era schierato davanti al temibile antro del regno di Ego, e altri soldati stavano arrivando da tutte le parti:
A Iris si inumidirono gli occhi dall’emozione, mentre Brando non riusciva a riaversi dalla sorpresa che tale visione gli aveva procurato. Era talmente sorpreso, che non riusciva neanche a ridere, anche se dentro di sé, cominciava a sentire un pizzicorino che partiva dalla punta dei piedi e che irrefrenabilmente si allungava su per le gambe, fino ad arrivargli allo stomaco. Tra un po’ sarebbe giunto alla bocca e allora……..
Poi guardò Iris e immediatamente seppe che mettersi a ridere sarebbe stato l’errore più grande della sua vita. Quello che vedeva, non era uno scherzo, ma una cosa estremamente seria che aveva una dignità, che solo ora vedeva in tutta la sua grandezza. In piedi, proprio di fronte a lui, un uomo e una donna, come lui, gli fecero inequivocabilmente capire che si trattava di Samo e di Var, che erano i genitori di Iris e l’esercito che si snodava dietro di loro ad un tratto diventò qualcosa di così dignitoso, che cominciò a guardare tutti con rispetto.
C’erano tartarughe, supercorazzate, sopra le quali, piccoli cannoni muniti di turaccioli pieni di polvere pizzicorina, puntavano contro l’ingresso dell’antro dal quale cominciavano a uscire suoni strani. Evidentemente le immagini che rimbalzavano l’una sull’altra, avevano messo in moto altri meccanismi, per cui si sentivano chiaramente dei bip-bip senza alcun senso, che cominciavano a diffondersi nell’aria circostante con una frequenza sempre maggiore. Dietro lo squadrone delle tartarughe, un altro imponente esercito di castori aveva le forti code già armate di palle di fango impastato con l’ortica, da catapultare contro i nemici, che di lì a poco sarebbero senz’altro apparsi a difendere il loro regno, e interi stormi degli uccelli più diversi, volavano ad ali spiegate, primi tra tutti i pellicani, che con volo planato, avrebbero scaricato dai loro capienti becchi milioni di pulci, di cimici, di pidocchi, di formiche,ciascuno dei quali era stato dotato di una bomboletta del temibile liquido pruriginoso, (il terribile grattachecca b2) contro il quale neanche le più sofisticate corazze avrebbero potuto resistere! Poco distanti un esercito infinito di zanzare ballerine e di api industriose, dal volo leggero e silenzioso stavano affilando i loro pungiglioni. Anche i pipistrelli, il temibile squadrone dei Pip, celebri per i loro voli notturni nonché per le loro divise nere, avevano accettato di fare un raid diurno, per essere più che altro elemento di disturbo e di scompiglio. E che dire delle ranocchie saltatrici, pronte a fare le loro acrobazie all’interno delle camicie dei nemici? Un po’ in disparte uno squadrone di topolini a molla, si era attaccato con i loro fili già tesi e fissati alla base di un albero, Ciascuno di loro aveva in dotazione una formica con le pinze, che avrebbe al momento opportuno tagliato il filo e fatto partire il proprio topolino, che coraggiosamente avrebbe avanzato finché la sua molla lo avrebbe permesso, dando così modo a chi veniva dopo di loro di avere più tempo per preparare una tattica. Piccoli eroi di Valledoro!
Intanto un esercito infinito di ragni di tutti i tipi e di tutte le dimensioni si dava da fare a tessere tele, con le quali avrebbero imprigionato il nemico. Nessuno doveva essere ucciso a Valledoro e i nemici sarebbero stati debellati dal gran ridere che avrebbero provocato tutte le armi dell’esercito dei Val.
Intanto il bip-bip cresceva sempre di più di intensità e un rumore concitato di passi si faceva sentire sempre più vicino. Tra pochi secondi l’esercito di Ego, sarebbe stato lì e dunque non c’era tempo da perdere. Fata Dollarina infatti, che fino a quel momento era rimasta vicino all’amico Lombricone, con un leggero volo arrivò da Iris, che senza parole, le consegnò la bacchetta magica, mentre Samo la incitava: “Presto Dolly, riporta la stella polare al suo posto, prima che gli uomini dei Val se ne accorgano!”.
Anche Lombricone andò verso i due giovani che lo guardarono entrambi con un misto di rispetto e di deferenza. Lombricone infatti aveva ritrovato tutta la sua dignità, che gli proveniva da intere generazioni di Lombriconi Generali, Guardiamarina, Commodori, Ammiragli. Qualcuno aveva detto una volta che uno dei suoi bis,bis,bis,bisavoli, aveva eroicamente combattuto con l’Ammiraglio Nelson, uscendo dalla battaglia con una gamba in meno (anche se questa forse era una leggenda, perché da quando mai gli amici Lombriconi avevano le gambe?) e una medaglia in più.
Quella medaglia comunque ora era appuntata al petto di Lombricone, che per l’occasione aveva ritirato fuori il suo cappello da guardiamarina, anche se non aveva mai confessato a nessuno che non sapeva nuotare.
“Ora che succederà?” gli domandò Iris con apprensione
“Guardiamo e lo sapremo subito! Stanno arrivando!” rispose trai denti, che si rivelarono una sorpresa, perché fino a quel momento non si era accorto di averli.
Di lì a poco, una decina di uomini, in tute mimetiche, con l’elmetto in testa, fecero la loro apparizione all’ingresso dell’antro. Tenevano tra le mani temibili fucili e qualcuno aveva persino dei mitragliatori. In un attimo li caricarono e puntandoli contro il piccolo esercito dissero con voce minacciosa: “Alto là o facciamo fuoco!”
Intanto il bip-bip era dapprima diventato un biiip-biiip fino a trasformarsi in biiiiip-biiiip, per poi diventare biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip-biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip, fino a non far capire più niente a nessuno.
Tutti dovettero mettersi le mani o le zampe alle orecchi per resistere a quel rumore infernale, tutti tranne i soldati che dovendo imbracciare i fucili, non potevano tapparsi le orecchie, perché avevano due mani sole e con i piedi non riuscivano né a tenere i fucili, né a tapparsi le orecchie, per cui rimasero stoicamente in quella posizione, e mentre il cervello gli andava in pappa riuscirono ancora a pensare; “Ma guarda che bisogna fare per guadagnarsi un po’ di pane!”.
Poi successe una cosa stranissima. I fucili, che nel frattempo erano rimasti impassibili tra le mani dei loro soldati, si resero improvvisamente conto che a loro nessuno avrebbe tappato le orecchie, per cui pensarono bene di farlo da soli e siccome le orecchie dei fucili, per chi non lo sapesse, sono vicine all’otturatore,( perché se non si sentissero quando sparano, come farebbero poi a mandare il rinculo a chi ha premuto il grilletto, per avvertirlo che ha sparato?) e si possono tappare solo se l’otturatore è su, pensarono bene di alzarlo per trovare un po’ di pace.
Vedendo questo, le tartarughe, i castori, i pellicani e tutti gli altri, ebbero un sospiro di sollievo, perché avrebbero potuto continuare a tenersi le orecchie tappate, e così tutti aspettarono gli eventi, cioè che quel rumore infernale avesse termine. Per fare la guerra ci sarebbe stato tempo dopo.
Ma quel rumore non passò, anzi, se possibile divenne ancora più intenso, mentre ormai le ombre della sera cominciavano a distendersi su tutte le valli, Valledoro compresa, E’ a quel punto che Brando, togliendo per un attimo una mano dal suo orecchio, ma solo per un attimo, puntò l’indice verso i cielo dicendo: “Ecco! Guardate! La Stella Polare è tornata al suo posto” E infatti la stellina era lì, circondata da tutte le fate, che l’avvolgevano con i loro veli, facendola a tratti sparire e poi riapparire, prima tra tutte Fata Filigrana, che con i suoi lunghissimi capelli neri, portava le ombre sulla terra.
Tutti guardarono il cielo e per un attimo non ci furono più nemici, persi come erano nell’immensità della volta che si tingeva del blu della notte, nella quale cominciavano ad apparire tante stelle lucenti.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Fu allora che accadde un altro evento prodigioso. All’ingresso dell’antro si materializzò un omino con un camice bianco, di due taglie più grandi di lui. Aveva spessi occhiali, e una testa di capelli arruffati.
“Ma….Ma…..” cominciò interdetta Iris guardandolo
“Ma…Brando. Guardalo ti prego. Non ti sembra che somigli tutto a Lombricone?”
“E’ vero” rispose Brando guardando prima l’omino e poi Lombricone. Anche Samo e Var guardavano stupiti l’omino e Lombricone, finché quest’ultimo spezzò il silenzio dicendo
“Perbacco che ci trovate di tanto strano se anche un verme come me può avere un uomo che gli somiglia? Io non ne sono offeso”
Intanto l’omino aveva fatto qualche passo. In mano teneva alcuni fogli e mentre avanzava con lo sguardo rivolto al cielo diceva:
“Hanno risposto! Hanno risposto!”











Cap. IX

Stranamente non fu Brando e neppure Samo a ritrovare per primo la parola e nemmeno Lombricone, nonostante la sua distinta figura che incuteva rispetto, perché tutti si fermarono interdetti guardando Var, che alzando il viso in tutta la sua fierezza si rivolse all’uomo, che appariva ancora stralunato, dicendogli con la sua dolcissima voce che aveva una leggera calata , dalla quale tutti riconobbero immediatamente, la provenienza della gentildonna;
“Vussiete uno scienziato signore? Ditecelo, dè, sennò ci viene l’affanno se dobbiamo indovinare. Suvvia dèè!”
A tale gentile invito, l’uomo riacquistò immediatamente la sua dignità e prontamente rispose:
“Sissignora! Sono il professor Von Rintronaten Zaccheus……premio nobel per i tanti, no, per i troppi, uffa, volevo dire per i quanti, scoperti davvero in quantità incredibile e……”
“Ebbene professore Von Rintronaten…….intervenne Samo
“Vi prego chiamatemi semplicemente Zac!”sorrise timidamente il professore
“Mi sembra un’ottima idea- sospirò sollevato Samo – Ebbene Zac, cosa volevi dire quando hai urlato ‘Hanno risposto?’
Lo sguardo dello strano uomo si perse nuovamente dietro le spesse lenti in un mondo tutto suo e disse a voce più contenuta:
“Hanno risposto! Sì hanno risposto! Ed è per questo che sono uscito immediatamente per sapere chi è il genio che ha impostato il computer sulla frequenza che da ormai cinque lustri cercavo, senza mai riuscirci!”
“Sono io” rispose Brando”Ma mi creda professore, è stato un caso fortuito. Ma cosa è successo di tanto importante?” domandò incuriosito Brando mentre anche Iris si faceva più attenta, le tartarughe allungavano il collo, i pellicani cominciavano ad atterrare, e tutto il resto dell’esercito di Valledoro si avvicinava per udire, ciò che l’incredibile personaggio uscito dall’antro di Ego si apprestava a dire.
“Ecco! Scusate se sono un po’ confusionario, ma l’emozione, capirete è tanta! Non capita tutti i giorni di ricevere una risposta a messaggi che mandiamo ormai da oltre vent’anni nello spazio, senza avere mai risposta. Oggi è arrivata….chiarissima, grazie alla frequenza che questo giovanotto è riuscito a impostare sul computer. Abbiamo trovato la chiave di volta…..e ora possiamo parlare con loro!” disse il professore passandosi una mano tra i folti capelli, che si arruffarono ancora di più se possibile.
“Ma con loro ….chi?” azzardò Lombricone che pensava di aver capito e temeva la conferma del professore.
“Con gli abitanti di Nefele,…….quella stella lassù…..”
“Con gli alieni? Incalzò Lombricone
“Non sappiamo ancora quale sia il loro aspetto, ma il messaggio che ci hanno mandato è inequivocabilmente un messaggio di pace e di amicizia”
“Meno male” bisbiglio Lombricone a Samo e si rilassò in tutta la sua lunghezza, perché se c’è una cosa che gli amici lombriconi hanno, questa è il coraggio, ma se c’è una cosa che hanno ancora di più è la fifa e per non farla vedere in genere si sdraiano per terra, prendendo la posizione pensosa e riflessiva, di chi medita su grandi tematiche, cosa che Lombricone fece immediatamente, attirando su di sé lo sguardo del Professore che identificò subito in lui il Capo di tutta quell’incredibile esercito che aveva visto davanti a sé.
Quindi dirigendosi verso di lui, gli tese la mano e afferrando quella di Lombricone, la strinse calorosamente dicendogli in maniera solenne:
“La patria le sarà riconoscente di tutto quello che lei con i suoi uomini, ha fatto per l’umanità. Solo un comandante come lei poteva portare a buon fine una ricerca così importante come questa e le garantisco che avrà il premio che si merita.”L’amico Lombricone ritrovò immediatamente tutta la sua dignità, contento in cuor suo che nessuno si fosse accorto di quel piccolissimo attimo di panico, e il professor Rintronaten ignaro di quanto il suo nobile cognome si adattasse alla perfezione alla sua figura, si diresse davanti a Samo e a Var continuando:
“Naturalmente anche voi siete invitati al Palazzo dei Congressi, dove riferirò immediatamente l’accaduto. “E s’intende che anche tu giovanotto verrai con la tua splendida fidanzata a ricevere la ricompensa che meriti” aggiunse mentre Iris diventava rossa come una ciliegia a sentire quell’affermazione e Brando non sapeva più dove guardare, ma a forza di non saper più dove guardare si trovò proprio a guardare negli occhi di Iris e lì ci si perse per sempre.
Samo scosse il capo e disse tranquillamente “Caro professore, siamo contenti se siamo potuti essere utili alla sua scoperta e il fatto che nelle stelle ci siano altre presenze ci riempie di gioia, anche se a Valledoro lo abbiamo sempre saputo, perché le buone fate che ci onorano della loro amicizia ce l’hanno sempre detto. Ma era giusto che anche le altre genti che popolano la terra fuori da Valledoro sapessero che ci possono essere altre intelligenze che vogliono vivere in pace e portare messaggi di amicizia………Ma io non verrò con te, perché il mio posto è a Valledoro, con la mia gente e la semplicità della mia vita….e credo che per Var sia la stessa cosa”
“Gliè così dèè” annui sorridendo Var, già pensando alla sua sala da the e a tutto quello che avrebbe dovuto fare per preparare una bella festa per tutti gli abitanti di Valledoro, per festeggiare il ritrovamento della Stella Polare. Altro che stella di Nefele! A lei interessava solo la sua vita, i suoi affetti, il torrente che scorreva dolcemente, tanto da leccarsi le dita, le sue tazze da the, dai languidi occhi neri e le boccucce rosse e i pasticcini alla crema serafina, fatta con le uova degli angioletti, che le fate le portavano tutti i giorni freschi freschi, dai più reconditi nidi nel cielo.
“E voi?” Von Rintronaten si rivolse a Brando e Iris
“Io non lascerò mai Valledoro. Anche se so di essere diversa dai suoi abitanti, sento che loro sono la mia gente e in qualsiasi posto del mondo potessi andare, so che non troverei mai la dolcezza della mia valle.”rispose piano Iris, guardando sotto sotto Brando.
Brando era serio. Guardava Valledoro che si stagliava in lontananza e poi la sua terra, nell’altra valle, bella anche lei, anche se così diversa!
“Brando?” chiese il professore
“No Zac! Neanche io verrò.”Poi prendendo per mano Iris le disse “Mi prometti che di tanto in tanto verremo anche nella mia valle e che ai nostri figli insegneremo le cose buone di entrambe?
“Te lo prometto!” rispose in un sussurro Iris e così si scambiarono la loro promessa di amore.
“Ma tu devi andare Lombricone! Devi andare e poi devi tornare a raccontarci tutto quello ve vedrai e che farai!” disse Samo all’amico “Del resto chi più di te merita una ricompensa? Se non ci fosse stato il tuo interessamento, la tua amicizia, la tua costanza, forse oggi Valledoro non sarebbe più così. Vai amico mio e grazie per tutto quello che hai fatto per noi” E Samo abbracciò l’amico Lombricone con una tenerezza che solo i lombriconi possono capire e ricambiare. Poi si girò e rivolto al suo esercito, a Var, a Iris e Brando disse semplicemente:
“Torniamo a Valledoro”


E così finisce questa novella, che come tutte le novelle, non ha mai una vera fine, perché continua a vivere nell’immaginario di ciascuno di noi. Sappiamo però che Iris e Brando si sono sposati e Samo ha preparato una festa per loro alla quale hanno partecipato tutti gli abitanti di Valledoro e tutte le fate. Per l’occasione a Dollarina, Fata Filigrana ha regalato un nuovo velo, lungo dieci metri in più di quello precedente e la fatina non finisce mai di guardarlo e di farlo volare nel vento. Anche il temibile Avidus, mago di Ego ha lasciato per l’occasione il suo antro e alla fine si è scoperto che non era nient’altro che il professore Von Rintronaten, che davvero non fa paura a nessuno. E’ arrivata anche una missiva entusiasta da Lombricone, ops, scusate da Sir Lombricone, Baronetto dei Canneti, al quale sono state conferite onorificenze in tutto il mondo, ma lui più che altro parla della prima…”e mi hanno portato in una grande casa, tutta bianca, dove un uomo nero, mi si è avvicinato e semplicemente mi ha sorriso e stretto la mano dicendomi: “La prego di farsi portavoce verso tutti i Lombriconi del mondo per ringraziarli del contributo che portano alla causa mondiale della pace…….”. Che dire ancora? Forse è meglio ascoltare le parole che Brando e Iris si sono scambiate e che le fate portano ancora sui loro veli per affidarle al vento, che le trasporti in tutto il cielo “Io Brando, prendo te………..” “Io Iris prendo te…………..” Per tutta la vita, per tutta la vita, per tutta la vita per tuttaaaaaaaaaaaalaaaaaaaaaviiiiiiiitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Per piacere non lo dite al Professor Von Rintronaten, perché questo non è un messaggio che viene da lontano. Questo è solo un messaggio d’amore!



























Siccome usa così, anch’io proverò a ringraziare qualcuno.
Ma chi ringraziare? No! Non è difficile, me ne accorgo immediatamente, perché sono qui intorno a me, tutte le persone alle quali voglio bene.
Se penso a questa novella la prima persona che devo ringraziare è senz’altro il mio babbo, perché i maghi Spiridone e Spacamalosse sono personaggi delle favole inventate da lui per me, quando ero piccina. Anche Lombricone è un personaggio inventato da una giovane mamma che passava le serate a narrare ai suoi bambini le imprese di questo strano personaggio che vive in Canneto. Dunque il mio grazie va anche a lei.
Ma più di tutti devo ringraziare i miei figli, la mia mamma e i miei amici, perché mi accettano per quello che sono, senza cercare di cambiarmi e senza farmi notare troppo che il mondo delle favole per me ormai dovrebbe essere finito.
E di più, molto di più, il mio grazie va ai miei nipotini che mi hanno ispirato questa novella, perché è grazie a loro che ho ritrovato in me la fantasia e le ho dato le ali.











Il primo mattino del mondo



Il primo mattino del mondo l’Aurora si svegliò nel suo gelido letto del nulla. Aprì gli occhi e vide che sopra di lei tutto era buio, intorno a lei tutto era buio.
Si sentì sola e triste, immersa in un torpore senza fine.
Rainbow Aurora Background wallpaperA un tratto però qualcosa le scaldò il cuore, anche se ancora lei non sapeva che cosa fosse e le sue membra piano piano si sciolsero. Allungò un braccio verso tutto quel buio che la sovrastava e così facendo disegnò un drappo di un tenue colore rosa. Allora, stupita, allargò le dita affusolate e ad ogni suo movimento un nuovo arabesco delicato e mai visto si aggiungeva agli altri. Fece la stessa cosa con l’altro braccio e la magia si ripeté. Incuriosita da tutto quel colore, si appoggiò sui gomiti e sollevò una gamba in tutta la sua estensione e col piedino proiettato in avanti tracciò tanti piccoli cerchi, e ad ogni movimento, pennellate di colore delicatissimo si posarono l’una sull’altra.
Intanto il suo cuore si scaldava sempre di più e un sentimento di gioia profonda si diffondeva in lei a grande ondate. Si mise finalmente seduta e, gettando indietro il viso, scosse i suoi capelli dorati, che lasciarono strisce auree all’orizzonte.
Fu allora che lo vide e subito lo riconobbe e lo amò. La luce che lui emanava l’avvolse in un lungo, interminabile abbraccio.
“Finalmente sei arrivato – gli disse – Era dall’inizio del tempo che ti aspettavo. Tu mi hai svegliata alla vita e io non sono niente senza di te. Ti prego….non lasciarmi più sola!”.
“Come potrei lasciarti sola, ora che ti ho trovato?” le disse il Sole “Tu diventerai parte di me e insieme formeremo una cosa sola. Insieme vivremo finché nascerà il giorno sulla Terra Io porterò la vita agli uomini, ma tu mi precederai sempre di qualche istante per annunciare con la tua dolcezza il mio arrivo, in modo che tutti possano prepararsi all’inizio di un nuovo giorno……Il Sole non potrà mai sorgere senza l' Aurora e non ci sarà mai Aurora  senza il Sole”.
Lei non parlava, ma mentre lo ascoltava, appoggiata al suo petto, divenne ancora più rosea e inconsapevolmente si strinse ancora di più a lui finché ci fu solo una luce che brillava.
“E la notte?” Bisbigliò ancora lei con una nota di paura nella voce “La notte dovrò ancora tornare nel mio gelido letto e sperare che tutto si ripeta il mattino successivo?”.
“Stai tranquilla amore mio” l’accarezzò il Sole “Noi saremo sempre insieme. Io ti sveglierò al mattino con il mio bacio e tu tenendomi per mano mi introdurrai nel mondo e poi starai con me come in questo momento fino a che la notte stenderà il suo manto su tutte le cose. E anche allora non sarai sola perché verrai con me tra le braccia del Grande Ignoto e lì riposeremo in attesa di un nuovo giorno, per tutta l’Eternità.”














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Piccolo fiore





Io non so se voi credete ancora alle favole, ma io ci credo.
Ci credo perché ho bisogno di crederci, ho bisogno di pensare che nella nostra vita ci possa essere qualcosa al di là della logica e della razionalità. Ho bisogno del sogno e della sua poesia, ho bisogno di questa dimensione per ritrovare la parte più vera di me.

Per questo la mia favola è dedicata a tutti sognatori e a quelli che ancora possono diventarlo, ma in modo particolare è dedicata a Senny, principessa di questa favola







C’era una volta…..o forse c’è stato solo nella mia fantasia, ma insomma c’era, un cavaliere che correva nel deserto alla ricerca di un palazzo trasparente a forma di cubo, perché gli avevano detto che vicino a quel cubo che era brillantissimo, tutto di cristallo purissimo, ci sarebbe stata un fanciulla che lo aspettava, la donna a lui predestinata.
Il cavaliere era un bel giovane, sembrava quasi un principe azzurro, anche se di azzurro non aveva proprio niente. Infatti era tutto vestito di nero e neri erano anche i suoi occhi e i suoi capelli.
Non conoscevo il suo nome, perché ogni volta che provavo a domandarlo, il giovane spariva nel niente e la favola non poteva continuare. Ma correva, correva giorno e notte, su e giù per quel deserto, alla ricerca di una fanciulla che non riusciva a trovare. Solo molto tempo dopo mi sono accorta che stava correndo dentro un quadro che avevo dipinto io tanti anni prima, e che lui riusciva ad ampliare i suoi orizzonti solo nella misura in cui io potevo allargare con la fantasia quel dipinto di 30x40 centimetri che tra l’altro aveva anche una grande cornice , oltre la quale anche per me era difficile andare.
Naturalmente come ogni cavaliere che si rispetti, anche lui aveva il suo cavallo, che era proprio un bel cavallo, non giallo come quello di D’Artagnan, o con un nome impossibile, Ronzinante, come quello di Don Chisciotte.
Il cavallo di questo cavaliere oltre a essere decisamente bello aveva anche un nome di tutto rispetto: Jo, diminuitivo di Joloso, che poi non era nient’altro che una contraffazione di goloso. E goloso lo era davvero, tant’è che nel periodo in cui aveva vissuto nel far west, non disdegnava assolutamente noccioline e un buon sorso di wisky. Non si sa per quali vicissitudini Jo a un certo punto della sua vita si era ritrovato a servire un cavaliere tutto vestito di nero. A lui la cosa non interessava minimamente e non si faceva le strane domande degli uomini, che vogliono sapere sempre il perché di ogni cosa, non riuscendo mai a trovarlo. A lui questi passaggi temporali facevano lo stesso effetto di una folata di vento e ora si trovava benissimo in questo deserto così strano, in compagnia di un bel giovane, che cercava l’amore. L’ultima volta che Jo aveva cercato qualcosa si era trattato di oro….di pepite d’oro, di molte pepite d’oro. Ora erano in cerca di amore e per Jo …andava bene anche quello, purché alla fine gli portasse cose buone da gustare.

Provavo tenerezza per quel giovane uomo che si affannava alla ricerca del suo amore, e per quel suo cavallo fiducioso in tutto ciò che la vita gli riservava e avrei voluto aiutarli, invece che starmene passiva, mentre questi girovagavano senza meta nel deserto del mio quadro. Avevo dipinto quella tela in un momento in cui il mio stato d’animo non permetteva se non al deserto, di entrare a far parte della mia vita. Il risultato era stato una distesa sconfinata di sabbia, talmente uniforme, che all’orizzonte non si intravedeva neanche il presagio di qualche altra cosa. Tra l’altro era anche un deserto piatto, senza dune, il che non dava nemmeno l’illusione che dall’altra parte ci potesse essere qualcosa di diverso.
Il mio cavaliere intanto si era fermato, era sceso da cavallo e Jo, rimanendo fermo accanto a lui, cercava col muso qualcosa di commestibile che non avrebbe mai trovato, di questo ero sicura, perché quando avevo dipinto, non avevo messo neanche un filo d’erba, figuriamoci, radici, o frutti, o alberi, seppure rinsecchiti. Niente di niente
“Il deserto è deserto, perdindirindina – parlottavo tra me e me – quando uno entra nel deserto, specialmente in un deserto come il mio non può aspettarsi di trovare qualcosa da mangiare e neanche da bere”. Dopo questa considerazione, non mi rimase altro che rimanere impietrita. Mi rendevo conto che stavo per commettere un omicidio, anzi un doppio omicidio, perché per me Jo aveva la stessa importanza di questo cavaliere….a proposito, ma come poteva chiamarsi questo cavaliere?
Nel momento stesso in cui osai pensare al nome per il mio bel tenebroso, il giovane scomparve dalla mia visuale, e nel quadro rimase solo uno sconsolato Jo, che si mise a guardarsi intorno, forse cominciando a chiedersi dove diavolo fosse finito, non solo il suo cavaliere, ma lui stesso. In effetti credo che la sua mente equina cominciasse a elaborare la mancanza di qualsiasi cosa da mangiare, e ciò, iniziavo a rendermi conto, non gli era assolutamente gradito.
Dovevo assolutamente trovare qualcosa che permettesse a Jo di mangiare e di bere, ma come fare ? Del resto vederlo così solo, senza nessuno con cui poter scambiare almeno un nitrito, mi infastidiva oltremodo, per cui cominciai a spremermi le meningi e a cercare qualcosa. Ma cosa?
Però una cosa l’avevo capita. Al giovane intruso del mio quadro, non piaceva che nessuno si facesse gli affari suoi, non voleva far sapere chi era, e spariva a comodo, incurante anche di lasciare il suo cavallo in balìa di se stesso e dei pericoli che avrebbe potuto incontrare. Decisi in quel momento che non avrei più pensato a lui cercando di capire chi era, ma per esigenze mie gli avrei appioppato un nome, che si sarebbe portato addosso a dispetto di se stesso. Il primo nome che mi venne in mente fu Ego, ma lo scartai immediatamente. Non mi piaceva cominciare la mia favola con qualcosa di così negativo, poi mi venne in mente Cogito, ma anche stavolta, non so perché lo scartai subito. In fin dei conti non sapevo nemmeno se riusciva a pensare, o se quell’aria meditativa era solo apparenza e invece dietro quella fronte si celava il vuoto più assoluto. L’unica cosa di cui ero certa è che era solo, solo con un cavallo. Immediatamente seppi che quello era il nome che gli volevo dare, lo sentivo mentre lo scrivevo. Solo con un cavallo! Che bel nome! Mi faceva venire in mente qualcosa di già sentito, o di molto simile, poi quasi subito realizzai che avevo sentito un nome altrettanto affascinante quando ero andata a vedere il film “Balla coi lupi”. Non solo! Mi si riaffacciò alla mente anche un grande poster in bianco e nero, con Charlie Chaplin seduto su un gradino con accanto un cagnolino. Qualcuno, molto sensibile, vi aveva tracciato di traverso un nome “Solo con un cane”! Del resto se uno poteva chiamarsi Balla coi lupi, o Solo con un cane perché il mio cavaliere non avrebbe potuto chiamarsi Solo con un cavallo?
E in quel momento seppi anche quello che dovevo fare. Non so se avrebbe funzionato, ma di sicuro ci avrei provato e anche molto velocemente.
Lavorai tutta la notte e anche parte del giorno successivo, ma alla fine avevo preparato un altro quadro, nel quale avevo rappresentato il deserto, un altro deserto, stavolta pieno di cactus e anche di erba e di strane piante grasse, che speravo fossero commestibili. Ci avevo anche dipinto un bel palazzo, un palazzo trasparente, a forma di cubo, dove speravo, prima o poi la fanciulla tanto cercata, sarebbe andata a ripararsi dal sole cocente. Il cavaliere l’avrebbe trovata e il mio incubo sarebbe finito. Ma come fare per permettere al mio cavaliere di andare nell’altro quadro?
Provai ad accostarlo al primo deserto, sperando che in una delle sue scorribande a cavallo, facesse un balzo un po’ più grande e passasse di là, ma per quanto mi sforzassi e lo incitassi pregandolo prima, e insultandolo dopo, lui fece sempre finta di non accorgersi di niente e continuò a correre come un matto nel deserto sabbioso, senza erba, senza neanche un filo d’erba.
“Brutto stupido – lo incitavo io – possibile che non capisci che in questa maniera al massimo tra due giorni sarete morti sia te che il tuo cavallo?”
La mancanza di una qualsiasi risposta mi fece arrabbiare a tal punto che non ci vidi più. Dalla rabbia presi la tela che avevo appena dipinta e la spiaccicai su quell’altra, in modo che i due disegni vennero a contatto in tutta la loro grandezza, poi quasi con un urlo liberatorio li ristaccai e li buttai da una parte. Mi ero proprio scocciata.
“Se non interessa a te caro Solo con un cavallo, figurati a me che importa! Io da mangiare ce l’ho e anche da bere se è per questo!”. Non avevo ancora finito di pronunciare queste parole che mi ero già resa conto di una cosa. Nel mio nuovo quadro non avevo messo neanche un po’ d’acqua.
“Ma si può essere più stupidi di così?” bofonchiai tra me e me “Ma tanto a che serve darsi da fare, non riuscirò mai a farli passare dall’altra parte.”: Ciò nonostante il mio sguardo corse ai poveri inutili deserti della mia vita, perché non ero ancora pronta ad arrendermi, anche perché io non sono mai pronta ad arrendermi, lo so ormai per esperienza, e gli ostacoli mi spingono ad andare avanti. Ciò che feci anche quella volta.

Ripresi il quadro in mano per cercare di inserire almeno un rigagnolo d’acqua in tutto quell’asciutto e meno male che lo feci. Non senza stupore, mi accorsi quasi subito che i miei due eroi facevano parte del mio nuovo deserto , forse non avevano aspettato altro, ma erano stremati. Jo toccava quasi il muso in terra e Solo con un cavallo, non se la passava meglio, completamente stravaccato dietro un cactus del quale sfruttava fino all’ultimo millimetro di ombra. Mi fecero nuovamente tenerezza. “Ma se non ci fossimo noi donne il mondo cosa sarebbe?” mi domandai filosoficamente, mentre aprivo il mio tubetto di colore azzurro e lo mischiavo col bianco che avevo già nella tavolozza. Avrei fatto un bel ruscello per questi poveri amici, ma mi resi conto già dopo le prime pennellate che non mi sarebbe venuto fuori niente di meglio di una pozzanghera, anche se una pozzanghera grande. Infatti né l’umano, né l’equino mi davano modo di finire il mio lavoro. Entrambi si erano avventati nell’acqua appena dipinta e ci si erano letteralmente gettati dentro. Non so chi dei due fosse più animale, ma dai suoni gutturali che sentivo, mi sembrò che Solo con un cavallo, si desse un gran daffare. Risi contenta! Sapevo di aver salvato la loro vita e ciò per il momento mi bastava! Per il momento il mio intervento non era più necessario. Avevano da mangiare e da bere e io avevo tanto da fare, altro che starmene appiccicata a un quadro a inventare la trama di una favola! Decisamente riposi i miei pennelli e chiusi la scatola con un tonfo secco, spensi la luce e…. “Ehi! Ps ps!” possibile che avessi sentito una voce? Riaccesi immediatamente le luce nello stesso momento in cui la voce si faceva risentire, calda e forte, come se fosse a un metro da me.
“Ehi, mi senti? Guarda da questa parte, sono qui nel ruscello che hai appena dipinto per noi. Ti volevo ringraziare, perché ci hai salvato la vita!”.
A quel punto non sapevo se stavo per svenire, se avevo le palpitazioni, se ero decisamente impazzita, o se la cosa fosse vera come alla fine speravo
“Non c’è di che” mi ritrovai a rispondere. Non mi era venuto niente di meglio da dire. Ci sarebbe stato tempo dopo per approfondire la conoscenza. Al momento mi sentivo pervasa da una strana timidezza che non riuscivo a spiegarmi. Il giovanotto decisamente era consapevole della sua avvenenza. Infatti mi si mostrò spudoratamente a torso nudo, sicuro del fatto suo. Brutto vanesio ma chi ti credi di essere?
Solo con un cavallo parlò di nuovo “Ora che mi sono rimesso un po’ in forze corro nuovamente a cercare il mio amore. Lo devo trovare. Grazie di aver fatto il palazzo di cristallo. Forse Yasmin è lì che mi aspetta!”
“Sei molto innamorato di lei” non potei fare a meno di dire
“Tantissimo, non amo nessuno quanto lei”
“Deve essere una ragazza bellissima per aver suscitato una simile passione!” scherzai io
“Non lo so, non l’ho mai vista se non nei miei sogni. Ma di lei vedevo tutto fuorché il viso. Ma la sua voce! Mi sono innamorato della sua voce. Tu non puoi capire che voce ha la mia Yasmin”
“La tua Yasmin? Allora vi siete già rivelati il vostro amore?” ero sbigottita da quella strana conversazione
“No, cioè sì. Io nei miei sogni glielo dico continuamente, ma ancora non l’ho trovata e non ho potuto neanche sfiorarla con una mano”.
“Mio caro, mi sembra una situazione molto ingarbugliata. Tu che stai dentro i miei quadri, questa Yasmin che forse c’è anche lei, però non lo sai e infatti non riesci a trovarla….ma non ti sembra di lavorare un po’ troppo di fantasia?”
“Non lo so” rispose mesto e voltandomi le spalle se ne andò rapidamente al galoppo su un Jo decisamente ringalluzzito. Ma come si fa a dire di un cavallo che è ringalluzzito?.
E’ vero che avrei potuto richiamarlo, ma il mio deserto anche se era grande quanto il primo, in prospettiva era talmente profondo che per arrivare all’ultimo cactus che si vedeva giù in fondo si dovevano fare almeno trenta chilometri. E lui era già lontano.
“Uffa, meno mi impiccio di questa storia e meglio sto! E’ già tanto che gli permetto di stare nel mio quadro….gli ho fatto il palazzo, che altro vuole da me?”. Stavolta spensi la luce e con decisione uscii dalla stanza dando un colpo secco alla porta.
Il mattino dopo stavo decisamente meglio. Ero convintissima di essermi sognata tutto quanto, quadri compresi. Non vedevo l’ora di ricominciare la mia giornata che era fatta di cose molto più concrete e senz’altro al di fuori di ogni deserto. La mia camera mi piacque come non mai! Piena di allegro disordine, nel quale solo io riuscivo a districarmi, parlava della mia vita più di un libro aperto. Alle pareti poster delle Piramidi di Giza, un ritratto di Sean Connery in kilt, l’uomo ideale di tutte le mie aspirazioni, una gigantografia del mio cane con un occhio azzurro, una recensione di un magnifico e gigantesco Pavarotti, di quando a Londra immortalò per sempre il “Nessun dorma”. E poi libri sparsi in ogni dove, da quelli di archeologia, ai romanzi di Ken Follet, ai classici più famosi fino ad arrivare ad Eco e il Nome della rosa, per non parlare di Dan Brown e il suo Codice da Vinci, affascinante e intrigante come non mai. Su tutti gli ultimi libri di un’agguerrita Fallaci, cassandra maledetta e scomoda dei tempi nostri…e l’ultima pazzia…l’Enigma dei numeri primi, libro stupendo, esaltante, pieno dell’intelligenza dell’uomo e della sua fantasia. Mai avrei immaginato che la matematica fosse anche fantasia, mai avrei immaginato che l’avrei capita così bene, sentendo mie le ipotesi e i teoremi più arditi che abbia elaborato mente umana. L’ho potuto fare con la fantasia, sembra strano vero? Certo non più strano che veder scorrazzare un cavallo e un giovanotto nei quadri dipinti da me.



Mi stiracchiai fino alla punta del dito mignolo del piede sinistro e non contenta rifeci la prova, scoprendo di crogiolarmi in quello stiracchiamento sbadiglioso che precede sempre qualsiasi mia giornata, bella o brutta, piovosa o piena di sole, monotona o ricca di avvenimenti.
“Ora una bella colazione e poi al lavoro!”. Ah! Mi sono dimenticata di dirvi chi sono e cosa faccio. “Chi son? Sono un poeta, e cosa faccio ? Scrivo! E come vivo? Vivo!”. Mi piacerebbe poter rispondere così, sulla musica della Boheme, ma il mio lavoro è decisamente più normale. Sono semplicemente una correttrice di bozze e a tempo perso una mediocre pittrice, anche se devo confessare che l’odore dei colori, della trementina, dell’acqua ragia, mi sono familiari da sempre, come il croissant che mangio tutte le mattine. Però amo il mio lavoro se non altro perché mi permette di lavorare a casa mia e senza orari frustranti. Ho soltanto una scadenza per consegnare le bozze lette e corrette, alla casa editrice, per cui se a un certo momento della lettura di qualche manoscritto, mi accorgo che mi è venuta voglia di dipingere, non faccio altro che smettere e cambiare tavolo. I miei due tavoli parlano di me molto esaurientemente, mostrando la mia doppia personalità. Molto ordinato e molto grigio il primo, fa bella mostra di sé con un computer, una macchina da scrivere piuttosto vecchia e tanti fascicoli, diligentemente impilati. Il secondo, è di un’allegria e di un disordine unici. Tubetti di colori che si rincorrono su tutta la superficie, tavolozze, spatole, pennelli, pennellini, teorie di matite coloratissime e tante, anzi tantissime boccette ne siglano la mìse, insieme a tele e album da disegno, appoggiati negligentemente su un cavalletto tutto macchiato di colore. Questo è il mio studio e il mio ufficio, in definitiva insieme alla mia camera e a una minuscola cucina, la mia casa, quella in cui a volte sogno cavalieri vestiti di nero che rincorrono fanciulle trovate a loro volta nei sogni.
“Ma che sogno strano che ho fatto stanotte!” mi appresto a dire alla fotografia di Dedo, che mi guarda dalla mensola poco più in alto della scrivania. Parlo tantissimo con Dedo, (all’anagrafe Demetrio Donati) perché è il mio migliore amico, colui al quale non mi riesce di nascondere nulla, che mi legge nel pensiero e sa quando sono triste. Il bello è che lui lo sa molto prima di me! Questa è una cosa che mi ha sempre stupito, ma che ho sempre accettato con naturalezza allo stesso modo con cui bevo un bicchiere d’acqua.
Con Dedo tutto è semplice perché non c’è amore tra noi ma solo una solida amicizia che è cresciuta con il tempo, senza incrinarsi mai una volta. Eppure è un bel ragazzo con incredibili capelli neri e occhi color del mare in tempesta. Sarebbe facile innamorarsi di lui per ogni ragazza, ma non per me. Io sogno qualcosa di diverso, qualcosa di romantico e di affascinante, mentre Dedo invece è molto tranquillizzante, molto comprensivo, molto accomodante, molto prevedibile. Proprio l’amico che ciascuno vorrebbe!
“Già, proprio uno strano sogno!” e mentre dico queste parole lo sguardo mi cade sulla tela nella quale ho dipinto un bel deserto. Davvero niente male!
Decisamente il mio cavaliere nero se ne è andato a dorso del suo cavallo. Eppure è stato un bel sogno! Resta il palazzo trasparente a forma di cubo. Per un momento da quanto era trasparente non l’avevo nemmeno visto, ma ora i miei occhi si stanno dilatando a dismisura perché ho scorto qualcosa di strano in quel quadro, qualcosa che prima non c’era e ora invece si sta materializzando in tutta la sua bellezza. Una ragazza sta uscendo dal palazzo. Dire che sta uscendo, mi sembra troppo riduttivo. Sta decisamente scalciando e tirando qualcosa dietro, qualcosa che ha tutta l’aria di essere una valigia e anche una valigia assurdamente grande., tanto grande che non ce la fa quasi a spostarla.
“Se invece di stare lì impalata tu mi dessi una mano a tirare questo coso, te ne sarei grata!” Mi apostrofa con fare di chi è abituato a essere obbedito.
“Yaaaaasmin!?” domando reticente e incredula
“E chi altri sennò?” risponde la ragazza risentita. “Mi hai fatto te e non sai neanche chi sono?” prosegue senza nessuna pietà per il mio sbigottimento.
“Ma io non ti ho dipinto. Davvero non ti ho mai vista. Io ho dipinto solo il palazzo di cristallo trasparente e nient’altro”. Mi trovo a rispondere piena di perplessità.
“Eh già! E dentro quel palazzo, chi pensavi ci abitasse? Pecos Bill?”
Guardo allibita la bellissima ragazza che ho davanti ai miei occhi. Come è possibile che una simile bellezza, possa racchiudere tanta aridità dentro di sé?


“Allora ti vuoi decidere a darmi una mano?” Mamma mia ma chi si crede di essere questa?
Do voce al mio pensiero e: “Ascolta io non sono la serva di nessuno, tantomeno la tua. Prova a chiedermi in modo migliore che cosa vuoi e forse qualcosa otterrai. Chi ti credi di essere la Principessa sul pisello?”
A tutto ero preparata tranne a ciò che è accaduto immediatamente dopo. La bellissima fanciulla si è accasciata ai piedi della sua valigia, scoppiando in un pianto dirotto. Non sapendo cosa fare non ho trovato niente di meglio da fare che tirare fuori un kleenex e provare a darglielo, ma ciò si è dimostrato subito impossibile. Sarebbe stato come se a me avessero offerto un lenzuolo matrimoniale per asciugarmi le lacrime. Però questo l’ha fatta immediatamente ridere e ha fatto ridere anche me. La tensione si è sciolta come per incantesimo e io mi sono ritrovata davanti una bella ragazza che se invece di essere vestita con quegli abiti assurdi con cui l’aveva formata la mia fantasia, avesse avuto un paio di jeans e una maglietta, avrebbe potuto essere Monica Bellucci, forse con qualche centimetro in più e un po’ di tette in meno. Ma insomma siamo lì.
“Senti Yasmine mi vuoi dire perché piangi? Mi sembra che hai tutto per poter essere felice. Hai un bellissimo palazzo di cristallo, un cavaliere bellissimo che ti sta cercando in lungo e in largo per offrirti il suo amore e tu…cerchi di scappare per caso?”
“Certo che cerco di scappare. Non mi piace niente di tutto ciò. Non mi hai fatto come volevo essere io…….”e tirando su col naso ha cominciato nuovamente a piangere rumorosamente.
“Aspetta! Aspetta! Fammi capire! Perché dici che ti ho fatto io? Io non ho fatto un bel niente…….”
“Non è vero! Io sono nata dalla tua immaginazione e che ci posso fare se volevo essere immaginata in un’altra maniera?”
“Ma scusa, cos’è che non ti piace di te?”
“Niente mi piace….Prima di tutto il nome. Non mi piace di chiamarmi Yasmine. Non ho niente contro tutte le Yasmine del mondo ma Yasmine non sono io…………Io ecco potrei essere Desireè”
“Beh! Se è solo questo il problema di qui in avanti ti chiamerò Desirè”
“No non Desiré con una e e basta ma Desirée. Io posso essere solo Desirée”
“E va bene sarai Desirée… e se poi ne vuoi anche un’altra di e non fai altro che dirmelo. Sono gratis”comincio a perdere la pazienza
“Ma figurati! Il nome è solo una piccola cosa. Per quello che riguarda la casa mi potrebbe stare anche bene. E’ bella e confortevole, ma io non voglio essere una principessa, oppure se proprio devo esserlo voglio essere una principessa moderna, dei tempi nostri, una che vive la sua vita senza aspettare che a farla vivere sia un cavaliere del quale non conosco nemmeno il nome”
“Si chiama Solo con un cavallo” Troppo tardi mi accorgo di aver fatto un altro errore
“Solo con che?” La ragazza ha sbarrato gli occhi, ma per fortuna ha smesso di piangere
“No guarda, non è il suo vero nome. Sono io che l’ho chiamato così perché non sapevo che nome dargli!”
“Lo vedi quanti errori fai?”
“Non mi sembra che un nome, per quanto fantasioso sia la cosa più importante. Non so se hai visto bene quanto sia bello il nostro cavaliere”
“E con questo? Non è il mio tipo. Io voglio scegliermelo da me il ragazzo, e non che una stupida donna con una fantasia deprecabile, mi voglia fare accoppiare con chi pare a lei”. La ragazza sta andando decisamente fuori dal seminato
“Ehi carina. Aspetta un attimo. Io non voglio fare accoppiare proprio nessuno. Figurati che questa cosa io ero sicura di averla sognata e continuo a crederlo anche ora, solo che ora si tratta proprio di un brutto sogno”.
“Troppo facile così mia cara…..a proposito ma tu come ti chiami?”
“Io? Io sono Lara”
“Senti Lara, ascoltami. Da donna a donna. Ma se a te qualcuno ti portasse a casa un uomo e ti dicesse: ti devi mettere con questo, tu che faresti?”
“Lo manderei al diavolo ecco che farei!” ho ribattuto risentita.
“E allora perché non posso farlo io?”.
Il suo ragionamento non fa una piega: La capisco benissimo, solo che ho ancora davanti a me l’espressione estasiata di Solo con un cavallo quando parlava della sua Yasmine.
La ragazza ora è più tranquilla. Si è seduta sull’enorme valigia e mi guarda con uno sguardo più sereno. Niente da ridire. Ha degli occhi incredibili. Sarà anche frutto della mia immaginazione, ma mi sembra di aver fatto proprio un bel lavoro. Mi affretto a dirglielo, ma lei mi precede
“Senti Lara, ti ringrazio per avermi fatto come sono, perché sono veramente bella, lo vedo anche da me. Purtroppo per te mi hai dotato anche di una personalità”.
Annuisco. E di una personalità anche molto forte mi pare!
“Vedi Lara, io come avevo cominciato a dirti, se devo proprio essere una principessa, sarò una principessa. Mica ci sputo sopra a tutto questo ben di dio…….però sarò una principessa come dico io”
“E cioè?”.
“Voglio essere una cantante. Voglio diventare una cantante famosa e voglio anche innamorarmi, certamente, ma il ragazzo deve piacere a me, non a te. Io voglio un giovane che abbia gli occhi sognanti, che sia dolce, simpatico, disponibile,……..ecco guarda…..un ragazzo come quello della fotografia che hai su quella mensola”.
Sbarro gli occhi inorridita. “Ma quello è Dedo!!!!!!!!”
“Dedo sì, anche il suo nome mi piace. Ma chi è Dedo, tuo fratello?” chiede speranzosa
“Ma niente affatto. Dedo è il mio migliore amico e non credo proprio che tu saresti la ragazza adatta a lui”
“E perché mai?” mi domanda nuovamente imbronciata
“Beh! Per prima cosa lui è un tipo tranquillo e tu, mi pare sei un vulcano instabile……e poi santo cielo, ti rendi conto che tu stai dentro un quadro?”
Yasmine Desirée pensa un po’ e poi il suo volto si illumina
“Questi sono affari tuoi. Pensa al modo di tirarmi fuori di qui. Io voglio conoscere Dedo, o lui o nessun altro e tu mi devi aiutare perché in fin dei conti hai delle responsabilità verso di me”
“Già, però ce le ho anche verso Solo con un cavallo….e anche verso Jo se è per questo” sospiro sconsolata
“Sei una scema! Sei una scema! Sei una scema!” Continuo a ripetermelo ininterrottamente, mentre guardo Desirée con due e, che aspetta che io le dica qualcosa. “Ma perché invece di metterti a sognare, quella sera non sei andata a farti una bella passeggiata, o magari non hai invitato Dedo a cena e ascoltato le sue noiosissime chiacchiere sull’ultima musica che ha composto e che nessuno suonerà mai?”
“Lara! Lara! Ohi, dico a te, mi senti?”
“Certo che ti sento, e penso a come posso farti conoscere Dedo, ma non so proprio come fare. Credimi, io vorrei vedere tutti i miei amici felici e contenti, ma non sono una fata, non ho la bacchetta magica e non conosco nessuna pozione che mi possa aiutare. Io sono solo una persona dotata di troppa immaginazione e mi sono fregata con le mie stesse mani.”
“Con questo mi vuoi dire che non mi aiuterai?. Non ci credo. Non sei la persona che lascia a piedi gli altri. L’ho capito quando hai disegnato il ruscello nel deserto e il palazzo trasparente. Senti, facciamo così… Io ti prometto che per ora non scappo, però tu tieni lontano Solo con un cavallo, e poi pensiamo a qualcosa che possa farmi conoscere questo ragazzo così simpatico” e il suo sguardo si posa con adorazione sull’immagine di Dedo. Anch’io lo guardo automaticamente domandandomi come posso fare a tenere il mio amico fuori da questa storia, ma non lo so. Tra l’altro domani deve venire a cena da me e improvvisamente non mi sento più a mio agio, sapendo che Desirée comunque potrà guardarlo indisturbata e ascoltare quello che ci diremo.
O bene Ci penserò domani.
“Desirée, ascoltami bene. Cercherò di fare qualcosa, ma non so che. Quello che so è che ora devo lavorare e anche parecchio, per cui se permetti la finisco qui. Ci risentiamo poi! Ciao”
“Ciao Lara e per piacere non dire a Solo con un cavallo che mi hai visto, altrimenti mi sa che nasceranno guai”.




Stamani appena mi sono svegliata stavo decisamente meglio. Chissà perché con la luce del sole tutto sembra più semplice, più risolvibile.
“Uffa, non voglio più pensarci, ho troppe cose da fare. …..Allora.! intanto mi metto a correggere le bozze, perché le devo riconsegnare entro la settimana, poi, non sarebbe male mi mettessi a dipingere un po’. E’ da tanto tempo che non lo faccio, e credo che mi servirebbe molto per allentare la tensione di questi ultimi giorni………Poi dovrò imbastire qualcosa per la cena di stasera con Dedo, anche se lui, non è esigente davvero. L’ho sempre detto io che Dedo è un uomo da sposare!”
Involontariamente mi sono messa a ridere pensando a Dedo sposato. Chissà perché, ma non riesco proprio a vedercelo! Dedo è Dedo, è la persona disponibile ad ascoltare le mie paturnie, ad entusiasmarsi per i miei paesaggi, ad accettare il mio carattere lunatico e fantasioso.
“E’ davvero l’amico migliore che uno potrebbe avere!” dico ad alta voce sorridendo alla sua immagine che mi guarda dalla cornice azzurra che la imprigiona.
“E Desirée con due e?”
“Ma che cavolo vuole quella! Non esiste nemmeno e si ostina a darmi tutti questi grattacapi! Come vuoi che faccia stupida pupattola a programmare un appuntamento tra te e Dedo, se tu non esisti? Eh!? Me lo dici come faccio?....E siccome sappiamo entrambe che tu non esisti, non rompere più e lasciami lavorare!” Ma possibile che anche ora l’immagine di quella ragazza venga a scompigliare i miei pensieri? Sbatacchio un po’ di suppellettili, per chiedere conferma che ho ragione di mandare Desirée con due e al diavolo.
“E Solo con un cavallo, che fine avrà fatto? Potevo aver inventato solo lui? Invece nossignori, cretina che non sei altro, ti sei andata a complicare la vita. Se ci fosse stato solo lui avrebbe continuato a girovagare per il deserto col suo stupido cavallo, tanto a questo punto non gli mancava né da bere né da mangiare, e tutti saremmo vissuti felici e contenti”.
“Ne sei proprio sicura?”
“Certo che sono sicura, strasicura….ehi! Un momento, questa cosa non l’ho detta io!”
Mi giro di scatto perché so da dove proviene quella voce! Solo con un cavallo mi sta guardando dal mio quadro, mentre poco più in la Jo, bruca intorno a una pozza d’acqua. Mi guarda per un momento fa una specie di nitrito che mi ha tutta l’aria di disapprovazione e poi non si cura più di me. Forse ha sentito che gli ho dato dello stupido.
“ Certo che non l’hai detto te! Sono stato io e te lo ripeto. Ne sei proprio sicura? Non sai che da soli si sta male? Guardati! Chi hai te oltre il tuo amico Dedo? Sei talmente sola che per avere compagnia sei stata costretta a inventare noi. Noi abbiamo portato movimento nella tua vita pianificata, noi ti abbiamo fatta sentire indispensabile, arrabbiata, tenera, debole. E tu mi vieni a dire che è meglio essere soli? Ma a fare che?” Solo con un cavallo è molto serio mentre mi dice queste cose ed io comincio a intuire che la mia giornata, cominciata così bene, sta per essere rovinata inesorabilmente.
“Ehi giovanotto! Sei troppo filosofo per i miei gusti e poi scusa, chi ti ha permesso di entrare negli affari miei? Pensa piuttosto a te, e a quella schizofrenica della tua principessa dei miei stivali, che non riesci neanche a tenertela vicino!” Troppo tardi mi accorgo dell’errore che ho fatto
“Che vorresti dire? Hai visto Yasmine? Dove l’hai vista? Perché non me l’hai detto subito?” Solo con un cavallo comincia ad arrabbiarsi e devo dire che è veramente bello vedere uno tutto vestito di nero, con gli occhi neri e i capelli neri, diventare nero di rabbia.
“E va bene l’ho vista! Quanto a dirtelo dimmi tu come facevo, visto che te ne sei andato via come un fulmine e sei sparito dietro quelle dune, con la velocità di un ghepardo!” e indico le dune del mio quadro
“Ma che ti ha detto? Ti ha parlato di me? Hai visto quant’è bella?” Come vorrei che qualcuno dicesse queste cose a me con lo stesso tono di voce, mi dico sospirando
“Quanto a essere bella, lo è davvero. Anzi! Bellissima. Per il resto ha un carattere pestifero e bizzoso e se fossi in te, andrei a cercarmi un’altra ragazza. Il mondo è pieno di belle ragazze anche più di Yasmine o Desirée, come vuole che la chiami io!”
“Oh che bel nome! Ancora più bello! Come le si addice”
“Oh che bel tonto! Possibile che non ti accorgi di stare a sprecare il tuo tempo dietro a quella, quando potresti fare cose molto più intelligenti?
“Del tipo?”
“Beh! Mica potrai stare sempre dentro questo quadro. Dovrai pure guadagnarti la vita in qualche modo, non credi?” rispondo spazientita
“Tu non ti preoccupare per me, non ho assolutamente bisogno di lavorare e se volessi potrei togliermi tutti gli sfizi di questo mondo. Ma io voglio una cosa che per ora mi sfugge. Voglio Yasmine, o meglio Desirée. Anch’io da oggi la chiamerò con questo nome.!”
“Senti mio caro Solo con un cavallo….
“Come mi hai chiamato?” mi chiede ridendo
“Solo con un cavallo. Non so in quale altro modo posso chiamarti. Non mi vuoi dire il tuo nome, e a me non andava di parlare con una persona della quale non conosco neanche il nome. …..Allora mi è venuto in mente questo” rispondo piano, quasi scusandomi
“Certo la fantasia non ti manca!” continua ridendo
“A te invece!!! Vero?” ribatto piccata.
“ Senti Lara, smettiamo di punzecchiarci. Ti domando scusa se posso averti dato l’impressione di intromettermi negli affari tuoi. Lungi da me! Ma continuo a chiederti che tu ti intrometta nei miei, visto che noi siamo qui perché tu ci hai pensato. Però siamo infelici, io per un verso, Desirée per un altro. Aiutaci in qualche modo a trovare la nostra strada……”
”Ehi un momento! Io ho già detto che non ho la bacchetta magica, né ho poteri speciali. Tu un minuto fa mi dici che non ho saputo fare niente della mia vita e pretendi che sappia fare per la tua? Scordatelo mio caro! Per me potete tornare anche da dove siete venuti!”
“Perché dici cose che non pensi?” ribatte lui “Sai benissimo che non è così e che non ti disinteresserai di noi! Solo che hai paura di mostrare la tua parte fragile, romantica, ecco…”
.Non rispondo. Non so che dire. Le sue affermazioni mi hanno lasciato senza parole. Possibile che abbia ragione? Possibile che io non abbia saputo vivere la mia vita? Possibile che io sia più tenera di quello che credo?
Possibile?!!! “UUUUUUUUHHHHHHHHHH! Ora basta. Ne ho le tasche piene.
Preferisco pensare agli affari miei e disinteressarmi di cose che esistono solo nella mia immaginazione. Basta! Al lavoro! E mentre dico queste cose passando oltre getto un’occhiata in tralice a Jo, che continua a brucare, ma per un attimo il suo sguardo ha incrociato il mio ed è stato un attimo di troppo. Vi ho letto tutta la sua disapprovazione







La tavola è pronta e il profumino che arriva dal forno non è male. Dedo tra pochi minuti sarà qui e passeremo una piacevole serata, come solo due amici come noi sanno passare. Lui mi parlerà della sua ultima musica, io farò finta che sia bellissima, per non vedergli lo sguardo da cane bastonato, poi gli farò ammirare la mia ultima tela e lui dirà che è bellissima, come tutte le cose che faccio, per non vedermi con gli occhi da cane bastonato, e con queste nuove certezze andremo avanti per un’altra settimana sentendoci quasi felici.
Driiiin! Driiin!
“Arrivo , eccomi!” e spalanco la porta su un giovanotto niente male che tiene con una mano una bottiglia di vino e con l’altra un fiore, che a dir la verità comincia un po’ a ciondolare.
“Ciao” mi dice Dedo oltrepassando la soglia e dirigendosi verso la poltrona dove lascia andare tutto, fiore compreso, che poi addita dicendo “questo è il titolo della mia ultima composizione!” “
“E come si intitola la tua composizione…Fiore stanco?” domando un po’ perfidamente. Ma è come dire al vento. Dedo non raccoglie mai le provocazioni. “No si intitola Piccolo fiore” per lui l’argomento è finito.
“Che profumo!”
”Vero?” dico io. Anche questo è scontato. Per Dedo sono un’ottima cuoca, segno evidente che i suoi pranzi sono di quanto più schifoso ci possa essere.
“Se vuoi possiamo cominciare a mangiare! Così poi possiamo uscire a fare una passeggiata…..”
“Sì, mangiamo subito, perché ho fretta di farti ascoltare il nuovo pezzo che ho scritto…Stavolta sento che ho fatto veramente qualcosa di buono!”
“E la passeggiata?” domando di malumore
“Ci andiamo un po’ più tardi, ti va bene?
“Ok. Dedo” annuisco accomodante. In fin dei conti è un piacere vedere quella luce di compiacimento nei suoi occhi
Se c’è una cosa che non manca a Dedo è l’appetito. Spazzola tutto quello che gli metto davanti con la velocità di un fulmine, ma mentre mastica riesce anche a parlare della cosa che gli interessa, cioè della sua canzone
“Certo ci vorrebbe una voce di donna una voce calda, per questa musica….non la può cantare chiunque, solo che non conosco chi può interpretarla”
“Se vuoi la canto io” rido divertita e anche Dedo mi fa eco. La mia voce è ciò che di più stridulo possa esistere, ma mentre lo dico il sorriso mi muore sulle labbra, perché a dispetto di me stessa mi è tornata prepotentemente in testa Desirèe che mi diceva “Voglio fare la cantante”
”Accidentaccio!” mi scappa detto
“Cosa?” Dedo mi guarda sorpreso
“Niente, niente, mi è venuto in mente una questione di lavoro……continua pure….dicevi?”
“Veramente eri tu che dicevi, comunque mi sa tanto che anche questo resterà un sogno nel cassetto” sospira alzando le spalle. Ma poi sorride immediatamente.
Adoro Dedo per questo suo carattere così solare. Niente può intristirlo per più di dieci, dodici secondi al massimo. Fortunato lui.
“Beh! Allora si può sentire questo capolavoro?”
“Sì prendi in giro, prendi in giro” ma intanto si è avviato verso la mia tastiera, che ha visto sicuramente tempi migliori, prima che la utilizzassi come piano di appoggio di tutti i miei tubetti di colore.
“Ma insomma Lara, quando ti deciderai a capire che uno strumento musicale non può essere un tavolino?” mi dice ridendo, cercando di impegnarsi nell’ardua impresa di liberare la tastiera.
“Creiamo un’atmosfera – dico improvvisamente – accendiamo la lampada azzurra e spengiamo quelle centrali”
“Ok. Posso cominciare?”
“Sono tutta orecchie!”
Quando Dedo suona io non mi stanco mai di guardarlo. Tutto il meglio di lui viene fuori in quei momenti. Lo sguardo perso in un mondo lontano, i capelli che scendono sulla fronte, le mani lunghe e affusolate e quella musica che cattura e porta lontano, verso altri cieli.
Cosa?
Cerco di tornare presente a me stessa e mi metto a sedere più eretta. No! Non mi sono sbagliata. Stavolta la musica di Dedo è veramente bella, un gioiello, una perla rara, una goccia d’acqua che scende lungo la schiena e la fa rabbrividire. E’ vero, ci vorrebbe una voce calda, suadente,morbida per una simile musica, e Desirèe mi ritorna in mente, e anche se provo a scacciarla, rimane……”Voglio essere una cantante io!”
Mi sento stranamente turbata dalla musica, dai pensieri, da Dedo che continua ignaro a dare il meglio di se stesso. E’ un attimo fuori dal tempo che durerà….Driin! Driiiiiin!
Mi alzo di scatto, quasi contenta che qualcosa abbia interrotto quella magia. Ma chi può essere? Non aspetto nessuno a quest’ora. Meccanicamente apro la porta e
“Desirèe,…….ma che ci fai qui?”
“Sei tu che mi hai chiamato, non ti sei accorta che pensavi continuamente a me? Ed eccomi qua. Che bella musica! Chi è che suona?......No! Non mi dire che è Dedo!”
“Sì è proprio lui, e se mi vuoi fare un piacere vattene!”
“Andarmene? Ma con che coraggio me lo chiedi? Ho trovato l’uomo della mia vita e non mi permetti nemmeno di vederlo? Sei proprio sadica!”
“Lara ma con chi parli?” la voce di Dedo arriva pericolosamente vicina
“Niente niente. E’ una mia amica che passava di qui a salutarmi, ma ora se ne va!”
“Non ci penso nemmeno” sibila Desirè “ Però Lara, mi devi prestare qualcosa da mettermi. Non posso mica andare di là con un vestito come questo?”
“Ma cosa vuoi che ti dia? Noi due non abbiamo nemmeno la stessa taglia!”
“Non ti preoccupare, vedrai che me la saprò cavare. Ti prego Lara solo per dieci minuti,…poi me ne vado”
“Non se ne parla nemmeno. Ti vuoi decidere a uscire dalla mia vita?” le sibilo arrabbiatissima
“ No non me ne vado, non ti conviene credimi, perché sennò il tuo amico saprà che soffri di allucinazioni” risponde incattivita
“E chi glielo dirà? Tu? Tu ci sei solo perché io ti ho creato io!” sorrido beffarda
Per un attimo la vedo interdetta, quasi vacillante, ma dura poco. Oltretutto è anche intelligente.
“E’ vero, ma ormai ci sono e tu non puoi proprio fare niente se non darmi una mano a vivere la mia vita” risponde sicura di sé
“Come rimpiango quel momento! Pensavo che sognare qualcosa di bello non fosse causa di guai….e invece!”
La mia amarezza è evidente e vedo Desirèe dispiaciuta
“Dai Lara, accontentami e ti prometto che tra dieci minuti me ne vado”
“Promesso?” Non voglio impelagare Dedo in questa storia di allucinazioni
“Promesso!”
Chi dice che le donne ci mettono ore per cambiarsi? Niente di più falso! Ho staccato da dietro la porta di camera una tunica azzurra che porto quando voglio stare comoda e l’ho tirata a Desirée, che in un’attimo l’ha indossata e in un altro attimo se l’è drappeggiata da principessa quale è.
“Dedo? Ti presento Desirée. Desirée questo è il mio amico Dedo” Dedo è balzato dalla seggiola e senza riuscire a staccare gli occhi dalla ragazza che gli sorride, risponde un timido “Incantato”.
Incantato lo è davvero, anzi a ben guardarlo sembra molto di più che incantato. Sembra un deficiente. Scuoto il capo
sconsolata. Possibile che anche Dedo sia il solito fesso che si fa abbindolare da un paio di occhi azzurri? Ma come faccio a dirgli che Desirée con due e o anche con un’e sola non esiste e la personcina squisita che è davanti a lui è solo un ologramma proiettato dalla mia mente? Possibile che Dedo non si accorga dell’assurdità di tutto quanto? Lui, con la sua intelligenza!
“E’ possibile, è possibile! Sicuro che è possibile. Guardalo là...il tonto” Non so se mi viene da ridere o da piangere. Non lo so ecco! So solo che mi sento di troppo in quella stanza.
“Ho sentito una musica bellissima entrando” Desirée tira fuori tutto il suo charme. Anche la sua voce è bellissima. “Quanto sarebbe bello poterla interpretare”
“Se vuole le faccio vedere le parole. Le ho scritte sopra uno spartito”
“Grazie mi farebbe veramente piacere”!
“Grazie mi farebbe veramente piacere”! mastico tra me e me. Possibile che quei due non si accorgano di quanto sono cafoni? E io che ci sto a fare qui? Il paralume?
Mentre faccio queste considerazioni sbatacchiando le mie suppellettili, la musica di Dedo ricomincia in tutta la sua armonia e subito dopo una voce aggraziata, profonda e limpida nello stesso tempo, rende quelle note ancora più seducenti. Niente da ridire ! Desirèe ha veramente una voce bellissima. Ha ragione a voler diventare una cantante. Mi sa tanto che Solo con un cavallo dovrà rassegnarsi e cercarsi un’altra principessa!
“Oddio non devo pensare a lui. Non devo assolutamente pensare a lui! Hai visto che è successo quando hai pensato a Desiré? Vuoi che qui dentro succeda un macello?. Magari mi porta anche il cavallo! Eh! No! Corriamo ai ripari” e mentre mi dico freneticamente queste parole, getto la tovaglia sul quadro del mio deserto, appoggiato in un angolo, sperando in cuor mio che Solo con un cavallo, non si sia accorto di niente.
Involontariamente tiro un sospiro di sollievo! Solo con un cavallo non si è accorto di niente e immediatamente mi viene in mente l’espressione innamorata di quel bel ragazzo tutto vestito di nero e mi accorgo di parteggiare apertamente per lui. Come posso aiutarlo a conquistare la sua principessa, e allo stesso tempo aiutare Dedo a non invischiarsi in una situazione a dir poco imbarazzante?
Intanto la canzone è finita,ma Desirée non accenna minimamente ad andarsene. Anzi! Si è spaparazzata tranquillamente sul mio divano e chiacchiera animatamente con Dedo, che la guarda affascinato.
“Brutta smorfiosa!” sibilo tra me e me”meno male che mi aveva assicurato che se ne andava dopo dieci minuti….Ora ci penso io” e senza starci a riflettere tanto sopra torno verso di loro e con il miglior sorriso che riesco a stamparmi in faccia le tocco una spalla e…..
“Desirée, ti volevo solo ricordare che mi avevi detto che dovevi andartene subito perché hai un appuntamento!”
“Grazie Lara, ancora dieci minuti e scappo. In fin dei conti il mio appuntamento non è poi così importante…”ribatte lei sorridendomi perfidamente, o almeno così pare a me, ma non la lascio finire
“Ma come non è importante. Via non ti sminuire così. Non mi avevi detto che dovevi incontrarti con alcune persone importanti che volevano proporti un contratto?” invento spudoratamente
“:::Unnnn….contratto?” deglutisce lei evidentemente spiazzata una volta tanto
“Ma sì cara, a Dedo lo puoi dire che non sei una semplice autodidatta. Sbaglio o stai per diventare una cantante professionista?” dico candidamente
“Già……sì, è meglio che me ne vada allora!” finalmente Desirée ha capito che non è più il caso di insistere e che io posso diventare cattiva e arrivare persino a dire tutto a Dedo.
Dedo è il mio migliore amico e non si tocca. Verrà anche per lui il momento di innamorarsi di una ragazza, ma per dindirindina sarà una ragazza vera e non un ologramma,… per quanto un bell’ ologramma.
“Mi dispiace che vai via” Dedo sembra veramente afflitto “mi sarebbe piaciuto ancora suonare per la tua bellissima voce, ma capisco che un appuntamento del genere non si può rimandare.
“Può darsi che ormai il mio ritardo sia inaccettabile!” Desirée cerca di riguadagnare punti, ma stavolta non sono costretta a intervenire perché Dedo, lasciandomi a bocca aperta dice”Ti accompagno io, non mi perdonerei mai che tu perdessi un’occasione per causa mia”.
Sono costernata. E ora che succederà? Se ora Dedo esce con Desirée, lei sparirà o il mio pensiero riuscirà a farla sembrare ancora vera? So che è inutile dire a Dedo, che posso accompagnarla io, perché quando lui decide una cosa, nessuno riesce a farlo desistere, anzi, caso mai il contrario.
Sono agitatissima. Ma guarda te in che impiccio sono andata a mettermi e guarda un po’ chi ci ho tirato dentro. E’ vero che è il mio migliore amico, ma proprio per quello so che è anche tenero, sprovveduto, fiducioso come un bambino.
Anche Desirée mi sembra abbastanza scossa. Forse anche lei pensa che non sarebbe proprio una cosa stupenda sparire in un attimo, davanti agli occhi di quel ragazzo che ha definito l’uomo dei suoi sogni!
“Pensami per piacere. Ti prego pensami intensamente Lara, pensami almeno per dieci, quindici minuti, in modo che Dedo possa lasciarmi a destinazione” mi bisbiglia all’orecchio Desirée
“Ma quale destinazione??!! Lo sai benissimo che non c’è nessuna destinazione e che non hai alcun appuntamento” ribatto acida e sottovoce
“Ti prego, ti prego….”
“Va bene, ok. Ma come farai a non farti accorgere da Dedo che è tutta una montatura?”
“Non lo so, ma stai tranquilla che mi arrangerò”
“Ehi, voi due, che avete da confabulare?” si intromette Dedo ridendo. Ha appena finito di risistemare i suoi spartiti
“Niente niente, confidenze tra donne” dico io abbastanza sbrigativa
“Che c’è Lara, sei arrabbiata?” Dedo mi guarda fissamente con occhi interrogativi. Forse pensa che stasera mi ha trascurato in maniera vergognosa e ora cerca di scusarsi in qualche modo. Ma non è mia intenzione fargliela passare liscia
“Affari miei, non ti preoccupare” e così lo liquido in quattro balletti, piantandolo lì, senza dargli il tempo di ribattere.
“Bene, ….sei pronta Desirée?” chiede Dedo in tono un po’ dimesso
“Prontissima” risponde lei abbastanza nervosamente “Ciao Lara …e grazie di tutto”
“Ci vediamo domani! – dice Dedo dando la cosa per scontata. Questo lo dici tu!
“Domani ho un appuntamento” rispondo prontamente, per niente imbarazzata. In fin dei conto se posso inventare appuntamenti per Desirée, per quale motivo non dovrei inventarli per me?
“Un appuntamento?” chiede Dedo “E con chi?”
“Ehi, vacci piano mio caro! Mica penserai che ti debba dire tutto quello che faccio per caso…o con chi devo uscire!” rispondo ridendo come se stessi prendendolo bonariamente in giro
“Ci sentiamo !” aggiungo quasi subito per mitigare la mia stupida risposta.
Non vedo l’ora che se ne vadano tutti e due. Quello che succederà una volta fuori dalla mia porta, non sono affari miei. Ho preso l’impegno di pensare a Desirée per quindici minuti. Lo farò per venti e poi, me ne andrò a letto, perché ho decisamente sonno e il mio tempo da dedicare alle paturnie degli altri è esaurito .
Sorrido tra me e me e per un attimo entrambi mi guardano come se non mi riconoscessero, poi in silenzio escono tirandosi dietro la porta.
“Fnalmente se ne sono andati! Non ne potevo proprio più!” e mentre dico queste cose mi butto a capofitto sul divano, esausta oltre ogni dire “ma tutte a me devono capitare….che ho fatto di male per ritrovarmi sempre in un mare di guai?” brontolo risentita.”Concentrati – mi dico – hai promesso di pensare per venti minuti a Desirée e le promesse sono promesse….ma perché non riesco a pensare a te Desirée dei miei stivali? Perché se penso a te mi viene sempre in mente Solo con un cavallo? Come si fa, dico io, a preferire Dedo a uno come Solo con un cavallo……..non riesco davvero a capirlo. A proposito che farà in questo momento?”
Piano piano sollevo un lembo della tovaglia che ricopre il mio quadro, per vedere se il mio cavaliere e il suo cavallo sono ancora lì. Jo in effetti è ancora in riva al ruscello e appena si accorge di essere osservato, mi guarda a sua volta e l’espressione dei suoi occhi sa di compatimento. Mi sembra persino che scuota il capo mentre mi guarda. Poi improvvisamente fa un grosso nitrito che mi fa fare un salto all’indietro mandandomi a finire a gambe all’aria
“Brutto somaro di un cavallo!” gli grido inviperita “ma chi ti credi di essere? Guarda che di brocchi come te è pieno il mondo e fanno tutti una brutta fine!” Mi ci voleva proprio una sbecerata come questa. Improvvisamente mi sento molto meglio e d’un tratto sono rilassata. Guardo nuovamente Jo domandandomi se per caso non l’ho offeso troppo e… “Santi numi…..Jo, ma che fai ridi?”
In effetti il cavallo ha un’espressione proprio buffa sul suo muso e la sua dentatura è tutta in evidenza in un sorriso come solo don Camillo sapeva fare, ma Jo non gli è da meno,…no davvero! Ora capisco! Il mio cavallo è psicologo e con quell’atteggiamento compassionevolmenteriprovevole, voleva solo spingermi a reagire e a sfogarmi, cosa che ho fatto, mi pare!
“Grazie Jo,” mi ritrovo a dire e nuovamente rimango stupita quando vedo i suoi occhi ammiccare. Tra un po’ andrò a letto ma prima metterò in uno sgabello di fronte al quadro un po’ di carote. Potrebbe anche mangiarle! In questa casa succede di tutto da un po’ di tempo in qua!




E’ di nuovo mattina! Apro un occhio, lo richiudo, li apro tutti e due, li richiudo nuovamente, sentendo che la realtà si sta rimpadronendo di me.
“Oh ti prego ti prego!” mugugno rivolgendomi a qualche sconosciuta entità benevola “ti prego, fa che sia un sogno, che non ci sia neanche più quel maledetto quadro, dietro l’angolo, che tutto si risolva in una bolla di sapone, e che io possa tranquillamente tornare a fare le mie cose, come facevo fino a tre giorni fa……ti prego ….ti prego”.
Ma già mentre dico queste cose sento che c’è qualcosa che non va. Mi sarebbe difficile rinunciare a Jo ecco! Non voglio rinunciare a Jo e so per certo che se non voglio rinunciare a lui devo tenermi anche Solo con un cavallo e Desirée con due e. E poi neanche loro sono malaccio, devo ammetterlo, è solo che io non posso essere l’artefice della loro felicità e quindi della loro vita. Sono loro perbacco che devono riuscire a sapere cosa vogliono e cosa fare per ottenerlo.
L’unica cosa che so è che Desirée non può avere Dedo, per un semplice motivo; Dedo è fatto di carne e di ossa, lei solo di pensiero.
“Cosa posso fare?” mi dico rigirandomi un biscotto tra le mani, più tardi, seduta al tavolino davanti una tazza di caffè “Non so davvero che posso fare e come posso aiutarli! Se almeno Solo con un cavallo non fosse sempre così collerico e non sparisse ogni volta che cerco di sapere qualcosa di più di lui,….se…..”
“Lara mi senti? Ti ho chiamato almeno dieci volte, ma sembri diventata sorda!
Apro completamente gli occhi e mi volto verso la voce che mi ha chiamato, stupita, perché Solo con un cavallo, stamani ha la voce decisamente tranquilla…anche una bella voce devo dire!
“ Ciao, scusami, ma ero immersa nei miei pensieri e non ti ho sentito proprio!”
“Però mi hai pensato e anche parecchio perché sono dovuto tornare indietro di molti chilometri per raggiungerti. Che c’è Lara?” mi chiede gentilmente
“Senti Solo con un cavallo, ….e ti prego non ridere se ti chiamo così, perché la colpa è tua che non vuoi dirmi chi sei, quindi falla finita e ascoltami!”
“Sono qui a tua disposizione mi pare…allora dimmi!”
“Bene! Se proprio lo vuoi ecco! Ieri sera Desirée con due e, è venuta a casa mia e si è incontrata con Dedo, ha cantato con Dedo, è uscita con Dedo e…”
“Ma sei impazzita Lara? Perché hai permesso che Desirée entrasse in casa tua? Perché l’hai pensata intensamente? Perché le hai dato la possibilità di uscire con Dedo? E più che altro dove è ora?
“Non ne ho la minima idea…”rispondo abbattuta. Ti pareva che non fosse colpa mia?
“Lasciamo stare….e più che altro cerchiamo di rimediare! Ma tu di qui in avanti mi devi promettere di fidarti di me e di fare quello che ti dirò. Io devo ritrovare in tutti i modi la mia principessa, perché lei e solo lei è la donna della mia vita….hai capito?”
“Certo che ho capito” rispondo con una strana soggezione. L’uomo che mi parla in questo momento ha ben poco di tenero, ma da lui scaturisce un’autorevolezza, che mette a disagio
“Bene Lara” riprende più addolcito “a questo punto è bene che tu sappia chi sono io”
“Sarebbe l’ora” rispondo senza riuscire a trattenermi.
Solo con un cavallo sorride tranquillamente e riprende:
“Ascolta! Io sono Amhed Hassan Ben Jor, e sono un principe di Dubai. Le mie ricchezze sono immense e le mie proprietà hanno confini talmente estesi che neanche io li conosco tutti. Sono stato un privilegiato della vita ma non ho potuto avere l’unica cosa che desidero più di tutto al mondo: l’amore di Jasmyne, o di Desirée come lei vuole che si chiami. Desirée è davvero una principessa ma è anche una ragazza del suo tempo e non accetta di sposarmi solo perché mi era stata promessa in sposa. Lei so che ha sempre detto che dovrà amare l’uomo della sua vita e io le do ragione. Noi non ci siamo mai visti, io l’ho sentita solo cantare e già la sua voce è bastata per farmi innamorare di lei. …..e vorrei che anche lei si innamorasse di me, ma non del principe Hamed, ma soltanto del ragazzo che sono anch’io, nonostante tutti i miei blasoni e le mie ricchezze…….è chiedere troppo?” finisce sospirando
“No, non mi sembra” rispondo dolcemente “Ma dimmi! Come avete fatto a finire nel mio quadro?”
“Questo non lo so davvero” finalmente Solo con un cavallo Hamed Hassan Ben Jor, ride di gusto e alla fine anch’io non posso fare nient’altro che unirmi a lui “Però penso che la tua immaginazione abbia una parte importante in tutta questa vicenda!”
“E ora che facciamo? Sai devo pensare che di mezzo c’è anche Dedo, il quale poverino, non sa proprio niente di tutta questa storia!”
“Lascia fare a me Lara e tu per piacere limitati a fare la parte pratica di ciò che ti dirò. Dunque per prima cosa devi riuscire a richiamare Desirée qui. Le parlerai della sua voce, di quanto sia bella e che ti è venuto in mente che conosci un locale dove cercano voci nuove….che forse lì riuscirà a cantare e a farsi scoprire da qualcuno che conta. ….No! Non ti preoccupare! Il locale è mio e non ci saranno problemi. Al resto penso io. Naturalmente invita anche Dedo, per le otto di domani sera. Il locale si chiama Madison Inn……”
“Cosa?! “ strabuzzo gli occhi affascinata. Il Madison Inn è il posto più prestigioso dell’intera contea, ma che dico! dell’intero paese e so che è frequentato solo da persone dell’alta società.
“Sì! Hai capito bene!” mi interrompe Solo con un cavallo senza battere ciglio
“Ma non so se io sarò all’altezza di un simile posto!”
“Certo che lo sarai! Anche perché ti andrai a comprare il più bel vestito da sera che troverai e ne comprerai uno altrettanto bello per Desirée….Non ti preoccupare! Vai allo Chaperon e segna sul mio conto. Non ci sarà neanche il minimo problema! Farai queste cose per me? ……E per Dedo?” aggiunge sghignazzando
“Ok” una volta tanto sono senza parole. Mi devo completamente riavere dalla sorpresa e ho la testa piena di nuvole.
“Bene! Allora comincia a pensare a Desirée e speriamo che non ci faccia aspettare troppo……Mi raccomando! Acqua in bocca. Desirée non deve sapere chi sono io”






Ecco fatto! Mi stiracchio in poltrona guardando compiaciuta il vestito color acquamarina che fa bella mostra di sé, spenzolando da una gruccia appesa alla porta. Possibile che riesca a trattare così un simile capolavoro?. E’ possibile, è possibile, mi dico sospirando. Il vestito è bello è vero, ma a me non interessa per niente. E’ soltanto qualcosa che mi serve per portare avanti il mio progetto.
Poi il mio pensiero vola a ieri e a Desirée. Non è stato necessario andarla a cercare e fare in modo che tornasse qui, no davvero! Sorrido con tenerezza ripensando alla scampanellata che ha interrotto il mio sonno e più che altro sorrido con tenerezza rivedendo l’immagine della ragazza che si è presentata davanti a me. Desirée con due e non aveva proprio niente della bella principessa arrogante, era solo una normalissima ragazza inzuppata di pioggia, che si era improvvisamente trovata a contatto con la vita reale e aveva deciso che non è che poi le piacesse tanto.
“Posso entrare Lara?” mi aveva domandato con voce quasi dimessa.
Le avevo fatto un cenno di assenso, senza proferire parola. Qualcosa mi diceva che non ci sarebbe stato bisogno di incoraggiarla a parlare. Cosa che lei fece immediatamente.
“Che esperienza terribile!”
A quel punto l’avevo interrotta spaventata “Vuoi dire che Dedo?......”
“Macché Dedo! Oh Lara! Sono proprio una sprovveduta! Ieri sera, l’unica cosa che volevo era trovare un posto per nascondermi, in modo che Dedo non si accorgesse che in fin dei conti non esisto, non almeno nella vostra dimensione. Speravo fortemente che tu continuassi a pensarmi fino al momento in cui avrei potuto infilarmi da qualche parte, e tu evidentemente l’hai fatto, e anche molto più a lungo di quello che mi avevi promesso, perché nonostante tutti i miei sforzi, anche dopo che ho salutato Dedo e mi sono infilata nel primo atrio di un albergo, non sono riuscita a tornare nel mio palazzo di cristallo”.
E poi che è successo?” ho domandato incuriosita
“Sono rimasta lì il tempo sufficiente perché Dedo se ne andasse senza insospettirsi, dopo di che sarei uscita tranquillamente anch’io, ma portiere mi si è avvicinato e mi ha domandato cosa desideravo……..lo so che è brutto da dire, ma gli ho risposto che ero una cliente del loro Hotel, ma evidentemente non sono stata molto convincente, perché mi ha chiesto i documenti ….e io, dimmi te, come potevo darglieli se non ce l’ho? Se non sono segnata a nessuna anagrafe? Se non esisto?” la voce di Desirée cominciava a incrinarsi e allora le avevo domandato in tutta fretta:
“E poi che è successo?”
“cosa vuoi che sia successo?....... gli ho ho risposto che li avevo lasciati in camera, ma lui non ci ha creduto neanche per un attimo e ha detto che avrebbe chiamato la polizia per cui sono scappata ovviamente, con tutta la velocità che consentivano le mie gambe e neanche a farlo apposta, si è messo a piovere, per cui mi sono tutta infradiciata e allora ho pensato che l’unica cosa che potevo fare era quella di tornare da te…ed eccomi qui” ha terminato con un sospiro profondo.
L’ho guardata con gli occhi non proprio di una madre, questo no, ma di una sorella maggiore senz’altro, anche se di una sorella maggiore un po’ scriteriata.
“Dai, non te la pendere, vedrai che tutto si sistema. Tra l’altro devo darti una bella notizia…..”
“Che cosa? Quale bella notizia? “ lo sguardo di Desirée è tornato immediatamente vivido e curioso “Dai Lara! Non farmi stare sulle spine. Qual è questa bella notizia?”
Prendo un attimo di tempo, cercando di capire tra me e me, se quello che sto per dirle, sia proprio una cosa buona, o l’ennesimo pasticcio nel quale vado a infilarmi.”Sii prudente Lara” mi dice una vocina lontana, sempre presente e mai ascoltata. Purtroppo sono impulsiva, lo so, e non riesco a curarmi da questa malattia che in qualche caso può diventare anche una cosa grave. Pinocchio docet!
“Siamo state invitate in un locale, il Madison Inn,… figurati, gestito da un mio amico,… perché tu possa esibirti insieme a Dedo, per un’anteprima della sua musica” ho buttato là tutto d’un fiato. Ormai è fatta. Indietro non si torna, né Desirée mi permetterebbe più di farlo, da come mi si è buttata addosso facendomi mille domande. Come, quando, perché, dove, con chi?
“Ormai è fatta- mi sono detta rassegnata, ma anche un pochino soddisfatta della piega avventurosa che stanno pendendo gli avvenimenti – del resto potevo forse non dare una mano a Solo con un cavallo? Oddio! Come ha detto di chiamarsi? Mi pare Hamed Hassan ben Jor? Non ne sono sicurissima e comunque per me rimarrà sempre Solo con un cavallo” i miei pensieri sono talmente lontani da tutto ciò che è presente che non ho sentito per lungo tempo Desirée che mi chiamava sempre più stupita al mio silenzio.
“Che c’è?” improvvisamente riscossa dal tono della sua voce sempre più stridulo, quasi allarmato. Ma qualche volta potrò essere lasciata in pace a seguire i voli dei miei pensieri? Evidentemente sembra di no.
“Ma Lara, che mi metterò? Non ho niente a indossare e immagino che per andare in un simile locale, ci voglia un abito da sera….o mi sbaglio?”
“No mia cara non ti sbagli e se chiudi un attimo gli occhi ti materializzerò l’abito più bello che tu abbia mai visto”
“Come è possibile?”
“Ti fidi di me Desirée?” l’ho provocata perfidamente
“Beh insomma……abbastanza Lara, ma non del tutto….ecco proprio del tutto no, devo dire!” Desorée è un po’ confusa mentre mi dice queste parole, ma io mi sto divertendo un mondo perché improvvisamente so di avere il coltello dalla parte del manico. L’ambizione di quella ragazza è senza limiti. So che farebbe di tutto per avere l’abito più bello del mondo e so che lei sa che io lo so.
“Bene! Io di te invece non mi fido per niente. Ne ho avuto la prova l’altra sera con Dedo. Non hai esitato un attimo a rimangiarti la parola che mi avevi dato e mi hai costretto a metterti con le spalle al muro. Ora te lo dico prima che tu possa fare qualche altra sciocchezza. Devi lasciare in pace Dedo, hai capito? Perché nel caso tu non avessi capito, sappi che se vedo qualche cosa di storto, non esiterò un attimo a dire chi sei, anche se sono sicura che dopo mi metteranno una camicia di forza!” Sorrido mentre le dico queste parole, perché vedo la sua espressione cambiare repentinamente fino assumere un’espressione di bambina sola, senza nessuno che la possa sostenere. Mi sento cattiva e ingiusta verso di lei, anche perché mi sto accorgendo che le voglio bene…però voglio più bene a Dedo….Dedo è il mio migliore amico, anche se è un amico salame a tal punto da non accorgersi che Desirée è perlomeno una persona strana, senza vissuto, senza consistenza. Potere della bellezza delle principesse!
“Hai capito? Voglio la tua promessa, come io ti ho dato la mia!” ripeto con durezza
“Va bene Lara. Stai tranquilla. Farò quello che vuoi” mi risponde rassegnata solo per un secondo perché immediatamente dopo i suoi stupendi occhi sfavillano e:
“Ora posso vedere il mio vestito?”
“Ok – rispondo laconica – vieni con me”





Sono pronta! Desirèè è ancora in bagno che si fa la doccia, ma io sono già pronta, come se non avessi aspettato altro per tutto questo tempo di indossare il mio abito da sera. Mi guardo lungamente allo specchio e ammetto con me stesa di essere piuttosto carina. Unico inconveniente: le mie scarpe con un tacco vertiginoso e una punta che sembra uno spillo. Resisteranno i miei piedi abituati a tranquille scarpe da tennis a una simile tortura? E più che altro, riuscirò a camminare normalmente o sembrerò una di quelle persone che vanno sui trampoli ?
Mi arrischio timidamente a fare un passo e mi accorgo subito con orrore, che riuscirò a fare una figura ridicola senza metterci il minimo impegno. L’impressione che do è quella di un’imbranata che cammina su un tappeto di uova fradice.
“Al diavolo! E ora come faccio?” domando allarmatissima alla mia immagine, che non sa cosa rispondermi, lo vedo benissimo. Il mio sguardo corre fuggevolmente in cerca di soccorso fra le mie tante scarpe, ma non c’è niente da fare. E’ impensabile che possa mettere un paio di scarpe con le stringhe con un vestito diafano color verde acqua.
“Io non ci vado ecco! Resto a casa e chi si è visto si è visto. Che si arrangino da soli. Sai che faccio? Vado a letto e non ci penso più! Dedo si arrangerà e imparerà a tirarsi fuori dai guai da solo….e se poi non ci riesce…..affari suoi…….vuol dire che continuerà ad andare dietro a un miraggio. In quanto a Desirée, per me ci può aggiungere altri venticinque e al suo ridicolo nome, tanto continuerà a non esistere e Solo con un cavallo….beh! Solo con un cavallo mi sembra che se la sappia cavare bene anche da solo, tanto per rimanere in tema…..Basta vado a letto!” e mentre lo dico mi tolgo quelle deliziose scarpette, torture indicibili per i miei piedi, facendole volare il più possibile lontano da me.
In quello stesso istante un ricordo attraversa fulmineo la mia testa. Le pantofoline da notte! Ma sì! Le pantofoline da notte in raso verde…..guarnite di leggerissimi strass…..con quel piccolo tacco….ma sì! Ma sì! Le odiate pantofoline verdi, dono inutile di mia zia Cloe, dimenticate da anni nella scatola, dentro l’armadio……..forse saranno la mia salvezza…..perché in fin dei conti io ci voglio andare in quel locale e voglio anche divertirmi!
Mi arrampico verso lo sportello alto dell’armadio, col rischio di inciampare sul mio lungo vestito, ma ormai non mi ferma più nessuno. Tiro fuori scatole, scatoline, borse, plaid, e tante di quelle cose che non sapevo più di avere, finché le mie mani frettolose non incontrano una scatola azzurra. Eccola! E dentro, le mie pantofoline che ora mi sembrano bellissime, perfette, degne di Cenerentola quando andò al ballo del Principe azzurro.
Un attimo dopo sono nei miei piedi e guardo il risultato. Stupefacente. Non sono più pantofole, ma scarpette da sera per un’occasione speciale. Cara zia Cloe! Come ho fatto a dire sempre che eri insopportabile? Sei un angelo invece, un angelo mandato dal cielo!
Ecco sono pronta. Ora posso andare da Dedo che mi aspetta nell’unica, impagabile, insuperabile stanza della mia abitazione, oltre la mia camera …naturalmente.
Appena entro il suo sguardo corre sul mio vestito e un sorriso stupito appare sul suo volto! Poverino! Non c’è abituato a vedermi in abito da sera…anzi per meglio dire non è proprio abituato a vedermi con nessun abito. Sono sempre in jeans o al massimo in qualche tutina colorata, il massimo della mia frivolezza. Devo proprio sembrargli un’altra persona, cosa che si affretta a dire senza il minimo tatto
“Ma Lara, lo sai che quasi quasi non ti riconoscevo? Sembri proprio un’altra vestita così”. Non so perché ma mi sembra abbastanza interdetto. La cosa mi innervosisce immediatamente e mi fa ribattere aspramente
“Hh sì? Anche tu, in smoking hai tutto un altro aspetto… che ti credi?”
“Insomma volevo dire che a essere sincero…ti preferisco molto di più come sei sempre. Mi sembri un’estranea e per di più un’estranea straniera”
“Hai nient’altro da dire? ….Certo non che mi aspettassi dei complimenti, questo no, ma almeno pensavo che un minimo di delicatezza l’avresti avuta……invece non riesci mai a stare zitto e farti gli affari tuoi vero? Se volevi rovinarmi la serata ci sei riuscito. Sei contento ora?...E pensare che tutta questa mess’in scena l’ho fatta per……” mi tappo la bocca appena in tempo, ma non tanto da fargli ribattere
“Quale mess’in scena?” la sua espressione è interrogativa, ma il suo volto è sereno come al solito e guardandolo mi dico che è giusto mantenerlo così.
“Niente.. Cose mie. Non potresti capire”
“Forse no, ma mi sembra che da qualche giorno di cose tue ne hai un bel po’….o mi sbaglio?
Alzo le spalle senza rispondere niente e fortunatamente in quel momento Desirée esce dalla camera da letto abbigliata di tutto punto ed entrambi restiamo ammutoliti a guardarla.




Finalmente a casa! Non pensavo che una serata potesse essere tanto bella e tanto lunga, ma così è stata, me lo dico anche ora mentre ripenso a tutti gli avvenimenti che si sono succeduti, dandomi continue scariche di adrenalina non richiesta.
Il Madison Inn non è un locale di lusso, nel senso comune della parola, ma molto, molto di più, e il suo non è un lusso ostentato e appariscente, ma di una raffinatezza incredibile e affascinante.
“E pensare che io sono venuta in un posto come questo in pantofole” dico sghignazzando tra me e me, ma quasi istintivamente ritiro i miei piedi sotto il vestito, cercando di nasconderli il più possibile. Del resto neanche Dedo è molto a suo agio nel bellissimo smoking, che lo rende decisamente attraente. Me ne accorgo da come lo guardano tutte le ragazze che sono già sedute ai tavolini illuminati da lampade che diffondono una luce discreta e calda. Anche lui se ne è reso ampiamente conto, ma ciò anche se forse lo lusinga, lo imbarazza, lo vedo benissimo e non sa dove guardare.
Desirèe con due e è l’unica che sembra non far caso a tutto ciò che le circonda. E’ come se lei fosse abituata a vivere tutti i giorni in ambienti come quelli e la sua disinvoltura è naturalissima. Del resto non ha nessun bisogno di sentirsi in qualche modo a disagio, perché in tutto il locale non c’è nessuna bella come lei né altrettanto affascinante. Anche il modo che ha di sorseggiare il Martini che un cameriere ci ha portato è affascinante e io continuo a domandarmi da dove venga questa principessa sconosciuta.
A un tratto la vedo cambiare espressione e guardare attentamente verso il giardino ricco di fiori e di piante stupende. Seguo il suo sguardo e….
“O perdindirindina!” mi scappa detto, ma Desirée neanche se ne accorge e continua a guardare l’incredibile scena che si presenta ai nostri occhi.
Anche Dedo, nonostante la sua distrazione perpetua, sembra essersi accorto che i nostri occhi sono stati catalizzati da qualcosa là fuori e comincia a guardare anche lui con interesse.
Un cavaliere a cavallo si sta muovendo con passo sicuro sul bordo dell’enorme piscina e la scena ha qualcosa di misterioso e conturbante, illuminata da una luna che si riflette sui vestiti neri del giovanotto che in questo momento con mossa elegante scende dal suo destriero e si avvia verso il salone.
“E meno male che voleva presentarsi come un ragazzo come tutti gli altri!” borbotto tra me, mentre Solo con un cavallo, alias principe Amedh Hassan ben Jor, si dirige senza gettare uno sguardo verso di noi, a un tavolo poco distante dal nostro. Ma per quello che riguarda Jo, niente a ridire. Non sembra nemmeno più quell’essere che cercava disperatamente qualcosa da mangiare nel mio deserto desertico. Il suo aspetto è splendente, il suo pelo lucidissimo, l’incedere elegante, la testa nobile e fiera, anche se qualcosa nella sua espressione mi dice che ha fiutato l’odore del wisky.
“E ora che succederà?” mi chiedo con apprensione. Fino a quel momento la serata aveva avuto un andamento normale, anche se fin al nostro ingresso in sala, un signore in smoking si era avvicinato per salutarci e per dirci che tra non molto Desirée e Dedo sarebbero stati chiamati per eseguire la loro performance. Ci aveva anche informato che nei primi tavolini erano seduti impresari teatrali e discografici e il nostro sguardo si era posato su alcuni volti noti dello spettacolo. Io mi ero sentita elettrizzata stranamente innervosita, mentre Dedo e Desirèè erano rimasti imperturbabili e avevano entrambi assentito con un cenno di capo.
“Sembra che la cosa neanche vi riguardi!” avevo esordito non appena seduti al nostro tavolino “Sono più eccitata io di voi e…” mi ero interrotta immediatamente, perché una strana espressione della bocca di Dedo mi aveva colpito. Dedo ha quell’espressione solo quando è estremamente teso e preoccupato, cosa che fortunatamente gli capita così di rado, che è difficile anche ricordarselo, ma io lo conosco da troppo tempo ormai e non me la fa.
“Ha una fifa incredibile!” mi dico stranamente contenta. Non so perché ma provo un sadico piacere nel constatare che la proverbiale tranquillità di Dedo si è infranta. Me lo fa apparire un po’ più umano. Non conosco abbastanza Desirée per sapere cosa le passa per la mente, ma improvvisamente è diventata molto silenziosa e lontana da noi, per cui penso che anche lei non sia così tranquilla come vuole far credere.
A quel punto penso che la cosa migliore sia quella di farmi i fatti miei e di lasciare quei due immersi nei loro rispettivi pensieri. Del resto è anche comprensibile che sia così. Non capita tutti i giorni che qualcuno suoni e canti davanti a personaggi che potrebbero decidere del loro avvenire. Poi improvvisamente mi sento avvampare e un grande senso di colpa mi invade da capo a piedi, fino alla cima delle mie pantofoline , perché solo allora mi rendo conto che mentre avevo detto a Desirée che avrebbe avuto quell’occasione unica, a Dedo non avevo detto proprio un bel niente e non perché non volessi farlo, ma perché me ne ero semplicemente dimenticata.
“Bell’amica che sono!” mi rimprovero mentalmente “butto il mio migliore amico nella fossa dei leoni e non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di avvertirlo!!” Non so cosa farei per poter rimediare al mio comportamento superficiale e mi appresto ad aprire bocca per chiedere scusa a Dedo, ma lui mi batte di un secondo e rivolgendomi il solito sorriso mi dice:
“Grazie Lara per non avermi detto niente. Tu mi conosci davvero bene! Sapevi che non avrei avuto mai il coraggio di venire qui vero? Così invece è un’altra cosa e non mi rimane da fare altro che ringraziarti per l’amicizia che mi dai e per capirmi così bene”.
Mi sento sollevata e bastonata allo stesso tempo. Sono davvero una bella amica! Niente da ridire. Ma il fatto di essermi salvata in corner e di aver fatto una bella figura invece di quella meschina che avevo temuto, improvvisamente mi fa sentire molto buona, per cui sono ipocritamente sincera quando candidamente rispondo.
“Sennò gli amici che ci stanno a fare?”
Poi il momento della tanto attesa esecuzione pubblica arriva, senza che noi ci si aspettasse.
Improvvisamente un bellissimo tendone di velluto rosso, che io stupidamente pensavo coprisse una serie di finestre, si apre con studiata lentezza, inseguito da una luce deliziosa piena di stelle e un favoloso palcoscenico si rivela in tutta la sua imponenza, sapientemente illuminato. Al centro un grande cubo di cristallo trasparentissimo, brilla dei mille colori che si riflettono dai faretti.
Più spostato a sinistra un pianoforte con una coda lunghissima si mostra in tutta la sua classica eleganza.
Mi giro leggermente per guardare Dedo, e vedo i suoi occhi spalancati fissi sul bellissimo strumento. In lui è scomparsa ogni forma di timidezza e di ritrosia. Il disagio se ne è andato alle ortiche e resta solo il desiderio di passare le dita delle sue mani affusolate su quei tasti eburnei.
Desirée ha gli occhi brillanti come due stelle e anche lei è già entrata nel ruolo artistico che le si adatta come una seconda pelle. E’ bellissima e consapevole di esserlo.
“Ho il piacere di presentarvi il Maestro Donati e la Principessa Desirée, due nuovi talenti musicali, che stasera ci onorano della loro presenza e che eseguiranno per noi “Piccolo fiore”, scritta e musicata al maestro Donati.”
La voce del presentatore mi riporta istantaneamente alla realtà e mi appresto ad ascoltare la loro performance, incrociando i piedi, visto che non poso incrociare spudoratamente le dita della mano. Altrimenti il bon ton dove andrebbe a finire?
Dedo e Desirée si sono già avviati verso il palco, perfettamente padroni di sé. “Possibile che siano le stesse persone di cinque minuti fa?” Mi chiedo allibita. Chissà perché, ma mi volto a cercare Jo! Ci sarà ancora? O sarà tornato nel deserto del quadro a brucare le erbe sconosciute che vi ho dipinto? Non so perché ma mi sembra che sia tra tutti noi quello più presente a se stesso, il più giudizioso, quello che sa prendere la vita come viene, senza porsi tante domande. Fortunatamente Jo è ancora lì, sul bordo della piscina e se non ho le traveggole, mi sembra chiaramente di vedere che incrociate le zampe anteriori una sull’altra, si è appoggiato comodamente a un lampione, in attesa di ascoltare la voce e la musica dei nostri amici. In bocca ha un sigaro, dal quale escono leggere volute di fumo.
“Ma te guarda questo farfallone!” mi dico divertita e stranamente rilassata dal suo atteggiamento. Del resto Jo non può più stupirmi. Se può ridere, può anche fumarsi un sigaro!
I ragazzi sono pronti e la voce di Desirée, comincia a riempire la sala con tutta la sua morbidezza. La guardo attentamente, come non mi era capitato di fare per tutta la serata. Il suo vestito è stupendo, tutto di fili argentati che si drappeggiano sul suo corpo in morbide onde, i suoi capelli neri, sciolti sulle spalle nude, l’avvolgono come un mantello e l’effetto regale misterioso e esotico, non sarebbe maggiore se avesse una corona di brillanti in testa.
Poi la musica di Dedo e le parole della canzone mi afferrano come già avevano fatto la prima volta che le avevo sentite e mi sembra che nella sala il grande silenzio che è sceso, non sia solo frutto di buona educazione, ma di interesse genuino, di coinvolgimento. Desirée canta:
“….sono solo un piccolo fiore, un fiore profumato, nato un giorno nel deserto della tua vita. ………non lasciare che il sole mi bruci, ma annaffiami con gocce di rugiada ….e io profumerò sempre per teeeeeee……..” getto di sfuggita uno sguardo a Solo con un cavallo, che seduto al suo tavolino fissa intensamente Desirée, incurante di tutto e di tutti.
Ma anche Desirée sembra non avere occhi che per lui e le prole della sua canzone sono solo per lui, si vede chiaramente. E’ come se tra di loro si fosse creato un filo invisibile che li avvolge sempre più strettamente e il resto del mondo non sembra più esistere.
“Come sono contenta! Come sono contenta!” Mi dico mentalmente. Possibile che Solo con un cavallo sapesse davvero che sarebbe accaduto così? Da come stanno andando le cose sembrerebbe proprio di sì. E Dedo?
Sposto lo sguardo sul mio amico che in maniera magistrale sta concludendo gli ultimi accordi su quel pianoforte che forse ha sognato per tutta la vita. Il suo viso completamente disteso, il suo sguardo trasognato e il ciuffo ribelle dei suoi capelli che sono scesi sulla fronte, lo rendono finalmente il Dedo di sempre, l’amico che conta, quello che sa di me molto di più di quanto ne sappia io. E’ la musica il grande amore di Dedo.
“Ma non potrà mica vivere sempre per la musica!” mi dice una vocina piccina dentro di me.
“Lo so, stai un po’ zitta per piacere, quando sarà il momento ci penserò io a trovare la moglie adatta per Dedo. Ora lasciamogli questo momento di gloria”.
Lo scroscio di applausi che segue l’ultima nota che si è dispersa fino al soffitto, suggella il loro trionfo ed entrambi sono radiosi… e io più di loro.
Quando tornano al tavolo mi complimento con Desirèe, perché ha veramente cantato in maniera superba.
“Grazie Lara!” mi risponde con semplicità, ma il suo sguardo si volge furtivamente a cercare una persona che somiglia tanto a un bel cavaliere vestito di nero. Dove sarà andato a finire Solo con un cavallo? Il suo tavolino è vuoto e guardandomi intorno non riesco a vederlo.
“E ora che succederà?” mi chiedo nuovamente allarmata
“Che ne dici Lara? Siamo andati bene?”Dedo è improvvisamente davanti a me riprendendo tutta la mia attenzione
“Siete stati superbi e io sono orgogliosa di essere tua amica” rispondo raggiante
“Ora ti devo lasciare per un attimo. Vedi quei signori laggiù? Sì, quelli seduti al tavolino…Mi hanno domandato di raggiungerli perché devono parlarmi di affari…Speriamo bene Lara…..ho un po’ di fifa!”
“Ma vai! Vai tranquillo. Ti hanno chiamato loro, mica sei andato a cercarli tu! Quindi vuol dire che sei piaciuto. Ma a proposito! Deve venire anche Desirèe con te?” chiedo interessata
“A me non hanno detto niente….ma senti, non ti sembra che Desirée sia un po’ strana questa sera? Sembra che non le interessi niente del successo che ha avuto…ed è sempre come se aspettasse qualcuno. Anche ora guarda….non vedi come è distratta?”
“Sai Dedo quale mi sembra la distrazione di Desirée? Nooo?! Lo vedi quel bel ragazzo tutto vestito di nero….sì, quello che prima è arrivato con quel cavallo? ….Ecco è lui la distrazione di Desirée. Non hanno fatto altro che guardarsi per tutta la serata e Desirée sembrava cantare solo per lui.”. mi sento un po’ in colpa per aver svegliato così bruscamente Dedo dai suoi sogni, però mi sembra che lui, o non si è svegliato, o non da molta importanza a quello che gli ho detto, infatti, mi risponde con molta tranquillità:
“Ah sì? Mi sembra che sarebbero davvero una bella coppia!”
“Ma Dedo….non ti interessa che a Desirée piaccia un altro ragazzo?”
“Ma non è mica la mia ragazza!” mi risponde stupito. E’ proprio vero che io gli uomini non li capirò mai. Fino a stasera sembrava completamente perso dietro a lei e ora si permette anche il lusso di mostrarmi una faccia sorpresa!
“Ma! Se lo dici tu!” preferisco non insistere. Forse sta semplicemente cercando di salvare il suo amor proprio.
“Bene! Allora io vado!Non mi dici in bocca al lupo?”
“Sì certamente. In Bocca al lupo Dedo!” rispondo sbrigativamente allontanandomi da lui, perché con la coda dell’occhio ho visto Solo con un cavallo che si sta avvicinando a Desirée e sono letteralmente curiosa di vedere cosa succederà.
E’ la prima volta che i due si parlano e Desirée è completamente ignara dell’identità del bel giovane che ha davanti a sé.





Il giorno dopo una bella serata trascorsa in modo particolare, sa di rimpianto fin dalla primissima mattinata. Infatti mi sono appena alzata ma sento che oggi sa di grigio. Neanche la mia casa per la quale in genere stravedo, e nella quale sto così bene, da allontanarmene sempre con disappunto, stamani non mi convince.
Del resto il posto che ho visto ieri sera era così perfetto che forse anche una reggia scomparirebbe al suo confronto, le persone e le situazioni che mi si sono presentate così interessanti, che stamani tutto mi sembra scialbo e scolorito.
Anche la fotografia di Dedo mi appare con una patina malinconica!! Già! A proposito di Dedo, chissà come sta? Mica l’ho bevuta la storia della bella coppia e del come stanno bene insieme. Magari ieri sera dopo che mi ha riaccompagnato a casa è andato a prendersi una salutare sbornia per dimenticare. Scuoto il capo e sorrido tra me e me! Dedo non è il tipo di queste cose. Mai e poi mai farebbe una cosa simile. Credo che in vita sua non abbia bevuto niente di più alcolico di un’aranciata. E Desirée che fine avrà fatto? Quando ci siamo alzati per uscire dal Madison Inn, con molta decisione mi ha informato che si sarebbe trattenuta ancora un po’ e io non ho insistito perché venisse con noi, ma ora sono curiosa di sapere che piega ha preso la serata e come se l’è cavata Solo con un cavallo! E Jo, dove sarà Jo? L’ultima volta che il mio sguardo si è posato su di lui, un cameriere stava servendogli un wisky in generose proporzioni, come se fosse una cosa naturalissima e lo facesse tutte le sere.
“Il che potrebbe essere anche vero! In fin dei conti il suo padrone non è il proprietario del Madison…..?”
Drinnn! Drinnnn!
Ma chi è a quest’ora? E di domenica mattina poi!. Ma già mentre mi avvio per andare ad aprire la porta credo di sapere con una certa sicurezza che si tratta di Desirée. Del resto l’ho pensata così intensamente che se anche non ne aveva voglia deve venire per forza.
La ragazza che si presenta sulla porta ha due occhi così sognanti e così radiosamente felici, che fatico a ritrovare in lei la stessa persona imbronciata che ho conosciuta quando è uscita come un ciclone dal suo palazzo di cristallo.
Non faccio in tempo ad aprire bocca che dietro di lei si materializza Solo con un cavallo, con un’espressione più o meno uguale, ma forse un tantino più idiota.
“Ciao Lara, scusa se sono venuta così presto, ma non resistevo più………indovina che ti devo dire?” conclude precipitosamente
“Non saprei…….”perché non lasciare a lei la gioia della risposta?
“Mi sono innamorata Lara, ci siamo innamorati….e volevo tu fossi la prima a saperlo. Non credevo fosse possibile un amore così intenso. Ci credi ai colpi di fulmine Lara?”
“Non lo so…non li ho mai sperimen…..”comincio a dire, ma lei mi taglia immediatamente la parola
“Io sì, io sì, ed è una cosa bellissima. Ho trovato l’amore e non intendo lasciarmelo scappare per nessuna cosa al mondo”.
“E la tua carriera di cantante?”
“Non me ne importa più…canterò per lui…”
“E la tua voglia di essere una ragazza moderna e senza legami?”
“Che cosa assurda! Quello andava bene prima che conoscessi Raul……a proposito questo è Raul, studia legge, ma gli mancano pochissimi esami per laurearsi, dopodiché ci sposeremo” conclude festosamente in un turbinio di parole e di gesti
Guardo Raul Solo con un cavallo Hamed Hassan ben Jor e ammetto di non capirci più niente. Lui se ne accorge e mi viene in aiuto
“Piacere Lara. Anch’io credo nei colpi di fulmine e credo che Desirée sia la principessa della mia vita. Tra poco sarò laureato e ci sposeremo. Certo all’inizio non sarà facile, ma io lavorerò….”
“…e io ti aiuterò. Andrò a fare anche i lavori più umili, pur di stare insieme a te per tutta la vita”
Si guardano ed è come se improvvisamente non esistesse più niente al di fuori di loro. Questo è l’amore, l’amore vero, l’amore che cresce anche in un deserto dove un piccolo fiore chiede solo di essere annaffiato un po’ per regalare il suo profumo alla persona amata.
“Proprio come dice la canzone di Dedo” dico tra me e me.
Li guardo e finalmente sento tanta dolcezza dentro
“Amen” concludo filosoficamente
“Domani partiamo…e così sono venuta a salutarti e a ringraziati di tutto, anche delle brontolate che mi hai dato” ha gli occhi un po’ lucidi Desirée, e ho gli occhi un po’ lucidi anch’io
“E…Lara, ti dispiacerebbe darmi qualcosa di tuo perché possa sempre ricordarmi di te?”
“Certamente Desirée, prendi ciò che vuoi, anche se sinceramente non so che cosa posso avere io di interessante da darti”
“Lo so io” e sparisce in un lampo in camera mia
“Lara, ora che sono solo con te, voglio veramente ringraziarti di ciò che hai fatto per noi e più che altro ringraziarti di non aver rivelato neanche ora la mia vera identità. Non ho ancora detto a Desirée chi sono, ma lo farò prima che diventi mia moglie, tra qualche giorno. Per quello che mi riguarda non ti dimenticherò mai…e non ti preoccupare per Dedo! Io non ho potuto fare proprio niente per aiutarlo, perché quegli impresari erano così entusiasti di lui che gli hanno fatto un contratto per dici anni” Solo con un cavallo si è emozionato e gli trema un po’ la voce.
“Ma dimmi…Solo con un cavallo, e Jo?” chiedo improvvisamente allarmata
“Non ti preoccupare! Il vecchio Jo parte con noi e sarà sempre trattato come un principe!”
“Mi hai tolto un gran peso dallo stomaco” dico con un bel respiro
In quel momento rientra Desirée, tenendo in mano le mie pantofoline verdi.
“Voglio queste Lara, perché ogni volta che le calzerò, penserò a te, alla bellissima serata che abbiamo passato e all’amore che ho trovato”.




Gli addii sono sempre addii e non sono mai allegri. Neanche il nostro lo è stato, ma sono contenta che tutto sia andato a finire bene.
Sono usciti da poco e mi sento un po’ triste. Forse sarà meglio mettersi al lavoro e….
“Ci mancava anche il telefono. Chi sarà ora?”
“Lara?”
“Sì. Ciao Dedo!”
“Volevo dirti una cosa stupenda. Non indovineresti mai!”
“”Che cosa?” chiedo sorridendo
“Ho firmato un contratto con una casa discografica per dieci anni. Ma ti immagini?”
“Sono felicissima per te Dedo!”
“E’ tutto merito tuo… Se non mi spingevi a venire a quella festa….!”
“Macché! Sei te che sei bravo!” mi sento molto generosa stamani e poi il merito è veramente tutto suo
“Stasera ti porto fuori a cena,…che ne dici?”
“Perfetto” mi trovo a rispondere
“Ma non al Madison Inn……che ne diresti di una pizza e di una coca?” mi chiede speranzoso
“Direi che va benissimo Dedo! A che ora ?”
“Facciamo alle otto?”
“Ok. Ciao a dopo”
Riattacco e mi guardo intorno, ritrovando lentamente la mia dimensione. Questa è la mia stanza, io sono Lara, dipingo e correggo bozze. La mia vita è questa.
Il mio sguardo cade per un attimo sulla tela di un deserto con al centro un palazzo trasparente a forma di cubo. Non c’è più Solo con un cavallo, non c’è più Jo, non c’è più Desirèè. La favola è finita.
Poi lo sguardo mi cade inavvertitamente su un macchiolina nera proprio ai piedi della porta del palazzo.Apro la bocca per lo stupore. E’ una chiave, una piccolissima chiave nera. Io non l’ho dipinta, ma quella chiave è lì per me. Chi ce l’avrà messa? Chissà! Ma a dispetto di me stessa mi viene in mente il muso sorridente di Jo e anch’io sorrido. Forse un giorno potrei avere il desiderio di entrare dentro il palazzo di vetro a forma di cubo.
La raccolgo e guardandomi intorno, quasi avessi paura di essere spiata da qualcuno, me la metto in tasca…e improvvisamente mi sento bene.



La tenda scorre lentamente rivelando un immenso finestrone dal quale comincia a entrare una luce rosata. Lo spettacolo che si presenta è stupendo. Parigi a quell’ora mattutina è affascinante come non mai.
Il Principe Hamed Hassan ben Jor, si avvicina lentamente al letto dove la sua sposa si sta svegliando.
Ehi dormigliona, ti vuoi decider ad alzarti si o no? Abbiamo un sacco di cose da fare e altrettante da vedere!”
Arrivo, arrivo” risponde Yasmine con voce insonnolita. Che idea è quella di suo marito di alzarsi sempre al chiarore del mattino?
Ma scende immediatamente dal letto e infilando un paio di pantofoline di seta verde con dei piccoli strass si dirige verso di lui non senza il solito piccolo stupore che l’accompagna tutte le mattine quando i suoi piedini entrano nelle sue pantofoline preferite. “Possibile che non mi ricordi dove le ho comprate?”.
Allora andiamo?” incalza lui allegro “Guarda che il nostro viaggio di nozze prima o poi finirà……”
Prima però ti voglio dire di un sogno che ho fatto stanotte!”
Dimmi, sono tutto orecchie”
Pensa,… ho sognato una donna che non so chi sia…non l’ho mai vista in vita mia, ma te la potrei descrivere in ogni più piccolo particolare…..ma la cosa più buffa è che lei non mi chiamava col mio nome quando si rivolgeva a me”
E come ti chiamava amore mio?”
Desirée con due e!”
Il principe non risponde ma sorride, poi si volta verso l’enorme vetrata dietro la quale Parigi si sta svegliando e il suo sguardo si perde nell’aria appena mattutina, là, oltre la tour Eiffel dove un bellissimo cavallo alato volteggia in ardite spirali per catturare i sogni più belli che si innalzano dai tetti di tutto il mondo per arrivare sino al cielo.







A.A.A.A.A. – Cercasi disperatamente e con urgenza “Una moglie per Dedo” .
Chi avesse suggerimenti da dare è pregato di mettersi immediatamente in contatto con me. Grazie
Lara







Una moglie per Dedo


Bene! Non so se qualcuno ha avuto il coraggio di leggere 'Piccolo fiore' e non perché 'Piccolo fiore' non sia carino! Anzi a me sembra proprio una cosina deliziosa, e poi in fin dei conti l'ho scritto io!.....quindi sarebbe come rinnegare un proprio figlio, anche se un figlio un pò particolare.
No! Faccio questa domanda semplicemente perché per leggere roba simile bisogna avere il coraggio di ritrovare la fantasia, di allentare la briglia e lasciarla galoppare fino a dove niente diventa impossibile. E' il coraggio dei sognatori!
E siccome io sogno molto mi è sembrato giusto e doveroso scrivere anche quest'altro racconto, perché Dedo è proprio un tipo simpatico, che però ha bisogno di essere aiutato anche a trovare la moglie adatta a lui.
Quindi chi ancora non ha trovato il coraggio di leggere 'Piccolo fiore' si metta a cercarlo, e quando lo avrà trovato si metta a leggerlo con lo spirito giusto, dopo di che vi assicuro....'Una moglie per Dedo' è tutta una discesa................
Lara carissima,
è da un bel pezzo che non ci sentiamo e ti vorrei aggiornare sulle ultime novità. Finalmente tuo zio Carlo, è andato in pensione, e invece di rintanarci in casa, come inizialmente avevamo pensato e desiderato, abbiamo deciso di comune accordo che è meglio goderci la vita e andare in giro per il mondo. Del resto siamo soltanto lui ed io! Dunque senza stare a pensarci troppo abbiamo affittato la grande casa che tu ben conosci, ci siamo disfatti dei tanti orpelli che si accumulano nell’arco di una vita, con un po’ di rimpianto, ma con la consapevolezza che andiamo a iniziare una nuova avventura. Di una cosa però non sono riuscita a privarmi. E’ una cosa alla quale sono affezionatissima e che ho sempre vista. Addirittura proviene dal mio bisnonno. Ho pensato quindi di regalarla a te, che sei la mia unica nipote, con la preghiera di volerla conservare e tramandare magari ai tuoi figli, se un giorno, a dispetto del tuo caratteraccio, riuscirai a trovare un marito.
Il mio regalo ti sarà consegnato il venticinque ottobre nel primo pomeriggio. Tengo tantissimo a lui e spero che anche per te diventi qualcosa di prezioso. Sono sicura che un giorno, magari lontano, mi ringrazierai di ciò che stai per ricevere.
Ti faremo sapere nostre notizie, ma non mi è possibile darti un nostro recapito, perché neanche noi sappiamo dove siamo diretti. Abbiamo deciso di scegliere i posti in cui andremo, di giorno in giorno.
Un bacio e un abbraccio. Zia Cloe”

Il Vecchio Jo
Mi rigiravo tra le mani la lettera di zia Cloe e una volta di più mi dicevo sorridendo, che la zia non finirà mai di stupirmi.
“Chissà che ci sarà nel pacchetto?” mi domandavo con curiosità malcelata, una curiosità che era aumentata, via via che i giorni passavano. Finalmente era giunto il tanto desiderato momento e guardavo ogni tanto con impazienza l’orologio chiedendomi quando questo desiderato corriere si sarebbe degnato di arrivare.
Eh sì! Perché oggi è il 25 ottobre e io già dalla mattina ho un senso di aspettativa al pensiero di aprire il pacchetto di zia Cloe!! Che ci sarà dentro? Un gioiello? Zia Cloe ne ha tantissimi e storco il naso al pensiero di una delle sue collane.
“I suoi gusti decisamente non sono i miei” sospiro rassegnata
“Ma che fa questo corriere? Possibile che non sono mai puntuali? Aveva detto nel primo pomeriggio e sono già le cinque di sera! E se dovevo uscire? Se avessi avuto un altro impegno?”
Leggo nuovamente la lettera di zia Cloe e mentalmente la ringrazio perché non ha voluto rovinarmi la sorpresa. E se fosse uno dei suoi almanacchi plurisecolari?O quella bellissima statuetta etrusca, molto simile alla sua più celebre cugina detta anche ‘l’Ombra della sera’? E se?....
Drinnnn!! Drinnn! Driiiiinnnnnn!!
“Arrivo, arrivo” Alla fine, persa nei miei pensieri sono stata colta di sorpresa. Mi precipito alla porta apro e,:
“C’è un pacco per lei…..”
“Sì lo so…ma non vi sembra di averci messo un po’ troppo tempo?” ribatto subito acida. Me ne rendo conto, ma è da troppo tempo che sto aspettando
“Mia cara signorina….ci dispiace, ma il suo pacco ci ha dato qualche problemino” risponde il giovanotto che ho di fronte, con pazienza.
“Problemino? E come mai? Un pacchettino che problemi può dare?....A proposito, non vedo nessun pacco. Dov’è?” La mia delusione deve essere molto evidente perché il giovane si appresta a rispondere
“Lo stanno portando su per le scale….ci vorrà ancora qualche minuto. Io sono salito per avvertirla”.
“Scusi, ma non potevate prendere l’ascensore?”
“Magari! No!!...Decisamente nell’ascensore il suo ‘pacchetto’ non c’entrava.” Mi sbaglio o il suo sguardo è già meno amichevole di prima?
“E come mai?” domando allibita
“Forse….è….come dire…..un tantino grosso??!!” azzarda lui in risposta
Ma che fa? Mi prende in giro? Dentro di me sto ribollendo, ma decido di non dargli spago e di rimanere calma e impassibile.
“Ok. Allora aspetto che il mio pacchetto ‘problematico’ arrivi! Pensa che ci vorrà ancora molto?”
“Beh! Credo che in una ventina di minuti riusciremo a consegnarglielo!”
“Oh! Beh! Se è così mi metto l’anima in pace e aspetto!” Forse è meglio assecondarlo. Non si sa mai che tipi ti possono capitare tra capo e collo!
“Sììì? Benissimo! Io allora scendo ad aiutare gli altri” Nel suo viso c’è un evidente sollievo, che non so attribuire a niente. Possibile che anche lui pensi di me la stessa cosa che io ho pensato di lui?”
“Gli… altri?” Sgrano di nuovo gli occhi come una deficiente
“Già…gli altri!” e girando velocemente sui talloni se ne va velocemente.
Non mi rimane altro da fare che aspettare che il mio pacchetto giunga tra le mie mani. Involontariamente il mio pensiero corre alla lumaca di Pinocchio che per andargli ad aprire la porta ci mise tutta la notte.
“Ciascuno ha la propria filosofia….e più che altro la propria concezione del tempo”
Sospiro rassegnata e decido di continuare a correggere le bozze da spedire alla casa Editrice.
Dopo un quarto d’ora le mie attese sembrano essere giunte a compimento. Dall’inequivocabile rumore di passi e di qualcosa che in certi momenti sembra sdrucciolare sul pavimento capisco che il mio pacchetto è arrivato a destinazione e che durante la strada è cresciuto proporzionalmente alla mia attesa e alla mia ansia.
Driiinn! Driiinnn!
Guardo la porta quasi con timore. Che ci sarà là dietro?

Driiinnnn! Driiiiinnnnnnnn!
“Eccomi, arrivo” e apro decisamente, pronta a tutto…..Ma non all’enorme imballo di legno che sta soffocando il mio pianerottolo e le quattro persone che, ansanti, cercano di riprendere fiato.
“Possiamo portarlo dentro?” mi chiede il giovanotto di poco prima, che forse nel frattempo si è reso conto che io sono completamente all’oscuro del contenuto del ‘pacchetto’. Mi guarda, preoccupato dal mio silenzio. Forse teme che mi possa venire un accidente.
“C….certo”. cerco di chiudere la bocca, di riprendere la mia dignità e di togliermi dal vano della porta.
La ‘cosa’, ora appoggiata sulle tecniche ruote di un carrello sofisticato entra agevolmente nel mio salotto sottotetto, riempiendolo totalmente. Io una volta tanto sono rimasta senza parole.
“Lei è la signorina Lara Goldoni….vero?” mi domanda ansioso il giovanotto. Credo che non sarebbe pronto ad accettare un mio diniego. Forse la visione delle scale, tutte in discesa stavolta, gli sta scorrendo davanti agli occhi.
“Sono io!” rispondo rassegnata, rendendomene anche conto.
“Non c’è niente da pagare!” Se pensa che questo mi tiri su di morale, si sbaglia di grosso.
“Ci mancherebbe altro!” dico mentalmente, ma è come se l’avessi gridato perché al ragazzo passa un sorrisino sulla bocca.
“Ora togliamo l’imballaggio, che portiamo via con noi….e lei mi dovrebbe firmare questa ricevuta.”!
“Come? Ah! Sì! Benissimo” e metto il mio sgorbio.
Guardo furtivamente il mio regalo. Ora è proprio mio, l’ho preso in carico e sento già che mi pesa sulle spalle. Sulle assi di legno inchiodate ci sono appiccicate delle targhe con su scritto ‘Fragile’, ‘maneggiare con cura’ ‘la ditta non risponde di eventuali danni’ e altro ancora, ormai destinato a sfuggirmi perché le tre persone che hanno fatto la tredicesima fatica di ercole, stanno liberando velocemente l’oggetto misterioso che vi è celato e dopo tre secondi non mi resta altro da fare che mettermi una mano alla bocca mentre dico con tutto il sentimento che ancora riesco a trovare dentro di me:
“O mamma mia!!!”
Rimango ammutolita con una mano davanti alla bocca e l’altra in testa tra i capelli. Non mi importa nemmeno se lì davanti a me ci sono persone perfettamente estranee alle quali faccio vedere tutto il mio smarrimento.
“Ma……..è enorme!” dico alla fine decidendomi a togliermi la mano dalla bocca per puntare un dito accusatore verso la ‘cosa’, che impassibile rimane lì in tutta la sua pesantezza.
“In effetti signorina – azzarda il giovane lentamente – questo è il pianoforte più grande che mi sia mai capitato di vedere.”
“Ma è enorme!” ripeto nuovamente guardando il mio interlocutore, sperando che mi dica che sto sognando - .enorme….e incredibilmente brutto”.
“Ma no signorina, non è brutto…è…come dire….imponente?” il tono accattivante con cui i dice queste cose mi fa balenare l’idea che si sia impaurito dalla mia reazione e tema che glielo faccia riportare via. In effetti sarei quasi tentata, ma in questo momento non ho neanche la forza di pensare. Tutto il mio cervello è pieno di quel pianoforte nero, da parete, alto quasi due metri, con orribili candelieri, uno per parte.
“Imponente eh? - ribatto acida come ormai non mi accadeva da molto tempo – allora le auguro che le facciano un regalo altrettanto imponente!”
“per carità….ci mancherebbe altro” si lascia sfuggire suo malgrado il giovanotto, poi capisce di avere fatto una bella gaffe e si appresta ad alzare i tacchi per andarsene.
“Bene! Se non c’è altro signorina la saluto” e con un leggero inchino si dirige verso la porta senza aspettare il mio congedo. Mi accorgo solo ora che gli altri si sono defilati ormai da un po’ di tempo. Forse anche loro erano impauriti da un probabile viaggio di ritorno.
Chiudo la porta o meglio sbatacchio la porta e mi lascio cadere sulla mia poltrona che è letteralmente soffocata dall’ingombrante pianoforte
“E ora…dove lo metto?” Mi guardo intorno cercando di dilatare con lo sguardo le pareti del mio quasi appartamento. Per appoggiarlo a una parete devo eliminare diversa roba, ma certo non posso farlo rimanere in mezzo alla stanza!”Va bene! Vuoi la guerra?...E guerra avrai!” dico inviperita rifilandogli un calcio, che ottiene solo lo scopo di farmi fare male al piede. Lui non si sposta neanche di mezzo centimetro. Provo a spingerlo con tutte le mie forze, ma è come se fosse incollato al pavimento. Non c’è niente da fare.
Guardo sconsolata il telefono.
“Bisogna che dica a Dedo di venirmi ad aiutare. Vuol dire che gli preparerò la cena!”.
Compongo il numero e aspetto impaziente. Dall’altra parte il telefono suona e mi preparo a rimanere calma e di aspettare che Dedo si decida a rispondere. A quest’ora è sempre in casa e stasera che ho urgente bisogno di lui non c’è?
“Ma dov’è andato? Possibile che quando uno lo cerca non riesca mai a trovarlo?” sto quasi per riattaccare la cornetta quando una voce strascicata risponde:
“Prontooo?”
“Dedo? Ma dove ti eri infilato? E’ mezz’ora che sono attaccata a questo aggeggio!” gli urlo nell’orecchio
“Scusami Lara, stavo dormendo!” mi risponde tranquillissimo
“Dormendo? Ma ti rendi conto che sono le sei e mezzo del pomeriggio e che è troppo tardi per il pisolino pomeridiano e troppo presto per andare a dormire?”
“Vabbè Lara! Che ci posso fare? Mi è venuto sonno e l’ho assecondato. Ma avevi bisogno di qualcosa per caso?” mi domanda gentilmente.
Quando Dedo è così gentile con me, cosa che capita tutti i giorni, io mi sento un cane e così anche stavolta non mi è rimasto altro che sentirmi un cane e comincio a guaire
“Oh Dedo! Tu sapessi! Mi è capitata una cosa orribile!” e mi metto a piangere
“Che ti è successo Lara?” La voce di Dedo è sinceramente preoccupata
“La zia Cloe…..Ti ricordi la mia zia Cloe, quella che mi regalò le pantofoline verdi che poi io regalai a Desirèe…….”
“Beh! Lara per piacere non cominciare dalla creazione di Adamo ed Eva!”
“Scusami, hai ragione! Insomma mia zia Cloe mi ha mandato un regalo…”
“O bella questa! Tua zia ti manda un regalo e tu piangi? Che eri strana lo sapevo, ma così strana mi sembra veramente troppo!”e Dedo si è messo a ridere dall’altra parte del telefono, facendomi riandare subito in bestia.
“Non capisco cosa ci sia di tanto buffo da ridere. Mia zia mi ha fatto un regalo è vero, ma non entra nemmeno in casa ed è talmente brutto, ma talmente brutto che io….”e ricomincio a piangere ignominiosamente.
“E cosa sarebbe questo regalo così ingombrante e così brutto?” sento che la sua voce è incuriosita
“E’ un pianoforte ecco che cos’è….e non riesco neanche a spostarlo per metterlo alla parete, per cui ti ho telefonato per chiederti se mi vieni a dare una mano e per dirti di fermarti a cena da me!” e concludo tirando su rumorosamente col naso.
Nessuna risposta. Per un attimo penso che sia caduta la linea poi sento la voce di Dedo, vibrante di emozione che dice
“Un pianoforte? Tra due minuti sono da te!”.





Guardo Dedo che è appena arrivato e senza degnarmi di uno sguardo si è diretto verso la ‘cosa’.
“Ma è bellissimo Lara – mi dice estasiato mentre continua ad accarezzare la superficie lucida del pianoforte. Gli gira intorno guardandolo per tutti i versi, si abbassa, si rialza, continua ad accarezzarlo – è bellissimo. E’ un pezzo meraviglioso e credo anche di gran valore!” C’è rispetto nella sua voce mentre guarda quel pezzo unico e io mi ritrovo intimidita mentre il mio sguardo si posa sul regalo di zia Cloe, che sta riacquistando la sua perduta dignità, dalle parole e dalle carezze di Dedo.
“Bisogna trovargli un posto Dedo! Certo non posso lasciarlo in mezzo alla stanza! Penso di trovarti d’accordo almeno in questo” non posso esimermi dall’essere un po’ sardonica
“Certo Lara. Questo è un pianoforte da parete e trova la sua giusta collocazione in una parete. Io fossi in te comincerei ad apprezzare quest’oggetto. In tutta sincerità ti dico che se lo avessi io farei i salti dalla gioia!” conclude con un sorriso
“Ma và! – rispondo accompagnando le parole con il gesto eloquente della mano – mica vorrai paragonare il tuo stupendo pianoforte a coda con questo?”
Da quando Dedo ha avuto quello splendido contratto con una casa discografica può permettersi diverse cose che prima sognava e basta.
“Sono due cose diverse – dice Dedo assorto – è come se tu volessi paragonare un coker a un pastore tedesco. Sono entrambi cani stupendi, ma sono molto diversi tra loro.”
“Bene! Mi arrendo e siccome me lo dici te cercherò di pensare che zia Cloe non ha voluto farmi un dispetto, ma regalarmi invece qualcosa di stupendo che io non sono in grado di apprezzare”.
“Lo apprezzeresti molto di più se tu cominciassi a suonare un po’. Quante volte mi sono offerto di farti lezione?. Ma tu non ne vuoi sapere!”
“Non sono fatta per la musica….o meglio sono troppo pigra per mettermi a solfeggiare. Se mi fai imparare scavalcando questo noioso passaggio…..vedremo, intanto che ne dici di andare a cena?”
“Perbacco! Questa sì che è una felice idea. Cos’hai preparato di buono stasera?” mi sbaglio o l’espressione di Dedo è un po’ scettica? Purtroppo conosce bene la mia scarsa abilità culinaria, ma stasera lo stupirò con polpette fatte proprio da me e un’insalatina condita in maniera perfetta.
“polpette e insalata mio caro e poi un bel gelato. Però prima spostiamo il pianoforte!” lo ricatto amabilmente
“Ok! Forza allora” e Dedo senza darmi il tempo di alzarmi dalla poltrona comincia a spingere con leggerezza il pianoforte con una mano, mentre con l’altra lo guida verso il posto che dovrà occupare da qui in avanti.
“Ma come fai? – gli chiedo stupita – io non sono stata capace di spostarlo neanche per mezzo centimetro”
“E ci credo – mi risponde facendo una bella risata – c’era il blocco alle rotelle. La vedi questa levetta, qui di fianco proprio sotto la tastiera? Ecco, basta spostarla verso l’esterno e il gioco è fatto”
“Sono proprio una tonta vero?” dico scuotendo il capo
“Ma no! Sei solo troppo impulsiva. Ti arrabbi con niente e non ragioni. Ecco, ora si può cenare? Sai credo di avere una certa fame. Oggi ho mangiato solo un tramezzino”
A questo punto so che le mie polpette, in qualunque maniera siano venute, avranno sicuramente successo. Però c’è qualcosa che mi trattiene.
Dedo, in tutto il suo girare e accarezzare il pianoforte e tessere le sue lodi, non ha mai alzato il coperchio della tastiera. Non è l’atteggiamento di uno che ha sbavato fino ad ora dietro una cosa.
Non posso trattenermi dal domandargli:
“Dedo, come mai ancora non l’hai provato? Non è da te”
“Non ti sfugge niente eh!? Già, è proprio così! E non certo perché non abbia voglia di farlo, ma semplicemente perché ho paura, che dopo aver visto una cosa stupenda, questa venga sciupata dalla parte più importante della sua struttura, cioè il suo suono”
“E’ come se tu vedessi una bellissima ragazza che poi quando apre bocca fa cadere le braccia?” cerco di dare un’immagine più terra terra allo stato d’animo di Dedo.
“Sì Lara è proprio così. Ma come fai a capirmi così bene?”
“E tu come fai con me? Siamo i nostri migliori amici o mi sbaglio? - dico ridendo – dai non avere paura! Prova questa benedetta tastiera! Ora sono curiosa anch’io.”.
Dedo si siede sullo sgabello, apre il copritastiera quasi con la paura di trovare tasti rotti o ingialliti, ma il bianco dei tasti è abbacinante e il nero splendente. Si volta a guardarmi sollevato e soddisfatto. Ora arriva la parte più difficile per lui. Appoggia le sue mani dalle sensibili dita su due tasti e li preme leggermente. Due note perfette si diffondono nella stanza. Le mani di Dedo a questo punto non hanno più fermezza e in un attimo improvvisa una fuga di note che si rincorrono per tutta la mia casa con un’armonia tale che fa venire la pelle d’oca anche a me che di musica non ci capisco niente.
“Non solo ha un suono meraviglioso Lara, ma tua zia è stata talmente gentile e accorta che te l’ha mandato perfettamente accordato……..ora andiamo a mangiare!” e Dedo si alza cominciando a chiudere la tastiera. Ma a un certo punto lo vedo arrestarsi risollevare del tutto il coperchio e guardare nella parte terminale della tastiera, dalla parte sinistra. Guardo anch’io incuriosita e sgrano gli occhi per vedere meglio
“Guarda Lara, ma qui c’è qualcosa e mette una mano nella fessura tra la tastiera e il legno della cassa dalla quale sta spuntando qualcosa di bianco-giallo.
“Che cos’è?” domando subito incuriosita
“Non lo so,…..sembrerebbe una busta! Che faccio provo a tirare?”
“E me lo domandi anche? Certo che devi tirare. Sono proprio curiosa di vedere che c’è. Forse è un biglietto che ci ha messo la zia Cloe…..”
Dedo intanto lentamente, per non rompere niente sta tirando fuori un centimetro alla volta quella che è veramente una busta, una busta che a prima vista sembra essere molto vecchia per quanto è ingiallita.
Finalmente Dedo me la porge e mi ritrovo in mano una busta chiusa, all’interno della quale si sente che c’è altra carta.
La rigiro e rimango di stucco. Con una calligrafia svolazzante ci sono scritte alcune parole sbiadite dal tempo.
“per piacere chi trova questa busta è pregato di farla avere alla signorina Marinella Conforti in via dei Calderai n° 32. Grazie. Galeazzo Goldoni” leggo piano e poi qualcosa si agita in me.
“Perbacco, ma Galeazzo Goldoni non è il mio…trisavolo?”
Se non lo sai te Lara, certo non posso dirtelo io!”
“E ora che facciamo?” dico a Dedo
“Non lo so….così sul momento non lo so proprio Lara …..però così a naso non mi sembra giusto aprire questa lettere, almeno non ancora. In fin dei conti è indirizzata a un nome e a un indirizzo ben precisi”
“Sai che ti dico Dedo? Domani andiamo in via dei Calderai n° 32…….ora andiamo a cena”.




Stanotte non sono riuscita a dormire. Ho appoggiato la lettera sul comodino e non sono riuscita a scordarmene. Mi ha perseguitato nel mio sonno agitato e mi ha fatto sentire netta la sensazione che andrò a mettermi in un bel ginepraio. Forse l’avventura con Desirèe è ancora troppo recente perché non veda guai dietro ogni angolo della mia immaginazione. Qualcosa mi dice che farei bene a distruggere quella lettera e a continuare a vivere normalmente come se niente fosse avvenuto, ma mi conosco, perbacco, mi conosco!!!!
E mi conosce bene anche Dedo. Infatti poco dopo che mi sono alzata ho sentito suonare il campanello e Dedo si è presentato dicendo:
“Me lo offri un caffè e già che ci siamo anche la colazione?”
“Certo, prepara tutto te mentre io mi vesto. Ti dispiace?” Al solito ho colto la palla al volo e così troverò una bella colazione pronta e una tavola ben apparecchiata. Dedo è bravissimo per queste cose, ma a casa sua quando è solo non le fa.
Mentre mi preparo penso a lui e a quanto sia solo in quella grande casa che ha comprato recentemente. Lui è proprio un uomo fatto per avere moglie e figli, non c’è dubbio su questo. E io che sono la sua migliore amica ho il compito di aiutarlo. “Ebbene sì Lara, devi escogitare qualcosa per trovare moglie a Dedo. Lui è con la testa troppo sulle nuvole per farlo da sé”.
“Eh già! – mi rispondo immediatamente – ma le mogli mica si comprano al supermercato! Potrei mettere un avviso sul giornale……..AAAA cercasi disperatamente brava ragazza con forte istinto materno per marito cucciolo tenerone! Presentarsi con una rosa rossa in bocca e un guinzaglio in mano” sorrido a questa prospettiva. Non farei mai una cosa simile al mio migliore amico. Voglio molto bene a Dedo e voglio che lui sia felice con la donna che un giorno sarà al suo fianco, altrimenti questa dovrà fare i conti con me”
Torno in cucina e la colazione che mi aspetta è senz’altro oltre le mie aspettative. Sarò anche agitata è vero, ma senz’altro quei piccoli croissant e quei panini imburrati e con un bello strato di marmellata di lamponi, mi fanno venire l’acqua in bocca e il profumo del caffè, mi predispone a rilassarmi e godermi in santa pace dieci minuti della mia giornata. Credo che Dedo pensi la stessa cosa, almeno così si direbbe dal profondo sospiro che fa, e dalla stropicciata delle mani, prima di mettersi a sedere.
“Buon appetito…..e buona giornata” dico a bocca piena mentre cerco di non scottarmi col caffè bollente
“Altrettanto a te Lara” e Dedo dopo avermi sorriso e ammiccato con gli occhi si appresta con impegno a fare il suo dovere.








Via dei Calderai è proprio una bella via. E’ una traversa di una strada principale del centro della città. Le case che vi si affacciano sono tutte piuttosto vecchie, di una sobria eleganza e improvvisamente mi ritrovo a chiedermi perché nonostante ormai siano molti anni che abito in questa città, non mi era mai capitato di passarci. I casi della vita. Ci voleva una lettera ingiallita per farmi venire in questo posto. Mentre cammino vicino a Dedo, cercando di stare dietro al suo lungo passo, mi ritrovo a pensare che non è stato proprio una bella idea venire in questo posto con una lettera ancora sigillata in mano. Come posso andare da persone perfettamente sconosciute a proporre una lettera che avrà quasi cento anni? E poi che ci sarà scritto in quella lettera?
“Almeno se l’avevo letta, ora lo saprei – dico ad alta voce a Dedo – se tu non avessi avuto l’infelice idea che bisogna essere a tutti i costi corretti e non aprire la posta degli altri, ora almeno sapremmo che cosa andiamo a fare.
“Ma dai Lara. Possibile che ti devi innervosire per una cosa come questa? Mi sembra carino consegnare una lettera se non all’interessata, visto che ormai lei non c’è più, almeno ai familiari….sempre che i familiari abitino ancora a questo indirizzo”.
“Se lo dici te…..tanto ora lo sapremo…guarda quello è il numero32”. Dico emozionata mio malgrado
“Guarda Lara – la voce di Dedo è emozionata altrettanto – guarda----“
“Che c’è? – rispondo sporgendomi verso il punto che mi indica – vedo solo una fila di campanelli!”
“Già, ma guarda il nome!”
“Oddio Dedo è possibile che non abbiano mai cambiato il nome in questo campanello, dopo tutti questi anni? Dimmi che non ho le traveggole. C’è scritto Marinella Conforti vero?”
“Proprio così! Che faccio, suono?”
“E sennò che siamo venuti a fare? - rispondo con una sicurezza che non provo per niente – suona e leviamoci quanto prima questo impiccio”.






Dedo ha suonato! Speriamo che qualcuno sia in casa. Non vedo l’ora di aprire la busta, ma se non trovo nessuno ho deciso: l’aprirò da me punto e basta. In fin dei conti una lettera scritta cento anni prima, non è più privata, non può fare del male a nessuno….e poi sono molto curiosa!
Il mio pensiero corre al mio trisavolo, per me quasi un illustre sconosciuto. L’ho sentito nominare qualche volta, ma di lui so pochissimo. Mio padre parlava qualche volta di quel bisnonno che amava tantissimo la pittura, i cani, le lunghe passeggiate, la pipa e la musica. Diceva che era uno tra gli ultimi rappresentanti di quei signorotti di campagna che vivevano di rendita e finivano poi per mangiarsi tutto il capitale inseguendo i sogni di una vita che stava trasformandosi. Penso che alla fine successe proprio così, perché non ho mai avuto ricordo che la mia famiglia abbia passato periodi di benessere e ricchezza e l’unica cosa che ci è rimasta di allora è proprio la casa in campagna, che è a metà tra una villa e una casa padronale, circondata da un grande parco che sicuramente ha visto tempi molto migliori. Le poche fotografie che sono rimaste di lui, lo vedono vestito come un gentiluomo, in posa con cappello bastone e guanti, un paio di baffetti e due occhi sognatori, che pare io abbia ereditato da lui, almeno da quanto mi è sempre stato detto,
“Chi è? – sento la voce di un uomo rispondere dal citofono – Chi è?”
Dedo mi precede , mentre io mi risveglio dai miei sogni e risponde prima di me.
“Buona sera mi chiamo Demetrio Donati e avrei bisogno di scambiare due parole con lei. Con me c’è anche la signorina Lara Goldoni …..e anzi…è proprio lei che dovrebbe dire qualcosa. Possiamo salire da lei, oppure se preferisce scendere, visto che non ci conosce….”
“Un attimo per favore….”
Poco dopo sento aprirsi una finestra al secondo piano e una bella ragazza si affaccia sorridendo:
“Siete voi che volete parlare con mio fratello?”
“Ma….noi vorremmo parlare con la signora Marinella Conforti, o perlomeno con qualcuno dei suoi parenti.”
“La mamma non c’è in questo periodo….se va bene potete parlare con noi….ora arriva anche mio fratello…vi ha risposto lui, ma deve terminare di fare una telefonata importante…….”
“Non importa, aspettiamo qui – la voce di Dedo è molto conciliante
“Ma no! Vi apro io! Salite al secondo piano…il portone in fondo al corridoio è il nostro”
Trenta secondi dopo si sente un clik e il portone si apre introducendoci in un ingresso bello ed elegante, tenuto con molta cura. Ci guardiamo intorno, incuriositi dalla bella atmosfera che si respira in quella casa già all’ingresso. Le scale sono larghe e agevoli, per niente faticose. Due minuti dopo siamo davanti al portone di noce scuro, che in quel momento si apre. La giovane donna in jeans e t-shirt che si affaccia è sorridente , bella e serena. Un piacere guardarla.
Anche lei ci guarda e i suoi occhi mostrano una genuina curiosità nei nostri confronti. E chi non avrebbe fatto altrettanto? Mi sento imbarazzata e un tantino scema.
Come faccio a dirle che sono lì perché ho trovato una lettera in un pianoforte indirizzata al nome che è sul campanello della sua porta?
Guardo Dedo in cerca di aiuto. Stranamente lui che è sempre così svagato e con la testa tra le nuvole, stavolta è molto più calmo di me e a quel che sembra capace di gestire la situazione in maniera tale da salvare la nostra comune dignità.
“Ma prego…accomodatevi!” e si tira indietro per farci entrare. Varchiamo la soglia e mi ritrovo con la bocca e gli occhi spalancati a dismisura:
“Ma ….è tutto bellissimo qui!” mi scappa detto inopportunamente e contro la mia volontà.
Anche Dedo guarda affascinato il grande salone che ci accoglie, arredato in maniera squisita e con accorgimenti che solo un grande architetto saprebbe fare
“Signorina, ci scusi, non ci siamo ancora presentati nel modo dovuto. Io sono Demetrio Donati e questa è la signorina Lara Goldoni……e siamo qui perché dobbiamo mostrarle una cosa”
“Il piacere è mio….Mi chiamo …Dorotea Conforti, ma prego andiamo a sederci” e si avvia verso un divano color panna che ha tutta l’aria di essere estremamente morbido. Ci avviamo dietro di lei, quando Dedo si ferma improvvisamente e un’esclamazione che nasce dal profondo del cuore viene fuori in tutta la sua estensione:
“Mammamiasantissima! Ma è stupendo!”
Ci giriamo a guardare il motivo di tanto ardore e con la coda dell’occhio vedo qualcosa che prima mi era sfuggita, obliterato come era da un lungo tendaggio. Un pianoforte a coda, paragonabile a un transatlantico fa bella mostra di sé in quel salone e ne esalta la sobria e armoniosa eleganza.
“Ah! Il mio pianoforte. Sì, è un bel pezzo ed è nella nostra famiglia da non so più quanto tempo. Io comunque l’ho sempre visto e forse è grazie alla sua presenza in questa casa che mi è venuta una grande passione per la musica.”.
Intanto ci siamo seduti e Dorotea con voce gentile ci interroga prima con lo sguardo e poi con la parola:
“Ditemi pure!”
“Sì! – comincio non sapendo da che parte farmi per cui non trovo meglio da fare se non aprire la borsa per prendere la lettera – ecco io ieri ho ricevuto un regalo….”
“Buongiorno a tutti – interloquisce una voce di giovane uomo. Una voce forte, allegra e nello stesso tempo profonda – cosa possiamo fare per voi?”
Le parole mi muoiono in gola nel momento in cui mi giro per vedere l’uomo che ha parlato e rimango allibita
“Ma…ma…ma noi non ci siamo visti ieri?” Le parole mi sono uscite contro la mia volontà, mentre guardo il giovanotto decisamente avvenente e vestito in maniera informale che ho davanti a me. Magari non è vero niente e sto facendo l’ennesima figura da cretina, magari questo giovanotto somiglia solo a quello che ieri è arrivato trafelato a casa mia con quel ‘coso’ che Dedo si ostina a dire che è tanto bello. Però quando ha visto il mio pianoforte mica ha fatto la stessa esclamazione che ha avuto verso questo!
“Smettila di divagare e torna a bomba!” mi dico arrabbiata con me stessa
“Salve!.....Sì è vero! Lei è la signorina che aspettava un ‘pacchettino’ e non capiva perché ci volesse così tanto tempo per recapitarlo!” conclude con una risata
Mi sento idiota e arrabbiata nello stesso tempo. Chissà che faccia ha un’idiota arrabbiata? La mia non deve dare adito a dubbi, perché il giovanotto mi tende una mano e amabilmente dice:
“Via facciamo la pace! E già che ci siamo mi permetta di presentarmi. ….Leone Conforti!”
“Lara Goldoni!” dico piano, continuando a seguire il mio pensiero. Che ci fa questo ragazzo in una casa come questa? Non mi risulta che i ‘corrieri’ possano permettersi lussi simili….o forse mi sbaglio io…..in fin dei conti Michele Strogoff non era forse il corriere dello zar? E poi con un nome simile. Leone! Chi è che chiamerebbe suo figlio Leone, se non avesse grosse aspettative per lui?
Che bel nome Leone. Mi immagino mentre dico “Leone vieni qua” e lui arriva facendo le fusa “miao miaooo!”
“Ehi! Bionda! – dico tra me e me – sei impazzita per caso? Torna sulla terra!”
Il tonfo è notevole. Mi accorgo che ora siamo tutti seduti tra divano e poltrone e tutti stanno aspettando che io parli.
“Bene! Allora questa è la questione. Ieri, mi è arrivato un regalo ! Il pianoforte che hai visto anche tu – mi rivolgo a Leone – mi permetti di darti del tu, visto che più o meno abbiamo tutti la stessa età?”
“Ma certo Lara. Vai avanti. Siamo abbastanza curiosi di sapere che cosa vuoi da noi”
“Veramente lo vorrei sapere anch’io! Sono venuta fino qui seguendo semplicemente un istinto, o meglio, seguendo l’istinto di Dedo, che diceva che non potevamo aprire questa lettera, - dico mostrando per la prima volta la busta ingiallita - se prima non provavamo a ricercare la persona alla quale era indirizzata.”
”Che sarebbe?” La voce di Dorotea è piena di curiosità.
“Il nome della donna che è segnato nella busta. Si chiama Marinella Conforti!”
“Ma è la mamma!” dice sempre Dorotea. Ora anche Leone è più attento.
“Scusatemi ma vorrei capirci qualcosa in quello che mi stai dicendo…..Allora ricapitolo! Ieri ti arriva un pianoforte e oggi sei qui con una busta , che mi sembra vecchiotta, dicendo che è per la mamma? E’ così?”
“No! Cioè sì! Uffa!...Si sta facendo un sacco di confusione! Allora ! La lettera era dentro il pianoforte e nella busta c’è scritto di farla recapitare alla signorina Marinella Conforti da parte di Galeazzo Goldoni…..che tra l’altro è il mio trisavolo….ragion per cui questa lettera non può essere indirizzata alla vostra mamma perché si parla di tanti, tanti anni prima”
Cala il silenzio, per rifare ordine nelle idee di ciascuno di noi.
E’ Leone a romperlo per primo;
“In effetti ci siamo fatti confondere dal nome. Infatti non può essere quello della mamma perché la mamma ha deciso di usare il cognome del babbo, dopo che si sono sposati, ma quando era signorina si chiamava Battisti.”
”Infatti bisogna cercare più indietro nel tempo. Non vi risulta di avere avuto qualche parente con questo nome? – interloquisce Dedo che fino a quel momento era rimasto silenzioso, non so se perché seguiva un suo filo logico, o perché ancora doveva riprendersi dall’emozione del pianoforte (possibile che non ci sia nessuna donna che gli procura una simile emozione?), o molto più probabilmente perché se ne stava andando dietro qualche musica che sta componendo.
Leone e Dorotea si guardano, cercando di pensare, ma ogni tanto scuotono il capo. Di parenti ne hanno tanti,anzi tantissimi, ma Marinella non l’hanno mai sentita nominare da nessuno.Poi Leone si illumina:
“Ma sì! Ma sì! Come abbiamo fatto a non pensarci prima Tea! Nelly! Ecco chi è! La zia Nelly!”
“E’ vero! Nella nostra famiglia c’è stata una zia Nelly che si faceva chiamare con l’accento sulla y ci ha sempre detto il babbo. Guai se qualcuno la chiamava in altro modo. Ce ne parlava sempre il nonno dicendoci che sua zia Nelly’ l’aveva cresciuto come se fosse stato suo figlio, perché lei non si era mai sposata e dunque non aveva avuto figli suoi. Sono sicura che si tratta della zia Nelly’!”aggiunge Tea emozionantissima.
“Ecco allora io penso che possiamo leggere insieme questa lettera, senza il timore di offendere qualcuno e nel rispetto di due persone che non ci sono più, ma chissà perché, in questo momento mi sembra che siano qui con noi.” Li guardo aspettando conferma “Voi che ne dite?”
“Penso che sarebbe una cosa saggia!” mi liquida Leone sbrigativamente
“ Ebbene signori, visto che sinceramente sono un po’ emozionata, credo che passerò la lettera a Dedo,….sì,.. si chiama Demetrio, ma per me è sempre stato Dedo,….dunque gli darò la lettera e lui la leggerà a tutti noi. Vuoi Dedo per piacere?”
“Ok Lara. Posso cominciare?”
“Siamo tutti impazienti Dedo!” dice con un sorriso Dorotea e mi sbaglio, o il sorriso è proprio tutto per Dedo?





Nelly’ mia adorata,
penso che non riceverai mai questa lettera, che ho sentito la necessità di scriverti in queste ore della mia vita, che avevano bisogno di manifestare una volta ancora i veri sentimenti che ho sempre provato per te. Non credo che avrò mai il coraggio di impostarla, perché non vorrei turbare la tua vita, che magari è felice. La affiderò invece al mio ‘vecchio Jo’, il nostro pianoforte, ricordi? Quello su cui abbiamo suonato tante dolci romanze, quello nel quale le nostre mani si sono unite per la prima volta, toccando una nota, quello che ha sentito la dichiarazione del mio amore per te e la tua risposta. La vita è stata crudele con noi e non ci ha permesso di realizzare il sogno che volevamo si avverasse con tutte le nostre forze: quello di passarla insieme.
Ricordo ancora il dispiacere che provai quando tuo padre rispose di no alla mia richiesta di fidanzamento. Non ero l’uomo che lui voleva per te; lui ambiva a una posizione sociale più alta e la mancanza di fiducia nelle mie capacità di pittore unita ai miei trascorsi politici piuttosto liberali facevano di me una persona non gradita e da allontanare quanto prima da sua figlia, nonostante fossimo cresciuti praticamente insieme. Ricordi quanto era bello incontrarsi d’estate nelle nostre case di campagna? O meglio la mia era una grande casa, ma la tua era una villa enorme, che metteva soggezione. Eppure noi giocavamo insieme, parlavamo di tutto,e nel corso degli anni la nostra bella amicizia è diventata un grande amore. Dimmi! Ricordi ancora Nelly’?
Ho cercato disperatamente negli anni successivi di rivederti, di incontrarti, di capire se eri felice, se avevi trovato un altro amore, ma non sono mai più riuscito a vederti e a sapere qualcosa di te. Sembra strano vero?Che una persona sparisca nel nulla, ma è così che è successo. Tu non sei mai più tornata nella grande villa, e io, quando sono venuto a trovarti a casa tua, in città, non sono mai stato ricevuto.
Solo l’ultima volta, quando chiesi di poterti vedere, parlare, mi fu risposto che la signorina Marinella era andata a conoscere i genitori del suo fidanzato. Fu un duro colpo, ma da quel momento non ti cercai più.
La vita riprese il suo cammino e dopo qualche anno mi sposai. Ho voluto bene a mia moglie, ma tu sei rimasta il vero grande amore della mia vita. Ho avuto il conforto di avere dei figli, ma non ho mai avuto il coraggio di parlare di te con loro, neanche dopo che rimasi solo.
Tu lo sai che sono sempre stato un sognatore e come tutti gli artisti, perché la mia arte alla fine mi fu riconosciuta, non ho mai avuto molto senso pratico e per tutta la mia vita ho continuato a fare castelli in aria. E in questi castelli c’eri sempre te, anche se sapevo che non ti avrei mai più rivisto.
Poi un giorno decisi di preparare un regalo per te o per i tuoi discendenti, e per i miei discendenti, in modo che i loro cammini, potessero incrociarsi e si potessero conoscere e alla fine potessero parlare di noi come di due persone che si sono volute bene al di là della vita. Qualche volta il destino va provocato, ed è quello che sto cercando di fare ora, visto che non ebbi il coraggio di farlo una volta.
Ricordi la piccola chiave d’argento che ti regalai una volta in riva al lago? Ti dissi che era la chiave dello scrigno che raccoglieva i miei pensieri più cari e che solo tu avresti potuta averla, tu e nessun altro perché eri al centro del mio cuore, la parte più importante di me.
Recentemente ho messo dentro questa cassetta un documento importante e l’ho affidata a un notaio. La cassetta è sigillata e solo quella chiave potrà aprirla. Ma non basta! Prima di aver il permesso di aprire la cassetta, chiunque si presenterà, per farlo dovrà saper rispondere a questa domanda, della quale solo tu sapevi la risposta, perché era diventata una cosa nostra fin da quando eravamo bambini. Quando io ti dicevo: “Perché bisogna faticare tanto per conquistare il mondo?” Tu come mi rispondevi?La tua risposta l’ho scritta in una lettera che ho consegnato al notaio.
Ora tutto è affidato al caso. Hai tenuto la chiave? Oppure hai pensato che non aveva più alcun valore per te? E poi! Sarà mai trovata questa lettera? E più che altro…quando? Forse se verrà letta tra tanti anni, queste parole sembreranno intrise di un romanticismo ottocentesco, mentre invece sono pervase solo di amore, amore vero, autentico, per te, mia adorata Nelly’.
Non credo di avere altro da aggiungere se non rinnovarti una volta di più tutta la mia devozione e tutto il mio rimpianto di non essere potuti essere l’uno per l’altro ciò che avremmo desiderato essere.
Tuo per sempre
Galeazzo


Ps- Lo Studio Notarile presso il quale si trova la cassetta è del Dott. Frangione Ruperto e figli, in via Augusto n° 4


Senza data perché tu ed io saremo sempre al di là del tempo.


Quando la voce di Dedo tacque, nella stanza non volava una mosca. A tutto eravamo preparati tranne alla commozione che ci aveva procurato quella lettura.
Io che mi sono sempre ritenuta un tipo pratico, cercavo di resistere alla commozione che si era impadronita di me, ma il nodo che mi si era formato in gola non andava né su né giù , ma anche gli altri non scherzavano davvero, mi dissi, dopo che ebbi recuperato un po’ di dignità. Tea aveva gli occhi lucidi e Leone, a dispetto del suo nome aveva più l’aria di un tenero orsacchiotto che del temibile re della foresta….per non parlare di Dedo. ……Forse perché gli era toccato il compito di leggerla, era quello che aveva somatizzato di più, e continuava a stringere la lettera tra le mani che non avevano fermezza, rosso in viso come un pomodoro.







“E ora che si fa?” dico cercando di apparire quasi estranea alla commozione generale.
Leone ritrova subito la parola e allargando le braccia dice:
“Credo che la prima cosa da fare sia quella di cercare questa famosa chiavetta….Io non l’ho mai vista e tu Tea?”
“Non mi pare proprio! Ma magari l’abbiamo sempre avuto sotto gli occhi e non ce ne siamo mai accorti. Stasera telefonerò alla mamma per sapere se lei sa qualcosa più di noi”
“Eh sì! Credo davvero che siamo fermi a questa chiave. Nel frattempo però tu Lara potresti vedere tra le tue scartoffie familiari, che penso avrai sicuramente, come abbiamo tutti, se riesci a trovare qualcosa che ci possa aiutare…non credi?...Ehi! Ma mi senti?....dico a te. Lara…Lara…ci sei?”
“Eeehh!....a sì …ho capito…va bene!”
No! Lara decisamente è da un’altra parte in questo momento perché ha realizzato solo ora, mentre gli altri stavano parlando che il suo Bis bis aveva dato un nome al pianoforte e l’aveva chiamato il ‘Vecchio Jo’ e lei ha già conosciuto un altro Jo, che era un cavallo che apparteneva a Solo con un Cavallo…..
“Possibile! Possibile! –dico dentro di me – che siano la stessa cosa?” e mentre me lo dico mentalmente sento crescere dentro di me una grande gioia, perché istintivamente so che Jo, diminutivo di Joloso, e il Vecchio Jo, sono la stessa cosa e che lui è tornato da me sotto mentite spoglie per aiutarmi a risolvere un altro inghippo della mia vita. Non vedo l’ora di tornare a casa per guardare meglio il ‘mio’ pianoforte, perché sono sicura che Jo si farà riconoscere in qualche modo.
Intanto dal silenzio che c’è nella grande sala mi rendo conto che tutti gli sguardi sono rivolti a me e non mi rimane altro che dire candidamente e col sorriso sulla bocca:
Scusatemi ma mi sono appena resa conto di avere ritrovato un vecchio amico!”.
“Bene – riprende Tea con un incantevole sorriso – io credo che per il momento non ci sia altro da fare. Appena sapremo qualcosa di nuovo ci sentiremo e concerteremo insieme il da farsi. Io ora devo riprendere i miei esercizi al piano….se vuoi rimanere Dedo, suoneremo qualcosa insieme, che ne dici?”
“Volentierissimo – la risposta di Dedo non lascia spazio a dubbi. Vuole rimanere lì e a quel punto, da come sta guardando Tea, mi domando se è attratto più dal piano o da lei o da questa combinazione vincente.
“Boh! Buon per lui. Io voglio tornare a casa!” borbotto tra me e me.
“Benissimo –si fa avanti Leone – allora io accompagno Lara a casa. Tanto il suo indirizzo lo conosco”.
Lo ringrazio mentalmente mentre torno a guardarlo di sottecchi, senza farmi accorgere da nessuno. Decisamente è proprio un bel ragazzo con quei capelli un po’ lunghi e spettinati, lo sguardo diretto e la bocca atteggiata a un sorriso che non è di circostanza. “Ehi bimba! – mi brontolo – vediamo di stare attenta ok?!”
Aspetto una risposta dall’altra me stessa, che però guarda caso, non viene!







“E questo è tutto! – dico lentamente a Leone che seduto sul divano di casa mia sta bevendo un bicchiere di aranciata, unico liquido commestibile a parte l’acqua, che mi concedo – so che è difficile credere a quello che ti ho detto e sicuramente Desirée, Solo con un Cavallo e Jo, sono frutto della mia fantasia, ma io ho vissuto così intensamente questa avventura, che per me sono veri e più che altro…amici!”.
Leone è silenzioso e continua a sorseggiare la sua bibita e io, innervosita da quel silenzio che mi parla di incredulità continuo con un tono di voce diverso, più agguerrito e più nemico:
“Se credi puoi dirmi che sono pazza! Non mi importa! Non rinuncio ai miei sogni, se sono stati solo sogni, e Jo per me in questo momento è qui….e io lo troverò!”
Sai che ti dico Lara? - Ribatte lui con un grande sorriso - ti dico che sei una persona fantastica. Ma questo l’avevo capito anche ieri, quando sono venuto a portarti quel pachiderma – e con un dito indica il Vecchio Jo – Ma ti dico anche di più! Sei una persona limpida, adulta, ma che ha lasciato che la bambina che è dentro di lei non morisse….ecco cosa ti dico!...Dai ora vediamo di trovare dove si è nascosto Jo – e alzandosi di scatto si è avvicinato al pianoforte – dopo ti parlerò di me!.... Ho visto sai come mi guardavi quando ti sei accorta che in quella bella casa ci stava la persona che ieri ti ha portato con grosso dispendio di energie ,un pezzo raro che ieri consideravi un ingombro e oggi hai capito che è un amico!”.







Il pianoforte è lì, muto, appoggiato alla parete che riempie quasi totalmente, ma ora guardandolo, mi rendo conto anch’io di trovarmi di fronte a un pezzo unico. La sua superficie è lucida e levigata, i candelieri a tre braccia lucidi e di bella fattura. Alzo il copritastiera e i tasti mi appaiono lucenti, eburnei, ma chissà perché a un tratto mi fanno venire in mente Jo, o meglio il sorriso di Jo, quello per intendersi a tutti denti, durante la serata al Madison Inn.
Anche Leone gira intorno allo strumento nero, che mette soggezione per la sua imponenza e la sua altezza, lo accarezza, passa una mano sul nome dell’ ebanista che l’ha assemblato, mi guarda e poi ritorna a girare intorno al ‘vecchio Jo’ come se cercasse qualcosa, senza sapere che.
Si abbassa per vedere la pedaliera e involontariamente mi viene da sorridere
“Mica penserà che gli abbiano messo i ferri da cavallo?”. Credo che anche lui abbia pensato la stessa cosa perché improvvisamente si mette a ridere e scuote il capo.
La nostra ricerca sembra finita. Io ho avuto la sensazione che Jo e il ‘Vecchio Jo’ in qualche modo siano la stessa cosa, ma niente è venuto a confermarla. Alzo le spalle, pronta a infischiarmene delle prove. Per me Jo è tornato nei panni di un pianoforte, si può dire così? E dunque non ho bisogno di altro, per cominciare ad amare quello strumento del quale fino a due giorni prima non conoscevo nemmeno l’esistenza. Stranamente è Leone che non si da per vinto. In pochi minuti ha fatto un’altra ispezione, che ha dato il medesimo risultato, cioè zero. Alla fine torna verso di me e si mette seduto nel divano per rialzarsi neanche un secondo dopo e correre, si fa per dire, perché in casa mia con un passo hai già attraversato la stanza, comunque lui corre ne sono sicura, nuovamente dal ‘vecchio Jo’ e solleva il coperchio della cassa armonica, dove, chissà perché non è stato guardato, forse perché è troppo alta.
“Ecco Lara! Vieni a vedere perché solo tu puoi dire se questo è Jo…!”
“Mi avvicino trepidante e guardo, senza vedere niente.
“Prendi una sedia dai! Sei troppo piccola per arrivare fino quassù” mi dice con un sorriso accattivante Leone.
“Ehi! Stai attento a quello che dici – rispondo scherzando – ti avverto che da ora in poi ogni parola che dirai potrebbe essere usata contro di te” Però ascolto il suggerimento, prendo una sedia e ci salgo sopra.
“Ma è proprio Jo! Il mio Jo” …E… guarda Leone, vicino a lui, lo vedi quel cavaliere vestito di nero? Sì? Ecco quello si chiama Solo con un cavallo, e anche se di nomi ne ha molti altri, per me rimane sempre Solo con un cavallo.”
Guardo con affetto Jo, che da cavallo è diventato pianoforte, ma conoscendolo so che a lui va bene così. Jo è troppo superiore alle cose umane per preoccuparsi di queste stupidaggini. Lui stava bene da cavallo e ora sta bene da pianoforte.
Non so perché ma penso che Jo è un perno importante nella nostra avventura, e il fatto di saperlo qui con me mi rassicura e mi spinge a essere fiduciosa.
Mi sto accorgendo che comincio a rilassarmi per cui credo che sia ora di porre fine a tutte le emozioni della giornata. Ho bisogno di stare tra le mie cose, tra i miei colori, tra i miei bozzetti da correggere e con i miei ricordi, sia quelli con i miei amici onirici, sia quelli con coloro che hanno condiviso con me la vita: i miei genitori, i miei nonni e questo strano personaggio che è il mio trisavolo, che mi accorgo ora è un incredibile sognatore e un incurabile ottimista.
Ma come fa a pensare che dopo tanti anni i suoi discendenti e quelli della sua adorata Nelly’ si prendano la briga di infilarsi in un ginepraio?
Eppure è quello che tutti noi ci accingiamo a fare, me ne rendo conto senza ombra di dubbio e me lo confermano anche le parole di Leone, che arrivano proprio in quel momento.
“Senti Lara, visto che nei prossimi giorni dovremo incontrarci e vedere di portare a termine questa cosa che ha dell’incredibile ma che comunque ci è capitata, a meno che io non stia sognando….visto queste cose dicevo, mi sembra giusto dirti qualcosa di me e di mia sorella, in modo che tu non sia prevenuta verso di noi, e tu ci possa accordare la tua fiducia ….Vuoi?”.



E’ un piacere stare ad ascoltare Leone mentre parla e tra l’altro ciò che dice è anche molto interessante.
“Dunque Lara, che mi chiamo Leone ormai lo sai, ma forse non sei riuscita a capire che io e Tea siamo gemelli. In effetti non ci somigliamo molto, però siamo nati lo stesso giorno, per l’esattezza lei dieci minuti dopo di me.
Quando sei entrata in casa ho visto subito che la bellezza del salone ti ha colpito e magari ti sei anche domandata chi è che l’aveva restaurato così bene e con tanta proprietà. Io sono Architetto e mia sorella è Arredatrice di interni. Questo può bastare per soddisfare la tua curiosità?”
“Beh! No! Se devo essere proprio sincera! Se sei architetto, perché lavori per un Corriere? Non sarebbe molto meglio che tu facessi il tuo lavoro? Da quel poco che ho potuto vedere mi sembra che lo sai fare molto bene….sono rimasta letteralmente affascinata dal tuo salone, eppure ho visto anche altri posti molto belli e raffinati, ma questo ha qualcosa di più!”
“La tua perplessità è lecita e giustissima. Comunque sappi che io non lavoro per una ditta di corrieri, ma la ditta è la mia. Se sono venuto anch’io a consegnare il tuo pianoforte è perché sapevo che era un pezzo, oserei dire unico, per cui doveva arrivare integro…….Abbiamo avuto direttive ben precise per questo e un surplus nel pagamento, per cui capirai bene che dovevo essere assolutamente certo che l’operazione andasse a buon fine….Ho aperto la ‘Conforti and friends’, insieme ad alcuni amici sei anni fa, in un momento in cui la mia famiglia attraversava un periodo finanziario un po’ particolare, però ho continuato a studiare e l’anno scorso mi sono preso la mia bella laurea. Insieme a mia sorella sogniamo di mettere su uno studio, per fare la cosa che ci piace di più al mondo: rendere belli gli ambienti. Però sai benissimo che le cose non si fanno dall’oggi al domani, per cui mentre cerchiamo di ingranare da una parte, non disdegniamo quest’altra attività che comunque ci fa vivere, non proprio da nababbi, ma dignitosamente. Ora è tutto chiaro?”.
“Chiarissimo – dico sollevata e ammirata dalla spiegazione di Leone
“Anzi, sai che ti dico? – continua lui come se non avessi neanche risposto – da quando sono qui guardo le tue tele e devo dire che non sono niente male. Che ne diresti di una collaborazione?” conclude con un sorriso che farebbe sciogliere anche un iceberg
Lo guardo a bocca aperta.
“Ma..io non so! Non ho mai pensato che i miei lavori potessero interessare qualcuno!”
“Proprio per questo. La spontaneità che si vede nei tuoi dipinti li rende piacevolissimi e molto personali. Non saranno vere e proprie opere d’arte, ma credo che abbellirebbero qualsiasi parete!”
“Ok allora! Sono proprio felice di questa cosa! Non vedo l’ora di cominciare..”
“Hai già cominciato mia cara. Questa tela qui….sì! Il deserto con il cubo dentro, mi piace proprio. Me lo vendi?”
“Ma neanche per sogno!” rispondo con un risentimento che Leone non può fare a meno di notare.
“Ho detto qualcosa che non va?”infatti mi chiede stupito
“No…sono io che! Insomma questo quadro vuol dire molto per me. Sai! Desirèe, Jo, Solo con un cavallo….sono nati in questo deserto e io qualche volta spero che ripassino di lì e vengano a farmi un salutino!”
“Come non detto allora! Però comincia a preparare qualcosa di nuovo va bene?” Ma che carino che è Leone. Peccato quel nome così importante che rende sempre tutto troppo serio! Lui ha più l’aspetto di un cucciolone rumoroso che ha voglia di giocare, non di un re leone signore della foresta!
I nomi troppo seri mi fanno rabbia, perché mi mettono soggezione. Saranno belli ma pongono una barriera tra me e chi li porta. Anche con Dedo, all’inizio la nostra amicizia non riusciva a decollare, perché il suo nome, Demetrio, mi teneva lontano da lui anni luce! Poi venne fuori Dedo e allora tutto si sistemò e lui divenne il mio migliore amico.
Ma con Dedo tutto era molto semplice. Lui non aveva sicuramente il carattere di questo giovanotto e Dedo gli è andato subito a meraviglia.
Mica posso andare da Leone e dirgli:
“Senti carino, siccome ho qualche problemino psicologico, se invece di chiamarti Leone, ti chiamo…che ne so…Regolo! Sì ecco! Regolo, piccolo re, per gli amici Reg? E per ulteriore contrazione Rus? Tu ci staresti?”
“Lara..Lara, ci sei?” la voce di Leone è un po’ preoccupata, me ne rendo conto solo ora
“Eh! AH si! Scusami, ma stavo pensando a una cosa importante”
“Mi hai fatto spaventare! Si può sapere a che stavi pensando?”
“Sì – mi decido all’improvviso – posso chiamarti Rus?” e gli spiego tutto il meccanismo della trovata del suo nuovo nome – così tu sarai sempre Leone, perché Regulus è la stella più brillante di quella costellazione, ma io che sono tua amica potrò chiamarti Rus, così mi sentirò più tranquilla quando parlo con te e non mi sentirò intimidita dal suo nome” aggiungo con un sorriso, per non fargli capire che il suo nome vero non mi piace per niente.
“Rus?! Mi sembra il nome di un cane!”
“Se preferisci posso chiamarti Regulus per intero, ma mi sembra un po’ una forzatura ecco! Pensavo che la contrazione di Regulus potesse andare bene!”
“E io come ti devo chiamare? La? Anche questa è la contrazione del tuo nome o mi sbaglio?” Leone comincia ad affilare gli artigli e a ruggire.
Mi sento un po’ interdetta, un po’ scema e anche un po’ divertita. Ma quanto sono suscettibili certi uomini!
“Nessuno ha mai avuto da ridire sul mio nome. E’ un nome bello, importante e per tua sfortuna difficilmente storpiabile. L’amicizia fortunatamente non si crea sui nomi, ma sulle persone che lo portano e io intendo tenermi il mio nome e se non ti va, peggio per te!”
“Ah sì? Brutto presuntuoso che non sei altro. Ti ho solo domandato la cortesia di farmi sentire a mio agio quando parlo con te, ma credo proprio che di qui in avanti la scelta di un altro modo di chiamarti non sia più importante. Per quello che mi riguarda la nostra conoscenza finisce qui!” improvvisamente ritrovo la Lara di sempre, quella che a me piace di più tra i tanti suoi volti
“E chiamami Rus, Chiamami Gigio, chiamami….a fischio, con le lettere mute, con i geroglifici,…. chiamami un po’ come ti pare. Ma chi le capisce le donne?” l’ira di Leone è già sbollita e la sua criniera si è abbassata
“Scusami! La colpa è mia se sono fatta un po’ diversamente dalle altre persone. Non ti preoccupare! Cercherò di abituarmi al tuo nome. Del resto quello che hai detto è vero. L’amicizia non sono i nomi, ma le persone che li portano…e noi diventeremo amici anche a dispetto del tuo nome….no! Non volevo dire proprio così!” aggiungo mortificata, ma Leone sembra aver ritrovato tutto il suo buonumore e mentre con una mano mi scompiglia i capelli con l’altra mi saluta allegramente
“Ciao Rus! Ci sentiamo domani e quando sappiamo qualcosa ci troviamo tutti insieme ok?”
“Ok! Ma Rus eri tu, non io, ricordi?”
“Sì, ma sta bene anche a te! Forse vuol dire qualcosa?” e senza aggiungere altro se ne va.




Guardo Dedo, che seduto davanti al ‘vecchio Jo’ strimpella vagamente qualche cosa senza senso. E’ strano in questi giorni Dedo, deve avere qualcosa che gli frulla in testa. Apatico più del solito, distratto più del solito, con gli occhi che vagano fuori dalla finestra. E strano più di tutto, con poca voglia di parlare e ancora meno di ridere. Mica avrà qualche problema finanziario!? Dedo lo conosco bene. Quanto a senso pratico dire zero è dire troppo. Mica si sarà fatto incastrare da qualcuno? Oggi l’avevo invitato a cena perché ho fatto la pizza. Lara che si cimenta nella pizza, vuol dire un grande passo avanti nell’arte culinaria!! Mi aspettavo salti di gioia e invece ne ha mangiato appena un pezzo. Poi si è seduto al piano e ha cominciato a strimpellare senza quasi rivolgermi la parola.
Mi faccio un rapido esame di coscienza. Sarà colpa mia? Mi dico subito di no. Io sono stata quella di sempre. Ma allora che avrà?
“Non ti senti bene stasera Dedo?” gli chiedo affettuosamente
“No, no, sto benissimo Lara!”
“Ma non hai mangiato niente. Non è da te! In genere sgrufoli tutto quello che trovi!”
“Da qualche giorno ho poca fame. Non so neanche io perché!” mi risponde ricominciando a suonare.
“Sai ho fatto un altro quadro. L’ho cominciato e finito in un paio di giorni, ma ci ho lavorato sopra un bel po’!” cerco di interessarlo al mio lavoro, ma mi sembra con scarso successo
“Lo vuoi vedere?” chiedo speranzosa
“Ma sì!” risponde con l’entusiasmo di un’ameba
Allungo il braccio e scopro una tela che è sempre stata lì, vicino a me e la mostro a Dedo, che la guarda attentamente e poi mi dice:
“Ma mi sbaglio o questa è la tua casa di campagna?”
“Già, proprio così e anch’io guardo la mia villa non villa, che ho disegnato con colori strani in un contesto anch’esso da colori particolari, mentre sullo sfondo un cielo verde e turchino non lascia presagire niente di buono.”
“Ma lo sai che è bella?- dice Dedo sinceramente. Si sente dal tono della sua voce – ma per quale motivo hai scelto di dipingere la tua casa di campagna?”
“Mah! Che ti devo dire?! E’ stata una cosa più forte di me. Forse questa storia del mio trisavolo mi ha condizionato più di quanto io immaginassi e mi sono ritrovata a pensare a cose che credevo di non ricordare neanche più!”
“Anche Tea dice le stesse cose che dici tu!” annuisce Dedo con semplicità
“Tea?! E quando l’hai sentita? Io ancora non ho ricevuto nessuna telefonata, quindi presumo che le ricerche che sono state fatte fino ad ora non abbiano dato frutto” replico un po’ stupita
“Infatti non l’ho sentita….L’ho vista ieri e anche oggi!”
“Ma guarda – dico leggermente risentita dal fatto che il mio migliore amico non mi abbia detto niente di questi incontri – e come mai?”
“Mi ha invitato ad andare a suonare il pianoforte a casa sua, così mentre io suono lei ripassa con me e…stando a quello che mi dice, lei impara da me, anche se io credo di avere ben poco da insegnarle. E’ veramente molto brava e preparata” termina Dedo con un piccolo sospiro.
“Ma guarda guarda- dice una vocina maligna dentro di me – ora capisco che cosa è l’umore di Dedo. Ha tutti i sintomi della persona che si è innamorata e che ancora non lo sa. E’ la prima volta che lo vedo ammalarsi così gravemente……Bene! Tea mi sembra una bravissima ragazza, con la testa sulle spalle, educata, istruita, tranquilla…insomma proprio la moglie che ci vorrebbe per Dedo. Però Leone potrebbe essere un ostacolo per la loro felicità. Leone mi sembra molto affezionato alla sorella e forse un tipo fuori dal mondo, come è Dedo, potrebbe non andargli a genio. Bisogna che mi dia da fare per tenerlo fuori dal gioco….Come posso fare? Non lo so. Dopo ci penserò, ora mi voglio godere il mio innamoratino e prenderlo un po’ in giro”
“Anche a me sembra che Tea sia molto brava ed è anche molto bella, non trovi?”
“Bellissima!” si lascia scappare Dedo per diventare rosso subito dopo.
“Chissà quanti ragazzi avrà intorno. Io penso che ha solo l’imbarazzo della scelta!” butto là provocatoria
“Tu credi Lara?” mi sbaglio o c’è proprio allarme nella voce di Dedo?
“Beeeh! Credo proprio di sì! Io se fossi un giovanotto e avessi messo gli occhi su una ragazza come lei, non starei troppo ad aspettare prima di dirglielo!”
“E come mai?” mi chiede con un altro sospiro
“Ma come! Non lo capisci anche da te? Altrimenti rischia di arrivare secondo e dopo non può fare più niente se non mordersi le mani”
“Già!” annuisce assorto Dedo
Guardo il mio amico, che per la prima volta nella sua vita si trova in una situazione che gli toglie l’allegria. Mi fa una tenerezza infinita vedere quel bel giovanotto gentile, indeciso su ciò che deve e vuole fare. Lo capisco anche. In fin dei conti è in gioco la sua vita affettiva!
Gli vado più vicino e con un braccio gli circondo le spalle, mentre con l’altra mano gli scompiglio i capelli ribelli
E con tutta la dolcezza che riesco a trovare gli dico:
“Ma tu hai delle mani troppo belle e troppo importanti per rischiare di rovinartele mordendole!”
“Che devo fare Lara?” mi dice rigirandosi improvvisamente e abbracciandomi con tutte le sue forze
“Vai da lei e diglielo….poi tutto verrà da sé”
“Sì, lo so! Ma non c’è solo questo!” mi dice dopo un po’
“E allora che altro c’è?” gli chiedo scostandolo da me e guardandolo dritto negli occhi, che improvvisamente si inumidiscono
“C’è che ho paura di perdere la tua amicizia…e tu sai quanto sia importante per me!”
“Ma quanto sei sciocco! – rispondo stringendolo nuovamente a me – tu non mi perderai mai, perché due amici come noi sapranno sempre volersi bene anche se verranno altri affetti nelle loro vite. Stai tranquillo che Lara per te ci sarà sempre!” e questa volta sono i miei occhi ad inumidirsi.






Dedo se ne è andato, più sereno anche se con una paura tutta nuova. Quella di sentirsi dire un bel no! Beh! Questo fa parte del gioco e io non mi devo preoccupare di ciò. Al momento opportuno Dedo saprà come deve fare.
“E’ inutile che fai l’eroina! – mi dico a un certo punto – anche se sei contenta per lui, perché è sempre quello che hai voluto – pure un po’ sei triste perché sai che non sarai più l’affetto più grande nella sua vita. Via confessa a te stessa dai!”
“E va bene è così – rispondo all’altra me stessa – e allora ? Che devo fare secondo te? Se avessi voluto Dedo per me non credi che avrei avuto il modo per averlo? Il fatto mia cara è che io per Dedo provo solo una sconfinata amicizia e niente più!”
“Sei proprio una tonta! Lo hai visto anche da te, che gli amici poi alla fine si innamorano di un’altra e se ne vanno! E tu che fai? Credi di non avere bisogno di amore nella tua vita?”
“Se permetti, queste sono cose mie e quando deciderò di avere bisogno di qualcuno che mi ami, mi metterò a cercarlo. Uffa ma lo sai che sei proprio noiosa? Meno male che sono io l’amica di Dedo e non te”.
“Verrà un giorno che mi dirai che avevo ragione….”
“Ma come sei assennata!! Se un giorno ti dirò che avevi ragione vuol dire che te lo dirò….ora vuoi lasciarmi un po’ in pace?”
L’altra Lara è molto permalosa e a quelle parole non ha aspettato più di tanto. Ha girato le spalle e se ne è andata lasciandomi ancora una volta al mio destino e alle mie convinzioni.








Fortunatamente per me e le mie paturnie il telefono comincia a squillare. Mi precipito letteralmente a rispondere, come se andassi verso la salvezza. Dall’altra parte la voce di Tea mi saluta con dolcezza:
“Ciao Lara, sono Tea! Ti ho chiamato per metterti al corrente delle ricerche che Buzz ed io abbiamo fatto in questi giorni…”
“Buzz?....” domando interdetta
“O scusami, non mi ero accorta di chiamare mio fratello col nomignolo che gli do sempre” Tea si mette a ridere incapace di fermarsi. Evidentemente la mia voce deve esserle sembrata molto più che sorpresa
“Ma…cosa c’entra Buzz con Leone?” domando incuriosita
“Assolutamente niente. Ma quando eravamo piccoli mentre per lui è stato semplice chiamarmi Tea, per me non lo era altrettanto chiamarlo Leone. Avevamo un pupazzo che era sempre conteso tra di noi che si chiamava Buzz e un po’ alla volta quel nome l’ho trasferito a mio fratello e gli è rimasto”
Stavolta sono io che mi metto a ridere in maniera incoercibile tant’è vero che Tea dopo un pò, mi domanda interdetta:
“Ma Lara, non so che cosa ti ho detto di tanto buffo per farti ridere così!”.
“Se aspetti un attimo te lo dico!” e appena riesco a riprendere fiato spiego per filo e per segno la storia della mia ricerca di un nome nuovo a Leone, interrompendomi di tanto in tanto per ridere nuovamente. Anche Tea mi sembra che non sia da meno e per cinque minuti ci divertiamo entrambe a discapito dell’ignaro Leone.
“Beh! Quasi mi dimenticavo il motivo per cui ti ho chiamato! Mi ascolti?”
“Sono qui!” e torno immediatamente seria anche se una lucina divertita continua a brillarmi dietro gli occhi. La vedo dallo specchio che riflette la mia immagine. Lo specchio non è lì casualmente. Mi piace molto guardarmi mentre parlo con le persone e vedere tutte le smorfie che fa la mia bocca, a seconda del mio interlocutore!
“Allora….come promesso abbiamo telefonato alla mamma per raccontarle tutta la storia…e puoi immaginare come è rimasta. Lì per lì non ci ha saputo dire niente, ma capirai, chi va a pensare a una cosa del genere? Poi invece ci ha richiamato ieri sera per dirci che le era venuto in mente una scatola di vecchie fotografie che lei aveva sempre visto in soffitta, per cui siamo andata a prenderla e vi abbiamo frugato dentro. Le fotografie sono tantissime e a parte qualcuna dei miei nonni, che ricordo vagamente, le altre erano per noi immagini di perfetti sconosciuti. Poi ne abbiamo trovata una che ha attirato la nostra attenzione. E’ un mezzobusto di una giovane donna molto carina, anzi oserei dire proprio bella, dai tratti fini e ben modellati, ma la cosa che ci ha colpito di più è che al collo ha una catena alla quale è appesa una piccola chiave che sembra quasi d’oro, almeno a giudicare dalla sua raffinata lavorazione. Confrontando la fotografia con altre che poi abbiamo trovato e dietro alle quali c’erano scritti alcuni nomi abbiamo potuto dire con sicurezza che il volto della signorina in questione è quello di Marinella Conforti, nostra trisavola. Tutto qui!”
“E poi che avete fatto?” domando interessatissima mordendomi nervosamente un labbro
“Beh! La cosa più ovvia è stata di andare a frugare nei vari cassetti dove ci sono i gioielli di famiglia, o perlomeno tutti quelli che sono arrivati fino a noi………e a un certo punto…
“A un certo punto?” la incalzo
“Sì a un certo punto abbiamo trovato la catena che la zia Marinella portava al collo……ma era aperta e della chiavetta, neanche l’ombra” conclude con un sospiro al quale fa eco il mio ohh! di delusione.
“E ora che facciamo?” a questo punto la storia comincia a interessarmi davvero e non mi va di piantare tutto in asso perché non si trova una chiave.
“Ma questa chiave come era fatta?” domando incuriosita
“Guarda, mi è difficile spiegartelo, Ma Buzz mi ha chiesto di invitare te e Dedo a cena in modo che stasera potrai vedere la fotografia della zia, che poi è un dagherrotipo, e insieme decideremo che cosa si può fare.”.
“Benissimo – rispondo decisamente contenta – a che ora dobbiamo essere lì?”
“Facciamo alle otto?”
“Perfetto Tea. Ci vediamo più tardi. Un bacio” e riattacco velocemente per stropicciarmi le mani tutta contenta.
Una cena da Tea è quello che ci voleva per Dedo…….e un po’ anche per me!






Dopo cena! Sprofondati nei morbidi divani di casa Conforti sembra che il tempo sia tornato indietro! Sparpagliate sul tavolino davanti a noi e sul divano stesso, centinaia di fotografie ingiallite dal tempo ci parlano di altre vite, di altri amori, di altre storie. Ho visto la famosa signorina Marinella Conforti. Niente male davvero! Mio zio, mi dico compiaciuta, aveva veramente buon gusto, …un pregio di famiglia, mi dico maliziosamente gettando di sfuggita uno sguardo su Buzz-Leone.
La chiavetta appesa al collo eburneo della signorina è proprio un piccolo gioiello, ma non è quello che mi interessa. Da circa venti minuti qualcosa mi tormenta, senza che io riesca a dargli un nome. Mi sento agitata, vicino a qualcosa, ma annaspo nel buio. So che la mia agitazione è cominciata dopo che ho visto quella piccola chiave, ma non so perché, non so associarla a niente che mi possa ricondurre a qualcosa. Sto decisamente male e nello stesso tempo non voglio far scorgere agli altri quello strano malessere che mi è preso. Partecipo sempre meno alla conversazione, perché cerco di seguire il mio pensiero, che però non mi porta da nessuna parte.
“Lara sembra che tu abbia mangiato delle cavallette, invece del buonissimo soufflé di stasera!” Dedo si decide a venirmi in soccorso, ma non riesco ad afferrare l’occasione che mi ha dato
“Già!” annuisco semplicemente ricominciando a pensare a cosa vuol dire per me quella chiave. Gli altri si guardano interdetti, poi guardano Dedo, che alza le spalle e ricominciano tranquillamente a parlare tra di loro. Cerco di seguire almeno un po’ quello che dicono. Stanno parlando di musica, di concerti, di progetti futuri nel quale rientra anche uno studio nuovo per Tea e Leone, dove allestiranno anche piccole mostre artistiche. Viene fuori, mi accorgo, anche il progetto che dovrebbe coinvolgere anche i miei quadri, ma ora non posso pensarci, ora devo riuscire a capire. Sento Leone che dice a tutti, ma soprattutto rivolo a me:
”Pensate un po’ che Lara si è rifiutata anche di vendermi quel bel quadro del deserto dove c’è un cubo trasparente!”
“Cosa? – interrompo bruscamente tutti quanti – parlavate del mio deserto? Il mio deserto. Ecco! Sì accidempolina! Ora ci sono….ora finalmente so dove ho visto la chiave che ha al collo la signorina Marinella….”
“Ma che dici Lara? Sei sicura di stare bene?” Leone è preoccupato dalla mia agitazione, ma io finalmente sono calma e serena, perché so che la chiavetta della fotografia è la stessa chiavetta che trovai davanti al palazzo di vetro, dopo che Solo con un cavalle, Desirèe e Jo, se ne erano andati.
“Ricordo solo che la misi in tasca, ma mi venga un accidente se ricordo dove l’ho infilata dopo. Di una cosa però sono sicura: non l’ho buttata via!”
Mi sbaglio o tutti mi guardano un po’ perplessi!?
“Vi giuro che sto dicendo la verità e che la chiavetta che ho io è identica a questa della fotografia” continuo un po’ risentita. Mica mi avranno preso per scema?
“Bene Rus – Leone cerca di alleggerire l’atmosfera dandomi nuovamente il nomignolo che volevo affibbiare a lui – allora non ci resta altro che andarla a cercare”.
“Scusate ma io non ci capisco niente in tutto quello che dite!” Tea mi sembra veramente allarmata. Del resto è comprensibile povera cara. Mentre io e Dedo abbiamo vissuto l’intera storia, anche se Dedo al solito non se ne è nemmeno accorto, mentre Leone sa qualcosa che gli ho accennato io pochi giorni fa, la povera ragazza è ignara di tutto e non dubito neanche per un attimo che mi abbia preso per una pazza isterica.
“Hai ragione Tea. Allora ti spiegherò tutto, poi domani cercheremo la chiave a casa mia. Galeazzo e Marinella hanno aspettato così tanto tempo che non credo che un giorno in più possa voler dire qualcosa…..sempre che riusciamo ad arrivare da qualche parte”
“Volete bere qualcosa, prima che Lara cominci?” Buzz è veramente un padrone di casa squisito.
“Grazie sì! Io ne ho veramente bisogno!” e mentre gli altri si sistemano con i loro bicchieri in mano comincio a raccontare Piccolo fiore, la canzone di Dedo, ma anche una bellissima storia d’amore.
“…..E così li salutai…e poco dopo gettando un’occhiata nostalgica sul quadro che era stato lo scenario di quella favola, mi accorsi che vicino al cubo di cristallo c’era una minuscola chiave. Non so perché, ma pensai immediatamente a Jo e la misi in tasca pensando che avesse voluto farmela trovare perché un giorno ne avrei avuto bisogno…….tutto qui”. Mio malgrado la mia voce è emozionata , ma mi accorgo subito di non essere la sola. Tea ha gli occhi lucidi e anche Leone non è calmo come vuole far vedere. L’unico è Dedo! Ma a lui chi lo scuote? Ma mi accorgo quasi subito di aver dato un giudizio temerario. Dedo non si è emozionato semplicemente perché non ha sentito una parola di quello che dicevo, preso come era a guardare Tea. Il ragazzo l’ha presa proprio grossa! Chissà se ancora le ha detto niente?











Il giorno dopo sono tornata me stessa. Mentre aspetto gli altri che verranno a darmi una mano a cercare quel minuscolo oggetto che è la chiave che deve aprire una storia cominciata tanti e poi tanti anni prima, do un’occhiata nei cassetti che uso abitualmente. Forse l’avrò infilata lì! Ma no! Sarebbe stato troppo bello. Nel frattempo ho approfittato per fare un po’ d’ordine. In casa mia c’è sempre bisogno di fare ordine, perché mi riesce in maniera eccezionale di buttare all’aria e lasciare tutto in giro. Ma è quella la casa che voglio io e non vorrei cambiarla con nessun altra…..Però capisco che tra poco arriveranno ospiti, che tra l’altro hanno una casa che potrebbe essere la copertina della più importante rivista di arredamento.
“E tutte queste scarpe dove le metto?” mi chiedo allarmata guardandomi in giro. L’armadio è zeppo fino a scoppiare, le cassettiere non se ne parla……la cassapanca mi guarda minacciosa….sotto il letto no! Non sta bene, Hai visto mai! Venisse la tentazione di guardare anche lì!....ma dove le metto allora?
Vago per il mio miniappartamento con una bracciata di scarpe ingombranti, quando la folgorazione arriva improvvisa
“Ma certo! Come ho fatto a non pensarci subito! Le metto in lavatrice”
La mia vecchia lavatrice si rivela subito un ottimo contenitore, e un complice discreto, in quanto non fa un lamento neanche quando chiudo l’oblò.
”Brava tata!” le dico soddisfatta dandole un buffetto e giacché sono in bagno, mi guardo un attimo allo specchio, mi riaggiusto i capelli e passo sulle mie labbra un filo di rossetto.
“Ehi mia cara! Si può sapere per chi ti metti in ghingheri?” Uffa! L’altra Lara è già qui
“Lasciami in pace noiosa e stai un po’ zitta – le dico spazientita – altrimenti metto in lavatrice anche te”.
Giusto in tempo! Il campanello suona prepotentemente e mi precipito ad andare ad aprire. Leone si staglia sulla soglia con un’enorme scatola in mano. Che genio!
“Hai pensato a portare la pizza! – dico enormemente sollevata dal non dover preparare la cena – bravissimo. Io ho birra a volontà e una quantità strabiliante di noccioline, patatine, stuzzichini. Può bastare per cena?”
“Perfetto!” mi risponde come se gli avessi proposto il menù di Chez Maxim.
“E gli altri?” domando con una punta di curiosità
“Ah! Dedo mi ha detto che arriveranno tra mezz’ora. Prima doveva parlare di qualcosa con Tea. Forse di uno spartito…”
“Me lo immagino già il tipo di spartito! – ridacchio sotto i baffi – a Dedo piacciono molto le musiche romantiche. In questo è un genio e la musica che compone lui è veramente sempre molto romantica….e fa anche i testi sai! Bellissimi! …Ma se poi si tratta di dire le stesse cose che scrive, è una frana totale!” aggiungo sconfortata
“E perché dovrebbe parlare!?” Leone alza le spalle.
E’ proprio vero che gli uomini non vedono mai niente, neanche se sono il gemello della ragazza con cui Dedo condivide uno spartito.
“Benissimo!....Allora cominciamo noi? Che ne dici? Ti va di prendere tutti quei cassetti e cominciare a guardarci dentro? Io intanto svuoterò la cassapanca”.
Per mezz’ora lavoriamo senza neanche rivolgerci la parola. Ogni tanto mi stupisco di quanta roba inutile ci sia nei miei cassetti, ma tanto so che quando decido di buttarla via, poi mi faccio prendere dalla nostalgia e finisco per rimettere tutto dentro. Anche un cartoncino ha la sua storia, e mentre mi si materializza in mano, me la fa tornare in mente. Ho conservato cose di quando avevo dieci anni. Possibile che sotto la mia scorza ruvida, anch’io sia un’inguaribile romantica?. Dopo mezz’ora però della chiavetta neanche l’ombra! Mi fermo un attimo cercando di ritrovare un po’ di entusiasmo per continuare quella laboriosa ricerca, ma proprio in quel momento Leone-Buzz mi chiama:
”Lara, guarda che cosa ho trovato!” Volo letteralmente verso di lui, pensando di vedere tra le sue mani la famosa piccola chiave e invece vi scorgo una fotografia incorniciata.
“Che bella casa! Questa è la tua casa di campagna vero? E’ proprio un bel posto!”
“Eh sì! E’ proprio bello….e assolutamente tranquillo, anche se è a pochi minuti dalla città……Non sembra… vero?”
“Da un senso di armonia e di eleganza – Leone guarda affascinato la struttura sobria ma elegante della casa- perché un giorno non andiamo a vederla?” mi chiede con genuino interesse
“Volentieri – rispondo con altrettanto entusiasmo – anzi potremmo portarci dietro la merenda e fare una bella scampagnata”.
“Mi piace un sacco….sai che penso? Che questo posto sarebbe l’ideale per concretizzare tutti i nostri progetti….Tu potresti farci una mostra permanente dei tuoi quadri, io potrei ricavarci il mio studio di architetto e Tea quello di arredatrice……Dedo, se c’è un salone, potrebbe usarlo per fare lezioni di pianoforte e serate musicali….Che ti sembra come idea?”
“Sarebbe bellissimo! - dico con vero entusiasmo anche se subito dopo torno con i piedi per terra – c’è solo un piccolo particolare che non abbiamo preso in considerazione!”
“Quale?” domanda subito Leone
“I soldi!! Io non ho un soldo da poter investire nella ristrutturazione della mia casa e come vedi invece da te,… ha bisogno di interventi che non potrebbero essere rimandati” concludo questa volta abbastanza sconsolata.
“ Potremmo fare una società. Tu ci metti la casa, io Tea e Dedo ci mettiamo quello che ci vuole per renderla nuovamente abitabile. Che te ne pare?”
“Dico che sarebbe fantastico!” La mia fantasia comincia a galoppare e già vedo la casa della mia infanzia trasformata in qualcosa di meraviglioso.
“Dopo ne parliamo con gli altri….ma a proposito! Mezz’ora è passata da un bel pezzo. Mica avranno deciso di fare i lavativi?” dice ridendo Leone
Quasi l’avessero sentito in quello stesso momento suona il campanello.
“Vado io – dico a Buzz che è messo in una posizione alquanto più scomoda della mia, con un cassetto sulle ginocchia e una pila di libri in equilibrio precario al suo fianco. Apro e rimango senza parole. Davanti a me Dedo e Tea sono uno spettacolo unico. Lo sguardo perso l’uno nell’altro, non hanno neanche parole per dire buongiorno!
Mi sposto in silenzio per farli passare. Voglio che Leone abbia tutta la sorpresa del caso.
“Ciao Dedo….Tea…..ehi! Ma che diavolo avete ragazzi? Sembra che abbiate visto gli spiriti” Leone volge lo sguardo su di me “Ci capisci niente tu, che te la stai ridendo sotto i baffi?”
“Eh! Se ci capisco! Ci capisco anche troppo! “ribatto ridendo
“Leone….Lara, io e Tea ci siamo fidanzati!” La voce di Dedo è tutta un programma, mentre Tea diventa rossa come un tulipano. Possibile che oggi esistano ancora ragazze capaci di arrossire?
“Cosa? – la voce di Leone è incredula e anche un tantino esitante – state scherzando o fate sul serio?”
“Mai stato più seri di così – improvvisamente Dedo diventa quello che fino ad oggi non ero mai riuscita di vedere: un vero uomo – voglio bene a Tea….mi sono innamorato di lei appena l’ho vista…e non mi era mai capitato prima d’ora…Lara te lo può confermare….Abbiamo deciso di passare insieme tutta la vita”
“E’ vero Tea? – la voce di Leone ora è più dolce e guarda con tenerezza la sorella – anche tu sei innamorata di Dedo?”
“Sì Buzz….gli voglio bene. Non avrei mai pensato di voler bene a qualcuno così tanto!”
“E allora ….benissimo! Si stava proprio facendo progetti in questo momento mentre aspettavamo che arrivaste. Ora diventeranno ancora più solidi” Leone ha ritrovato tutto il suo buonumore mettendo a suo agio Dedo e Tea che ora non sono più così tesi come quando sono arrivati. Certo che per loro è una bella novità! Ma anche per me lo è e mi affretto a rituffarmi nella ricerca della chiave, prima che l’emozione abbia il sopravvento.
“Dai ragazzi….poi brinderemo alla vostra felicità, ma ora mettiamoci tutti quanti a lavorare e ringraziate il cielo che la mia casa è piccola, altrimenti ci sarebbe voluto un mese….”.
Quando ho proposto di mettere a soqquadro la mia casa, non avrei mai pensato che l’operazione sarebbe riuscita così bene. Due ore dopo non sappiamo neanche più dove siamo noi, coperti da cappelli, borse, vestiti, libri, tubetti e pennelli, giornali…..e ancora sta venendo fuori roba da ogni contenitore che la mia fantasia ha sistemato sino ad arrivare al soffitto. Abbiamo spostato quadri, quadretti, enciclopedie, ma della chiave niente di niente.
“Eppure sono sicura di non averla buttata via – dico ancora convinta di quello che affermo nonostante gli sguardi degli altri cerchino di farmi dubitare di me stessa – sono sicura di averla messa da qualche parte che ora non ricordo…ma c’è credetemi……Io non butto mai niente. L’unica cosa di cui mi sono privata sono le pantofoline verdi che regalai a De……” e mi interrompo. Gli altri mi guardano senza dire una parola hanno capito che mi è venuto in mente qualcosa. Prendo velocemente una sedia e sbarazzandola di tutto quello che le è stato appoggiato sopra l’avvicino al mio armadio, vi salgo e allungandomi quanto possibile prendo una scatola dove una volta ci sono state le famose pantofoline che mi aveva regalato la zia Cloe.
Preferisco non aprirla in quella posizione scomoda. Se dentro ci fosse quello che io credo che ci sia, potrei rischiare di farla cadere e in tutta quella confusione chi la ritrova più?
Scendo con calma dalla sedia e gli altri mi si avvicinano con la stessa frenetica impazienza che ho io.
“Uno, due e …tre – e sollevo il coperchio – eccola…eccola, guardate! Ve lo dicevo che c’era la chiave” La piccola chiave è infatti adagiata su un foulard rosso, che ora lo ricordo bene, avevo messo nel fondo della scatola, non so neanche io perché.
“Venite andiamoci a sedere e confrontiamo questa chiave con quella della fotografia della signorina Marinella” e mi dirigo verso il divano, seguita da Leone. Dedo e Tea stanno sorridendosi e dicendosi qualcosa.
“Dai venite qua – dico sbrigativa – avete tempo dopo per i vostri mucci mucci!”
Dopo trenta secondi i nostri dubbi sono tutti fugati. La chiave è quella, senza ombra di dubbio.
“Non vi sembra che ora ce la siamo proprio meritata una bella pizza?” propone Leone riscuotendo l’approvazione incondizionata di tutti noi.
“Poi che facciamo?” domando incuriosita
“Mi sembra ovvio – risponde Leone girando lo sguardo su tutti noi –telefoniamo al notaio”








Frangione Ruperto e figli
Studio Notarile

Non è facile stare seduti in una sala d’attesa di uno studio notarile. Sembra che in quel luogo il tempo si misuri con altri criteri, criteri lunghi a quanto pare perché la segretaria che ci ha fatto accomodare ci ha detto con un sorriso:
“Ci sarà da aspettare circa cinque minuti!”
E invece siamo lì da tre quarti d’ora e ancora niente prelude al nostro ingresso nell’ufficio del Notaio, che logicamente non è più Ruperto, ma sempre Frangione è.
Norberto per l’esattezza.
E’ stato facile trovare il vecchi studio, perché tutti lo conoscono di fama e tutti ci hanno saputo indirizzare al nostro luogo di appuntamento. Un appuntamento che ha tardato almeno ottant’anni.
Leone sembra proprio una fiera in gabbia. Passeggia nervosamente su e giù per la stanza, mentre Dedo e Tea lo guardano tenendosi per mano. Per loro la cosa più importante è di essere lì insieme, il resto è tutto al contorno.
Quanto a me, siccome nessuno si interessava di come mi sentissi in quel momento, per salvare la mia dignità ho reputato giusto e saggio mettermi a leggere. Le riviste in quell’ufficio non mancano; peccato che però siano solo riviste tecniche e di contratti.
Poi improvvisamente la porta di fronte a noi si è spalancata e un omino piccolo, con un paio di baffi enormi si è materializzato sul vano.
“Voi siete i signori Goldoni –Conforti? Prego accomodatevi – dice al nostro cenno di assenso – sono tanti anni che vi aspettiamo!”
Lo studio nel quale entriamo ci fa fare un viaggio a ritroso nel tempo perché potrebbe essere quello di un notaio dell’ottocento. C’è legno dappertutto. Le pareti sono letteralmente ricoperte da librerie in legno di noce, stracariche di volumi austeri e di colore scuro, la scrivania grande, massiccia si adorna di calamai e penne, che ci scommetto, non sono lì solo per bella figura. Dietro la scrivania un’enorme cassaforte, di rara bellezza e vetustà, chiama gli sguardi su di sé. Qua e là poltrone e divani in cuoio e tavolini da fumo. Le lampade sono discrete. Il neon non ha fatto la sua comparsa in quella stanza. E neanche il computer.
L’omino si siede alla sua scrivania e ci fa cenno di accomodarci.
“Permettete che mi presenti. Sono il notaio Norberto Frangione! Quando il l’Architetto Conforti mi ha telefonato per prendere un appuntamento e mi ha detto chi eravate, non credevo alle mie orecchie. E’ passato così tanto tempo da quando il signor Galeazzo Goldoni venne a depositare qui la sua cassetta, che sinceramente ormai avevamo perso tutte le speranze che qualcuno sarebbe arrivato. Noi, come studio ci siamo tramandati la storia del signor Galeazzo e oggi siamo onorati di poter fare qualcosa per voi”.
Ci agitiamo imbarazzati sulle poltroncine. Una volta tanto nessuno di noi sa cosa dire, ma il notaio è troppo vecchio del mestiere per non capire quando è opportuno mettere a proprio agio i suoi interlocutori, cosa che si affretta a fare immediatamente.
“Allora ….ricapitoliamo. Il signor Galeazzo Goldoni, trisavolo della qui presente signorina Lara Goldoni venne a depositare in questo studio, nelle mani del mio prozio Ruperto Frangione, notaio, una cassetta, all’interno della quale disse che ci sarebbe stato qualcosa che solo chi avesse avuto la chiave per aprirla, avrebbe potuto prendere. Disse altresì che dentro la cassetta ci sarebbe stata anche una chiave gemella di quella che doveva essere presentata da chi sarebbe venuto. Se la chiave presentata non fosse stata identica a quella che è dentro la cassetta, ciò che vi è contenuto non doveva essere dato. Ecco! Il momento è arrivato….non resta altro che prendere la cassetta!”
E con uno scatto agile e improvviso l’omino si avvicina alla cassaforte. Gira diverse manopole, infila diverse chiavi e dopo un rituale laborioso ma che lui conosce molto bene, a quanto pare, lo sportello si apre.
La nostra bocca è asciutta e non riusciamo a proferire parola. Finalmente il notaio si gira nuovamente verso di noi tenendo tra le mani una piccola cassetta di legno intarsiata e mostrandocela quasi fosse un’opera d’arte ci sorride dicendo:
“Eccola!” e ci guarda negli occhi uno per uno. Poi si rivolge a me e con un piccolo inchino mi dice:
“Prego signorina. Quando crede può infilare la sua chiave nella toppa della cassetta”
Che cosa provò Cenerentola quando il principe le infilò la scarpetta di cristallo? Non lo so, ma so quello che successe a me quando la chiavetta minuscola, girò dentro la toppa della cassetta e fece sentire un piccolissimo clic. Ho sentito un lungo brivido scivolarmi per la schiena.
“Bene, la cassetta si è aperta. Ora, se permettete devo verificare se la chiave con la quale lei ha aperto signorina, è la gemella di quella che è qui dentro” dice molto seriamente il notaio, rompendo nel frattempo il sigillo di ceralacca che ha unito indelebilmente per tanti anni il coperchio della cassetta con la sua base.
Il momento è carico di una tensione che si avverte distintamente. So che se avessi un coltello con me potrei tranquillamente farla a fette e distribuirla in parti uguali ai miei amici. Anche Norberto Frangione mi sembra teso. Forse dopo tanti anni di attesa, anche per lo studio Ruperto Frangione e Figli, è auspicabile che questa operazione vada a finire bene.
L’omino dal ridondante nome di Norberto Frangione tira fuori lentamente una chiavetta del tutto simile alla nostra. Tiro un sospiro di sollievo. Ora bisogna vedere se le due copie collimano perfettamente.
“Signorina Goldoni, questa è la sua chiave – mi dice il notaio con molta enfasi – ora la sovrapporrò a quest’altra e vedremo se la nostra operazione ha avuto buon esito e sorridendo fa combaciare le due chiavette, che aderiscono perfettamente l’una all’altra.
“Bene – dico sollevata per la fine di quell’attimo di pura tensione – a questo punto mi pare che siamo a posto…non è vero dottor Frangione?”
“Non ancora signorina. Come le ho detto questa operazione testamentaria riguarda sia la famiglia Goldoni sia quella Conforti, per cui dovremo vedere il proseguimento della cosa. Neanche io sapevo che cosa contenesse la cassetta e solo ora che l’ho davanti a me aperta, posso vedere che al suo interno ci sono tre buste sigillate, di misura diversa, numerate con i numeri 1,2,3. La n° 3 mi sembra che contenga oggetti più pesanti”.
“E noi che dovremmo fare?” interviene Leone che fino a quel momento è stato silenzioso e assorto in ciò che accadeva
“Ora dovremo guardare i contenuti di queste buste e a seconda di quello che conterranno dovrete prendere la decisione se accettare o rifiutare l’eredità che vi è stata lasciata.” Il notaio ora è molto professionale e il tono della sua voce è neutro, per farci capire che la decisione che prenderemo non dovrà essere assolutamente influenzata da nessuno, tanto meno da lui.
“Posso dare inizio all’apertura delle buste?”
“Certamente – dicono insieme Leone e Tea. Mica si è gemelli per niente!
Io non riesco a parlare. Non so perché ma a un tratto ho paura. E’ come se quelle buste che stanno per essere aperte possano contenere qualcosa che condizionerà la mia vita. Per un attimo sono tentata di alzarmi e di uscire, anzi no, di scappare, ma Dedo, che da un po’ mi sta osservando e che capisce i miei stati d’animo ancor prima che li capisca io, mi dice con voce pacata:
”Lara sei pronta per sentire la lettura?”
Lo guardo con riconoscenza. In un attimo ha saputo riportarmi presente a me stessa. Ora sono più tranquilla
“Prontissima!” dico con voce sicura.
“Allora vi prego di ascoltarmi! Do inizio alla lettura del contenuto della prima busta - dice Norberto Frangione schiarendosi la voce - “Carissimi, non so se questa mia lettera potrà mai essere aperta, ma io confidando di sì, voglio andare avanti nel mio sogno, o almeno quello che per me è rimasto un sogno. Avendo già letto la lettera che avete trovato nel pianoforte, vi sarete certo resi conto del grande amore che mi ha legato a Marinella Conforti…un amore che purtroppo non ha potuto avere il lieto fine che noi avremmo voluto. Per me lei è stata comunque la donna della mia vita, per cui il mio desiderio, scrivendo a voi che siete i miei discendenti, e a quelli che sono i discendenti di Marinella, è quello che tra voi, se sarà possibile, possa scoccare la stessa scintilla che un giorno si accese per noi due. Logicamente non so come andranno le cose e forse anche questo rimarrà un sogno, come lo sono rimasti tanti altri nella mia vita, ma il pensiero di sapere che forse in un lontano futuro, Galeazzo e Marinella possano rivivere la loro storia d’amore nei loro discendenti, mi aiuta a vivere meglio. Non voglio complicare la vita a nessuno per cui se ciò non accadrà, ciò che è stato destinato a voi, andrà in altre mani e non sarà sprecato, ma nel caso che invece questo bel sogno si potesse avverare, sarà tutto vostro e voi potrete comunque fare del bene lo stesso. Ho stipulato un contratto con il notaio Ruperto Frangione affinché la Villa Fiorita che ho comprato recentemente venga assegnata a chi dei Goldoni- Conforti si unirà in matrimonio. Se ciò non sarà possibile la suddetta Villa sarà devoluta in beneficenza per ricavarne un collegio per orfani .Se invece fosse presa la decisione di accettare l’eredità e dunque di convolare a nozze, questo sarà possibile solo se saprete dare la risposta alla famosa domanda che io facevo sempre a Marinella: “Perché bisogna faticare tanto per conquistare il mondo?”. Io so che se voi troverete la risposta giusta sarete fatti l’uno per l’altra, proprio come eravamo noi.
Sono molto affezionato a questa casa, perché è la villa della famiglia Conforti, che fu venduta in un momento di grave situazione finanziaria della famiglia. Nessuno ha mai saputo che il proprietario sono diventato io, né io ho mai usato quella casa, che è rimasta sempre chiusa, in attesa che qualcuno la facesse rivivere. In una busta dunque troverete il contratto di acquisto, mentre in quell’altra troverete due chiavi. Quella più grande è del portone di ingresso, mentre la più piccola apre una stanza nella quale ho riservato una sorpresa per voi, una sorpresa che spero vi possa fare piacere e che comunque sarà vostra, anche se dovrete rinunciare alla villa. Lo so che è strano parlare a persone che non si conosceranno mai, ma so che voi fate parte di me e di Marinella, per cui vi voglio bene.
Vi auguro tanta felicità e di fare la scelta migliore, per la quale avrete tempo sei mesi dall’apertura di questa lettera.
Vostro Galeazzo Goldoni”
Omessa la data perché questa è una lettera senza tempo”

Il Notaio, ha terminato la lettura e per un attimo nella stanza scende un grande silenzio. L’imbarazzo è fortissimo e anche l’incredulità. Queste cose non possono accadere ai tempi nostri, via!
Norberto Frangione si schiarisce nuovamente la voce, evidentemente anche lui in preda all’imbarazzo.
“Signori, lo so che questa lettera vi può apparire strana, è così anche per me, ma bisogna considerare i tempi in cui fu scritta. Per il signor Galeazzo era una cosa normalissima formulare una simile richiesta, negli anni in cui viveva lui. Oggi la cosa appare grottesca e nessuno si sognerebbe mai di stipulare un testamento in questo senso…..Però purtroppo vi devo dire che la procedura richiede di seguire quanto dichiarato, alla lettera, per cui, se ho ben capito, la decisione in questo momento spetta unicamente alla signorina Lara Goldoni e al signor Leone Conforti”.
“Per quello che mi riguarda non se ne parla nemmeno!” butto fuori il mio pensiero senza neanche stare a riflettere per un attimo. Ma figuriamoci se voglio farmi mettere il guinzaglio al collo! Neanche per un castello lo farei!
“Anch’io non ho il minimo dubbio! Figuriamoci se voglio legare la mia vita a una persona che conosco a malapena ..e che tra l’altro non è neanche il mio tipo!” ribatte Leone senza nemmeno guardarmi.
“Signori…come avrete già capito dalla lettura che vi ho fatto, non dovete decidere ora,….avete tempo sei mesi, da questo momento, per darvi anche modo di pensare alla risposta al quesito posto dal signor Galeazzo, per cui la vostra decisione me la comunicherete entro quella data. Però, c’è anche un'altra eredità che non pone condizioni e che dovrà essere divisa in parti uguali tra di voi. Io naturalmente sono al corrente del contenuto della stanza in questione, perché a suo tempo è stato redatto un documento in cui tutto è stato catalogato, ma per espressa volontà del defunto signor Galeazzo, dovrete prenderne atto da voi stessi.”
Non ho voglia di parlare e neanche Leone a quello che sembra, per cui dopo un minuto di assoluto silenzio è Dedo che prende l’iniziativa e:
“Cosa dobbiamo fare quindi?”
“Decidere insieme a me un giorno e un’ora per andare a Villa Fiorita e prendere atto insieme del contenuto della nominata stanza!”
“Va bene a tutti domani alle quattro del pomeriggio?” è la prima volta che Tea apre bocca.
Tutti la guardiamo e l’espressione serena del suo viso è un balsamo per tutti noi.
“Per me va benissimo!” le dico sorridendo
“Anche per me non ci sono problemi!” aggiunge subito dopo Leone
“Perfetto dottor Frangione, ci vediamo domani alle quattro davanti a Villa Fiorita” conclude Dedo alzandosi.
Siamo fuori. Guardo Leone di sottecchi.
“Brutto presuntuoso che non sei altro! Ma chi ti credi di essere? Io non sarei il tuo tipo eh?! Te lo fo vedere se sono il tuo tipo o no……e poi ti mollo in mezzo a una strada!” penso a fior di labbra tutte queste belle amenità, mentre ci avviamo verso casa. Mi accorgo che anche Leone ogni tanto mi guarda senza darlo a vedere. Ha un’espressione chiusa, molto ermetica, e probabilmente sente lo stesso disagio che sento io. Dedo e Tea invece, mano nella mano, sembra che siano fuori dal mondo e parlano fitto fitto tra di loro, facendo progetti per il futuro, a quello che mi sembra di capire, cogliendo qualche parola in qua e in là.
Sono contenta per Dedo. Non l’avevo mai visto con l’espressione che ha ora negli occhi e credo proprio che Tea sia la persona che ci vuole per lui.
Non vedo l’ora di essere a casa. Sono sicura che tra le mie cose di tutti i giorni ritroverò la serenità che in questo momento mi manca. Ci voleva proprio il mio trisavolo a complicarmi l’esistenza! Anche lui non aveva niente di meglio da fare che andare dietro a un sogno? Eppure mi rendo conto di somigliargli molto e dentro di me sono orgogliosa di lui e di tutta la storia che è riuscito a montare a distanza di tanti anni. Un sorrisino comincia a spianarmi la bocca.
“In fin dei conti, confessalo Lara che Leone ti piace. Ti è piaciuto dal primo momento che l’hai visto, ricordi?”
“Non ci mancavi che te – dico all’altra Lara che è venuta a importunarmi – come se non avessi già abbastanza cose da pensare!”
“Sì lo so! Ma questa è una cosa importante, la più importante di tutte! Ti piace o no Leone?”
“Sì mi piace…e allora?” rispondo inviperita
“E allora di che ti preoccupi? Forse del fatto che se lui decide di sposarti pensi lo possa fare per entrare in possesso della villa?” mi dice l’altra me stessa in modo provocatorio
“Brutta cattiva che non sei altro! Ti diverti vero a dirmi queste cattiverie! Ebbene se lo vuoi sapere è proprio così!”
“E magari non pensi che anche lui possa fare gli stessi ragionamenti?” continua lei angelica
“Io non sono il tipo da fare cose simili!” rispondo risentita
“E perché dovrebbe esserlo lui?” incalza seraficamente il mio alter ego.
“Non lo so. Uffa! Non ci sto a capire più niente! Mi vuoi lasciare in pace per piacere? Almeno fino a domani mi vuoi stare lontano?” Non ne posso proprio più.
“Voglio andare a casa!” dico rivolgendomi a tutti e per tutti risponde Dedo che tranquillamente mi dice
“Neanche per sogno Lara. Stasera andiamo a cena fuori perché Tea e io abbiamo da dirvi qualcosa”.
“Va bene, basta non fare tardi perché sono veramente stanca!” rispondo abbastanza sgarbatamente. Ma Dedo non ci fa caso. Sa che in questo momento sono molto nervosa e cerca di aiutarmi come può.
“Dove possiamo andare a cena?” chiede a Leone
“Io direi di andare al ‘Centro di gravità permanente’. Si mangia molto bene
“Aggiudicato! E naturalmente siete miei ospiti”
E’ proprio vero che nel ristorante proposto da Leone si mangia bene e infatti dopo dieci minuti tutto il malumore è scomparso e io e Buzz riusciamo a guardarci tranquillamente e anche a cominciare a scherzare sopra al nostro ipotetico matrimonio combinato.
“Ma ti immagini cosa vorrebbe dire vivere con te Lara? Significherebbe non trovare più neanche un paio di calzini. Mi sono accorto che hai una capacità unica di nascondere le cose” mi dice a un certo momento
“Per fortuna che ci sei tu, che a quanto ho visto sei l’ordine personificato. Non lo sai che poli opposti si attraggono?” gli rispondo ridendo, una volta tanto senza neanche una punta di acidità.
A questo punto Dedo batte leggermente la forchetta nel calice di cristallo, richiamando l’attenzione.
“Hmm! Hmm!...io e Tea vorremmo dirvi una cosa!”
“Siamo tutti orecchie – dai non fateci aspettare più – per caso avete trovato un sistema per risolvere questa cosa che ci è piombata tra capo e collo?” chiede ridendo Leone
“No! – ora Dedo è proprio serio e prendendo Tea per mano mi guarda dritto negli occhi e – Noi ci sposiamo!”
“Oh diavolo!” non può fare a meno di dire Leone lasciando a mezz’aria la forchetta
“Davvero? Questa è una notizia splendida miei cari. Sono così contenta. Lo sapevo che quando avresti trovato la ragazza giusta avresti capitolato in un attimo Dedo!!” Mi alzo e fo i due passi che mi separano dal mio migliore amico e lo abbraccio con quanta forza ho, per comunicargli tutta la mia gioia “Sono proprio contenta!” ribadisco soddisfatta
“Oh diavolo! Sono contento anch’io…..ma è stato come dire…un fulmine a ciel sereno” e anche Leone si alza per abbracciare Tea, che emozionantissima non riesce a parlare
“E quando vi sposate?” domando incuriosita
“Il tempo di sbrigare tutte le formalità! La mia casa è ampiamente sufficiente per entrambi e se va avanti il progetto di ristrutturare la tua casa di campagna, abbiamo deciso di collaborare insieme a voi!” questa nuova sicurezza di Dedo mi affascina oltre ogni dire e guardo il mio ragazzone con occhi di mamma. Una mamma compiaciuta.





Stanotte non ho dormito bene. Sarà la novità di Dedo, sarà l’ansia per dover andare col notaio a vedere l’eredità che ci è toccata, sarà per la decisione da prendere o non prendere con Leone…..insomma mi sono agitata tutta la notte, cosicché quando è suonata la sveglia, l’ho guardata con occhio assassino e poi mi sono girata dall’altra parte. Aiuto! Voglio tornare alla mia vita di prima, non voglio trisavoli sclerotici tra i piedi a complicarmi l’esistenza e neanche giovanotti dagli occhi neri che mi dicono che non sono il suo tipo. Voglio tornare a dipingere le mie tele surreali e a correggere le bozze più o meno noiose che mi manda la casa editrice. Voglio i miei panini col formaggio e le mie quattro chiacchiere da dividere con Dedo! Dedo…già! Neanche Dedo c’è più, o perlomeno non c’è più come prima….Basta! Meglio alzarsi e mettersi al lavoro.
“E’ inutile che mi fai gli occhi dolci! – dico all’immagine che si presenta alla mia mente, un’immagine di Leone di prima mattina, con la criniera tutta arruffata – tanto non mi importa niente di te! Per me caro bello, puoi andare anche a farti friggere!” il grado di acidità con cui mi sono svegliata stamani è quasi tossico, me ne rendo conto anche da sola. “Peggio per chi mi starà vicino!” mi dico alzando le spalle e. addentando una mela mi tuffo a capofitto nella lettura di un testo di filosofia che devo riconsegnare entro domani!
Tre e mezzo! Il tempo alla fine è passato in fretta e sarà ora che mi prepari. Dedo ha promesso che passerà a prendermi e poi ci troveremo con Tea e Leone a casa loro. Di lì andremo insieme a Villa Fiorita.
Nei miei ricordi c’è un vago ricordo di quella casa, e un ricordo più che altro legato alla mia fanciullezza, quando ancora d’estate passavo qualche periodo nella casa di campagna. Ricordo solo che poco lontano c’era un’enorme villa, ma in questo momento non so dire se fosse bella o no.
“Poco importa tanto tra poco la vedrò!” mi dico filosoficamente
In quel momento il campanello suona e mi precipito ad aprire. Dedo è sulla soglia sorridente come sempre e in un attimo le paure della notte spariscono come per incanto. Dedo sarà sempre la stessa persona di prima, il mio migliore amico, colui al quale potrò sempre dire tutto.
“Sono pronta! - gli dico sorridendo – andiamo pure!”.










Siamo arrivati a Villa Fiorita in uno splendido pomeriggio di sole. Non la ricordavo per niente, anche perché per arrivare alla Casa di campagna, che è poco lontano da lì, si prende comunque un’altra strada. L’unica cosa che ho sempre ricordato di villa Fiorita è l’enorme querce che si impone proprio all’ingresso. Non è cambiata per niente da come la ricordavo, ma la villa mi fa un certo effetto, tutta chiusa, triste, sola.
Leone e Tea la guardano con rispetto misto a commozione. Lì hanno vissuto i loro avi, e anche il loro nonno per un certo periodo della sua vita ha abitato questo posto che per loro è perfettamente sconosciuto. Il silenzio è pesante e carico di domande non espresse. Che ci sarà al di là di quel portone?
Norberto Frangione tira fuori la grossa chiave dalla sua borsa portadocumenti e con passo deciso si avvia verso l’ampia scalinata. Noi lo seguiamo, Dedo e Tea tenendosi per mano, io e Leone guardandoci intorno, per non guardarci negli occhi. Siamo nuovamente imbarazzati.
La chiave gira nella pesante toppa del portone che si apre con sinistri scricchiolii, o così pare a me. Alzo gli occhi per guardare la maestosità del portone e la mia attenzione è attirata da uno stemma al centro del quale fa spicco una cavallo alato contornato da sette fiori variopinti. Nel cartiglio un po’ consumato mi sembra di leggere ‘per aspera ad astra’. Due merli spiccano il volo dal cornicione e vanno a posarsi nel verde prato poco più in là. E’ tutto molto bello e molto austero.
Dedo mi chiama:
“Dai Lara muoviti. Stiamo aspettando te!”
“Arrivo!” Possibile che non ci sia neanche il tempo di guardarsi intorno?
Entriamo in un vasto ingresso completamente arredato, ma anche completamente coperto di lenzuoli bianchi. Sento un brivido scorrermi per la schiena . Mi sembra la casa dei fantasmi. Istintivamente mi avvicino a Leone che sembra capire il mio stato d’animo e senza dire una parola mi passa un braccio intorno alle spalle. E’ come se una fonte di calore scivolasse sulla mia schiena e mi scaldasse tutta, idee comprese. La paura svanisce d’incanto e mi accingo a guardare incuriosita quel poco che ci è dato di vedere. Al di là del vasto ingresso infatti ci sono solo porte chiuse e un’enorme scalinata che porta al piano superiore.
Il Notaio si ferma davanti alla prima porta sulla destra e , tirata fuori la chiave più piccola, la inserisce nella toppa e gira. Tra poco conosceremo che cosa c’è in quella stanza e qualsiasi cosa ci sarà, sarà nostra se la vorremo.
Norberto Frangione si gira verso di noi e con voce tranquilla ma autoritaria ci dice:
“Ora aspettate un attimo qui. Datemi il tempo di entrare e di aprire le tende delle finestre. Solo così potrete vedere la vostra eredità”.
Entra richiudendosi dietro la porta e noi rimaniamo lì in attesa, incapaci persino di parlare. Quanto dura la nostra attesa? Non lo so dire, ma so che poco dopo la voce del notaio ci chiama invitandoci ad entrare.
Ci si presenta uno spettacolo che ci lascia a bocca aperta.
La stanza è grandissima, stupenda e inondata dal sole del pomeriggio e fa da sfondo a un’autentica collezione di quadri. Ci sono quadri dappertutto. Quadri alle pareti, quadri in mezzo alla stanza appoggiati su cavalletti. Colore, tanto colore, colore vivo che balza fuori dai soggetti che sono rappresentati e arriva fino a noi inondandoci di sbigottimento, di emozionato stupore. Galeazzo e Marinella sono lì con noi e ci guardano dalle tante tele che affollano quella stanza, ci parlano del loro amore, dei loro sogni, della loro gioventù. Ci mostrano i loro volti a volte ridenti, a volte malinconici, e sempre innamorati, perdutamente innamorati. E poi quadri di fiori, come se la primavera dovesse regnare per sempre sovrana in quel posto e più in là….no, non è possibile, il ritratto della testa di un cavallo, con un sorriso misterioso sulla bocca e lo sguardo perso in posti lontani, il bel muso appoggiato a una zampa in atteggiamento pensoso.
“E’ Jo… Buzz, guarda è Jo…-e prendendo per mano Leone me lo tiro dietro fino ad arrivare a pochi centimetri dal muso di quel magnifico cavallo – Guarda! Guarda Buzz, non ti sembra che mi stia guardando e che stia per dirmi qualcosa?”
“Calmati Lara ti prego – risponde Leone con voce preoccupata e anche un po’ emozionata – lo sai benissimo che i cavalli non parlano!” mi sbaglio o c’è poca convinzione in quanto dice?
Norberto Frangione è rimasto in silenzio in disparte per tutto il tempo in cui noi abbiamo guardato le decine e decine di quadri, ci siamo stupiti, emozionati, e poi lentamente siamo tornati alla normalità.
Poi, schiarendosi la voce per attirare la nostra attenzione ci dice di avvicinarci e quando siamo davanti a lui spiega il suo punto di vista:
”Tutto questo è vostro, naturalmente da dividere in parti uguali, come da disposizioni testamentarie. Voi se credete potete anche rinunciare a questa eredità, ma mi permetto di dirvi che fareste una grossa sciocchezza. Molti dei dipinti del signor Galeazzo Goldoni sono esposti in altrettanti musei in tutto il mondo. Voi forse non apprezzate l’arte di Galeazzo Goldoni, ma sicuramente conoscete quella del celebre pittore Matieu. Ebbene signorina Lara, Galeazzo e Matieu sono la stessa persona e oggi voi entrate in possesso di un’eredità milionaria.”.
Sono frastornata. Forse agli altri il nome di Matieu dice poco. Solo chi è introdotto nel mondo dell’arte pittorica conosce questo nome che sta diventando sempre più famoso, ma io lo conosco bene perbacco e mi è sempre piaciuto, solo che l’avevo sempre visto esprimersi in altri soggetti.
“Bene! A questo punto direi di andare e ci vediamo domani nel mio studio per definire tutte le formalità. Va bene?”
“Benissimo” risponde per tutti Dedo “Ora penso che ce ne andremo a casa a smaltire l’emozione di questa giornata. Per quanto mi riguarda ho bisogno di andare a strimpellare un po’ di musica, per riappropriarmi di me stesso. Tu che fai Tea?”
“Vado a casa anch’io. Ho bisogno di sedimentare davanti a una buona tazza di the…..però potrei prenderlo anche da te, che ne dici?” risponde sorridendo a Dedo, che annuisce contento.
“Io e Lara penso che faremo due passi qui nei dintorni. Ho una gran voglia di vedere la Casa di campagna! Che ne dici? Mi fai da guida?”
“E’ un’ottima idea. Vogliamo andare subito?” chiedo infervorata. Ho proprio bisogno di vedere la mia vecchia casa per riavermi da tutte le emozioni di questi ultimi giorni! Accidenti zia Cloe! Ma ti rendi conto di che cos’hai combinato?












“Ma che posto incantevole!” l’entusiasmo di Leone davanti alla mia vecchia casa, è genuino e spontaneo. Certamente Villa Fiorita con tutta la sua maestosa bellezza non gli ha fatto questo effetto. Continuo a dire che gli uomini non li capirò mai!
“E’ proprio un posto incantevole Lara. Qui ci verrà benissimo tutto quello che avevamo progettato. L’interno di questa casa è anche superiore alle mie aspettative e potremo farci un sacco di cose belle. Del resto è piena di luce non vedi anche te? I tuoi quadri troveranno una collocazione magnifica e potrai fare una piccola galleria……che ne dici?”
“Ma allora il progetto va avanti?” chiedo piacevolmente stupita.
“Ma certo! Sempre che tu sia sempre della stessa idea.”
“Certo che sono d’accordo ribatto entusiasta . tra l’altro pensavo che ora con la vendita di qualche quadro dello zio potremmo fare dei lavori anche più importanti di quelli che avevamo pensato!”
“Sì certo!” conferma subito Leone, ma sento una sfumatura di esitazione nella sua voce. Lo guardo interrogativamente e lui un po’ confuso aggiunge
“Sai Lara, avevo pensato che il ricavato dei quadri di tuo zio Galeazzo avrebbero potuto essere impiegati per ristrutturare Villa Fiorita e farne un luogo per accogliere bambini”
“Ma che bella idea che hai avuto! Io non ci avevo pensato sai? Invece sarebbe proprio una cosa splendida – il mio entusiasmo è alle stelle, ma quasi immediatamente dopo divento rossa come un pomodoro e dico sottovoce - Ma…ma questo vorrebbe dire che noi ci dovremmo sposare!”
“Già – dice lui e improvvisamente mi si guarda intensamente e appoggia le sue mani sulle mie spalle – e la cosa non mi dispiacerebbe affatto. Ma tu hai detto che non ci pensi neppure, per cui non so più come fare per dirti che ti voglio bene!”
“Perché non provi a ridirmelo?” gli suggerisco con un filo di voce, sentendo che le mie gambe cedono ignominiosamente . Ma sono proprio io la ragazza di quindici giorni fa? Se mi vedesse Desirèe in questo momento, farebbe molta fatica a riconoscermi.
“Ti voglio bene Lara. Mi sei piaciuta fin dal primo momento che ti ho vista, arrabbiata contro il mondo, quando ti ho consegnato il ‘Vecchio Jo’, e fin da allora dentro di me cercavo un pretesto per poterti rivedere…mai mi sarei immaginato che il giorno dopo mi saresti piombata in casa….poi è venuta tutta questa storia dell’eredità e del matrimonio per poterla avere e mi sono detto che l’unica maniera era quella di poter fare qualcosa per gli altri. Tuo zio l’aveva messa come alternativa, ma io ho pensato che le due cose potevano andare insieme. Aiutare qualcuno, ed essere felici noi. Una casa dove andare ce l’abbiamo. E’ la mia…e mi sembra che ti sia piaciuta molto…..che ne dici Rus?” finisce nervosamente. Capisco che deve essergli costato molto fare un discorso così lungo a una ragazza, ma l’ha fatto e io sono letteralmente volata tra le sue braccia prima ancora che terminasse, risparmiandomi così una risposta, che in quel momento non sarebbe venuta fuori, semplicemente perché non avrei potuto parlare.
“Che cosa meravigliosa – dico spalancando gli occhi e facendo una risatina felice - chissà come sarà contento Dedo, quando glielo diciamo! Era così preoccupato per me! Sai…temeva di lasciarmi sola e questo appannava un po’ la sua gioia!”
“Ora non avrà più nessun motivo per essere triste. Io gli ho risolto il problema!” aggiunge sghignazzando Buzz
“Stai attento a come parli sai!- rispondo scherzosamente – potrei anche ripensarci!”
“Non ti azzardare sai! Come farei per Villa Fiorita?”
“O…bruto che non sei altro! In un momento simile osi confessarmi che fai un matrimonio di interesse?”
“E tu allora? Anche tu fai un matrimonio di interesse almeno al cinquanta per cento!........oppure mi vuoi un po’ di bene? Lo sai che ancora non me lo hai detto?!”
“Non mi sembra che ce ne sia stato bisogno” Come è bella questa schermaglia, mentre ci teniamo per mano e ci arruffiamo i capelli l’uno con l’altro e ci diamo piccole spinte per riabbracciarci l’attimo successivo. Ci sarà mai più un momento altrettanto perfetto nella tua vita Lara?
“Dai….andiamo a dirlo a Tea e a Dedo! Stasera bisogna festeggiare!” e Leone prendendomi per mano comincia a correre tirandomi verso la vettura
“Ehi!...Ehi! aspetta un attimo Buzz…..mi sono ricordata di una cosa!”
“Che cosa amore mio?”
“Noi non conosciamo cosa rispondeva tua zia Marinella a mio zio Galeazzo quando lui le faceva la famosa domanda ‘perché bisogna faticare tanto per conquistare il mondo?’ Io non riesco neanche a immaginare che cosa gli potesse rispondere!”
“Già…. È vero! Sai che ti dico Rus? Stasera è la nostra sera, quella solo per noi due, quella che deve rimanere per sempre nei nostri cuori….Poi domani ci penseremo! Va bene?
“Ok! ….Ma …Buzz! Se non riusciamo a trovare la risposta sei sicuro che la tua proposta sia sempre valida?” gli dico ridendo, ma con una punta di apprensione.
Lui se ne accorge e tornato immediatamente serio, mi prende il viso tra le mani e mi dice:
“Sappi che non ti libererai mai più di me!”
Mi basta. Tiro un grande sospiro di sollievo e mi appresto a rilassarmi. In fin dei conti oggi è stata davvero una giornata emozionante!








Domani è arrivato sin troppo presto. Mi sono appena svegliata stamattina e stiracchiandomi nel mio letto, ripenso alle facce stupefatte di Dedo e di Tea, quando gli abbiamo detto che abbiamo deciso di darci noia per tutta la vita. Non potevano crederci. Per un attimo mi è anche sembrato che Dedo fosse un tantino geloso, poi ripensandoci, credo che abbia avuto la stesa reazione che ebbi io quando mi disse di Tea. In fin dei conti l’amicizia è un’altra forma di amore, non l’ha detto qualcuno?
Poi tutto è tornato normale e abbiamo cominciato a fare progetti parlando tutti insieme.
“ Faremo un matrimoni a quattro” ha detto Dedo entusiasticamente, ma Leone ha alzato una mano e ha sentenziato categoricamente:
”Non se ne parla nemmeno. Tea ha diritto ad avere il suo giorno unico e irripetibile e non sarò certo io che mi intrometterò”.
Tea ha sorriso. Dentro di sé ha sempre saputo che suo fratello avrebbe risposto così, ma stranamente è stato Dedo, che di impeto ha abbracciato Leone e gli ha detto semplicemente:
“Grazie!”
“Ma voi avete intenzione di sposarvi presto?” ha chiesto Tea rivolta a entrambi
“Non ci abbiamo ancora minimamente pensato…..già Buzz, noi che faremo?”
“Bella domanda!- ha cercato di prendere tempo Leone, ma un sorrisino gli ha fatto capolino sulla bocca – io credo che tra due mesi o forse anche di meno saremo una coppia in pantofole!”
“In pantofole ci starai te mio caro! Io non ne ho la minima intenzione!” replico imbronciata
“Vedete? Ancora non siamo sposati e già comincia ad alzare la cresta!” continua Leone con comica rassegnazione
“Comunque ora abbiamo un sacco e una sporta di cose da fare – dico rivolgendomi a Tea – preparare il vostro matrimonio, aiutarvi a fare la lista delle nozze, preparare gli inviti…….”
“C’è un’altra cosa importante da fare….o mi sbaglio?” Dedo mi riporta con i piedi per terra
“Eeehh?” dico sorpresa
“Ma sì Lara….Non ricordi? Dobbiamo a tutti i costi trovare la risposta che zia Marinella dava a Galeazzo”
“E’ vero….ma non mi viene! E a voi?” guardo speranzosa gli altri, che scuotono la testa.
“Eppure bisogna impegnarci a pensare…..possibile che sia una cosa tanto difficile?” insiste Dedo
“Forse non è difficile, ma ci sono non so quante risposte che potrebbero essere date!” dice molto praticamente Leone
“Va bene – concludo sbrigativamente – pensiamoci, ma pensare non vuol dire che intanto non si possa cominciare a fare i preparativi per voi….o mi sbaglio?”
“No! Non ti sbagli assolutamente” dice ridendo Tea. Tra tutti noi, come sempre è quella più tranquilla e serena.
“Ok. Ragazzi al lavoro!”e Leone si alza ponendo fine alla discussione e alla serata.
Sarebbe bello continuare a pensare alle persona che amo, mi dico filosoficamente, ma il lavoro mi chiama, i preparativi anche e perciò sarà bene che scenda dal letto e mi dia da fare!!








Come sono passati in fretta questi giorni! Può sembrare che non ci voglia niente per preparare un matrimonio….e invece! Nel momento in cui pareva che fosse tutto predisposto, tutto pianificato…patapumfete, uscivano fuori altre dieci cose da fare. I fiori, le bomboniere, gli invitati, la musica, le damigelle, il pranzo, i segnaposto, la cristalleria, le valigie, il fotografo, il viaggio di nozze, i regali, e poi e poi e poi!
“Uffa non ce la fo più!- mi sono detta per la centesima volta con un diavolo per capello – e menomale che volevano fare le cose semplici……Non vogliamo niente di complicato, una cosetta intima, senza pretese, solo per stare insieme noi e ricordarci questo momento….- scimmiotto Dedo facendo le boccacce davanti allo specchio – accidenti alla semplicità! E se erano complicati, che si faceva dico io?”
Guardo i miei capelli decisamente in disordine, il mio vestito decisamente in disordine, le mie scarpe decisamente in disordine, il mio trucco decisamente in disordine…… e pensare che sono la testimone….e pensare che tra dieci minuti devo essere in chiesa……e pensare che devo portare anche il bouquet allo sposo….quindi devo esserci anche prima di dieci minuti……
“Mi devo spicciare via! Non è colpa mia se sono conciata così! Mi hanno fatto lavorare fino all’ultimo momento…e ora mi prendono come sono” dico cercando di ritirarmi su le spalline del mio vestito color fuxia, un colore che mi sta decisamente bene. Mi guardo compiaciuta per un attimo.
“Beh! Tutto sommato non sono poi così male! Anche le mie scarpette con impossibili tacchi alti, fanno delle mie gambe qualcosa di apprezzabile….dai dai Lara, smetti di guardarti e incamminati se non vuoi arrivare in ritardo. Oggi l’unica giustificata se fa tardi è la sposa!”
Meno male che da casa mia alla chiesa ci sono solo pochi minuti di strada, perché dopo i primi passi, sento che le mie scarpette da cenerentola, saranno la tortura di questa giornata, e con costernazione mi accorgo che per camminare sono costretta a zoppicare…..la prima vescica della giornata ha già fatto la sua comparsa nel mio piede destro
“Accidenti e ora come faccio! – mi dico accorgendomi che davanti alla chiesa già ci sono diversi invitati con gli occhi puntati su di me e il mio mazzolino.
“Un bel respiro Lara e fai finta di non sentire niente. I piedi non ti fanno male….questo portamento così eretto e questo passo volutamente strascicato, sono solo l’incedere di una modella…e tu lo sai hai il portamento di una modella, te lo hanno sempre detto…ricordi?” mi dice prontamente l’altra Lara, quella che viene a scocciarmi sempre nei momenti più difficili. Stavolta però pare che sia qui per darmi una mano e mi affretto a ringraziarla
“Grazie dell’incoraggiamento!- Le dico – pensi che ce la farò ad arrivare a quegli scalini senza svenire?”
“Ma certo, ma certo! Guarda mancano pochi metri. Quanti passi saranno? Venti? Trenta al massimo. Dai fai vedere di che pasta sei! Una Goldoni non si è mai persa d’animo, neanche in difficoltà ben maggiori”
“Forse non aveva i piedi sbucciati come i miei – dico a denti stretti cercando invece di fare un sorriso – comunque grazie davvero!” e il mio pensiero va alle mie magnifiche pantofoline verdi con gli strass, che ora sono di Desirée!!
Sono arrivata quasi contemporaneamente a Leone, che mi guarda con ammirazione, gettando poi uno sguardo particolare alle mie gambe e alle mie scarpette deliziose. Fa un piccolo sorriso, poi mi fa segno con la mano di aspettare un attimo e torna indietro, verso l’automobile. Dopo un po’ ritorna tenendo qualcosa tra le mani. Una piccola scatola verde, che mi porge ridendo maliziosamente.
“Pensavo di dartele dopo, ma mi sembra che sia il caso di farlo subito.”
Guardo allibita la scatola e sollevo un po’ il suo coperchio che è guarnito con un fiore dorato. Un magnifico paio di pantofoline, elegantissime e di foggia particolare, mi guardano dal fondo della scatola
“Ma sono bellissime – dico veramente ammirata – come hai fatto a sapere che oggi avrei avuto un vestito fuxia? – dico tornando a guardare quel capolavoro che riflettono mille tonalità di rosa adornandosi di una minuscola fibbia argentata e di piccoli esili tacchi dall’inconfondibile stile italiano-
“Deve essere destino che nelle occasioni importanti della mia vita io debba sempre avere un paio di pantofoline – dico con gratitudine a Leone – appena ho consegnato il bouquet a Dedo me le metto e così anch’io riuscirò a godermi questa giornata”



E me la sono veramente goduta in ogni attimo, quando è apparsa Tea, meravigliosa nel suo semplicissimo abito bianco, adorna di un velo che le scendeva morbidamente sulle spalle, quando ho sentito Dedo pronunciare le parole che lo legavano a quella meravigliosa creatura, quando ho percepito la commozione che si diffondeva sempre di più lungo le volte della chiesa e si rifletteva sui nostri visi e più che altro quando mi sono sentita il naso gonfio, le labbra gonfie di quel pianto che credevo di riuscire a trattenere e invece veniva fuori con mio grande sgomento in rivoli visibili, copiosi e salatissimi.
“Ma non capisci proprio niente! Invece di ridere piangi!” e continuavo a piangere. Ogni tanto Dedo si girava leggermente verso di me, rosso in viso e sudato, quasi per rendersi conto di ciò che stava succedendo e per cercare in me una forza che decisamente non riuscivo a dargli. Alla fine si è tolto un fazzoletto di tasca e me l’ha allungato.
Mi sono soffiata il naso cercando di fare meno rumore possibile, ma lì tutto sembra essere amplificato e mi sto accorgendo che l’attrattiva della cerimonia sono io, il mio naso che tira su, i miei occhi neri di rimmel sparso da tutte le parti, come succede a tutte le persone che non abituate a truccarsi, non si ricordano di averlo e quando piangono, si strofinano una mano sugli occhi.
“Che figura che stai facendo Lara!” mi dico esterrefatta, ma subito dopo mi rendo conto che a cominciare da quello di Leone, gli sguardi che sono posati su di me, sono affettuosi, carichi di calda complicità, consapevoli che perbacco, il mio amico più caro sta mettendo in gioco la sua vita e conoscendo Dedo, posso dire con assoluta certezza con la più assoluta incoscienza, fiducia e disponibilità.
Dedo è Dedo, e io gli voglio bene per questo e anche se avrà tutto il successo del mondo, e anche se diventerà un buon marito e un buon padre, avrà comunque sempre bisogno di qualcuno che lo tenga ancorato su questa terra.
Poi, passato quel momento di assoluta commozione, tutto ritorna come sempre. E’ una bella giornata, siamo tutti contenti, ci facciamo fotografare nelle pose più assurde, mangiamo volentieri tutte le prelibatezze che in altri giorni rifiuteremmo di metter in bocca e in quattro e quattr’otto arriva il momento in cui gli sposi se ne vanno.
Anche Dedo e Tea, non fanno eccezione a questa regola e scappano a bordo di un’automobile rossa fiammante che si tira dietro una quantità spropositata di barattoli.
Noi agitiamo le mani, io agito la mano e sento di nuovo le lacrime pungermi gli occhi, ma una voce non mi permette di mandare avanti il mio progetto piagnucoloso, una voce cara che mi dice:
“Mi sembra che sia arrivato il momento di andare a fare una visitina a Villa Fiorita….Ti va?”
“Certo che mi va!” rispondo contenta. Come è carino Leone. Ha capito che devo superare un momento di malinconia e mi viene incontro con tatto senza farmi sentire scema per l’ennesima volta nell’arco di questa giornata.
Venti minuti dopo siamo nell’ampio viale che conduce alla Villa. Chissà perché, ma anche se abbiamo deciso di sposarci e quindi sappiamo che diventerà nostra, non riusciamo a sentire lo stesso trasporto che abbiamo verso la Casa di campagna.
“E’ una casa stupenda…non trovi Buzz?......Ma è così triste!” non posso fare a meno di dire
“Ha solo bisogno di un tocco di vita – risponde Buzz sorridendo – chiudi gli occhi e prova a immaginarla con tutte le finestre aperte e volti e sorrisi di tanti bambini. Prova a pensare che sotto queste piante ci siano dei giochi e delle panchine, e tante piante fiorite…Ci stai provando?”
“Sì” rispondo in un soffio, persa dietro la visione che mi sta suggerendo il mio ragazzo
“E come ti sembra ora?”
“Bellissima! – riapro gli occhi e guardo Buzz che mi sta sorridendo – hai ragione tu! Nel momento in cui ci saranno i bambini ad allietarla questa casa riprenderà vita….E poi c’è la presenza di Jo anche qui!” dico quasi a me stessa
“Ah! Vuoi dire nel quadro che è dentro la sala che abbiamo visto?”
“No Buzz, veramente no. Non ci pensavo a quel quadro in questo momento. Ora stavo pensando allo stemma che è sulla porta di ingresso!”
“Non ci ho fatto caso. Dai andiamo a vederlo” e prendendomi per mano mi trascina verso la scala d’ingresso. Sul portone il grande stemma fa bella mostra di sé proprio come la volta precedente, con una nota in più. Stasera ci batte un raggio di sole che lo illumina meglio e il cavallo rampante che vi è dipinto viene fuori con maggior spicco. Lo guardo affascinata e anche lui mi guarda e poi senza alcun ritegno mi strizza l’occhio.
“Ma Jo! – gli dico ridendo – possibile che tu non possa fare a meno di fare l’occhio di triglia alle ragazze? Io ora sono una persona felicemente fidanzata, per cui sarà meglio che le tue attenzioni vadano a qualche altra damigella”
Mi giro verso Leone per ridere con lui di quell’attimo che ho vissuto o ho creduto di vivere con il mio cavallo preferito, che quando vuole si trasforma in pianoforte, ma l’espressione di Leone mi fa ammutolire.
Sta guardando lo stemma, ma invece di guardare Jo, come ho fatto io la sua attenzione si è posata sulle parole che sono scritte sotto ‘Ad astra per aspera’.
“Ma sì! Sì! Sì!” grida eccitato
“Che hai Buzz? Che è successo? – gli chiedo impaurita non sapendomi spiegare la sua espressione
“Che hoo? Ho che abbiamo trovato la risposta al quesito di Galeazzo. ‘Ad Astra per aspera’ Questo è quello che gli rispondeva Marinella, un po’ scherzando e un po’ sul serio. E’ bellissimo. La risposta è in questa casa, la risposta è per noi. Noi potremo conquistare il mondo e arrivare alle stelle attraverso le vicissitudini della vita e le vicissitudini della nostra vita vogliono che questa casa ne faccia parte, per poter dare una mano a tanti bambini in difficoltà”.
Sarebbe bellissimo Buzz – gli dico entusiasta – ma sei sicuro che sia proprio la risposta giusta?”
“Sì, sono sicurissimo. Non so come ma sento che questo è quello che è scritto nell’ultima busta che ha in mano il dottor Frangione……Ma quello di cui sono più sicuro è che voglio cominciare questa avventura e la voglio cominciare insieme a te” e mi abbraccia sollevandomi da terra e facendomi girare a tutto tondo.
C’è qualcuno che dice che la felicità non esiste, ma io gli rispondo che la felicità esiste e io la sto provando in questo momento, tra le braccia dell’uomo che amo e col quale sono in procinto di cominciare un cammino, che non so dove ci condurrà. Ma so che questo momento sa di eternità e resterà per sempre impresso nella mia mente.





Circa un mese dopo alle ore dieci di mattina.

Il Notaio Norberto Frangione, seduto dietro la sua ampia scrivania, sta aprendo la posta come fa tutte le mattine.
Dopo tre o quattro fatture e altrettante lettere di pubblicità, una busta color avorio di formato elegante attira la sua attenzione.
Prende il tagliacarte e l’apre facendo attenzione a non sciuparla. Tira fuori un cartoncino e lo legge attentamente mentre mutevoli stati d’animo passano sul suo viso.

Per aspera ad astra

Lara Goldoni Leone Conforti


Annunciano il loro matrimonio
Che si celebrerà

A Villa Fiorita

La S.V è invitata alla Cerimonia e al Pranzo che seguirà



Più sotto, vergato a mano con una leggera calligrafia svolazzante c’è scritto:
Caro dott. Norberto, speriamo con tutto il cuore che lei possa intervenire al nostro matrimonio, perché dopo ci sarà tanto da lavorare e avremo bisogno dei suoi preziosi consigli per aprire una scuola per ospitare bambini che possono aver bisogno del nostro aiuto. A presto
Lara e Leone


Un sorriso sale lentamente alla bocca dell’omino che oltre a essere un Notaio è anche un sentimentale e anche qualcosa di più…. Anche gli occhi si illuminano di quel sorriso e mentre si stropiccia le mani per tenere a bada l’emozione gira l’anello d’oro e guarda il bellissimo muso di un cavallo nero che vi è incastonato. E’ un vecchio anello di famiglia, un vecchio amico di famiglia, col quale ama parlare di tanto in tanto
“Hai sentito mio caro? Ci sarà da lavorare e noi siamo qui per questo non è vero? Siamo sempre stati qui per questo. Come ti ha chiamato Lara? Jo? Bene ti chiamerò così anch’io. Avremo tanto di quel lavoro da fare Jo, che non riusciremo neanche più a riposarci un po’ mio caro…Ma ci pensi? I bambini! Tanti bambini. A te sono sempre piaciuti vero Jo? E io che dovrei dire? Se non ci fossero i bambini sarebbe inutile che ci fossi io…..come dici? Sei contento anche te? Si vede! si vede!
Sai che ti dico? Oggi è una giornata speciale ed è da tanto tempo che non ci pendiamo una vacanza. Chiudiamo i battenti e andiamo a fare un giro? Dove? E’ da tanto che non vediamo il Principale e credo che una nostra visita gli farà piacere. Il tempo è perfetto per andarlo a trovare. Il cielo è sereno e non c’è vento. Se ci affrettiamo per stasera siamo nuovamente a casa……..Come dici? Quando partiamo?.........Ma subito!”




Vi è mai capitato in una tranquilla serata senza vento di avvertire per un attimo un fremito, quasi come se un piccolo vortice si fosse improvvisamente animato? Non si vede niente, non si sente niente, ma rimane addosso la sensazione di qualcosa che ci ha sfiorato per alzarsi verso il cielo portando con sé i nostri desideri nascosti che non siamo riusciti a trattenere dentro di noi.







Ti voglio raccontare


Ti voglio raccontare una favola, ma una favola vera, una di quelle che si scrivono a nostra insaputa in un giorno qualsiasi della nostra vita, magari mentre si va frettolosamente a comprare qualcosa in un negozio....su in paese....
Correvo quella mattina d'inverno di dodici anni fa, correvo per andare a comprare una cosa che mi era assolutamente necessaria, e mentre andavo su per la salita col fiatone, mi dicevo che dovevo fare in fretta, perché a quell'ora avrei dovuto essere al lavoro, e terminare una serie di opuscoli che dovevo inserire nel giornalino. Ti dico questo solo per farti capire che quel giorno il mio tempo era molto limitato.
Alla fine sono arrivata e mi sono catapultata dentro il negozio sperando di non trovare la fila. Sono stata fortunata. Davanti a me c'era solo una persona e già veniva servita.
"Buongiorno – ho detto con la poca voce che mi era rimasta, rivolgendomi più che altro a Daisy (è un nome fittizio) che mi guardava dall'altra parte del bancone. Conoscevo abbastanza Daisy, perché sono stata catechista dei suoi figli più grandi per un anno, ma non sono mai stata molto in confidenza con lei, anche se di tanto in tanto abbiamo parlato del più e del meno.
"Buongiorno!" mi avevano salutato entrambe le persone e già dal tono di voce diversa con cui mi era stato risposto avevo capito che Daisy aveva qualcosa che non andava.
La danza della vita la immagino così
Guardai i suoi occhi! Io guardo sempre gli occhi delle persone e anche degli animali. Quante cose nascondono gli occhi e quante altre tentano di rivelare. Mi hanno sempre attirato gli occhi. Essendo un'istintiva è lo sguardo di chi ho di fronte che mi dice le prime cose sul suo carattere, sul suo modo di essere, e in definitiva sul suo vissuto. Gli occhi non ingannano e anche se sono abissi profondi lasciano sempre intravedere qualcosa dell'anima.
E gli occhi di Daisy in quel momento erano specchi di dolore, di rabbia, di sofferenza che aveva necessità di urlare, di venire fuori, di esplodere e che invece restava lì, dentro di loro, mente il viso si costringeva a sorridere al mondo.
Anch'io le sorrisi in risposta con la testa da tutt'altra parte. Era arrivato il mio turno e chiesi automaticamente ciò che mi occorreva, mentre continuavo a guardarla sentendo crescere il disagio dentro di me.
"E' freddo oggi vero?" le dissi tanto per dire qualcosa e rompere un silenzio che stava per diventare imbarazzante
"Davvero è proprio freddo!" rispose lei lentamente ma non aggiunse altro
Presi il mio pacchettino, presi il resto, lo misi in borsa lentamente, come se cercassi di prendere tempo, non non sapevo neanche io perché, poi :
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao " rispose e io uscii.
Ero sulla strada, mi fermai un attimo come se qualcosa mi trattenesse, poi mi avviai per ritornare al lavoro, un passo dietro l'altro, sempre con quella consapevolezza che dovevo fare in fretta perché di lì a poco sarebbero arrivate le persone che dovevano ritirare il giornalino per portarlo a Siena, e camminando cercai di alleggerire un pò la tensione della quale non conoscevo il motivo, ma che non voleva sapere di lasciarmi, anche se in mezzo ad altra gente cercavo di riappropriarmi della mia quotidianità o almeno così mi sembrò per un attimo perché invece pochi minuti dopo, un'agitazione non voluta, ma latente per tutto quel tempo dentro di me, venne fuori in tutta la sua urgenza e mi costrinse a fermarmi. Ero davanti al negozio del ciabattino, quando avvertii dentro di me quell'impulso che non riuscii a reprimere, un impulso che mi diceva di voltarmi e tornare sui miei passi. Fu il sesto senso? Quel famoso sesto senso che certe volte io credo di avere, ma del quale ho sempre parlato così, per gioco? Non lo so. Campassi cent'anni non riuscirò mai a dare una spiegazione logica a quel momento, anche se da allora in poi il suo ricordo è diventato per me uno dei momenti più dolci della mia vita.
La ragione mi diceva di continuare la mia strada, di non intromettermi, di lasciar perdere, ma il cuore mi suggeriva tutt'altro e anche allora fu l'istinto che mi disse quale voce dovevo ascoltare e senza pensarci due volte, senza sapere perché, senza sapere cosa avrei fatto, mi girai e tornai sui miei passi.
Questa volta affrontai la salita più lentamente, non perché fossi stanca ma perché avevo bisogno di riordinare le idee, di cercare di capire perché stavo tornando indietro, di trovare una scusa plausibile per rientrare in quel negozio e capire se la sensazione di sofferenza che avevo avvertito così intensamente era stata solo frutto della mia fantasia o se invece quel senso di allarme che continuavo a sentire dentro di me era qualcosa di reale.
E se anche avessi visto che sì, c'era veramente una sofferenza che aveva bisogno di aiuto, sarei stata accettata? Che avrei detto per poter arrivare a ciò che avevo visto dietro quegli occhi?
Non riuscivo a trovare una risposta. "Ora entro – mi dicevo – e provo a dire che non era questo il prodotto che volevo....no non funziona! E se c'è gente che faccio? E se mi risponde male? E se....e se...?!"
Con tutti questi se irrisolti che giravano per la mia testa alla fine mi ritrovai nuovamente davanti alla porta del negozio.
Per un attimo, confesso, ebbi la voglia di tornare immediatamente indietro. "Non sono affari miei!" mi dissi....ma fu davvero solo un attimo perché la mia mano era già sulla maniglia della porta e la stava abbassando per entrare.
Ho sempre ricordato quella maniglia e la sensazione che mi dette ma che non so descrivere neanche oggi, se non confusamente. Posso solo dire che fu la parte tangibile di qualcosa che in una maniera o in un'altra avrebbe cambiato i miei rapporti con la persona che stava dietro quella porta.
Entrai.

Fui fortunata. Non c'era nessuno, neanche Daisy e quell'attimo sospeso mi permise di recuperare un pò di calma. Poi dal retrobottega venne la sua voce: "Vengo subito!" e infatti fu immediatamente lì, pallida in viso, senza quel sorriso che aveva avuto prima e che ora non aveva fatto in tempo a stampare in fretta sul suo viso.
Non parve stupita di vedermi nuovamente lì e mi resi conto che forse non si ricordava neanche di aver parlato con me pochi minuti prima.
E infatti mi disse "Buongiorno! ....dimmi....."
Io mi avvicinai di più al bancone e dissi:
"Sono tornata indietro....Posso fare qualcosa per te?" tutti i discorsi che avevo preparato erano naufragati miseramente e mi erano venute fuori solo quelle poche scarne parole. Ma furono sufficienti.
I suoi occhi si riempirono di lacrime in maniera repentina, come se si fosse improvvisamente rotta la barriera che le tratteneva e il torrente che c'era dietro venne fuori con la forza dell'acqua che scende quando è nutrita da un temporale. In quelle lacrime sentii tutta la disperata solitudine che mille parole non avrebbero saputo dirmi.
Eravamo ancora sole e io rimasi in silenzio per darle tempo di allentare la tensione che fortunatamente con quel pianto cominciava ad alleggerirsi.
Fu lei la prima a parlare.
"Andiamo di là!" mi disse e si avviò nel retrobottega. La seguii col cuore in gola sapendo che avrei dovuto ascoltare qualcosa che senz'altro mi avrebbe coinvolto nella sua situazione e per la quale magari non sarei stata all'altezza di dare consigli, ma ero stata io a scegliere di tornare indietro e facendo un grosso respiro, mi detti coraggio e mi tranquillizzai un pò.
Non ci volle più di un minuto per sapere quale era il problema di Daisy. Dopo il pianto liberatorio le parole vennero fuori nitide, distaccate, implacabili.
"Sto per separarmi da mio marito e aspetto un bambino. Ho deciso che questo bambino non lo posso tenere,...non saprei come fare con il lavoro e tutto il resto. Ho già preso appuntamento con l'ospedale per praticare l'aborto....e dopodomani vado...." terminò con quella che mi sembrò una lievissima esitazione.
Mi sentii gelare, più che per le parole, per lo sguardo deciso, quasi cattivo....o forse solo molto sofferente?
Mi attaccai a quella esitazione e senza sapere neanche quello che sarei andata a dire cominciai a parlare, con calma e tranquillità. Ricordo che non feci esclamazioni di stupore, o di orrore, quando mi disse la decisione che aveva preso. Non fui brava io, fu solo l'istinto che mi disse di comportarmi così e da subito mi accorsi che era stato l'atteggiamento giusto, forse perché da me era preparata ad avere un altro tipo di reazione, e accorgersi che invece non mi ero turbata più di tanto per quello che mi aveva detto (il mio cuore galoppava invece!), l'aveva spiazzata e stupita, ma le aveva anche fatto abbassare la guardia.
"Ci possiamo mettere a sedere?" le chiesi più per me che per lei. Sentivo di avere le gambe di pappamolla!
Vagamente intuivo in che ginepraio mi ero messa. In quel preciso istante mi ero fatta carico di una responsabilità che dieci minuti prima neanche sognavo....ma la cosa lì per lì mi sfiorò e poi non mi interessò più di tanto. In quel momento avevo ben altro da pensare!
Per quanto tempo parlai? Per molto credo e la cosa strana, che non mi colpì al momento, ma dopo, quando ci ripensai, fu che in tutto quel tempo nessuno entrò nel negozio. Eppure in genere era molto frequentato.
Delle cose che ci dicemmo trascrivo solo l'inizio:
"Tu hai due problemi e sono grossi entrambi, ma sono due problemi separati, che vanno affrontati uno per uno. Prima pensa al bambino che porti in grembo e poi solo dopo, affronta quello che riguarda tuo marito......" giusto, sbagliato? Non lo so, ma in quel momento mi sembrò che il problema più urgente fosse quello che riguardava la vita.
Cercavo dentro di me le parole più giuste da dire a una donna che in quel momento era disperata, ma mi sentivo la testa vuota, sopraffatta come ero da quel problema che mi trovavo ad affrontare senza nessuna preparazione. Sudavo freddo! Fortunatamente le parole venivano da sé, frutto di convinzioni in me radicate da sempre....
Ma la cosa che mi colpiva di più in quel momento era come ci si intendeva bene senza bisogno di grandi discorsi, senza usare parole difficili. Erano gli occhi che parlavano, i suoi e i miei, me ne rendevo conto e se ne rese subito conto anche Daisy. Dietro i suoi occhi c'erano libri di parole non scritte e io li stavo leggendo in tutta la loro drammaticità.
Lei mi caricò di tutte le sue paure, anche sapendo che io non avrei potuto fare niente di più che darle la mia solidarietà e starle vicino qualunque fosse stata la sua scelta e io le regalai i miei dinieghi alla sua disperata decisione, le mie osservazioni, le mie esperienze di donna e di madre.
Alla fine entrambe sentimmo che non c'era più niente da aggiungere. Qualsiasi parola in più sarebbe stata qualcosa di posticcio che quel momento non richiedeva.
Mi alzai, sentendomi stranamente calma e vuota. Anche lei si alzò pallida in viso, stanca, come una che ha combattuto una battaglia difficile e ha...perso!
Ma che cosa aveva perso? L'ultimo fragile appiglio alla speranza di trattenere una vita che si stava formando? O la sicurezza dei suoi propositi che fino a quel momento l'avevano portata a prendere una decisione estrema? Non riuscii a capirlo, neanche a intuirlo.
"Ti farò sapere qualcosa...però non ti prometto niente!" e con queste parole ci lasciammo.
Il resto della mia mattinata, puoi immaginare da te come passò. Tornata al lavoro,tutti si accorsero subito che qualcosa non andava e non mi domandarono nemmeno il perché del mio ritardo; si limitarono a guardarmi di sottecchi, mentre cercavamo di portare a termine il lavoro lasciato indietro e che fortunatamente loro, vista la mia assenza ingiustificata, si erano affrettati a cominciare, rimandando a più tardi le spiegazioni.
La mattinata si concluse così, lavorando, mentre lentamente mi riappropriavo di me stessa e della quotidianità impellente, che non ci permette mai assenze di lunga durata.
Alle due tornai a casa come tutti i giorni e le cose di ordinaria amministrazione mi ripresero nel loro giro. Preparai, pensando sempre a Daisy, qualcosa da mangiare, senz'altro poco impegnativo, questo anche a distanza di tanti anni, te lo posso dire con sicurezza, perché in quel lungo periodo, le mie entrate erano talmente scarse che si lesinava anche sull'indispensabile. Ti dico questo solo per farti capire che neanche per me quello era stato un periodo bello e forse la cosa mi aveva reso particolarmente sensibile e intuitiva. La vita qualche anno prima, mi aveva messo davanti a una dura prova, o meglio, senza incolpare la vita, io stessa mi ero messa davanti a questa prova, facendo un salto nel vuoto del quale ancora non stavo vedendo la fine, ma il rispetto per la sacralità della vita in me era rimasto intatto come ai bei tempi passati e anche se per un lungo periodo non ho saputo più chi ero e dove stavo andando, istintivamente sentivo che era valsa la pena aver cercato di combattere per quella nuova esistenza.
Verso le quattro suonò il telefono. Neanche per un attimo pensai che potesse essere Daisy. Non conosceva il mio numero che nell'elenco non era intestato neanche a me. Però i suo figli conoscevano i miei. A questo non avevo pensato.
Era lei invece e la sua voce venne fuori sottile, ma diversa da come l'avevo sentita la mattina. Una voce fragile, ma allo stesso tempo più serena e più sicura. Io non riuscivo a parlare
"Ciao....ti volevo solo dire che ho deciso di seguire il tuo consiglio..........Ho già telefonato per annullare l'appuntamento. Lo so che sarà dura, ma stamani tu mi hai ridato la forza di continuare. Il resto lo vedrò dopo.....ora voglio pensare solo ai miei figli, a quelli che ci sono e a quello che verrà!.......Grazie, grazie davvero!"
Io avevo un nodo in gola che non andava né su né giù, e trovai a malapena la forza di dirle:
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Ti verrò a trovare......posso?" aggiunse Daisy
"Ti aspetto".

Pochi giorni fa è passato davanti a me un ragazzino . L' ho guardato sorridendo e anche lui mi ha guardato, così come si guardano le cose che capitano sulla nostra strada in quell'attimo per poi perdersi nel niente, ed è filato via come il vento. Non mi conosce, non sa chi sono, ma in me, ogni volta che lo vedo, nasce un senso di soddisfazione, perché lui è qui e gioca e salta e corre e cresce e poi avrà come tutti noi i problemi della vita e poi costruirà la sua vita e un giorno la sua mano adulta stringerà una manina mentre lui ascolterà la voce di suo figlio che gli dice: "Dai babbo...andiamo a giocare!".

E con questa fantasia dentro gli occhi oggi mi sono seduta davanti al computer e invece di trattenere questo attimo solo dentro di me, ho cominciato a scriverti.
Dimmi te se questa non è una favola! E quante ce ne sono di favole come questa... e sai, sono proprio queste favole vere che ci fanno dire che nonostante tutto la vita è bella!









Thimothy Finch




Thimothy Finch, si svegliò mercoledì mattina esattamente alle sette e un quarto, come faceva del resto tutti gli altri giorni, e come sempre si stirò nel letto, mise fuori le braccia dalle coperte e dopo averle allungate bene bene, se ne portò una alla testa, per darsi la prima grattatina al cervello, ma notò subito che c’era qualcosa di diverso.
In genere quel semplice esercizio mattutino lo rilassava e lo preparava alla giornata che doveva arrivare, ma quella mattina la cosa non gli dette punta soddisfazione. Sbuffò un attimo, poi fu distolto da altri pensieri ugualmente abitudinari e necessari. La colazione era un rito al quale non si sottraeva mai, e che anzi, lo metteva di buon umore. Tutte le mattine, da che aveva ricordo, si preparava un uovo al bacon, pane tostato, una spremuta di arancia e un buon caffè italiano. Così, sapientemente nutrito affrontava il lavoro di tutta la mattinata senza sentire neanche un crampo allo stomaco; le ore scorrevano tranquille e meticolosamente programmate, proprio come piaceva a lui e l’ora del pranzo arrivava in un lampo e con essa quel momento di piacevole conversazione con Jessica Lamb, sua amica dal tempo dell’università, con la quale prima o poi, naturalmente dopo aver pianificato il futuro, gli sarebbe piaciuto affrontare l’argomento matrimonio.
Jessica non era proprio una bellezza classica, e neanche mozzafiato, era semplicemente Jessica, con la quale poteva parlare di tutto, dal lavoro, al suo hobby che si tirava dietro fin dall’infanzia. Aveva una collezione spropositata di farfalle di tutti i tipi, da quelle bellissime ed esotiche, alle semplici banali falene che si aggiravano di notte sul suo lampadario e che poi finivano sistematicamente infilzate a far bella mostra di sé nelle teche che coprivano le pareti del suo appartamento.
Farfalle gigantesche e piccolissime, tutte con le ali spianate, tutte in ieratica posizione verticale, lo accusavano in silenzio dei suoi assassinii. Le descriveva a Jessica una per una, tutte perfette, ordinate, rigidamente catalogate, in schedari che riempivano un’altra parete, unici libri di una biblioteca monocromatica.. Del resto per uno come lui che , sottosegretario all’ONUs, svolgeva meticolosamente un lavoro di calcolo e di incastro, la perfezione era un rito. Jessica lo ammirava per questo e lui si sentiva lusingato e accarezzato nel proprio io, dalla eloquente espressione di rispetto che la ragazza aveva verso il suo modo di gestire la sua professione e la sua vita.
Alzò nuovamente una mano verso i capelli e gli sembrò che questa scorresse in maniera diversa sulla cute, come se fosse più spessa, più dura.
“Ma che cavolo….!” Brontolò tra sé e sé e data una spinta alle coperte, uscì dal letto e si avviò verso il bagno dimenticandosi di mettere le pantofole. Quando si accorse dell’omissione si stupì con se stesso, rimproverando in cuor suo quella dimenticanza che lo esponeva all’inevitabile polvere del pavimento anche se le mattonelle erano lucide fino allo spasimo, ma proseguì scalzo fino al bagno, deciso a farsi una bella doccia per svegliarsi del tutto. Evidentemente ancora le sue sinapsi non erano al cento per cento, altrimenti non sarebbe mai successa una cosa del genere, però mentre apriva i rubinetti della doccia, qualcosa dentro di lui, al di là della sua volontà gli fece dire, che non sarebbe entrato sotto il getto dell’acqua che scendeva invitante dalla nappa in alto. “Invitante un corno!” si trovò a dire “Oggi non ho tempo di farmi la doccia” ma già mentre si diceva queste parole capiva che non erano altro che una scusa con se stesso per non toccare l’acqua.
“Mi laverò il viso e il collo!” e con decisione, quasi facendo uno sforzo si inondò il viso con l’acqua del rubinetto, cominciando a soffiare energicamente
“Sgrunch! Sgrunch! ……..Crrrrrr, crrrrrr…..ma si può sapere che mi sta succedendo?” chiese ad alta voce questa volta, guardandosi allo specchio che gli rimandò la stessa immagine di sempre, anche se qualcosa era cambiato, lo vedeva bene. I capelli, erano più setolosi e la pelle aveva un colore leggermente diverso, anche migliore, si disse compiaciuto, ma la cosa che maggiormente lo colpì furono gli occhi, l’espressione degli occhi, lo sguardo degli occhi…….uno sguardo ….porcino!!
“Mamma santissima – si disse costernato – ma che mi sta succedendo? ………Vuoi vedere…….ma sì! Ma sì! Vuoi vedere che mi sono beccato l’influenza suina?.......E ora come si fa? E come faccio ad andare al lavoro? Se ne accorgeranno tutti, anche Jessica!” La cosa lo terrorizzò e allo stesso tempo lo divertì.
“Ci penserò dopo! Ora vado a prepararmi la colazione e magari scoprirò che sto sognando!”
Si diresse in cucina e come d’abitudine tirò fuori gli ingredienti che aveva da sempre usato, mise la padellina sul fornello, ma mentre si accingeva ad adagiarvi sopra una bella fetta di prosciutto, qualcosa scattò in lui facendogli dire inorridito:
“Non posso fare questo! E’ come se mangiassi mio fratello!”
Si sedette sbigottito sulla prima sedia che gli capitò a tiro e prendendosi la testa tra le mani disse ad alta voce: “Porca la miseria!...Sono diventato un maiale”.
Gli sembrò che ammettere questa cosa assurda, lo tranquillizzasse alquanto e infatti sentì subito lo stomaco che si agitava in prolungati glu glu glu, facendogli capire che, maiale o non maiale, l’appetito non gli mancava e fu a questo punto che si accorse di aver allungato una zampa, pardon, una mano per intingerla nel vasetto della mostarda e riportarsela immediatamente alla bocca. Che soddisfazione, leccarsi le dita ad una ad una fin nell’interno “Sgrunch! E’ proprio buona! Come mai non me ne ero mai accorto prima d’ora? Mi sembra di mangiare la mostarda per la prima volta in vita mia!” Fatta questa considerazione, si buttò su tutto quello che di commestibile trovò nella sua cucina, evitando accuratamente tutto ciò che fosse stato maiale e a operazione terminata il suo sguardo cadde sulla tavola e sull’ecatombe di barattoli, briciole, salse versate. “Sono diventato un vero maiale!” si disse un po’ disgustato, un po’ compiaciuto.
Ma siccome l’intelligenza era rimasta quella di un uomo, immediatamente si domandò come avrebbe potuto fare per non rendere manifesto il suo cambiamento di identità.
“Mi dovrò controllare molto, e per prima cosa mi metterò un paio di occhiali da sole!” Eh sì! Perché il suo sguardo era la cosa che più di tutto faceva capire la sua trasformazione .
Rivestito di tutto punto, con gli occhiali da sole ultima moda, riprese il suo aspetto sofisticato ed elegante, anche se una mano andava continuamente al nodo della cravatta, per allentarlo e l’altra, indugiava sempre più frequentemente nella narice del naso, e poi da questo passava con noncuranza all’interno dell’orecchio, che era da tanto tempo che gli pizzicava, ma che non aveva mai grattato, per via della buona educazione.
Quando uscì per andare in ufficio si senti decisamente felice.
“Bah! Lo so che sembra assurdo, ma sono felice di essere un maiale. Mi sto finalmente godendo la vita, senza tutti i paletti che prima mi hanno imposto gli altri e poi mi sono messo da me. Se questa è l’influenza suina, sono contento di averla beccata! E sai che ti dico? Non prenderò nemmeno gli antivirali!”



Quando arrivò all’ingresso dell’enorme grattacielo, che era il suo posto di lavoro, la paura lo riprese. Si aggiustò bene gli occhiali, si tirò su il bavero della giacca (infatti in metropolitana si era accorto di alcune grosse setole che fuoriuscivano dal colletto della camicia), si calcò bene in testa il cappello, un bellissimo cappello a larga tesa, made in Italy, del quale fino a quel momento era andato giustamente fiero, guardò a destra, poi a sinistra, e infine dopo aver fatto un prolungato sospiro per prendere quanto più ossigeno poteva, entrò.
“Buon giorno Mr. Finch” lo salutò cortesemente il portiere
“Buon giorno Ted, ….cransh” il piccolo grugnito gli scappò inavvertitamente, e guardò con apprensione l’altro che però non dette mostra di aver udito niente di anomalo.
Rinfrancato dall’atteggiamento normale del suo interlocutore Thimothy Finch si diresse verso l’ascensore che doveva portarlo fino al suo ufficio. Dentro c’erano già una decina di persone e quando entrò, gli parve che tutte lo guardassero in maniera strana, ma subito dopo si rese conto che non guardavano lui, ma il dottor Hobbs, che arrivava di corsa, quanto glielo permetteva la sua mole, premendosi una mano su un orecchio e lamentandosi rumorosamente. Pezzo grosso dell’ONUs in tutti i sensi, il dottor Hobbs era uno dei responsabili della pace mondiale.
Gli altri gli fecero posto all’interno dell’ascensore, che partì decisamente verso piani più alti.
“Dottor Hobbs – domandò preoccupata Meryl,una delle segretarie – non si sente bene?”
“Mi è venuto un dannato male a un orecchio. Devo aver preso fresco ieri, quando ho accompagnato mia moglie a fare spese al supermercato. C’era l’aria condizionata che andava a palla” rispose il Dottor Hobbs con un filo di voce, continuando a tenersi la mano premuta sull’orecchio “Il guaio è che ora comincia a farmi male anche l’altro!”.
Intanto l’ascensore era arrivato e tutti uscirono dirigendosi velocemente verso il proprio ufficio.
Thimoty Finch entrò nel suo e non appena fu seduto alla sua scrivania ebbe la sensazione di essersi messo in salvo. Ma in salvo da che?
Aprì un cassetto e tirato fuori uno specchietto, che teneva sempre a portata di mano per verificare se era sempre in ordine, si dette una rapida occhiata. Sospirò sollevato. Il suo aspetto era rimasto identico a quello della mattina appena si era alzato. Gli altri non si sarebbero accorti di niente. Prese un fazzolettino di carta e si soffiò rumorosamente il naso, poi dopo averlo appallottolato, lo lanciò verso il cestino, facendo cilecca.
“Chi se ne importa!” si disse alzando le spalle e non riconoscendo più se stesso per l’ennesima volta in quella mattinata. “No! Così non va bene mio caro. Se vuoi che gli altri non se ne accorgano, devi stare attento e fare esattamente tutto come prima!” Quindi si affrettò a raccogliere il fazzoletto e lo mise all’interno del cestino.
La mattinata tutto sommato passò tranquilla come sempre. Sbrigò la mole di lavoro che tutti i giorni l’aspettava, cercando di tenere la sua scrivania in ordine e i documenti rigorosamente impilati, ma per quanto facesse, c’era qualcosa , se ne accorse dopo un po’ di tempo, che rendeva sciatto l’ordine apparente che aveva cercato di dare. Aveva lasciato impronte sulle cartelline, fogli sparpagliati, penne aperte e sparse in ogni dove. Impaurito da tutto quel disordine si alzò velocemente per ridare un senso alla sua scrivania, ma non fece in tempo perché qualcuno bussò alla porta e Jessica Lamb entrò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Salve Tim – lo salutò dolcemente – sei pronto per andare a pranzo?”
Thimothy Finch aprì la bocca per rispondere ma:
“Scrunch, scrunch….” Furono le sole parole che gli vennero fuori dalla bocca
“ Suvvia – insistette Jessica – lo so che sei molto indaffarato, e del resto le persone importanti come te lo sono per forza, basta vedere tutti i documenti che hai sulla scrivania……..ma un po’ di relax fa bene anche a te! Vogliamo andare?”
“Ok!” si azzardò a rispondere lui e vide che la voce gli era tornata normale. Sorrise rinfrancato e disse
“Andiamo pure!”
“Come mai hai gli occhiali da sole?” Jessica lo guardava oltremodo affascinata
“Mi sono beccato un po’ di congiuntivite. Niente di importante, comunque….per precauzione!” rispose Thimothy Finch.
Era sorpreso! Jessica lo conosceva benissimo e sapeva il suo modo di fare, la sua precisione, la sua pignoleria,….eppure sembrava che non si fosse accorta di niente e si comportava come sempre. Respirò con sollievo.
“Andiamo a pranzo” e prendendola per mano la condusse verso l’ascensore che li avrebbe portati al ristorante.

.




Jessica Lamb si guardò attentamente allo specchio. Non sapeva spiegarsi quella sua nuova espressione di serenità che le si diffondeva in tutto il viso. Era da un po’ di tempo, da quasi più di un mese che notava con compiacimento che il suo viso aveva assunto un’espressione di dolce felicità.
“No!” si corresse subito “Non è proprio felicità! E’ qualcosa che le somiglia molto ma non è felicità”.
Si sentiva appagata dal suo lavoro, eppure non aveva compiti di estrema responsabilità all’ONUs. Era poco più di una segretaria, ma era contenta di ciò che faceva, contenta del suo Capo, il signor Hobbs, contenta dei suoi colleghi, dei quali, da molto tempo ormai, un mese circa per l’appunto, non aveva proprio niente da ridire.
Ma la sua gioia più grande era Thimothy. Con tutte le sue stranezze! !Quando l’aveva conosciuto, sin dai tempi dell’Università, le era sembrato carino, ma niente di particolare. Sorrise ricordando, che le era sembrato anche un tantino noioso con quella sua mania delle farfalle, della precisione, di ogni cosa al suo posto e di un posto per ogni cosa, ma poi col tempo aveva cominciato ad apprezzare le sue qualità e poi aveva completamente capitolato. In poche parole stravedeva per lui.
Le sue farfalle da un mese o poco più, le erano sembrate stupende e avrebbe scommesso che la collezione di Tim, non aveva confronti da nessuna parte. Era arrivata a considerare il suo amico come una delle persone più intelligenti che avesse mai conosciuto e si sentiva lusingata che la sua attenzione fosse caduta su di lei, che senz’altro era carina, aveva anche delle belle qualità, ma non poteva certo paragonarsi a ciò che era diventato Thimothy Finch.
Lui ormai sedeva dietro una scrivania al sessantaduesimo piano e questo significava che di strada ne aveva fatta….e parecchia.
Anche lei sedeva dietro a una scrivania , quattro piani più in alto di Tim, ma solo come segretaria. Sarebbe mai diventata dirigente lei, Jessica Lamb? Si guardò nuovamente allo specchio e sorrise alla sua immagine. Lei era contenta così, si disse, e avrebbe goduto della luce riflessa dei successi di Thimothy.
Si dette un ultimo tocco di rossetto alle labbra, che sapeva avere belle, e il pensiero si soffermò per un attimo, solo per un attimo sul comportamento di Thimothy, senza sapersi spiegare che cosa c’era di diverso in lui. Questione di un secondo e non ci pensò più. A lei Tim piaceva in ogni salsa e gettando un occhiata all’orologio si disse che doveva spicciarsi e tornare a tavola dove tra poco sarebbe arrivato il pranzo, che ordinava sempre Thimothy per entrambi. Niente era lasciato al caso e i cibi erano sempre rigorosamente dietetici anche per lei, anche se non ne aveva bisogno.
“Ma lui sa quello che è meglio e quindi non mi rimane che ringraziarlo della sua premura!” Si disse aprendo la porta della sala e dirigendosi velocemente al tavolo dove il suo amico l’aspettava leggendo il giornale sempre con gli spessi occhiali da sole sul naso.
“Eccomi!” gli disse sorridendo e lui abbassò il giornale, poi senza ripiegarlo come faceva abitualmente, lo gettò sul pavimento. Si irrigidì per un attimo, poi si chinò precipitosamente e mentre lo raccoglieva le disse:
“Scusami! Mi è sfuggito di mano!”
“Ma figurati!” gli rispose Jessica continuando a sorridergli. Le sembrava un bambino che aveva commesso una marachella!
“Sta arrivando Robert con il nostro pranzo” le sorrise anche lui di rimando ed entrambi si concentrarono sui succulenti bucatini all’amatriciana, sui quali Thimothy si affrettò a gettare cucchiaiate di parmigiano reggiano.
“Tu non ce lo metti?” le domandò passandole la formaggiera.
“Beh!.....Posso?” azzardò lei esitante, quasi avesse paura di aver capito male
“Sgrunch!...Ops…Certo che puoi!” Cercò di rimediare Thimothy Finch dopo il primo grugnito, guardando di sottecchi Jessica, per vedere se si era accorta di niente.
Ma la ragazza guardava estasiata gli spaghetti arrotolati nella sua forchetta pregustando il primo boccone, e sembrava non aver sentito niente.
“Meno male – disse lui dentro di sé – devo stare più attento!”
“Che carino che è stato Tim – intanto si stava dicendo lei – e come è premuroso.”
“Come hai fatto a capire che vado pazza per i bucatini all’amatriciana? Questi pezzettini di rigatino mi fanno venire l’acquolina in bocca!” disse poi a voce alta
“Coooooosa? Sgrunch! Come ho fatto a non pensarci che c’era il maiale?.........Jessica ti proibisco assolutamente di metter in bocca anche una sola forchettata di quella pasta….sgrunch! unch!” La fronte di Tim si era corrugata in grosse rughe orizzontali mentre diceva queste cose e non era riuscito a trattenere le parole che erano finite in un pietoso grugnito.
“M…ma perché?” chiese Jessica un po’ stupita
“Non avevo pensato che ti potrebbe fare male….ecco potrebbe farti tornare quei bruttissimi foruncoletti della tua acne…………e non voglio assolutamente che ti rovini la pelle meravigliosa del tuo viso!” terminò lui compiaciuto di se stesso per la trovata geniale, che non solo lo salvava da altre domande imbarazzanti, ma l’aveva fatto guardare dalla ragazza con occhi adoranti.
“Hai ragione!” rispose infatti quasi intimidita da tanto interessamento verso la sua persona “Oh Tim! Sei proprio impagabile”
“Facciamoci portare due insalate miste con mozzarella…che ne dici?” Thimothy parlò lentamente, misurando le parole, per non incorrere ancora nella possibilità di tirare fuori qualche altro sonoro grugnito.
“Perfetto!” e Jessica sorrise col suo sorriso più bello e tutto dedicato a lui.





Jessica Lamb si guardò lungamente allo specchio delle toilettes degli uffici. Come dire! Si analizzò con espressione critica, ma per quanto cercasse di trovarsi dei difetti, non riuscì ad evidenziarne alcuno. Il suo viso era piacevole, i suoi capelli splendidi e ben curati, i suoi occhi dallo sguardo sereno, degni di nota. Si sorrise compiaciuta, alzò la mano e fece il classico gesto che in tutto il mondo significa ok.
Eppure non poteva fare a meno di pensare alle parole che aveva sentito bisbigliare proprio quella mattina, quando era passata nel lungo corridoio che portava al suo ufficio. Se c’era una cosa che aveva ottima, era l’udito! E proprio il suo udito le aveva permesso di sentire, mentre con apparente indifferenza continuava a camminare, ciò che due colleghe si erano dette a voce bassa, naturalmente dopo averla salutata con ampi sorrisi, che lei aveva ricambiato.
“Hai visto che faccia che ha Jessica?” aveva cominciato la biondina tutta curve, accostando la bocca all’orecchio dell’altra
“Sì……non trovi anche tu che sia imbruttita?” aveva prontamente risposto l’altra che certo non brillava per avvenenza, per cui non lesinava critiche a quelle che sapeva più dotate di lei.
“No, che dici! Di aspetto è sempre la stessa, anzi direi che è anche migliorata!.......E’ l’espressione che ha che è diversa, ….che ne so,….più distratta, meno attenta,……come se avesse la testa sempre da un’altra parte. Pensa che l’altro giorno le ho fatto vedere una foto di un attore, che è di un fascino unico e tutto quello che mi ha saputo dire, dopo averla guardata con un’espressione ebete è stato ‘povero caro!’. Ti sembra un comportamento normale questo, dimmi se ti sembra un comportamento normale!” sottolineò due volte con una leggera punta di cattiveria la bionda, acida come un limone acerbo.
“Certo che no! Chissà che le è successo! Forse si è innamorata di qualcuno che non la ricambia!” azzardò l’altra
“Ma no! Lo sanno tutti che lei e Thimothy Finch stanno insieme da tanto tempo…!”
“E che vuol dire questo? E poi guarda, che gli uomini sono strani. Per esempio proprio Thimothy, non più tardi di stamani, in ascensore, mi ha guardato con uno sguardo,….uno sguardo…..oserei dire uno sguardo proprio da porco!”
“Ma dai! Thimothy! Proprio lui! Mi viene proprio da ridere! Thimothy Finch con la sua eterna espressione da salame imbalsamato che guarda una ragazza con gli occhi di porco! Per me te lo sei sognata!” Aggiunse ridendo la bionda e la conversazione finì lì, non perché non avessero altro per farla continuare, ma perché si delineò in lontananza la figura del capufficio, il dott. Hobbs che avanzava lentamente verso di loro, con espressione minacciosa, almeno a loro parve così, sotto il cappello che si era calcato in testa, fino quasi a coprirgli gli occhi.
Jessica Lamb alzò le spalle, sorrise di nuovo alla sua immagine rassicurante e senza un pensiero al mondo uscì dalla toilette per tornare in ufficio dove il Dott. Hobbs l’aspettava per terminare di dettarle alcune importanti lettere, che avrebbero dovuto raggiungere luoghi caldi, dove occorreva fare un grosso servizio diplomatico per cercare di mantenere la scintilla della pace che rischiava di spegnersi ogni giorno un tantino di più.
Il Dott. Hobbs alzò gli occhi dall’ampia scrivania colma di inserti, fascicoli, telefoni, cornici con le immagini della sua famiglia, che lo guardavano con la fiducia di sempre. Solo lui sapeva quanto avesse bisogno che continuassero a guardarlo così, lo sapeva a tal punto che sentì inumidirsi gli occhi dalla commozione. Tirò su col naso, si calcò ancora di più il cappello in testa e appoggiandosi una mano all’orecchio, cominciò a tossire rumorosamente.
Jessica, che arrivava in quel momento si affrettò a riempirgli un bicchiere d’acqua e porgendoglielo gli disse:
“Fanno ancora molto male le orecchie?”
“Grazie Jessica – rispose il dott. Hobbs bevendo un sorso d’acqua – le orecchie vanno un po’ meglio, ma è questa tosse stizzosa che non se ne vuole andare!”
“Vuole che chiami il Dottor Potter? Forse potrebbe darle qualcosa per fargliela calmare!” cominciò a dire Jessica prendendo la cornetta del telefono in mano, ma il dottor Hobbs la interruppe precipitosamente:
“No! No! Mi ha già visitato cinque giorni fa e ho con me tutto quello che mi occorre! Ora ci sono cose più importanti da fare……..ci penseremo dopo, o meglio…. ci penserò dopo!”
“Come desidera lei Dottore!” e Jessica Lamb, rivolgendogli un bel sorriso si accomodò nella poltrona davanti al suo computer
“Quando crede! Io sono pronta”




Finalmente la giornata di superlavoro era terminata e Jessica se ne era andata insieme a tutti gli altri impiegati. Il Dott. Hobbs si appoggiò pesantemente allo schienale della sua poltrona girevole, pigiò un bottone e questa si girò verso l’ampia vetrata che si affacciava sulla grande città nella quale si intrecciavano i destini di tanti uomini che non si sarebbero mai neanche conosciuti.
Aveva sempre amato quel momento di solitaria malinconia crepuscolare, quando le luci si accendevano diventando sempre più intense e colorate…..ma non quella sera!
Era preoccupato! Anzi! Era molto di più che preoccupato. Era letteralmente terrorizzato! Tossì in maniera stizzosa e si premette le mani nelle orecchie, non decidendosi a togliersi il grande cappello che si era messo in testa fin dal primo mattino. Detestava i cappelli da sempre……ma non aveva potuto farne a meno.
Il suo pensiero corse a due settimane prima, quando era stato invitato a una riunione fiume nella sala dei bottoni. Lui e altre undici persone. Il grande Capo sedeva da un lato della sua immensa scrivania di lacca lucida, nera, sulla quale spiccavano posacenere di cristallo e calici trasparenti. A che cosa dovevano brindare? Eppure quei calici erano inequivocabilmente lì per quel motivo. Non conosceva gli altri, salvo il dottor Potter, per averlo visto aggirarsi qualche volta tra i vari reparti. Si erano guardati tutti in silenzio, timorosi di quello che di lì a poco avrebbe detto il Grande Capo. Inutile negarlo! Mister Incontestabile Severo (di chiara origine italiana) il Mister, come si faceva chiamare più semplicemente lui, incuteva soggezione a tutti, anche a quelli più furbi e scafati. Forse era la sua aria ieratica, quasi ascetica a dargli, un senso di diversità, fatto sta che quella sera erano rimasti tutti in silenzio aspettando che il Mister si decidesse a romperlo, cosa che lui fece solo dopo diverso tempo e solo dopo aver posato i suoi occhi chiari, magnetici, su ciascuno di loro.
Alla fine, quando già perle di sudore apparivano sulla fronte anche dei più freddi, si alzò e appoggiando le mani sulla scrivania cominciò a parlare;
“Vi chiederete il perché di questa riunione. Ve lo dico in due parole. Un grave pericolo minaccia la pace nel modo e quindi l’umanità. Ho bisogno di un gruppo di persone estremamente fidate che mi aiutino nel difficile compito di ristabilire un equilibrio che sta frantumandosi. La mia scelta è caduta su di voi. In questi anni vi ho osservato attentamente e sono giunto alla conclusione che posso fidarmi di voi e che non deluderete le mie aspettative. Da oggi voi sarete i miei collaboratori più stretti e tra qualche giorno riceverete le comunicazioni per questa nuova missione che vi riguarda da vicino. Non sarete soli in quest’impresa; altri vi affiancheranno, ma voi sarete comunque e sempre i prescelti per le più alte cariche e le più alte responsabilità. Naturalmente siete liberi di dire di no, ma se accetterete questo grande incarico, dovrete fare tutto ciò che vi verrà detto e alla fine sarete i miei più fidati collaboratori”
Naturalmente nessuno si era tirato indietro, lusingato che lo sguardo del Grande Capo si fosse posato su di lui. E alla fine tutti avevano bevuto dai brillanti calici il pregiato liquido che sanciva più di qualsiasi firma futura, che sicuramente ci sarebbe stata, un patto fortissimo.






Jonathan Hobbs, fece un gran sospiro. Decisamente quella sera non riusciva più a concentrarsi nel lavoro, e sì che ne aveva un bel po’ che l’attendeva. Il suo pensiero continuava ad andare indietro nel tempo e si fermava invariabilmente a quella riunione dove un brindisi aveva suggellato un patto, che a prima vista aveva tutte le caratteristiche di qualcosa di nobile, ma chissà perché non lo lasciava tranquillo. Rivedeva il Mister, mentre pronunciava il suo discorso, fatto di poche parole precise che non lasciavano adito a equivoci. Loro erano stati chiamati in causa e da quel momento in poi la loro vita non sarebbe stata più la stessa. Anche negli altri aveva notato la stessa espressione inquieta, ma già soggiogata dal fascino irresistibile che emanava da quell’uomo alto, magro, dagli occhi chiari e penetranti. Lui personalmente si era sentito attraversare da quello sguardo!
Poi la vita era ripresa col solito ritmo e a poco a poco la sensazione di malessere era sparita per lasciare il posto a una nuova euforia dettata dall’ambizione. Avrebbe fatto più strada, avrebbe avuto successo e soddisfazioni, perché essere il braccio destro di quell’uomo, uno dei pochi eletti ad avere le sue confidenze e condividere i suoi progetti, non era da tutti…no davvero!
Fu una mattina di quindici giorni dopo che si svegliò con una strana sensazione.
Si sentiva tutto dolorante, con la gola secca e il continuo bisogno di schiarirsi la voce.
“Avrò preso freddo!” disse alla moglie che preoccupata gli toccava la fronte per sentire se aveva la febbre.
Si preparò comunque per andare al lavoro, come tutte le mattine, quando all’improvviso cominciò a tossire in maniera stizzosa e continua, senza riuscire a riprendere fiato. Si sentiva tutto strano, costipato, e cominciava ad avvertire un fastidio continuo alle orecchie. Non era dolore, non sapeva neanche lui spiegarsi che cosa fosse la strana sensazione che lo spingeva a mettersi le mani sui padiglioni auricolari e tenerseli tappati.
Quando fu in ufficio la situazione non migliorò, per cui decise di fare un salto dal dottor Potter per chiedergli qualcosa da prendere che gli facesse calmare quella tosse che lo lasciava senza fiato e senza forze.
Il Dottore lo ricevette col sorriso che gli eraabituale, lo visitò, poi lo guardò dritto nel viso
“Carissimo Hobbs, lei ha semplicemente contratto una malattia che è una banale malattia dell’infanzia. Il suo nome è pertosse, ma a seconda delle sue caratteristiche viene chiamata più comunemente o tosse canina o tosse asinina.”
“E la mia di che tipo è?” chiese il dottor Hobbs ridendo rinfrancato
“Ah! Senz’altro la sua è tosse asinina…e anche molto forte!” rispose il dottor Potter che continuò a studiarlo con aria professionale “Vedo che ha un ottimo decorso, ma del resto non avrei mai pensato il contrario. Sette su dodici, con la tosse asinina è un bel successo, non trova caro Hobbs?”
“Che vuol dire?” domandò Hobbs, smettendo immediatamente di ridere “Che vuol dire sette su dodici?”
“Vuol dire che gli altri cinque hanno invece sviluppato la tosse canina perbacco!” si affrettò a rispondere il dottor Potter “E io sono uno di quelli!” concluse con un sorriso
“Ma insomma, che vuol dire questo discorso assurdo? Che significa sette hanno la tosse asinina e cinque quella canina? Lei mi sta dicendo che ci sono oltre a me altre undici persone che contemporaneamente hanno i miei sintomi?”
“Sì! Sì! Proprio così caro Hobbs! Non ricorda la riunione di quindici giorni fa? E il brindisi che è stato fatto? Quel brindisi serviva proprio a questo. A fare di noi delle persone che sarebbero state da allora in poi al servizio totale del Mister. Cinque, fedeli come un cane, e sette, lavoratori indefessi come un asino. E’ un grande privilegio mi creda, un grande privilegio!” aggiunse il dottor Potter guardandolo negli occhi.
“Io divento matto! Lei sta scherzando vero?” chiese con un filo di voce il dottor Hobbs, sapendo già dentro di sé che il dottor Potter non stava scherzando affatto
“Ma certo che no! Non sto scherzando assolutamente. Si calmi e mi ascolti. Si ricorda il vino che abbiamo bevuto? Bene! Dentro c’era un piccolo virus della pertosse e tutti ce lo siamo trangugiato allegramente. Le garantisco che il fastidio che sente ora passerà nel giro di pochi giorni……Ah! Le anticipo che potrebbe avere la sensazione che le sue orecchie si allunghino, un po’ come quelle degli asini, ma stia tranquillo, che dall’esterno nessuno si accorgerà di niente. Per il resto si consideri uno dei pochi privilegiati ai quali è toccato un simile onore! Lei sarà un somaro del Mister. Le pare poco? Mi dica ! Le pare poco?”
“No, no! E’ …….un onore immenso!” rispose il dottor Hobbs, che aveva necessità di finire quel colloquio. Era sicurissimo che tra un minuto o due si sarebbe messo a piangere e non voleva farlo davanti a quello psicopatico.

Jonathan Hobbs, si girò lentamente verso la scrivania sulla quale appoggiò pesantemente i gomiti, poi dopo un lungo sospiro portò le mani alla testa e si levò con decisione il cappello. Si toccò le orecchie e gli sembrò che fossero lunghissime e pelose. Ritirò le mani inorridito, ma quasi immediatamente gli tornarono in mente le parole del dott. Potter: “Le sembrerà di sentire le orecchie lunghe e diverse, ma in realtà il suo aspetto sarà sempre quello di prima”.
Si alzò con decisione e raggiunse la porta che portava al suo bagno personale. Entrò, si mise davanti al lavandino con la testa bassa. “Ora o mai più!” si disse e con uno scatto alzò il viso e si vide riflesso nel grande specchio di fronte a lui. Era sempre lo stesso. L’immagine di una persona un po’ scialba, buon padre di famiglia, marito esemplare. Tirò un sospiro si sollievo. Le sue orecchie erano sempre uguali e anche la tosse cominciava a diminuire e non ragliava più così disperatamente come prima. Lui era sempre Jonathan Hobbs, uno dei responsabili della pace mondiale, uno dei più importanti rappresentanti dell’ONUs…..e ora il braccio destro insieme a pochi altri privilegiati, del Mister, lo ieratico e carismatico Incontestabile Severo.
Ad un tratto tutte le sue paure svanirono e girandosi nuovamente verso l’ampia vetrata del suo ufficio, si fermò con lo sguardo pieno di genuino orgoglio su tutte le luci ormai accese, che facevano della sua città, il luogo più importante del mondo. Dietro quelle luci c’era il potere e per la prima volta nella sua vita, Jonathan Hobbs senti che tutto ciò era nelle sue mani e in quelle di pochi altri scelti come lui, pronti come lui a riversarlo nelle braccia del loro grande Mister, che avrebbe fatto del mondo un regno di pace universale.
Sentiva di avere un grande compito nella vita e che i suoi giorni sarebbero stati da qui in avanti diversi e molto più ricchi. Avrebbe fatto tutto ciò che gli sarebbe stato detto di fare pur di portare la pace a tutte le genti. Si sentì quasi incaricato di una missione.
“Sono il somaro di Incontestabile Severo….e per il bene dell’umanità giuro che sarò il più grande somaro che il Mister possa desiderare.”. E stavolta le sue parole erano piene di religioso fervore.
In quel momento si riscosse. Perso nei suoi pensieri non si era accorto che il telefono squillava ormai da diverso tempo. Quasi trasognato alzò il ricevitore. Dall’altra parte del filo la voce del dottor Potter gli arrivò, ridente e nitida
“Caro Hobbs come sta?”
“Ah! Dottor Potter! Sto bene grazie! Mi sembra di essere quasi guarito del tutto!”
“Che le dicevo? Pochi giorni ed è tutto finito. Quindi immagino che sarà pronto per il primo colloquio con il Mister. Ho telefonato anche agli altri e tutti saranno presenti alla cena che il Mister vuole offrire a tutti noi per ringraziarci di essergli così vicini. Ci verranno anche spiegate determinate dinamiche che dovremo seguire nei nostri incarichi…..spero che ci sarà, vero Hobbs?”
“Certamente che ci sarò, non vedo l’ora di cominciare! E mi dica dottor Potter, quando sarà questa cena?”
“Le verrà comunicato nel momento in cui il Mister riterrà più opportuno farla!” e con queste parole il dottor Potter si congedò.
Jonathan Hobbs rimase a fissare la cornetta in silenzio. Provava una strana sensazione di aspettativa nella quale si insinuavano i freddi tentacoli di qualcosa che aveva l’aspetto della paura.
Gettò un altro sguardo circolare su tutta la sua stanza. Era grande e molto bella, ma sapeva che ai piani superiori ce ne erano molte più grandi, più belle e più importanti. Istintivamente seppe che una di quelle stanze a breve sarebbe stata sua. Da lì avrebbe guardato il mondo ancora più dall’alto e avrebbe saputo di avere più potere. Loro dodici, subito dopo il Mister.
Ad un tratto ebbe una gran voglia di correre a casa e comunicare a Jennifer, sua moglie da tanti anni, che le loro vita avrebbe avuto una svolta, che avrebbero potuto permettersi tante cose che ancora erano loro negate. Ecco sì! Stasera avrebbe portato Jenny fuori a cena, in un ristorante lussuoso e avrebbero festeggiato con champagne l’aumento del suo prestigio, dato che ancora non poteva festeggiare l’aumento di stipendio, poiché non lo sapeva neanche lui.




Incontestabile Severo, non era un uomo come tutti gli altri; questo lo sapeva anche da sé, perché appariva talmente evidente, che il negarlo sarebbe stato stupido e lui, stupido non lo era davvero. Per essere arrivato al posto in cui era, in età così giovane, voleva dire che aveva delle carte in più di tanti altri. Era a conoscenza del magnetismo che esercitava sulle persone e la prova tangibile era stato l’incontro che aveva avuto poche sere prima con quel gruppo di dodici persone, che aveva attirato irresistibilmente a sé, tutte tranne forse Fonte Fantastica, l’unica donna che avesse avuto l’onore di partecipare a quel meeting che avrebbe dovuto rivoluzionare la storia dell’uomo.
Incontestabile Severo sapeva di essere molto più che bello; sapeva di essere affascinante, ma dentro di sé sentiva che quella donna, non si era lasciata prendere dal suo carisma come avevano fatto gli altri, ma l’aveva guardato con occhi magnetici e intelligenti, che avevano sostenuto il suo sguardo penetrante.
Anche ora, mentre si avviava a rapidi passi per un lungo corridoio illuminato a giorno, non riusciva a togliersela dalla testa. Era una cosa che non gli era mai capitata e che gli procurava una sorta di disagio che non sapeva spiegarsi.
Al termine del corridoio, si voltò per un attimo fuggevole e assicuratosi che non ci fosse nessuno,appoggiò l’anello che aveva al dito medio della mano sinistra a un innocuo interruttore della luce. Immediatamente la parete scorse su se stessa rivelando la porta di un ascensore che si aprì silenziosamente. Incontestabile Severo entrò e la parete scorse nuovamente su se stessa, nascondendolo al mondo intero. Pigiò l’unico pulsante che c’era e l’ascensore partì velocemente verso piani più alti, il cui accesso era consentito solo a pochi altri, oltre a lui.


Quando le porte silenziose dell’ascensore si aprirono, rivelarono un ambiente mozzafiato. Cristalli e marmi si rincorrevano in una sorta di carosello, dove il buongusto faceva da padrone. Ovunque divani e lampade dalla luce discreta rendevano raffinatissimo quell’ambiente già di per sé così elegante.
Il telefono suonava con insistenza e Incontestabile ebbe un gesto di pacata stizza, pensando che non aveva mai un attimo da dedicare a se stesso. Si diresse con calma verso il tavolo sul quale un telefono di ebano metteva la sua nota di sobria classe, e alzò il ricevitore, mentre il suo sguardo diventava di gelo. Guai al temerario che avesse osato disturbarlo in quello che considerava il suo momento di raccoglimento di tutta la giornata appena trascorsa. L’avrebbe pagata cara!
“Sì! Chi parla?” chiese con distaccata cortesia, ma ben presto la sua espressione si fece più attenta e i nei suoi occhi guizzò un bagliore di autentico interesse, che cercò inutilmente di celare.
“Buonasera dottor Incontestabile, spero di non disturbarla” disse una voce morbida e vellutata, ma anche terribilmente decisa.
“Assolutamente!” rispose Incontestabile “Lei non mi disturba affatto!”
“Volevo soltanto informarla di una cosa che mi riguarda,e che, dato la fiducia che lei ha accordato a tutti noi, non mi sembra giusto nasconderle.”
“Mi dica e non abbia paura che qualcuno possa sentirla, questa è una linea assolutamente sicura” rispose l’uomo suo malgrado incuriosito
“La cosa riguarda il mio nome. Fonte Fantastica non è il mio vero nome,….è…come dire, un nome d’ arte. Io lo uso per poter salvaguardare la mia privacy, ma ora non mi sembra più il caso di farmi chiamare così, quando il mio vero nome è un altro…”
“E sarebbe?” tagliò corto con voce annoiata Incontestabile. Non voleva farsi vedere oltremodo interessato a quello che le avrebbe detto quella donna.
“ Io mi chiamo Catecumeno Illuminata e ora che le ho detto chi sono, ci tengo a farle sapere che lei potrà sempre contare su di me. Io le sarò vicino in ogni cosa che vorrà fare e lei potrà sempre contare sul mio aiuto” incalzò la voce della donna che ora aveva preso toni più profondi “Sappia che credo fermamente in lei e nel suo progetto di pace mondiale e che anche qualora gli altri undici la dovessero abbandonare, io resterò sempre al suo fianco”
IncontestabileSevero, forse per la prima volta in vita sua, si trovò spiazzato.
“Catecumeno? Intende quei Catecumeno? Il Clan dei Catecumeno?”
Sentire la voce vibrante di quella donna che dichiarava la sua totale adesione all’ambizioso progetto che da lì a poco l’avrebbe reso l’uomo più conosciuto, più amato e anche più odiato del mondo, lo riempiva di orgoglio e di un turbamento che non aveva mai sperimentato sino a quel momento. Ma anche sentire quel cognome potentissimo, legato alle più alte gerarchie ecclesiastiche del mondo, non era cosa da poco. Il clan dei Catecumeno era temuto e rispettato e nessuno avrebbe voluto averlo come nemico! Meno che meno il loro capo, il “grande Teo” americanizzato in “Big Teo” prima, e successivamente diventato per tutti “Big Ben”.
“La ringrazio per quello che mi dice” si trovò a rispondere sorpreso del suo tono
“Non c’è di che” rispose la voce morbida “Proteo Catecumeno è mio padre” e dopo una pausa brevissima la voce stupenda riprese; “Buonanotte” e riattaccò il ricevitore.
Incontestabile Severo, rimase a lungo con la cornetta in mano, chiedendosi in cuor suo chi fosse quella donna, che non temeva di affrontarlo, di parlargli da pari a pari. Indiscutibilmente aveva un grande fascino, dovette convenire, e degli ascendenti autorevoli e autoritari, ma lui era Incontestabile Severo, e il suo carisma si stava già diffondendo a macchia d’olio, in attesa di un exploy più grande, che di lì a poco l’avrebbe portato sulla scena mondiale, in una ribalta che non conosceva precedenti.
Perso in quei pensieri, si dimenticò di Catecumeno Illuminata, o almeno lui credette così.

Dall’altra parte del filo del telefono, la bella donna dai tratti finemente modellati e dalla chioma tizianesca, si guardò nello specchio che aveva di fronte. Tutto in lei era grazia e fragilità. Tutto tranne gli occhi, che come due lame d’acciaio si posarono sulla fotografia di Incontestabile Severo, che aveva avuto cura di fare incorniciare. “Tu sei un grand’uomo e un grand’uomo ha bisogno vicino a sé di una grande donna!” e sorridendo alla propria immagine e all’uomo che la guardava dalla fotografia, cominciò ad affinare la sua strategia.




Il signor Hobbs si rigirò tra le mani l’invito ricevuto una settimana prima, su cartoncino verde elegantemente bordato in oro, sul quale erano scritte a mano poche e semplici parole.

Ho piacere di invitarla alla cena che si terrà a casa mia
il 24 ottobre p.v alle ore 21.
Cordialmente
Incontestabile Severo

A una settimana di distanza, non riusciva ancora a dimenticare le impressioni che aveva riportato da quell’incontro. C’era stato fin dall’inizio qualcosa che gli aveva fatto capire che avrebbe partecipato a qualcosa che non sarebbe mai stata dimenticata, e anche oggi non riusciva a capire il perché.
Eppure era stata una semplice cena a una tavola il cui candore era la cosa che spiccava su tutto. Tovaglia di lino bianchissima, piatti bianchi di squisita fattura, bicchieri trasparenti di semplice eleganza e cibi non ricercati, anche se splendidamente cucinati.
Non mancava nessuno di loro, né i cani, né gli asini e tutti avevano avuto assegnato il loro posto a tavola e il posto alla destra del loro ospite era stato occupato dall’unica donna che faceva parte di quel simposio e della quale non si poteva dire che effetto avesse fatto su di lei il virus bevuto tante sere prima per suggellare un patto.
Di lei gli era rimasto impresso il viso sereno, in atteggiamento sorridente verso il padrone di casa, verso il quale si sporgeva lateralmente per continuare a tu per tu una conversazione cominciata e che sembrava di estremo interesse per entrambi. Loro erano lì quasi a contorno, con i loro sguardi posati sull’uomo e la donna al centro del tavolo, come se tutto l’interesse della serata fosse improntato su di loro. E in effetti era così. Perché stavano aspettando ansiosamente che il Mister parlasse e dicesse che cosa voleva da loro.
Poi il discorso tanto atteso, quello per il quale tutti erano venuti a quella cena, era cominciato.
Incontestabile Severo si era alzato e girando lo sguardo sereno su tutti i commensali, aveva ottenuto il silenzio senza proferire parola e con voce tranquilla aveva cominciato a parlare:
“Non mi aspettavo una risposta diversa dalla vostra e in effetti la mia attesa è stata ampiamente ripagata. Siete tutti qui, proprio come io vi volevo, collaboratori strettissimi e fidati. Su di voi stanno le sorti dell’umanità intera e il risultato della pace nel mondo dipenderà esclusivamente dalla vostra capacità e dalla vostra fiducia in me.
Io sto lottando per un mondo migliore, un mondo in cui la Pace regni sovrana, un mondo in cui tutti gli uomini siano uguali e nel quale possano vivere felici sapendo che ciascuno lavora per il bene dell’altro. Voi tutti sapete che l’ONUs è nato proprio per tutelare i diritti di tutti gli uomini, ma io voglio andare oltre il diritto…io voglio portare l’Amore”.
Dopo queste parole i commensali erano tutti emozionati e nei loro occhi adoranti si leggeva l’ammirazione per il Mister per cui non fu affatto strano che si levasse un applauso lungo ed estremamente sentito. L’atmosfera nella stanza si stava letteralmente scaldando e tutti erano curiosi di sapere che cosa avrebbe detto ancora l’uomo ieratico che in mezzo a loro, conservando una calma incredibile si apprestava a guidare il mondo intero.
Il dottor Hobbs senti un brivido scendergli lungo la schiena. Era un brivido di eccitazione e di aspettativa. La storia si faceva quella sera intorno a quel tavolo e loro erano parte della storia.
“Voi dovete sapere che questo progetto non è nato dall’oggi al domani - continuò Incontestabile Severo – ci sono voluti mesi e mesi per trovare le condizioni ottimali per cui questo operazione potesse cominciare, ma sono sicuro che non ci vorrà molto tempo per portarla a termine.
Voi siete i prescelti, ma sotto di voi ci saranno uomini e donne, debitamente istruiti che collaboreranno con voi alla riuscita di questa impresa.”
Lo sguardo del Mister si posò nuovamente su ciascuno di loro con la stessa serenità ma anche con qualcos’altro in più. Il Signor Hobbs sentì un altro brivido correre per la schiena, questa volta di natura diversa, come già gli era successo in altri momenti, dopo che il Mister aveva parlato. Diede una rapida occhiata agli altri vicino a lui, ma tutti sembravano felici, sorridenti ed estremamente desiderosi di sapere quali sarebbero state le parole successive del loro Capo.
Il quale, dopo una pausa di mezzo minuto riprese:
“Voi siete al corrente che per diventare i miei collaboratori più fidati, siete stati sottoposti a un trattamento virale, la riuscita del quale ha permesso che oggi siate qui seduti a questa tavola…..ebbene, altri uomini e altre donne sono stati sottoposti inconsapevolmente a trattamenti virali di altra natura rispetto ai vostri e ora sono pronti a fare la loro parte. Non crediate che le persone siano state scelte a caso. E’ stata fatta una selezione accuratissima che è passata sotto il mio vaglio, per cui i vostri collaboratori, sappiatelo sin da ora, saranno persone di estrema fiducia che lavoreranno alle vostre dirette dipendenze.
Voi sapete quali sono i posti più caldi di tutta la terra, e per caldo non intendo la temperatura, ma la situazione sociopoliticoreligiosa….lo sapete perché ciascuno di voi è addetto a un’area ben limitata della quale conosce tutto. Ebbene questi uomini, queste donne interverranno seguendo le vostre direttive in ciascun area a voi assegnata e nel giro di pochi mesi riusciranno a portare la pace in quei territori. Il resto sarà operazione diplomatica, nella quale interverranno altre persone preposte a ciò.
Fino ad ora sono stato chiaro o avete qualche domanda da fare?”
“Vorremmo sapere che direttive dovremo dare a queste persone che saranno i nostri collaboratori!” disse con un filo di voce il signor Hobbs, sentendosi immediatamente dopo in un bagno di sudore, ma dentro di sé anche contento di essere riuscito a tirare fuori la voce. Non capiva perché il Mister dovesse incutergli quel religioso rispetto.
“Domanda intelligente signor Hobbs” rispose con voce tranquilla Incontestabile
“Domanda intelligente alla quale risponderò subito perché mi permette di entrare immediatamente nel vivo della situazione senza tanti altri preliminari. Ebbene signori….ascoltatemi tutti attentamente, perché non ripeterò un’altra volta ciò che sto per dirvi………..” e qui Incontestabile Severo, appoggiò entrambe le mani sul tavolo e si sporse verso di loro “……..ebbene signori, voi non dovrete fare altro che dire ai vostri subalterni i luoghi in cui dovranno andare e segnalare le persone , che con la vostra esperienza sapete essere quelle più pericolose per la pace mondiale.
I trattamenti virali ai quali sono stati sottoposti decine e decine di uomini e donne, li mettono nelle condizioni di contagiare singolarmente chi è ritenuto destabilizzante per la pace, senza mettere assolutamente a rischio la vita di nessun uomo, meno che meno la loro, in quanto l’hanno già contratta in forma attenuata e oggi sono solo portatori.
Avete sentito mai parlare dell’influenza aviaria? E di quella suina? E di quella equina modificata? ……….Ebbene signori, con questi tre piccoli virus e la perdita di pochi uomini facinorosi, riusciremo a portare la pace duratura in tutto il mondo….Tra l’altro la perdita di questi uomini è intesa solo in senso figurato, perché verranno alienate solamente le loro velleità egemoniche, in quanto i loro cervelli diventeranno cervelli di maiali o di polli e altri volatili similari o al massimo se sono fortunati di cavalli. Che ve ne pare?”
Il signor Hobbs deglutì più di una volta per prendere tempo e pensare una risposta diplomatica che gli facesse guadagnare tempo. Era letteralmente paralizzato dalla sorpresa e gli sembrava di avere il cervello pieno di ovatta. Quando alla fine pensò di aver ritrovato l’uso della parola aprì bocca per parlare, ma qualcuno fu più veloce di lui e da tre posti oltre il suo si levò una voce stridula che inneggiò
“Ottimo, ottimo, questa è una cosa stupenda, una trovata geniale, qualcosa che solo lei Mister poteva aver pensato!”
Hobbs guardò il proprietario di quella voce querula e riconobbe il signor Smith, che come al solito non si smentiva affatto ed era più ruffiano che mai. Deglutì per l’ennesima volta e infine si decise ad aprire bocca, ma ancora una volta fu preceduto da un coro di voci questa volta, che davano la loro entusiastica approvazione.
“Forse sto sbagliando tutto sentendomi così a disagio – si disse mentalmente – finché si trattava di Smith, potevo avere qualche dubbio, visto il tipo, ma questi altri sono tutte persone serie e rispettate, per cui chi sono io, per sentirmi così?” e mentre si diceva queste cose, si accorse di rilassarsi cosicché alla fine anche lui potè dire con sincerità:
“E’ una cosa bellissima Mister. Complimenti per il suo lavoro!” dopodichè si sentì benissimo e di nuovo protagonista indispensabile di una svolta storica.
“Bene signori! Non avrei mai dubitato di voi, per cui vi dico che al massimo tra due settimane metteremo in esecuzione il piano che è stato messo a punto col nome di “Allegra fattoria”
Di nuovo Incontestabile Severo appoggiò le mani sul tavolo e sporgendosi verso di loro continuò:
“Tra qualche momento la mia segretaria vi consegnerà una busta sigillata. Al suo interno troverete una lista con i nomi che ciascuno di voi dovrà contattare. Dovrete conoscere solo i nomi delle persone che vi sono state assegnate e non ammetto deroghe a questo ordine. Chi sgarra sarà immediatamente allontanato da questo tavolo, ….ma sono sicuro che voi tutti farete in modo egregio la vostra parte, poiché avete meritato la mia stima e la mia considerazione. Dal vostro comportamento dipende la pace nel mondo, per cui credo che non ci sia altro da aggiungere…..Avete domande da fare?” aggiunse con l’aria di chi pur non dicendolo fa chiaramente capire che è meglio non fare altre domande. Cosa che fu recepita benissimo da tutti quanti, Catecumeno Illuminata compreso.


Seduto alla sua scrivania, il signor Hobbs, si rigirava un foglio tra le mani con aria pensierosa. Quella era la sua lista con il nome delle persone che aveva già convocato per un summit nel suo ufficio e che tra poco sarebbero arrivate. Cosa avrebbe detto loro? E più che altro quale sarebbe stata la reazione di queste persone alle sue proposte?
Come poteva andare tranquillamente a dire a ciascuno di loro che dovevano andare a contagiare in modo grave altri uomini e donne per farle uscire dalla vita pubblica dei loro paesi e renderle così innocue? Gli sembrava di vivere qualcosa di surreale, come se tutti fossero usciti di senno e lui solo se ne rendesse conto, senza peraltro riuscire a fare qualcosa per modificare la situazione.
“Magari sto sognando!” si disse speranzoso dandosi un potente pizzicotto nel cicciuto avambraccio, ma il dolore che sentì gli fece irrimediabilmente capire che era sveglio, molto sveglio……anche troppo sveglio per essere un asino.
“Ma come posso tornare indietro? Come posso dire a mia moglie che tutte le cose che abbiamo sognato e che ora stanno per diventare realtà, non ci saranno più? Se decido di uscire da quest’affare, non solo non avrò l’aumento, non solo non avrò la promozione, ma perderò anche il lavoro!! Il Mister non è un tipo al quale si può dire di no, senza pagarne le conseguenze! E che conseguenze! Ma cosa posso fare? E più che altro perché quando sono insieme a lui, quello che dice mi sembra che sia giusto, e poi quando comincio a pensare per conto mio, tutto ciò mi pare solo una carognata?”
Non fece in tempo a darsi nemmeno l’illusione di una risposta perché fu bussato alla porta e si trovò a dire automaticamente: “Avanti!”.
Thinmothy Finch entrò, dopo aver ceduto il passo a una sorridente Jessica.
Jessica sorrideva o ridacchiava sempre in quei giorni e Timothy anche ora la guardò con un po’ di stupore. Che c’era di così esilarante da dover sempre viaggiare con quel sorrisino idiota sulle labbra? Decise che dopo la riunione con il dottor Hobbs, avrebbe invitato Jessi a cena e così avrebbe cercato di capire lo strano comportamento della ragazza. Ora era lì per capire che cosa volesse da lui e da Jessi il suo capo, che gli sembrò abbastanza strano anche lui.
“Ma che ci sta succedendo?” disse mentalmente sicuro che almeno in quel caso poteva star tranquillo. Non sarebbe venuto fuori nessun grugnito, anche se doveva ammettere che in quei giorni era diventato abbastanza bravo a gestirsi, e salvo in rari momenti in cui la sua nuova natura porcina si affermava in tutta la sua prepotente vitalità, riusciva a controllare sia i grugniti, sia lo sfintere e anche lo sguardo. Quella era la cosa più difficile. Ogni volta che vedeva una bella ragazza, i suoi occhi si animavano di una luce strana e decisamente porcina! Ma tant’è! Con un paio di occhiali da sole, aveva rimediato quasi alla perfezione e ringraziava la congiuntivite che aveva avuto da bambino e che oggi gli forniva una valida e documentata scusa per non togliersi mai le lenti scure.”Buona sera dottor Hobbs, siamo in ritardo?” disse entrando e stringendo la mano che il suo capo gli porgeva.”Nessun ritardo Tim. Buona sera Jessica! Siete i primi ad arrivare e speriamo che anche gli altri siano puntuali”



“…Ed ora vi ho detto tutto ragazzi. Sicuramente ciascuno di voi, nel suo intimo si sarà accorto di qualcosa di diverso nel suo atteggiamento, senza sapersene spiegare la ragione, ma dalle cartelle che vi riguardano e che da alcuni giorni sono in mio possesso vi dico con assoluta certezza Che Jessica Lamb, Serena Stoy, Mabel Ridge hanno contratto una forma rara di ochite acuta, mentre Iohn Fox, Roger Toys. Thimothy Finch, sono reduci da un bel contagio di influenza porcina, la famigerata influenza A, o se preferite N1H1………No! Aspettate un attimo prima di interrompermi!......Volevo informarvi che non sono assolutamente in grado di dirvi in che maniera vi sia giunto il contagio; l’unica cosa che so è che siete stati accuratamente selezionati per questo progetto di grande lungimiranza, proprio come lo sono stato io, e che ciò va ritenuto un grande onore, perché dimostra la stima che il Mister ha in ciascuno di noi………In certi momenti non è facile adattarsi a questa situazione e alla nostra nuova personalità, ma dobbiamo pensare che siamo stati selezionati per portare a compimento la Pace nel mondo intero”
Un grande silenzio scese nella stanza. Ciascuno di loro rimase assorto su se stesso, senza trovare il coraggio di guardare gli altri in faccia. Fu un momento veramente imbarazzante.
“Ecco perché Jessi mi sembrava così strana. Ecco perché non si è accorta del mio cambiamento!......Perbacco è diventata un’oca, nel vero senso della parola…….e anche le altre due non scherzano affatto!” si disse con un sorriso divertito suo malgrado Dal canto suo Jessica faceva analoghe considerazioni.
“Tim ha una vera faccia da maiale. Come ho fatto a non accorgermene prima? Già! E come potevo? Sono diventata un’oca!”
Anche le espressioni degli altri rivelavano pensieri simili e il dott. Hobbs reputò saggio lasciare un po’ di tempo perché ciascuno di loro realizzasse appieno ciò che era diventato e più che altro ciò che avrebbe dovuto fare.
Alla fine fu proprio Thimothy che ruppe quel silenzio imbarazzante e profondo. Si schiarì la voce, o almeno cercò di farlo senza riuscirci troppo. L’emozione di quel momento gli aveva giocato un brutto scherzo e il suono gutturale che uscì dalla sua gola fu uno dei più bei grugniti che avesse fatto in quei giorni. Immediatamente gli altri due gli fecero eco, indipendentemente dalla loro volontà umana. In quel momento la natura porcina aveva preso il sopravvento e tutti e tre si trovarono a grugnire in maniera vistosa mentre le tre ragazze li guardavano con sguardo veramente da oche.
Il signor Hobbs si mise le mani in testa. Non sapeva se mettersi a ridere o sentirsi esterrefatto dalla scena che aveva davanti ai suoi occhi, ma la comicità della situazione prese il sopravvento e così si abbandonò a una risata liberatoria che pareva non sarebbe mai terminata, se non ci fosse stato un provvidenziale accesso di tosse asinina, che gli fece ricordare il suo ruolo e quello delle persone che erano sedute davanti a lui.
Tornato immediatamente serio, allargò le braccia e guardando tutti dritto negli occhi disse:
”Ebbene signori, queste sono le armi che ci sono state date per portare la pace nel mondo. Proviamo a farne buon uso”.



Thimothy Finch, si fermò come ormai gli capitava da diversi giorni a questa parte, davanti allo specchio del bagno. In effetti il suo bagno era diventato per lui come un secondo ufficio, nel quale faceva le sue prove comportamentali tutte le mattine appena alzato. Controllava gli occhi, i denti, l’espressione del viso, toglieva meticolosamente tutta la peluria setolosa che stranamente non era nata nel viso, ma intorno al collo. Faceva gargarismi per rendere più morbida la sua voce, che fino al momento non l’aveva mai del tutto abbandonato, anche se qualche volta qualcosa di simile a un grugnito usciva fuori, specialmente quando abbassava le difese e non stava attento a controllare le sue corde vocali. Comunque per il momento era abbastanza soddisfatto di sé. La sua doppia personalità aveva anche dei risvolti positivi e se guardava a se stesso come era prima di questa impensabile evoluzione, doveva ammettere di essere stato abbastanza monotono e ben poco divertente, con quella mania dell’ordine, di un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto. Chissà come aveva fatto Jessica a sopportarlo? Non è che se era ancora insieme a lui si doveva a quell’ochite selvaggia che l’aveva colpita così duramente? La povera ragazza, si disse con un sorrisetto e un’alzatina di spalle, era proprio imbambolata. Su di lei il virus aveva avuto un effetto devastante, perché pareva che non fosse rimasto niente della vecchia Jessica, o almeno così sembrava. Anche le altre due ragazze non erano certo in condizioni migliori, si disse rassegnato.
“Io sono stato più fortunato….chissà perché! Forse la mia personalità, anche se monotona e seriosa, era più forte e questo cambiamento non ha provocato tutti i danni che ha fatto negli altri!”.
In effetti gli altri due maschietti della situazione erano molto più imporcelliti di lui e non riuscivano a nasconderlo con lo stesso successo suo. Forse questo era il motivo per cui , pur non avendolo detto ufficialmente, tutti si erano rivolti a lui come a un capo e Thimothy aveva accettato tranquillamente quel ruolo, perché gli era sembrato naturale che fosse così.
“E ora da dove si comincia? “ La parte precisa ed ordinata della sua personalità esigeva un piano ben preparato dove niente fosse lasciato al caso, ma il suino grufolante che era in lui spingeva ad approssimare, a improvvisare, a lasciare al caso. Non riusciva a pensare a niente di preciso e girava intorno allo stesso pensiero ormai da ore, senza riuscire a organizzarsi. Non era certo tipico del vecchio Tim!
Intanto gli era venuto un appetito mostruoso, per cui decise che forse era meglio assecondare l’istinto animalesco di sopravvivenza e dar fondo a quello che di meglio c’era in frigorifero.
Ingurgitò di tutto. Sparirono intere lattine di ceci e di fagioli, trangugiò fette di formaggio e di pane che avrebbero sfamato dieci persone, bevve succo di pera e di carota a volontà e finalmente, dopo aver fatto un largo sbadiglio a bocca aperta, si dichiarò soddisfatto.
“Almeno per il momento” si disse contento.
Ora comunque poteva pensare più tranquillamente e preso un foglio e una penna cominciò a mettere nero su bianco il progetto che stava formandosi nella sua mente.
Il periodo era propizio, o almeno lui lo giudicò tale. Febbraio, chiama carnevale, carnevale chiama maschere, maschere chiamano feste da ballo. Cosa poteva esserci di più adatto di una bella festa di carnevale in maschera, per invitare le persone che dovevano essere messe fuori uso? Del resto nessuna di queste avrebbe avuto un motivo per rifiutare l’invito a una serata danzante, figuriamoci una serata danzante all’ONUs! Anzi l’ avrebbero ritenuto un onore al quale non potevano dire di no. Un bel contagio ad hoc! Ciascuno di loro avrebbe ballato con la persona prescelta e da mettere fuori uso, mentre le altre avrebbero dovuto soltanto continuare a divertirsi. Niente di più semplice. “Timothy – disse compiaciuto alla sua immagine che lo guardava dallo specchio – sei veramente un genio!”. Ma poiché tutto doveva restare “Top secret”, anche per gli altri addetti ai lavori, salvo naturalmente a quelli del suo gruppo che dovevano aiutarlo, ora doveva trovare un nome fasullo per il suo piano. Un nome in codice! Nessuno doveva neanche lontanamente intuire ciò che si celava dietro un invito a una serata di gala in uno degli ambienti più prestigiosi del mondo e questo non doveva apparire neanche nella carte in cui descriveva il suo piano di azione, che poi sarebbero passate nelle mani del dottor Hobbs per andare in quelle del Mister che avrebbe dato o no l’approvazione.
“Lo chiamerò Mocador” si disse contento “è un nome che mi piace …..Mocador ha un che di esotico, ma anche di importante, come del resto è l’affare in questione. E si addice anche alle persone che dovremo neutralizzare. Ma sì! Vada per Piano Mocador!”
Si mise alacremente all’opera e come nei tempi migliori il lavoro scorreva nelle sue mani che era una meraviglia. Di lì a due ore seppe di poter dire che aveva fatto un progetto stupendo , che difficilmente il Mister avrebbe potuto bocciare. Si stropicciò le mani e sorrise soddisfatto.


Da quando Thimothy Finch aveva preso in mano la situazione, il signor Hobbs si sentiva alquanto più sollevato. Inutile dirlo! Queste cose non gli si addicevano. A lui piaceva il suo lavoro abituale di publics relations, ma l’intrigo internazionale non era per lui. Avere Tim al fianco l’aveva riempito di gioia oltre che alleggerirgli la tensione e al momento aspettava che Finch gli presentasse un elaborato di ciò che pensava sarebbe stato meglio fare per venire a capo di una situazione che non era per niente semplice.
“Ci è toccato la parte più difficile” si disse con una punta di stizza. “Chissà se per caso o per scelta?” L’istinto lo faceva propendere per la seconda risposta, ma certo non poteva averne la sicurezza matematica. Chissà in che modo Tim aveva organizzato la cosa?….ma gli aveva concesso una settimana di tempo per presentare un progetto, per cui decise che era il caso di non disturbarlo, dandogli eccessivamente fretta.
Nel frattempo decise di godersi questi giorni tutto sommato relativamente calmi che la sorte gli aveva concesso, insieme al nuovo ufficio, che era una cosa fantasmagorica; al congruo aumento di stipendio e alla possibilità di poter finalmente soddisfare le richieste di una famiglia numerosa come la sua.
Decise in cuor suo una volta di più che il Mister era una persona eccezionale, di un’intelligenza al di là di qualsiasi confronto e che ciò che stava facendo era per il bene dell’umanità intera.
Quando pensava a questa cosa in particolare Hobbs sentiva che gli occhi gli si inumidivano e la sua fantasia galoppava, vedendo davanti a sé volti di uomini e di donne, che prostrati davanti a lui, lo ringraziavano, quasi che fosse un dio, per aver dato un contributo così importante alla nuova Pace del mondo.
Vedeva un mondo dove nessuno aveva più bisogno di elemosinare il pane, perché la nuova giustizia aveva eliminato ogni sorta di disparità e i Continenti erano tutti floridi e sereni. Si viveva bene nel mondo che vedeva il signor Hobbs, davanti ai suoi occhi lacrimosi. Non c’era la guerra, perché erano stati aboliti tutti i motivi per farla, non essendoci più le persone facinorose, ambiziose, pazzoidi, fanatiche.
E allora perché, si chiedeva angosciato suo malgrado, in un angolino del suo cervello e anche in un angolino del suo cuore, c’era qualcosa di piccolo, di molto piccolo è vero, ma persistente, che gli impediva di avere una serenità completa?
Si alzò dall’enorme poltrona che era dietro una scrivania dove si sarebbe potuto giocare una partita a ping-pong, dette un’ultima fuggevole occhiata al superbo scenario che si stava illuminando al di là della parete di cristallo che lo teneva sospeso sul vuoto, poi alzato il ricevitore del telefono bianco formulò un numero.
Alla tranquilla voce di donna che gli rispose, che poi non era nient’altro che quella di sua moglie spiegò: “Ciao Jenny! Tra un’ora passo a prendere te e i ragazzi e vi porto tutti fuori a cena. Mi raccomando mettiti in ghingheri. Stasera ci diamo tutti alla pazza gioia!”.




Dieci piani più su, Incontestabile Severo stava versando un liquido ambrato in due calici. Aggiunse una fettina di limone e col suo passo elastico si diresse verso il divano bianco dove una donna, Catecumeno Illuminata, si era adagiata in tutta la sua languida bellezza.
La donna era elegantissima, di un’eleganza raffinata e costosissima, quale pochi si possono permettere e che lei portava con naturale disinvoltura. Unico gioiello che le adornava l’anulare della mano sinistra, un solitario che mandava bagliori per tutta la stanza . Quell’anello le era stato infilato al dito pochi minuti prima e suggellava un patto, che non era solo un fidanzamento, ma un’unione di affari, di potere economico enorme e abbacinante.
Alla fine, non era stato difficile catturare l’algido Mister, anche se era sicura che gran parte del suo successo era dovuto al nome che portava. I Catecumeno erano rispettati e temuti in tutto il mondo e la loro lunga mano arrivava in ogni dove. Illuminata sapeva che dovendo scegliere se averli dalla sua parte o contro, Incontestabile non avrebbe avuto neanche un attimo di esitazione e il bellissimo solitario era lì a dimostrarlo.
“Alla nostra salute mia cara!” le disse l’uomo con un leggero inchino
“Alla nostra salute e alla nostra felicità!” rispose lei con un sorriso misterioso e affascinante dietro il quale si nascondevano pensieri di assoluto dominio.
Sapeva, che quando avesse voluto, sarebbe diventata talmente irresistibile, che neanche quell’uomo di ghiaccio avrebbe potuto sottrarsi al suo fascino e al suo dominio. Tutto a suo tempo! Tutto a suo tempo!
“Alla nostra felicità amore mio!” ribadì con un sorriso delizioso questa volta e Incontestabile Salvatore seppe di essere fortunato ad avere una donna come lei al suo fianco e mentre la guardava col suo sguardo impenetrabile decise che le avrebbe concesso qualcosa, ma solo qualcosa del suo potere. Se lei pensava di poter avere di più si stava sbagliando su tutta la linea , perché lui era Incontestabile Severo e anche se di lei gli piaceva tutto, anche quel suo arrivismo sfrenato che aveva intuito dal primo istante che l’aveva vista, l’avrebbe tenuta in pugno, se necessario fino a stritolarla.
“Alla nostra felicità amore mio!” rispose lentamente il Mister e lei involontariamente sentì scorrere un brivido freddo lungo tutta la schiena.






Thimothy Finch si rilassò sgangheratamente sul divano del suo appartamento. Completamente rilassato, dopo aver messo a punto il piano che di lì a pochi giorni, dopo l’approvazione del Mister, sarebbe diventato esecutivo, aveva dato il meglio di sé, facendo fuori tutto ciò che aveva trovato nel suo frigorifero. Ora guardava i resti del suo luculliano banchetto, decidendo in cuor suo che avrebbe comunque dovuto rimettere in ordine, visto che a breve sarebbe arrivata Jessica.
Il fatto che ormai la sua ragazza sapesse del virus che l’aveva colpito, metteva Tim al riparo di qualsiasi critica, ma la parte di lui che aveva resistito all’aggressione suina, diceva che quando è troppo è troppo e stasera,guardandosi intorno, si accorse che il troppo era stato ampiamente superato.
Si tirò agilmente a sedere e con un piccolo grugnito di soddisfazione per la merenda appena fatta, si accinse a ridare ordine alla sua casa.
Aveva invitato Jessica, perché prima di discutere del suo piano con gli altri del suo gruppo, voleva vedere la reazione che avrebbe avuto lei. In fin dei conti anche le oche hanno delle reazioni e il suo piano era talmente particolare, che doveva sapere l’effetto che avrebbe fatto, e più che altro se sarebbe stato compreso in tutte le sue sfumature. Se l’avesse capito Jessica era sicuro che non avrebbe avuto problemi con gli altri, e poi Jessi era la sua ragazza e doveva essere la prima a sapere cosa stava bollendo in pentola.
Dieci minuti dopo si dichiarò soddisfatto del lavoro che aveva fatto per nascondere i residui della sua abbuffata e neanche a farlo apposta il campanello suonò.
Tim andò ad aprire e si trovò difronte una sorridente Jessi, che avava l’aria più felice del mondo. Era un piacere guardarla e Tim lo fece a lungo, prima di aprire le braccia e stringerla in un caloroso abbraccio. Oca o no, la sua ragazza era proprio bella e il suo sguardo sereno lo fece rilassare immediatamente.
“Vieni Jessi e scusa se non è tutto in ordine come eri abituata a vedere una volta, ma lo sai anche te, ora non posso fare più di così” si scusò Tim
“Oh! Non ti preoccupare. Sai che ti dico? Mi piace quasi più in questa maniera. Prima eri ….come dire….un po’…
“…Noioso?” rise lui
“Ecco….sì, in un certo senso sì” e anche Jessica rise di gusto, sentendosi forse per la prima volta in vita sua a suo completo agio in casa di Tim.
“Preferisci cenare subito…o prima ti va di parlare un po’? Sai, vorrei metterti al corrente di un piano che ho preparato per il Mister e prima di presentarlo agli altri vorrei confrontarmi con te!”
“Con me?! Ma Tim, di tutte le persone del gruppo io sono quella che è stata contagiata più forte…..me l’hai detto tu stesso, ricordi? Che cosa vuoi che ti dica io? Non credo di essere in grado di aiutarti”
“E invece sì- ribadì Tim – sono sicuro che se tu riesci a capire il mio piano, lo capiranno anche gli altri e non ci saranno problemi. In caso contrario dovrò modificarlo. Non voglio offenderti Jessica, ma l’hai presa proprio grossa ….e credo che più oca di te al momento non ci sia altra persona in circolazione!” finì ridendo Tim
Anche Jessica rise di gusto e aprendo le braccia in segno di resa disse:
“Ok. Allora avanti….dimmi tutto!”





Mezz’ora dopo Jessica Lamb sgranò gli occhi in tutta la loro luminosa grandezza, spalancò la bocca oltre ogni dire e con tutta la enfasi che potè trovare tra le sue nuove piume, gridò:
“Mamma mia Tim! E’ una cosa strepitosa! Ma come hai fatto a pensare a una cosa così semplice e allo stesso tempo così efficace? Sei un vero genio! “
“Sì va bene! – incalzò Thimothy – ma hai veramente capito tutto quello che dice questo piano? “.
“Ma certo Tim, stai tranquillo! E’ talmente elementare che persino un’oca come me non fa difficoltà a capirlo”.
“E sei d’accordo sul risultato finale?”
“D’accordo?...... Di più, molto di più che d’accordo. Ne sono entusiasta!”
“E come mai Jessi?” domandò Tim con un’ombra di stupore
“Beh! Non te lo so proprio dire, sai com’è, non è che abbia tanto acume in testa in questo momento……..però il mio istinto di animale mi dice di essere contenta e di sperare che vada a finire così” rispose Jessica con una semplicità tale che Tim l’abbracciò stretta stretta, sentendo in cuor suo che doveva restituire meriti anche alle oche.
“E quando lo diremo agli altri che reazioni pensi che avranno?”
“Mah! Io credo che come l’istinto agisce su di me, allo stesso modo farà con loro ………Io penso, no, sono sicura che anche gli altri saranno entusiasti quanto me e poi – e qui Jessica si fece seria seria – penso che dobbiamo proprio dare il meglio di noi stessi per la salvaguardia di questo mondo…e forse è bene non dire niente a Hobbs. Lasciamolo nel suo mondo dorato. Quando sarà opportuno l’avvertiremo. Non lo credi anche tu Tim caro?”
“Sì tesoro, la penso proprio così e quindi……..avanti tutta. Ora non credi che ci siamo meritati una bella cenetta?”
“Direi proprio di sì…..e già che ci siamo cucino io. Logicamente una dieta vegetariana, va bene?” concluse ridendo Jessica
“Perfetto! Allora forza con l’insalata e la mozzarella!” concluse Tim, che ora era di un umore splendido e pronto a passare una serata indimenticabile con la sua ragazza.






Thimothy Finch, guardò l’imponente struttura che era la sede dell’ONUs. Davanti all’enorme entrata si fermò per un attimo come per raccogliere il coraggio di andare avanti. Tra pochi minuti avrebbe avuto un incontro con il dott. Hobbs e stava cercando di ripassare tra sé e sé tutto ciò che avrebbe dovuto dirgli e le risposte che avrebbe dovuto dare, davanti a inevitabili obiezioni che sarebbero state fatte. Non sperava neanche per un attimo che il Piano Mocador sarebbe filato liscio, senza neanche l’ombra di un rimaneggio. Conosceva bene Hobbs e sapeva che dietro quell’aria pacifica e bonacciona si nascondeva una mente brillante e arguta, altrimenti non sarebbe stato nel posto che occupava ormai da tanti anni, promozione a parte degli ultimi dieci giorni.
Mentre entrava cercò di ricordarsi l’incontro che aveva avuto con i suoi colleghi. Come Jessica aveva previsto erano stati d’accordo fin dal primo momento su tutta la linea e ciascuno di loro si era dichiarato pronto a fare la sua parte nel migliore dei modi
“ Caro Tim – aveva parlato per tutti Roger Toys – siamo molto soddisfatti di ciò che hai elaborato e molto felici di seguirti in questa impresa. Del resto la Pace mondiale sta a cuore anche a noi e il modo che hai trovato per perseguirla ci entusiasma completamente. Quindi che possiamo dirti di più? Conta su di noi e sulla nostra lealtà….penso di parlare a nome di tutti, vero ragazzi?”
“Certamente” annuirono gli altri e la riunione si era sciolta di lì a pochi minuti con l’accordo di ritrovarsi non appena Thimothy avesse avuto l’ok dal Mister.
“In bocca al lupo Tim….mamma mia ma che ho detto! Si può augurare a un maiale di andare a finire in bocca al lupo?” e Serena Stoy si mise una mano davanti alla bocca per frenare la risatina che le era uscita malgrado il momento importante e solenne
“Certo Serena che si può dire – rispose sorridendo Tim – anzi si deve dire, perché abbiamo proprio bisogno di fortuna!”
“E allora crepi!!!” risposero tutti e con questa battuta si salutarono.







Incontestabile Severo, guardava il dott. Hobbs seduto davanti a lui. Aveva ancora in mano i fogli del Piano Mocador, che Hobbs gli aveva presentato circa due ore prima, non immaginando neanche lontanamente di essere convocato di nuovo poco dopo.
“Mi complimento con lei caro Hobbs!” gli disse il Mister non appena giunse in ufficio “Lei e i suoi collaboratori avete fatto un progetto veramente geniale, semplice come un sonetto e di effetto sicuro”.
Hobbs si aggiustò meglio nella poltrona, cominciando a sentirsi un po’ più tranquillo, dopo quella lode che non si aspettava così immediata. Quando Thimothy gli aveva presentato il progetto, gli aveva dato solo una rapida occhiata, preso come era ancora dal ricordo della sera precedente, passata con sua moglie e i loro figli a fare innocue pazzie nei migliori locali della città.
In quel momento era in uno stato di grazia e non aveva avuto niente da eccepire su quanto gli aveva esposto Tim, salvo che dire:
“Non è un po’ troppo semplice? Stando a questo progetto si tratta praticamente di fare una passeggiata…..comunque caro Finch, se ritieni insieme agli altri che questo piano sia quello giusto, mi farò domani stesso dovere di portarlo al Mister” e così aveva liquidato Thimothy, che non aspettava nient’altro che questo, ritenendosi fortunato, perché le temute domande di Hobbs non c’erano state e la cosa era scivolata nella maniera più tranquilla.
Hobbs ora vedendo la reazione positiva del Mister, assaporava la giusta ricompensa alla sua lungimiranza, che aveva visto in Finch la persona giusta per risolvere un problema molto spinoso.
E tuttavia una parte di lui continuava a non essere tranquilla e ogni tanto si domandava cosa fosse quel malessere che giungeva quasi inaspettato e lo coglieva sempre di sorpresa, a volte a tavola, a volte in ufficio, addirittura in bagno, o mentre faceva una passeggiata. Anche ora sentiva che stava arrivando eppure aveva tutti i motivi di essere soddisfatto di se stesso. E allora perché?
“Forse sarà una conseguenza di questo maledetto virus asinino –si diceva scuotendo la testa - Chissà! Forse i ciuchi soffrono di ansia e qualche volta si sentono depressi senza ragione………mah! Meglio non pensarci!”
“Qualcosa che non va caro Hobbs?” La voce di Incontestabile lo richiamò bruscamente alla realtà, mentre lo sguardo del Mister lo trapassava .
“Nnno! Niente, …niente…mi scusi…….stavo appunto pensando che anche a me è sembrato un piano geniale che darà sicuramente i risultati che tutti ci aspettiamo.”
“Già! Proprio così! Per cui a questo punto non rimane altro da aspettare il sedici febbraio, che è l’ultimo giorno di carnevale. Abbiamo poco più di un mese di tempo per organizzare tutto, per mandare gli inviti….per preparare una festa che sia degna del luogo dove viene fatta. Voglio un’organizzazione perfetta Hobbs, deve essere una festa che abbia eco nel mondo, perché quel giorno qui, si farà la storia e la storia ci deve trovare preparati e alla sua altezza…………per cui caro Hobbs, si dia da fare e organizzi tutto nel migliore dei modi. Lei da stasera è ufficialmente incaricato della buona riuscita della festa di carnevale”:
“Io? Ma Mister, senz’altro……..”
“Non accetto scuse mio caro Hobbs, siamo intesi?” e lo sguardo gelido del Mister percorse tutto il corpo di Hobbs con una lunga significativa occhiata.
“Certamente Mister….certamente sarà fatto come lei desidera!”e la voce di Hobbs uscì fuori con un raglio sottomesso.
“A proposito! – proseguì Incontestabile – in questi fogli c’è scritto che tutto il vostro gruppo indosserà scarpe rosse sotto i costumi carnevaleschi e che queste scarpe dovranno essere ben visibili in modo che io possa sempre sapere dove siete e che fate, nel caso avessi bisogno di relazionarmi con voi………magari per aggiungere anche qualche nome all’ultimo momento alla lista di quelli che dovranno essere contagiati, quindi cerchi di procurare queste scarpe al più presto……e che siano di bella fattura mi raccomando…..scarpe italiane direi…….sono senz’altro le migliori!”
“Benissimo Mister! Ci sono altri ordini?”
“No! Al momento non mi pare. Nel caso la chiamerò Hobbs!”
“Un’ultima domanda Mister: …..ha delle preferenze sui costumi che dovremo indossare?”
“No! Dica loro di prendersi quello con cui si sentiranno più a loro agio. Importante sono le scarpe rosse. Mi raccomando. Buona sera Hobbs” e lo congedò con un veloce cenno della mano
“Buona sera Mister!” e senza fare rumore Hobbs uscì dalla stanza, sentendosi sudato, suo malgrado.










Il Golden Schell era senz’altro il ristorante più lussuoso della città e si vedeva ancora prima dell’entrata.
Bellissimi tappeti rossi facevano da passerella tra la strada e l’entrata, sormontati da un gazebo dorato, scintillante di luci che si riflettevano sui cristalli del tetto, perfettamente trasparenti. La porta era una sinfonia di oro e vetri di murano di una finezza unica, quasi impalpabile.
L’interno proseguiva sullo stesso tono, ma ancora più ricercato e raffinato. I tavoli apparecchiati in maniera superba avevano una zona di privacy che garantiva la riservatezza ai commensali, i quali tutti persone sceltissime, la creme de la creme, dell’alta finanza, arrivavano vestiti delle firme più prestigiose degli atelier italiani e francesi.
Ad uno di questi tavoli Incontestabile Severo e Catecumeno Illuminata, stavano consumando una cena leggera a base di ostriche e champagne. La loro conversazione sembrava animata, ma sottotono, come esigeva il luogo.
“Mia cara preparati per una festa da ballo!” esordì Severo alzando la flute con lo champagne
“Una festa da ballo?” Illuminata alzò leggermente un sopracciglio con aria interrogativa e nello stesso tempo alzò la sua flute, dentro la quale scintillava il liquido ambrato che lei aveva definito il migliore del mondo “Allora faccio un brindisi con il mio spumante!” disse sorridendo maliziosamente. Al contrario di Severo lei preferiva tutto ciò che era italiano, forse in omaggio alle sue radici.
“Salute – rispose sorridendo il Mister – sporgendo leggermente il braccio che teneva il calice – Una festa da ballo….sì, una festa da ballo in maschera”
“bellissimo – si entusiasmò la giovane donna – mi dovrò trovare un vestito fantastico!”
“ Non vedo l’ora di vederlo” approvò Incontestabile con galanteria
“E quando sarà questa serata e più che altro….dove?” gli occhi di Illuminata brillavano già per il divertimento.
“Il 16 di febbraio nel palazzo dell’ONU” e fu come se il Mister avesse tirato una bomba
“Coooosa? Non mi dire che la festa da ballo rientra nei piani che devono essere portati a termine entro breve tempo?!”
“Ebbene sì! Questo progetto che mi è stato presentato è quanto di più ardito e semplice ci possa essere. E’ un piano perfetto”
“E si può sapere chi è l’autore di questa perfezione?” domandò Illuminata
Top secret mia cara! Top secret! L’unica cosa che ti posso dire è che non dovrai mai ballare con nessuno che indossi scarpe rosse……. del modello che prima del ballo ovviamente ti farò vedere !”
“Questa cosa mi stuzzica parecchio, non vedo l’ora che arrivi il fatidico giorno!” e alzando il suo calice la giovane donna sorseggiò il suo spumante con la grazia felina di una pantera pronta a gettarsi sulla preda.







Mister Hobbs non avrebbe mai più dimenticato la grande serata del ballo in maschera del 16 febbraio, ultimo giorno di carnevale. Per un attimo aveva pensato anche ultimo giorno della sua vita. Il suo pensiero tornava a tre giorni prima quando vestito da moschettiere aveva varcato la soglia della grande sala delle riunioni, trasformata per l’occasione in una meravigliosa sala da ballo. Era stato il primo ad arrivare anche perché l’organizzazione della serata gravava tutta sulle sue spalle e anche se tutto era stato preparato a puntino il suo occhio vigile doveva continuare a far si che tutto procedesse nel migliore dei modi. Avendo questo importante incarico che all’ultimo momento il Mister gli aveva rifilato, i componenti della sua equipe l’avevano dispensato dal ballare e quindi da indossare scarpe rosse.
Infatti Hobbs sfoggiava un magnifico paio di stivali neri alti fino al ginocchio e la sua casacca da moschettiere lo faceva sembrare più imponente del solito: un vero comandante….al servizio del Re.
Qualche giorno prima aveva mandato al Mister un paio di scarpe rosse da uomo e uno da donna, prototipi di quelle che sarebbero state indossate alla festa e una lista dettagliata dei costumi che avrebbe indossato il suo team, per portare a termine l’Operazione.
Incontestabile era stato irremovibile quanto a questo. Lui doveva avere sotto controllo ogni momento la situazione e riconoscere i suoi uomini con un’occhiata, per cui gli servivano anche i minimi dettagli di ciò che avrebbero indossato, e per questo motivo Hobbs aveva stilato una nota in cui con termini molto più particolareggiati aveva scritto:
Jessica Lamb –vestita da Cat Woman
Serena Stoy – vestita da Fata turchina
Mabel Ridge – vestita da Biancaneve
John Fox – vestito da Arlecchino
Roger Toys – vestito da Diavolo
Thimoty Finch – vestito da Cicisbeo.
Il rapporto era stato debitamente consegnato e Incontestabile gli aveva risposto complimentandosi con lui per la dovizia di particolari. “Ora ho la situazione in pugno caro Hobbs!” gli aveva detto “Guarderò dalla regia tutto l’esito dell’operazione e tutto sommato credo che mi divertirò anche parecchio!”
Poi finalmente era arrivato il giorno tanto atteso e Hobbs si era guardato intorno, compiacendosi con se stesso per quello che era riuscito a organizzare.
Il salone grandissimo a piano terra era stato completamente trasformato e aveva perso quell’aria austera e asettica che generalmente lo caratterizzava. Al suo posto c’era una lucidissima pista da ballo contornata da tavolini sapientemente illuminati, circondati da elegantissime poltroncine color champagne. Dappertutto specchi e cascate di palloncini e di nastri brillantissimi, rendevano quel posto, un paradiso per le fate. In fondo la pedana per l’orchestra e enormi tavoli per il buffet completavano l’armonia dell’insieme.
Gli strumenti lucidissimi, facevano da contorno a un pianoforte a coda che sembrava un transatlantico e sui tavoli apparecchiati con sontuose tovaglie c’erano le raffinatezze più prelibate che sarebbero state servite da Chef di prim’ordine.
E per finire i fiori. Fiori dappertutto, dai tavolini alle pareti, spandevano il loro delicato profumo che cominciava a diffondersi nell’enorme salone con un effetto piacevolissimo.
Intanto cominciavano ad arrivare persone, tutti nomi altisonanti della politica mondiale, dello spettacolo, della cultura e tutte rigorosamente in maschera, che dovevano fermarsi prima di entrare nel salone, per dichiarare alla Sicurezza le proprie generalità. Chiunque, appena arrivato alla soglia della bellissima sala, non poteva fare a meno di emettere un oohhh! di meraviglia per lo spettacolo che si offriva ai loro occhi.
L’orchestra aveva cominciato una musica discreta che si diffondeva tra le pieghe di velluto delle bellissime tende che arricchivano i finestroni e serviva a mettere a proprio agio chiunque arrivasse. Si vedevano già molte dame con le alte parrucche bianche che terminavano in una cascata di boccoli, alcune farfalle elegantissime e leggiadre, splendide odalische e cavalieri, moschettieri, alcuni Zorro, soldati romani con corazza ed elmo, orsi polari, raja indiani, cappuccetti rossi, gatti con gli stivali…….insomma c’era solo da scegliere. Hobbs aveva guardato affascinato tutte quelle maschere multicolori, soffermandosi anche sulle loro scarpe, ma solo circa un’ora dopo aveva capito che tutto il team era sceso in pista e si era silenziosamente sparpagliato tra la folla. Ciascuno di loro sapeva ormai quali erano le maschere con le quali avrebbero dovuto ballare e le loro scarpe rosse sarebbero state facilmente individuabili e raggiungibili dal Mister, nel caso avesse avuto bisogno di qualcuno di loro.
Quando la festa era entrata nel vivo del divertimento, delle danze, dei coriandoli e delle abbondanti libagioni, Hobbs si era permesso il lusso di rilassarsi e di andare a mangiare qualcosa, non prima di aver gettato un’occhiata a Thimothy Finch, che col suo vestito settecentesco faceva davvero un gran figurone. Il viso bianco di cipria, la parrucca bianca, il vestito color argento e le scarpe rosse erano un insieme veramente elegante, mentre la leggera maschera nera conferiva un aspetto misterioso e affascinante.




Anche Thimothy Finch guardava l’elegante cavaliere incipriato, compiacendosi tra sé e sé per la grande somiglianza che suo cugino Brian aveva con lui. Quando aveva offerto a Brian la possibilità di partecipare ad una festa mascherata in uno dei posti più prestigiosi del globo, a questo era venuto quasi un infarto. Quando poi aveva gli aveva detto che doveva indossare il suo costume e far credere a tutti di essere lui, poco c’era mancato che l’infarto gli venisse davvero.
“Ma cosa devo fare?” aveva chiesto titubante “Chi mi assicura che se scoprono che non sono te, non mi arrestino?”
“Stai tranquillo!” gli aveva risposto un po’ ridendo, un po’ grugnendo Tim” “non succederà proprio un bel niente. Tu non devi fare altro che ballare con alcune persone che ti dirò e con altre che sceglierai liberamente. Hai tutta la sera per divertirti, per mangiare quello che vuoi, per sentire buona musica e per stare col Jet set mondiale.
Alla fine Brian si era convinto, il senso dell’avventura era stato più forte della paura e ora era lì che si guardava intorno, pronto a invitare la prima dama che Tim gli aveva indicato. Chissà poi perché? Alla fine decise che non erano fatti suoi e siccome era andato lì deciso a divertirsi, concluse che doveva mettercela tutta perché quella serata rimanesse memorabile negli anni a venire.
Intanto Thimothy, vestito da Tuthanchamon, aveva girato lo sguardo sulla folla che ora cominciava a essere veramente tanta. Fortunatamente Brian stava ballando, per cui le possibilità di poter essere chiamato da Hobbs o da Incontestabile erano remote, ma bisognava fare in fretta.
Cercò con lo sguardo Jessica e la vide confusa tra la gente nel suo abito da Biancaneve. Il suo pensiero tornò a qualche giorno prima quando a casa sua aveva avuto uno scambio di idee con la sua ragazza e lì si era consolidata l’idea di far vestire altri con i loro costumi in modo che loro due potessero essere più liberi di agire.
Jessica non era stata oca per niente in quel caso e aveva annuito entusiasticamente all’idea, ma mentre per lui non c’erano problemi, perché aveva pensato subito a Brian come sostituto, per lei era stato più difficile trovare una persona che potesse prendere il suo posto.
Eppure perché il piano avesse successo dovevano essere entrambi liberi di agire! Poi la fortuna era venuta loro in soccorso e Jessica si era ricordata di una sua vecchia amica che faceva la modella, che aveva il suo stesso personale. Il viso no, ma del viso si sarebbe visto solo la bocca, che abilmente truccata era risultata sorprendentemente uguale, tant’è che una volta mascherata lo stesso Thimothy non l’aveva riconosciuta.
Anche alla ragazza erano state dette le stesse cose e al momento la gatta dalle scarpe rosse stava ballando con un panciuto coccodrillo, primo della lista di quelli con i quali avrebbe dovuto ballare. C’era comunque poco tempo da perdere, perché il rischio di essere scoperti, esisteva, anche se abbastanza remoto. Tim decise che al prossimo ballo in cui si poteva scegliere il compagno, lui e Jessica avrebbero agito.
Si era dunque avvicinato alla leggiadra Biancanevee le aveva chiesto l’onore di poter ballare con lei.
“Al prossimo giro di ballo partiamo – aveva sussurrato in un orecchio a Jessica – sai quello che devi fare vero?”

“Certamente – Jessica Lamb sembrava tranquillissima – mentre balliamo apro la fialetta che mi hai dato e la passo per un attimo, solo per un attimo sotto il suo naso. Più semplice di così! Poi finiamo il ballo e me ne vado da un’altra parte.”
“Esatto – guarda non bisogna sbagliare perché stasera tutto dipende da noi. Non credo che ci saranno guai perché la ‘roba’ dovrebbe avere effetto quasi immediato, dopodichè non ci saranno più problemi. Va bene?”
“Certo caro, ma lasciami perché la musica è finita e stanno già dicendo che bisogna scegliere il cavaliere e la dama per il prossimo ballo!”
E con un sorriso e un inchino Biancaneve si dileguò.
Tim si guardò intorno e quasi subito il suo sguardo si posò sull’affascinante pantera che in quel momento era seduta su una poltrona. Fece un bel respiro e con passo veloce si diresse verso di lei
“Posso avere l’onore di questo ballo?”







Il signor Hobbs, se la stava godendo un mondo davanti a un vassoio di tartine al caviale, anche se l’ansia per il buono svolgimento della serata non l’aveva mai lasciato del tutto. In quel momento guardava volteggiare nella pista Incontestabile Severo nei panni di un affascinante Batman con una timida Biancaneve che si era materializzata davanti ai suoi occhi circa un’ora prima. Cercò con lo sguardo anche la meravigliosa pantera dentro la quale si muoveva la bellissima Catecumeno Illuminata e vide che stava ballando e ridendo con un Faraone con la maschera d’oro Mentre si faceva sciogliere in bocca le piccole, deliziose, morbide uova di storione, il suo pensiero tornava al momento in cui aveva sentito un discreto toc toc alla porta del suo ufficio, subito dopo la riunione che aveva avuto con il suo team.
“Avanti!” aveva risposto ed era rimasto sorpreso quando sulla porta si era delineata la figura di Thimothy Finch
“Venga Finch – aveva detto tranquillamente – ha per caso dimenticato qualcosa?”
“No signor Hobbs –e Tim era entrato chiudendo la porta dietro di sé – veramente avrei bisogno di parlare seriamente con lei”
“Mi dica allora!...si accomodi Thimothy” e Hobbs, improvvisamente serio e allarmato dall’espressione dell’altro aveva indicato con la mano una poltrona difronte alla sua.
“Grazie – e Finch si era seduto in maniera sgangherata sulla poltrona – mi scusi signor Hobbs, ma qualche volta non riesco a controllare i miei movimenti …..specialmente quando sono agitato!”
“C’è qualcosa che la turba?” incalzò Hobbs
“Ebbene sì! Tutta questa storia mi turba molto….anzi per dirla meglio non mi va proprio giù. Signor Hobbs è vero io sono diventato un maiale, ma sia la parte umana sia quella suina che coabitano in me, si rifiutano di eseguire quanto il Mister ci ha ordinato di fare. Io sono un uomo e un maiale serio…..e da qualche giorno penso a tutta questa storia e ogni volta che ci penso mi piace sempre di meno. Il Mister è senz’altro una delle persone più intelligenti che io conosca, ma qualche volta l’intelligenza, se consigliata male, o guidata dalla sete di potere, può indurre a fare cose che non hanno niente a che vedere con l’etica umana e neanche con l’etica suina….se è per questo. …….”
Il signor Hobbs che ascoltava attentamente si sentiva sempre di più sprofondare nella sua poltrona, perché Finch finalmente dava forma a tutte le sue ansie e ai suoi malcontenti. Come lo capiva!
“Continui Finch…ma prima mi permetta di fare una cosa” e alzandosi velocemente si diresse verso la porta dell’ufficio la spalancò, sbirciò nel corridoio e dopo che si fu assicurato che nessuno era in ascolto tornò a sedere dietro la sua scrivania, staccò il telefono, poi non contento si alzò nuovamente, si avvicinò a Thimoty che lo guardava con malcelata sorpresa e chinandosi verso di lui accostò la sua bocca all’orecchio dell’altro e sussurrò in maniera quasi impercettibile anche per Finch:
“Le dispiace se continuiamo questa conversazione in terrazza?”
“Ok!” rispose alla stessa maniera Finch e alzatosi si diresse con Hobbs sull’ampia terrazza che si apriva sull’immensa città.
“Continui pure, ma è meglio se parla sottovoce……Caro Thimothy capisce che la prudenza non è mai troppa vero?”
“Certo signor Hobbs, stia tranquillo…….Dunque per tornare a noi, come le dicevo, questa storia mi piace sempre di meno, ….per tanti motivi…..ma il primo di tutti è senz’altro la libertà dell’uomo, delle sue scelte, del suo agire. A chi non piacerebbe un mondo fatto di pace? Io credo che tutti desideriamo vivere tranquillamente su questa terra, sicuri del posto al quale ciascuno di noi ha diritto per nascita. La Terra è di tutti signor Hobbs, e da quando sono anche un maiale, affermo con più convinzione che la terra è non solo dell’uomo ma anche degli animali, delle piante…di tutti gli esseri viventi insomma.
Ma solo noi vogliamo arrogarci il diritto di possederla…e tra noi solo determinate persone si sentono predestinate a comandarla e ad appropriarsene. E’ il senso del potere, dal quale nessuno di noi è scevro. Ma per avere la Pace, questo senso sbagliato della vita deve terminare, perché finché vivrà non ci sarà pace nel mondo”
“Ma è quello che dice il Mister!” sussurrò il signor Hobbs.
“E’ vero! Lui lo dice e lo pensa anche forse, ma in maniera distorta, perché a capo di questa pace, vede se stesso come condottiero………….Ma la pace non si impone, la pace si sceglie!
E perché l’uomo impari a scegliere la pace ci vuole l’educazione alla pace. La pace è una conquista, è un senso di vita, una scelta alla quale si arriva dopo un cammino che può essere anche molto lungo. Non è togliendo di mezzo i tiranni, i destabilizzatori, che avremo la pace, ma è insegnando il rispetto per l’uomo, per la natura, che potremo arrivare ad averla!”
“E cosa dovremmo fare?”
“Insegnare…..e per fare ciò vivere noi per primi la pace, senza prevaricare gli altri, senza odiare, senza escludere!”
“Sarebbe bello e confesso che anche a me piacerebbe tanto poter arrivare a ciò….ma come fare?” sospirò il signor Hobbs
“Ecco signor Hobbs….io un piano ce l’avrei. Devo solo perfezionarlo, perché è ancora abbastanza nebuloso. Ma di una cosa sono certo. Devo fare qualcosa per impedire che qualcuno si appropri per i suoi fini più o meno dichiarati, della libertà dell’uomo, anche della libertà di sbagliare!”
Il signor Hobbs, sudava vistosamente. Il somaro che era in lui e che lo spingeva a lavorare indefessamente per il Mister si rifiutava di dare ascolto a quello che Finch gli diceva con tanta convinzione, ma il sentimento umano che tuttavia era sempre rimasto dentro di lui, non dandogli mai pace in tutti quei giorni, alla fine trovava la sua rivalsa e il modo di far vedere che somaro o no, lui era pur sempre un uomo.
“Va bene Finch – disse sbrigativamente quasi nella paura di avere un ripensamento – metta a punto il suo progetto……però le chiedo un favore…”
“Mi dica signor Hobbs!......”
“Non voglio sapere niente di quello che farà. Ho paura che me ne farei accorgere, per cui io seguirò il copione che abbiamo avuto tra le mani sin dal primo momento e che è quello che ha anche il Mister. ….Così da me lui non potrà capire niente di quello che dovrà succedere!”
“Va bene signor Hobbs! Le prometto che cercheremo di fare nel migliore dei modi………e sapere che lei ci appoggia è un conforto importante per me”.
Si erano salutati con una stretta di mano più forte delle volte precedenti e Tim se ne era andato lasciandolo pensieroso a contemplare la sua città che quella sera non riusciva a fugare le nuvole che forse si stavano addensando all’orizzonte.




Inutile negarlo! Catecumeno Illuminata era veramente bellissima e nel suo costume di pantera toglieva il fiato. Era facile farsi ammaliare da una donna così bella. Sembrava una principessa delle favole e suo malgrado Thimothy si accorse che ne subiva il fascino. Per ovviare alla cosa, visto che doveva avere i nervi saldi e scattanti, si impose di pensare al piano che di lì a poco avrebbe trovato la sua conclusione….almeno così sperava.
Il signor Hobbs non lo aveva riconosciuto e da come guardava il Cicisbeo, si vedeva che era convintissimo che il piano ancora non fosse scattato. Meglio per lui pover’uomo. Rischiava grosso quella sera il suo Capo, rischiava il posto, la carriera, e Finch si ritrovò a provare un moto di rispetto genuino per quell’uomo che si era fidato di lui e aveva condiviso con lui il rifiuto di un piano che gli sembrava obbrobrioso. Il suo pensiero corse poi al dottor Potter, artefice suo malgrado, del nuovo piano di Thimoty.
Rivedeva il momento in cui era piombato nel suo laboratorio e senza mezzi termini, con due o tre mosse di Karate ben dosate l’aveva reso innocuo e pronto a collaborare.
Dove aveva il vaccino dei virus che avevano inalato? Sarebbe bastato fare quel vaccino per ritornare come prima? E più che altro, tra i vari esperimenti che stava portando a termine c’era un virus nuovo, non mortale, ma di sicuro effetto?
Alle prime il dottor Potter aveva rifiutato di rispondere, ma altre tre o quattro carezze ben assestate l’avevano convinto a collaborare in tutto e per tutto.
“Sì! I vaccini fanno tornare uguali a prima nel giro di due o tre giorni. Solo se non si prendono il virus continua a essere attivo e ciascuno rimane così anche per tutta la vita. …….Un virus sperimentale c’è, ma non è ancora stato completamente testato. Potrebbe dare delle reazioni collaterali, non sappiamo ancora di che genere!”
“E di che virus si tratta?”
“E’ un virus che agisce sul sistema nervoso e induce all’ottimismo, al quieto vivere, all’atarassia…….!”aveva risposto piagnucolando il dottor Potter
“E a che serve questo virus?” aveva domandato stupito Thimothy Finch
“Ecco, ancora non saprei dirlo con esattezza, ma è stato studiato per combattere lo stress dei nostri giorni….ma come ripeto non si conoscono gli effetti collaterali!”
“E questo virus inibisce le qualità intellettive dell’individuo? Oppure lo rende stupido?”
“Assolutamente no! Questo già lo sappiamo. L’intelligenza se mai ne esce rafforzata…….l’unica cosa è che prenda pieghe strane…diverse…..del tipo giocoso, ameno, comunitario…..questi sono gli effetti collaterali che non sappiamo di quale entità potranno essere!”
“Dove è questo virus?” domandò in fretta Tim
“Là, nelle cella frigorifero insieme a tutti gli altri….”rispose tra i denti il dottor Potter dopo un ennesima torsione del braccio che gli fece fare un urlo di dolore
“Sotto che sigla?” aggiunse Finch sbrigativo
“Perché lo vuole? Perché dovrei darglielo?” ribatté Potter
“Perché mi serve e non ho tempo da perdere” sibilò Finch torcendo ulteriormente il braccio, che fece un sinistro scricchiolio”
“T1V3….T1V3…..mi lasci per favore mi fa male”.
“Sì, ma prima una cosuccia da niente! - e tirata fuori una siringa piena di un potente sonnifero, che gli era stato assicurato, avrebbe fatto dormire per quarantotto ore anche un rinoceronte, con una sveltezza che neanche lui sapeva di possedere l’appoggiò a una natica del dottor Potter che si divincolava e zac….gli iniettò il liquido
“Sogni d’oro Dottor Potter! Quando ci rivedremo spero che il mondo sia un po’ migliore” Ma il dottor Potter con un sorriso beato era già andato nel mondo dei sogni.
Poi Finch aveva preso i vaccini e qualche fialetta del nuovo virus, dopdiché se ne era andato tranquillamente a letto, per riposarsi per il giorno dopo……un giorno molto, molto importante.






E ora stava volteggiando con quella donna stupenda che non sospettava minimamente che tra qualche minuto la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Per un attimo sentì affacciarsi un sentimento di pietà, ma fu una cosa passeggera, la posta in gioco era troppo alta, e immediatamente dopo guardò Jessica che già lo stava cercando con gli occhi. Avevano deciso di agire simultaneamente e a quel punto Thimothy ruppe gli indugi, annuì con la testa e ….clik la fialetta che stringeva nella mano destra si spezzò e lui velocemente la passò sotto il naso di Illuminata. Con la coda dell’occhio riuscì a vedere Jessica che aveva fatto la stessa cosa con Incontestabile Severo.
Quello che doveva essere fatto era stato fatto e loro non potevano fare di più. Ora bisognava attendere gli eventi
Che non si fecero attendere!
A grande voce Incontestabile Severo tuonò:
“Hobbs! Venga qua Hobbs!” facendogli andare a traverso il bicchiere di champagne che cominciava a bere.
Hobbs si avvicinò in fretta, temendo il peggio e Incontestabile, da dietro la sua nera maschera gli disse
“Senta Hobbs! Ho bisogno di un grande piacere da lei……Domani può dire a qualcuna delle sue segretarie di prenotare per me e per la signorina Catecumeno un volo che ci porti a un Parco divertimenti? Ho voglia di passare qualche giorno rilassante e voglio fare una sorpresa alla mia fidanzata!”
Hobbs lo guarò non credendo ai suoi occhi. Ma quello era il temibile Mister? L’uomo tutto di un pezzo che fino a cinque minuti prima incuteva soggezione a tutti? In effetti soggezione la incuteva anche ora, ma in altro modo. Ma che gli era successo? Poi guardò la sua compagna di ballo che stava sorridendo e………
“Jessica!” si lasciò scappare.
Allora il piano era già stato messo in atto e a quello che sembrava aveva anche funzionato. Non sapeva né come né perché, ma ciò che vedeva di questo nuovo uomo che gli stava davanti gli piaceva tanto, ma tanto davvero!
“Senz’altro Mister!” si trovò automaticamente a rispondere
“Ah! Hobbs! Complimenti per la bella riuscita di questa festa. Lei è stato veramente efficiente e quando rientrerò dal mio viaggio, parleremo insieme per un nuovo posto nel mio organico. La voglio tra i collaboratori più vicini. Ora se permettete vado a reclamare la mia fidanzata. Devo darle la bella notizia. E che tutti continuino a ballare e divertirsi. E’ solo in questo modo che potremo portare la pace nel mondo Ora vado a dare la bella notizia ad Illuminata. E’ un po’ il mio regalo per il nostro fidanzamento”.
E che fu una bella notizia si sentì di lì a poco dalle risate di Illuminata che abbracciò il suo Severino con un trasporto tale che nessuno dubitò che il loro matrimonio, quando sarebbe avvenuto, sarebbe stato molto felice.
La festa continuò tra volteggi e musica leggera, tra tartine di caviale e fiumi di champagne e nessuno seppe mai che quella sera all’ONU era stata vinta una grande guerra.



E poi cosa successe?
Le persone che erano state contagiate dai vari virus del dottor Potter, presero il vaccino e nel giro di tre giorni tornarono a essere quelle di prima.
Il dottor Potter dopo la bella dormita che si fece ebbe un’idea luminosa e studiò un altro virus che tutt’ora lo tiene impegnato giorno e notte. Non ricorda neanche più ciò che è stato e anzi! E’ancora grato a ThimothY Finch, che facendogli riposare il cervello gli dette nuove energie mentali per le sue ricerche.
Il dottor Hobbs fece una carriera sfolgorante, piena di iniziative, di soddisfazioni e di remunerazioni per tutta la sua numerosa famiglia vicino al suo Mister, che diventò per lui un mito
Incontestabile Severo Catecumeno Illuminata si sposarono dopo breve tempo e portarono all’interno dell’ONUs una nuova ventata di ottimismo, riuscendo a fare cose belle per il mondo, a cominciare da enormi donazioni ai bambini dei paesi poveri, specialmente da parte di Illuminata che costrinse la sua potente famiglia a seguirla nella strada della filantropia. Organizzarono inoltre momenti ludici e distensivi per i più importanti Capi di Stato, il nostro compreso, che tornò tonificato, rinvigorito e migliore da questi incontri A poco a poco i Capi di Stato presero a guardare queste persone così importanti eppure così generose verso gli altri e a loro volta anche se in lungo tempo, cominciarono a migliorare e il mondo lentamente si dipinse di un altro colore.
Jessica quando si riebbe dall’attacco di influenza aviaria, sentì che comunque qualcosa dentro di lei era cambiato irrimediabilmente in senso positivo e scoprì quasi con incredulità che il suo Q.I era salito di diversi punti.
Lei e Thimothy si sposarono dopo un anno e tutt’ora stanno conducendo una vita serena e costruttiva anche perché Timothy ha goduto della riconoscenza infinita del dottor Hobbs, che l’ha voluto alle sue dirette dipendenze, giovandosi dei preziosi consigli che Finch gli sa dare.
Pochi giorni orsono Jessica ha detto a suo marito che la famiglia crescerà e quando Tim immagina suo figlio lo vede un po’ come bambino e un po’ come maialino, anche perché non ha mai confessato una cosa a Jessi: quando fu sul punto di prendere il vaccino per tornare un uomo normale, la visione di se stesso, quale era stato prima della sua trasformazione suina, gli mise addosso una vera angoscia, per cui il vaccino è rimasto chiuso in cassaforte e lui ha continuato a essere quello di prima, anche se riesce a nascondere molto bene i grugniti che di tanto in tanto gli vengono in gola. Molto diplomaticamente li chiama ruttini. Ma se crede di incantare Jessica, si sbaglia senz’altro. Forse una volta, ma ora no davvero! Lei sa benissimo che Tim ha voluto mantenere anche la sua natura porcina e non ne è per niente dispiaciuta. Prima era veramente troppo noioso!

E così è arrivato il momento di salutare tutti i nostri amici di avventura. Ritornando alla mia vita di tutti i giorni so che sentirò la loro mancanza , perché mi sono trovata molto bene a vivere la loro storia, una storia che è finita bene e ha migliorato il mondo.
Ho un solo rimpianto: che sia stata vissuta nell’isola di Utopia!

Giuly







 Il serpente piumato



Vi voglio raccontare la storia di un serpente piumato, un piccolo serpente piumato, non quello degli Atzechi e dei Maya, ben più importante, ma un parente un po' alla lontana, uno che però amava questi fantastici popoli e i loro miti, senza sapere il perché.

Kuki, era il nome del piccolo serpente, che non sapeva di essere tale. Vivendo nel mondo degli uomini, aveva sempre pensato di essere uno di loro, ( proprio come il mio cane che, cresciuto con i gatti ha sempre pensato di essere un gatto anche lui).....anche se ci si sentiva un po' stretto e infatti ogni volta che poteva se ne andava nel suo mondo onirico, anzi, ci volava proprio.

Poi un giorno il postino gli consegnò una strana lettera. Era indirizzata al Serpente Piumato Kuki, via del...............
"Buon giorno – disse il postino, un tipo abbastanza strano, che non era proprio un vero postino, si vedeva, perché aveva solo quella lettera – finalmente ti ho trovato. Non sai quanto ho dovuto girare per arrivare fino a te!"
"Davvero? – rispose Kuki stupito – mi sembra strano. Qui tutti mi conoscono......."
"Che ti devo dire! - riprese l'altro per niente turbato – non sai quante volte questa lettera è tornata indietro......e mi rispedivano a consegnarla!!"
"E come mai?" Kuki era veramente stupito
"Bah! Io mi sono fatto quest'idea.....Ci arrivava la comunicazione di portarla, perché per consegnare delle lettere importanti come queste ci vogliono motivi importanti, bisogna che almeno qualcuno ne parli e ne faccia una questione....... poi però o per una cosa o per un'altra questa missiva non ti è mai giunta ed è sempre tornata al mittente"
"Ma a me è la prima volta che arriva e se mi fosse arrivata prima me lo ricorderei perché anche la busta è abbastanza strana, quindi io non posso averla rifiutata....non mi sembra che ci sia niente da pagare vero?"
"Assolutamente niente da pagare amico. Questa è tutta roba gratis....mica siamo come voi, che fate pagare anche l'aria che si respira.......Sai che penso? Semplicemente non ti arrivava perché la cosa non era stata ufficializzata. Ripeto noi siamo seri e finché una cosa non è ufficializzata le lettere tornano indietro.......allora che fai firmi?"
"Certo che firmo! " e Kuki vece uno svolazzo sulla ricevuta che il postino gli porgeva , impaziente di ripartire. E ripartì così in fretta che Kuki quando alzò gli occhi dalla ricevuta non si accorse nemmeno che non c'era più.

Si rigirò quella strana missiva tra le mani, desideroso di leggerla e al tempo stesso titubante. Qualcosa gli diceva che leggere quella lettera voleva dire aprire tanti punti interrogativi. Per un attimo gli passò in testa l'idea di cestinarla, ma non fece neanche in tempo ad attraversarla tutta perché un cecchino appostato sul tetto proprio per uccidere le idee balzane la fece fuori...
"Col cavolo- si disse – figuriamoci se non guardo cosa c'è scritto, specialmente se è tutto gratis....".
Alla fine di questo ragionamento Kuki si sedette, aprì la busta e tirò fuori due fogli. Cominciò a leggere:

Carissimo Kuki,
finalmente riusciamo a trovati per comunicarti che stiamo facendo il censimento di tutti i serpenti, divisi anche nelle categorie di appartenenza.
Troverai la tua scheda personale e il tuo numero di matricola in allegato, per cui se di qui in avanti tu dovessi avere bisogno di qualche documento basta solo che venga comunicato detto numero e nel breve spazio di poche ore avrai tutto quello che ti serve.
Felici di averti trovato ti porgiamo i nostri più cari saluti
INPS (Istituto Nazionale Per Serpenti)
Kuki rimase a bocca aperta per circa tre minuti, no forse per tre minuti e venti....ventuno secondi per l'esattezza, poi lentamente cominciò a scorrere l'allegato, scritto su fine carta verde.

Kuki, nato a ........ il ..........., residente a ................... appartenente alla categoria dei 'Serpi insopportabili', discende dalla Casta dei Serpenti Piumati,della progenie del nobile Queatzcoatl, conosciuto più familiarmente come KuKulKan.
Da ciò la derivazione del nome Kuki, contrazione popolare di tanto famoso antenato.
Matricola di Kuki: 45 28 17 74 83 61.

La prima reazione di Kuki dopo la lettura di quel documento fu un gesto di incredulità, seguito da un altro di aperta ribellione,(però nel frattempo si faceva anche strada in un angolo della sua mente l'idea di giocare i numeri della sua matricola al superenalotto)e poi mentre si preparava ad una serie di improperi da rivolgere a chi l'aveva catalogato nei 'serpi insopportabili', chissà perché gli venne in mente Maga Magò quando dice a Merlino "Avevo forse detto draghi viola?" e questo pensiero lo mise di buon umore anche se non sapeva spiegarsi il motivo.
Decise che mentre pensava al perché dei draghi viola, avrebbe dato una sbirciatina al suo aspetto, perché non riusciva a vedere se stesso in veste di serpente e si immaginò inguainato in una tuta verde un po' cangiante, quando aveva trent'anni di meno. Se al tutto poi ci aggiungeva una musichina alla Roger Rabbit il risultato migliorava ancora. Non si dispiacque per niente e anzi col pensiero riandò a un paio di sandali della sua mamma che erano di camoscio nero col tacco altissimo e come vezzo avevano solo la punta di serpente. Erano stati comprati in un negozio di classe ed erano sempre stati tenuti in grande considerazione da tutta la famiglia, perché provenivano dal negozio più lussuoso di tutta la città. Gli passò fuggevolmente per la testa anche l'immagine di un coccodrillo tramutato in borsa rossa che il suo babbo gli aveva regalato per festeggiare un momento importante, comprato nel negozio più chic di allora. Il suo babbo pensando di fare cosa gradita l'aveva fatta incartare ,e l'aveva riportata a casa .(Ops! Scusate!  Mi ero scordata di dire che Kuki era una femmina di serpente)
Si guardò attentamente allo specchio per capire qualcosa di più di sé .Ma allora chi era in definitiva? Apparteneva alla specie umana o a quella dei rettili?
Gli tornò alla mente un documentario in cui si ipotizzava l'evoluzione dei rettili e dei sauri in generale, se le glaciazioni, o qualche evento cosmico non li avessero estinti. Il risultato finale li facevano vedere molto simili a ciò che siamo oggi.
Lo specchio infatti gli restituì l'immagine di sempre e cominciò a sentirsi un po' rinfrancato. A questo punto permise che Maga Magò tornasse nei suoi pensieri, e neanche a farlo apposta immediatamente a questa si associò l'immagine di Bis, il serpente dormiglione di Robin Hood. Quante risate si era fatto insieme ai suoi cuccioli a guardare quelle immagini. Per simpatia pensò anche all'Anaconda che è un serpente che si avvolge lentamente, e anche al serpente che vien giù dai monti che fa la danza per ritrovare la sua coda. Da lì ad arrivare a Kaa, non ci volle neanche una frazione di secondo, e anche lui quanti ricordi meravigliosi gli fece rivivere!

La cosa stava diventando interessante e Kuki capì, che il serpente era qualcosa di più di quello che lui aveva immaginato quando si era sentito atterrito solo all'idea di esserlo.
A quel punto la curiosità e la voglia di sapere, così tipica di Kuki lo spinse a fare ricerche più approfondite che si spinsero dal dollaro come simbolo e come banconota al caduceo di Esculapio, dal segno del potere dei Faraoni a quello dei Veda, dai miti delle religioni antiche alle spirali delle galassie studiate dai telescopi e dalle sonde spaziali, finché arrivò alla sua religione e alla scoperta sensazionale che in alcuni casi Cristo è crocifisso sotto forma di serpente e qui ci sarebbe tanto da parlare e da capire.

Cominciò a sentire nascere in sé un senso di onnipotenza che rischiò di farlo sentire un supereroe, finché non andò a sbattere in una frase che lo riportò immediatamente con i piedi per terra. 'Siate candidi come le colombe e prudenti come i serpenti'.

E Kuki seppe di voler essere così. Tenere insieme la sua duplice natura, proseguendo il cammino che aveva cominciato a percorrere da diversi anni per vivere la sua vita nel miglior modo possibile senza far del male agli altri e con la prudenza di farsi una filosofia tutta sua che lo salvaguardasse proprio dagli stessi altri ai quali non voleva fare del male.

A quel punto e solo a questo punto la sua giornata riprese i ritmi di sempre, con un bel po' di esperienza in più e si disse che era giusto andarsi a mangiar un bel bombolone per cominciare quella nuova giornata.

".....e su questo argomento non ho altro da aggiungere!" Come disse Forrest Gump.









Il Bambino che parlava con i Tampis

Non finirò mai di ringraziare i  bambini perché è grazie a loro che esiste il mondo delle favole. 
I bambini infatti danno la possibilità a noi adulti di scrivere cose che non stanno né in cielo né in terra, senza farci sentire dei perfetti idioti. E questo è molto bello!




Occhi azzurri, capelli rossi e ricci….questo è Louis, un giovanotto di quattro anni e mezzo.
Con una personalità dirompente, divertente e …inquietante. Così almeno mi viene descritto, perché io non l’ho mai visto , anche se lo conosco molto bene…..
Louis che tutti chiamiamo Lu, è arrivato in una fredda mattina di quattro anni e mezzo fa.

Sembra impossibile che ai nostri giorni possano ancora accadere cose come queste, ma è proprio così che è andata..........

Quella sera addormentare Asher era stato più arduo del solito. Asher ora è un giovanottino di sei anni, ma al tempo in cui accaddero queste cose di dormire non ne voleva proprio sapere. Il mio piccolo tiranno allora aveva poco più di due anni e già faceva chiaramente capire che in casa comandava lui. E di dormire la notte non se ne parlava nemmeno. Di giorno era come tutti gli altri bambini, mangiava, faceva i suoi sonnellini, ma la notte, la notte no! Non c’era niente da fare. Era come se aspettasse che dovesse accadere qualcosa, che invece non accadeva mai e alla fine riuscivo ancora ad avere il sopravvento su di lui, leggendogli pagine e pagine di interminabili racconti, con un tono di voce monotono che faceva addormentare anche me.
Alla fine eravamo entrambi sfiniti e il sonno scendeva sui nostri occhi senza che ce ne accorgessimo. Quando mio marito Tim tornava a casa trovava invariabilmente la stessa scena: Asher addormentato beatamente nel lettone, sorretto da due guanciali e Joanna, che sono io, messa di traverso sullo stesso letto, con le gambe che penzolavano fuori, un braccio a fare la guardia di nostro figlio e un’espressione di stupito smarrimento sul viso che non credeva ancora di aver vinto per l’ennesima volta l’impari lotta. Una bella lotta, non c’è che dire.
Slim
Poi un giorno entrò un palloncino nella nostra vita. Era un palloncino rosso colorato a forma di cuore, uno di quei palloncini gonfiato con l’elio , con un filo legato al suo culetto rosso, un palloncino destinato a soggiornare sul soffitto di casa, dove andò sin dal giorno dopo il suo arrivo, quando io, stanca di andarci sempre a sbattere addosso lo slegai dalla maniglia del cassetto della credenza.. Tim l’aveva comprato una sera passando davanti a un camioncino dove un omino buffo con un grande cappello a tese larghe, un giubbotto a righe rosse e nere e un incredibile paio di calzoni alla zuava cercava di smerciare la sua mercanzia mentre una scimmietta, di quelle dispettose, che saltano sulle spalle di tutti, grattava un orecchio a mio marito nel frattempo che i soldi passavano dalle sue mani in quelle dell’omino e il palloncino nelle sue.
“Vedrà come sarà contento il suo bambino signore! La sua scelta è stata proprio giusta!” gli disse con un gran sorriso sdentato parlando in un dialetto che Tim non riuscì a capire di che provenienza fosse, così mi disse appena rientrato in casa
La nostra vita continuava con i soliti ritmi e il palloncino ci guardava dall’alto, come un angelo custode.
Asher un giorno cominciò a interagire con lui. Quando lo scorgeva lassù, attaccato al soffitto, stendeva le manine paffute e un po’ a gesti, un po’ col nuovo e irripetibile linguaggio che aveva cominciato a usare mi faceva chiaramente capire che avrebbe voluto averlo più vicino, ma non c’era niente da fare. Anche se avevamo provato a raggiungere l’estremità del filo che penzolava tristemente dal soffitto, non c’era riuscito neanche con l’aiuto dello scaleo o di qualunque mezzo che chiamavamo in nostro aiuto. Il palloncino era rimasto caparbiamente attaccato al soffitto della nostra mansarda, proprio nel punto più alto. Passarono parecchi giorni e stranamente non ci domandammo mai come mai il bel palloncino fosse sempre gonfio come il primo giorno che l’avevamo comprato. Eppure era una cosa strana che avrebbe dovuto colpirci! Tutti i palloncini, dopo un po’ di tempo si sgonfiano, avvizziscono e alla fine raggiungono il pavimento con sconsolati atterraggi. Lui no!
Poi arrivò quel giorno.
La mattina Asher si svegliò piangendo e lamentandosi e mi accorsi subito che aveva un bel febbrone. Fu noioso per tutto il giorno e ogni volta che passavamo sotto il palloncino, allungava le mani e piangeva. Lo voleva vicino a sé, ma non sapevo come fare a far felice il mio bambino. Asher guardava il palloncino e il suo pianto diventava sempre più disperato. La febbre era alta. Fu allora che successe.
Ero andata a cambiare il mio piccolo e poi ero tornata in salotto dove c’erano i suoi giocattoli e….meraviglia. Il palloncino rosso era sceso fino a mezza altezza e se allungavo una mano potevo tranquillamente prendere il suo filo e tirarlo verso di me. Cosa che feci immediatamente. Asher allargò le braccia e si strinse al petto il suo nuovo amico e cosa incredibile si calmò del tutto.
“Hai visto amore che bella cosa?” gli dissi tutta felice “Il tuo amico è venuto a trovarti e a sentire come stai!”
Da quel momento diventarono inseparabili. Per cui il palloncino divenne qualcosa di più di un passatempo e gli mettemmo anche un nome: Slim.
Asher cominciò a camminare e Slim lo seguiva come un cagnolino, saltellando silenziosamente nell’aria. Riusciva persino a passare da una stanza all’altra abbassandosi quel tanto che serviva per attraversare il vano della porta e poi si fermava e sembrava che guardasse e seguisse con interesse i continui progressi che mio figlio faceva giornalmente.
Cosa inspiegabile, ora cominciavamo a chiederci come mai, non accennava a sgonfiarsi e quel cuore rosso sembrava pulsare di affetto verso Asher, che lo ricambiava con tutto se stesso.
Io ero contenta. Da quando Slim era entrato nella nostra casa Asher si addormentava all’ora giusta e faceva sonni profondi, mentre lui, il cuore rosso, lo guardava dall’alto.
Sembrava che tra il bimbo e il palloncino ci fosse una sorta di intesa dalla quale tutti gli altri erano esclusi. Certo è che se c’era qualcuno che riusciva a calmare le bizze di mio figlio quello era il grande cuore rosso che aleggiava su di noi. Ci si può affezionare a un palloncino? Sembrerà strano, ma io mi affezionai a Slim con estrema facilità, per cui rimasi molto male una mattina quando, svegliatami, non lo trovai più.
Insieme a mio marito girammo tutta casa e l’ispezionammo accuratamente. Guardammo anche sotto i letti e i divani, pensando che potesse essersi sgonfiato improvvisamente e che con una di quelle traiettorie impazzite che fanno i palloncini quando perdono l’aria che li sostiene fosse andato a infilarsi in qualche anfratto.
Provammo anche a chiamarlo. “Slim – dicevo vergognandomi un po’ di chiamare un pallone – Slim ma dove sei andato a ficcarti?”
Del resto sapevamo benissimo che doveva essere in casa, perché le finestre erano tutte sigillate….ma per quanto cercassimo, per quanto ci affannassimo a chiamarlo, Slim non si vide più.
Per qualche tempo mi rimase un po’ di amaro in bocca perché la presenza di quel grande cuore rosso che era rimasto con noi per più di quattro mesi, mi metteva allegria e più che altro perché c’era comunque sempre la domanda rimasta sospesa:
”Ma dove è andato a finire?”
Poi, come capita a tutti la vita riprese il suo tran tran e Slim rimase un bel ricordo. Del resto Asher era tranquillissimo, era rimasto tranquillo sin dal momento della sua scomparsa, e al posto delle lacrime che io avevo paventato, erano arrivati immediatamente nuovi interessi che mi affrettai ad assecondare, anche se in cuor mio pensavo che mio figlio era un po’ insensibile. La perdita di Slim era dispiaciuta più a me che a lui. O almeno allora io credetti così.
Il mio cucciolo, sempre più autosufficiente ora si ingegnava molto a costruire. Naturalmente a modo suo. Gli avevamo comprato i primi mattoncini per fare ardite torri e case per i pupazzi, ma Asher ci fece da subito capire che avrebbe preferito altro genere di materiale con cui interagire e dare sfogo alla sua creatività.
Un giorno mi prese per una gamba e mi trascinò verso la libreria, poi guardandomi con il suo solito sguardo sorridente e birichino, puntò il ditino verso i libri e mi disse:
“Chelli lì” lasciandomi libera di scegliere i libri che volevo dargli.
Lo guardai con tenerezza. In quegli ultimi giorni era molto cresciuto. Era diventato un ometto e il mio sguardo corse sui suoi riccioli biondi che si inanellavano in teneri boccoli, agli occhi intelligenti, neri come l’ebano, alla bocca ben modellata che si allargava quasi sempre in sorrisi accattivanti e bellissimi…come in quel momento!
Non sapevo resistere ai richiami di Asher.
Ne tirai giù tre o quattro e lui felicissimo li prese ad uno ad uno e andò a portarli in un angolo della sua cameretta, poi li guardò, guardò nuovamente me e disse:
“’ncoa”
“Ma non posso darti tutti i libri Asher via! Cerca di trovare qualche altra cosa per giocare!” cercai di persuaderlo
“’ncoa mamma ‘ncoa…’ncoa…daiiii!”
Ne presi altri tre dicendomi che in fin dei conti rimettere a posto sette libri non sarebbe stata poi una gran fatica e li consegnai al mio piccolo despota che corse subito a sistemarli con gli altri.
“Chissà che vuole fare!” pensavo dentro di me
Fortunatamente in quel momento squillò il telefono e corsi a rispondere.
“ Ciao Tim! Sei uscito prima stasera e vuoi che andiamo al parco? Che bellezza! Hai sentitoAsher? Il babbo ci viene a prendere e ci porta al parco…sei contento?.........Benissimo tra cinque minuti siamo in strada”
E così almeno per quella sera Asher dimenticò i suoi progetti architettonici.






Che ripresero ben presto e con lo spirito complice di Tim.
Quel giorno Tim era libero e io ne avrei approfittato per fare le centomila cose che rimandavo i attesa di un po’ di tempo da dedicare a me stessa. Sarei stata fuori tutto il pomeriggio e la cosa mi faceva veramente piacere. Erano mesi e mesi che non avevo più un attimo per me!
Quando uscii mi portai dietro l’immagine dei miei due uomini, seduti nel divano con un grande libro di favole. Tim leggeva le incredibili avventure del mago Piripiri con un tono di voce profondo e accattivante e Asher, ad occhi spalancati, ma non tanto quanto la bocca, era completamente entrato in quel mondo di favola. Un quadretto idilliaco e pieno di pace. Sorrisi a entrambi e me ne andai.
Il mio pomeriggio trascorse veramente bene. Feci tutti i giri che dovevo fare, compreso una scappatina in pasticceria dove mi saziai oltre che con la bocca anche con gli occhi , degli squisiti bon bon che Ettore preparava a meraviglia ogni giorno, usando una fantasia sempre nuova e invitante. Pensai anche ai miei uomini e feci incartare un vassoio di biscottini per Tim mentre per Asher presi un leccalecca gigantesco a forma di fragola.
Con questo stato d’animo così edulcorato feci il mio ingresso in casa e forse fu per quello che non inorridii davanti allo spettacolo che si presentò ai miei occhi.
Libri sparsi ovunque, si rincorrevano dalla libreria fino alla camera di Ashere, dalla quale mi giungevano voci allegre e gridolini concitati di mio figlio.
Senza fare rumore mi avviai seguendo le tracce lasciate con tanta abbondanza e arrivata alla porta della camera mi sporsi un po’ in avanti per sbirciare e misi immediatamente una mano davanti alla bocca per reprimere l’urlo di raccapriccio che istintivamente mi era venuto in gola.
Libri su libri si ammucchiavano nell’angolo della camera di Asher, formando una capanna con tanto di porta d’ingresso. La prima impressione che ebbi fu quella di trovarmi davanti a un trullo fatto con mezzi di fortuna.
Ma Asher era addirittura euforico. Gattonando entrava e usciva dalla sua nuova casa, rischiando di tirarsi addosso con un movimento un po’ più azzardato una valanga di erudizione e di narrativa.
Tim lo guardava ridendo, seduto in terra a gambe incrociate.
A quel punto ritenni opportuno manifestare la mia presenza e con noncuranza dissi
“Buonasera a tutti!”
“Ciao Jo – Tim mi sorrise dalla sua postazione di sorveglianza – com’è andata?”
“Benissimo. Ho passato proprio un bel pomeriggio e mi sono abbastanza riposata, per cui sono pronta per rimettere a posto la libreria!” dissi tranquillamente dando una rapida occhiata circolare a tutto il disordine che vedevo, aspettando la risposta che non si fece attendere e che aspettavo del tutto diversa, come….aspetta! Ti aiutiamo noi! O meglio ancora…non ti preoccupare oggi era il tuo pomeriggio libero, goditelo fino in fondo. Qualche volta è bello anche sognare!
“Eh no! Ci abbiamo messo tutto il pomeriggio per fare questo capolavoro. ….Almeno per due o tre giorni Asher ci vorrà giocare immagino!” rispose Tim con uno sguardo innocente
“E io dovrei tenere questo …questo obbrobrio per due o tre giorni?” domandai incredula sentendo che cominciavo ad alterarmi.
“Beh…sì! Che c’è di male? In fin dei conti è la camera di Asher o mi sbaglio? Avrà pure il diritto di fare quello che crede?” rispose candidamente mio marito.
“Come no! – sentivo che la mia voce stava aumentando di tono – così se un giorno decide che camera sua deve diventare una discarica, dobbiamo lasciarglielo fare no? In fin dei conti è o non è camera sua?”
“Via Joanna, non essere sempre così estremista!” Quando Tim mi chiama Joanna, è bene che mi dia una calmata, perché vuol dire che comincia ad arrabbiarsi e Tim arrabbiato non è davvero un bello spettacolo. La casa di ghiaccio a suo confronto è una sauna. Ho sempre dovuto constatare che le gelide ire di mio marito sono molto più pericolose delle mie scoppiettanti eruzioni vulcaniche…e mi fanno andare terribilmente in tilt.
Stavo per ribattere all’ingiustificata accusa di estremismo, quando Asher richiamò la nostra attenzione con gridolini di gioia e una nuova parola dal significato inequivocabile, dato che fu accompagnata da un dito che si sporgeva a indicare il famigerato trullo.
“capannettì…..capannettì!”
E a quel punto mi sentii come Napoleone a Waterloo: sconfitta su tutti i fronti ma con la differenza che mi sentivo anche contenta di quella sconfitta. Mio figlio aveva coniato una nuova parola, azzeccata, ma tutta sua e dimostrava la sua soddisfazione continuando a ripeterla….Capannettì..capannettì…capannettì!
Tim mi guardò mentre rideva di gusto davanti all’enfasi di Asher e a quel punto non mi rimase altro da fare che unirmi alla risata, scartare i biscotti, consegnare con solennità il leccalecca e mettermi seduta a gambe incrociate davanti a Capannettì.


Inutile dire che Capannettì entrò a fare parte della nostra vita proprio come era successo con Slim.
Per Asher diventò il suo rifugio, per noi il luogo dove lo mandavamo in castigo quando faceva qualcuna delle sue birichinate.
Pensavamo che di lì a pochi giorni anche questa infatuazione sarebbe passata come tante altre prima, ma non fu così. Anzi! Ogni giorno Asher cercava qualcosa di nuovo per abbellire la sua capannettì e più che altro cominciò a cercare qualcosa di morbido e di caldo da mettere al suo interno. Me ne accorsi un giorno in cui cercò di infilarci un guanciale del lettone, facendo cadere gran parte dell’instabile pertugio che vi era stato fatto. I pianti furono tanti, rumorosi ed efficaci, perché pur di non sentirlo più urlare con voce stridula, Tim ed io ci rassegnammo a passare un’altra serata per rimettere in sesto la Capannettì che ora il nostro rampollo voleva anche arredata.
Il problema della stabilità della nuova casa di Asher fu risolto tempestivamente da un fulmine.
Proprio così! Erano giorni e giorni che l’aria era piena di elettricità, ma di piovere non se ne parlava proprio. Poi un giovedì pomeriggio, mentre guardavo un programma alla televisione vidi un bagliore fortissimo seguito dallo schianto di un tuono e aihmè…..della nostra televisione!
Purtroppo non ci furono scelte. Ordinammo una nuova televisione, di quelle che si appendono alla parete come giganteschi quadri e già che c’eravamo prendemmo anche un mobile da tenerle sotto.
Il tutto ci fu consegnato con una rapidità che ci lasciò stupiti e allo stesso tempo contenti. Eravamo impazienti di vedere come sarebbero stati in casa i nostri nuovi acquisti.
Proprio bene, niente da dire. Ora dovevo liberarmi del grande scatolone che aveva contenuto il grande mobile modulare laccato che adornava il nostro salotto.
Ma Asher fu più svelto di me.
Mi prese per mano e mi trascinò letteralmente davanti allo scatolone dicendomi tutto eccitato:
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.





Come si fa a dire di no a due occhi che ti guardano supplichevoli e nello stesso tempo ti fanno capire che se ti azzardi a fare un diniego, sarà guerra dichiarata?
Non dissi di no e dopo dieci minuti la nuova capannettì riempiva gran parte della cameretta di mio figlio ed era così brutta che mi sentii andare giù le spalle tutto di un colpo, pensando a quanto ci eravamo dati da fare con Tim per scegliere la cameretta di Asher, di colori delicati, di bella fattura, di sobria eleganza. Tutto era sciupato da quell’orribile scatolone color caffellatte.
“La potrai sempre dipingere e abbellirla con qualche decorazione” cercò di consolarmi Tim, che si era accorto del mio stato d’animo, ma Asher era al settimo cielo.
Gli occhi gli brillavano di entusiasmo e cominciò subito a fare il trasloco dalla vecchia alla nuova casa.
“Ti piace eh? Birbante che non sei altro” gli disse mio marito ridendo e Asher guardandolo gli rispose:
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
Quella fu la prima volta che Louis entrò nella nostra vita.




“Chi è Louis” chiesi a Tim, quando Asher finalmente si fu addormentato.
“Non ne ho la minima idea….forse sarà un bambino che ha conosciuto ai giardinetti” rispose Tim distrattamente mentre sfogliava il giornale.
Non so perché ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’espressione di mio figlio, risoluta, tranquilla, ovvia “La casina di Louis!”.
Né del resto lui mi permise di dimenticarmene. Tutti giorni aveva qualcosa da fare per rendere più accogliente la casina di Louis, una volta era un coniglio di pezza, un’altra una serie di cubi colorati, un’altra ancora un bibe pieno d’acqua….ma la cosa che mi intenerì più di tutte fu quando ci sistemò un grande cuscino rosso e una copertina.
“Il nanno di Lu!” mi disse tutto orgoglioso.
Poi per un po’ di giorni sembrò che anche questo nuovo gioco fosse superato, che l’interesse fosse passato. Capannettì restava sola soletta in camera di Asher mentre lui si divertiva con i nuovi giochi che ogni tanto apparivano magicamente in casa, dono di nonni e di zie compiacenti.
Io cominciavo già a pensare che forse avrei potuto liberarmi di quel cubo ingombrante dal colore orrendo e la cosa mi dava una tacita soddisfazione che non osavo manifestare in alcun modo. Una parte di me però al solito era delusa, da come durassero poco gli affetti di mio figlio. Prima con Slim, ora con Capannettì.
Quanto mi sbagliassi potei constatarlo proprio il giorno dopo, quando nel pomeriggio, vidi Asher passare a tutta velocità stringendo Potti tra le braccia e andare in camera sua. Potti è il suo orsetto preferito, quello col quale si addormenta e col quale si risveglia…il suo amico del cuore.
Dopo due minuti mi ripassò davanti, ma di Potti neanche l’ombra.
Si fermò davanti a me, che sferruzzavo un maglioncino con gli orsetti, tanto per cambiare, e guardandomi mi disse risoluto e sorridendo:
“Potti è a nanna di Lu!” e con queste parole mi fece chiaramente intendere che voleva che lo seguissi e andassi a verificare. Cosa che feci subito.
In effetti Potti dormiva a pancia in giù sul grande cuscino rosso e Asher mi guardava soddisfatto
“Appetta Lu!”
“Ah sì? E quando arriva Lu?” gli domandai per dargli soddisfazione
“Tla poco….tla poco alliva” mi rispose convintissimo incurante della mia risata. Sentirlo parlare così era divertentissimo e non potevo fare a meno di ridere anche se Tim mi brontolava perché secondo lui Asher avrebbe potuto sentirsi offeso
“Ma chi è Louis?” domandai a mio figlio
“Mio amico…Lu mio amico”.
“Ah!” non sapevo più che dire per tenere viva quella conversazione che sembrava dovesse interessare tanto a Asher
“Louis …..vediamo….Louis è alto come te?” ecco avevo fatto una domanda intelligente. Dio com’è difficile parlare con i bambini!
“ Lu …poco poco alto!” E Asher chinandosi in terra mise il palmo della mano all’altezza di circa cinque centimetri da terra “Ecco…Lu”.
Quindi il suo amico immaginario era alto poco più di un soldo di cacio, per quello che Capannettì andava bene come casa e il cuscino rosso come letto.
“Asher sei fantastico!” e schioccai un bacio sulla gota paffuta di mio figlio “ e si può sapere quando arriva di preciso questo Louis? Almeno gli facciamo trovare qualcosa da mangiare dentro la capannettì!” continuavo a stare al gioco, per vedere dove andava a parare la fantasia di Asher.
“Alliva domani mammina…..”
“Ma te l’ha detto lui?”
“No.” Rispose convinto scuotendo i riccioli biondi
“E allora chi te l’ha detto?” gli chiesi incuriosita dalla risposta che mi avrebbe dato
“Ad Asher l’ha detto Slim!” rispose serio serio
“Slim?” ripetei aprendo la bocca per la sorpresa “Stai parlando di Slim, proprio di lui? Del tuo palloncino?”
In quel momento arrivò Tim.
“Ciao a tutti!” rumoreggiò secondo il suo solito
“Babbo….babbino!” gli fece eco Asher correndo da lui. Anch’io mi voltai per salutare mio marito ma quello che riuscii a dirgli fu:
“Lo sai che domani arriva Louis ? E sai chi gli ha detto di venire da noi? Non potresti mai immaginarlo……Ti aiuto io vuoi? Slim! Ti ricordi di Slim vero ?”
“Certo che mi ricordo di Slim – disse Tim come se fosse la cosa più ovvia del mondo – ma Louis chi è?” stavolta la sua domanda era un tantino più curiosa.
“Luois è un nuovo amico di Asher …….e ha deciso che verrà a stare un po’ da noi. !”
Asher ci guardava sorridendo, poi il suo sguardo fu catturato dalla sciarpa rossa di Tim
“Vollo chella…voloo chella ….dai babbo”
“Per farne che?” domandò Tim sospettoso. L’ultima volta che Asher gli aveva chiesto la sciarpa era per fare un guinzaglio a un cane randagio incontrato ai giardinetti, con tutto quello che ne segue. Fortunatamente il padrone di Fred, così si chiamava il cagnolino era stato ritrovato, e l’episodio era finito nel giro di due o tre ore.
“Sciappa a Lu. Per nanno di Lu…..E’ feddo!”
In effetti l’inverno appena iniziato non prometteva niente di buono e il vento che si sentiva sibilare fuori dalle finestre, faceva rabbrividire anche se in casa c’era un bel calduccio.



Il giorno dopo arrivò in un lampo e con lui arrivò anche la neve. La mattina ci svegliò un’aria luccicante come non mai e anche dalle tapparelle socchiuse si capiva che non era un’aria normale. Era l’aria della neve, quella che porta il gelido vento dell’est, il profumo di pulito, i lucciconi agli occhi, e un’allegria irrefrenabile che ti spinge ad alzarti subito, a vestirti senza ricordarti che prima ti devi lavare e uscire in tutto il candore che ti avvolge di luce e di silenzio.
Non ci fu neanche bisogno di dircelo e in cinque minuti eravamo pronti per uscire. Fu a quel punto che successe…..e campassi cent’anni non riuscirò mai a capire come!
Proprio mentre stavamo aprendo la porta, una delle finestre del salotto si spalancò, portando dentro una corrente di aria gelida piena di farfalline e……rimanemmo tutti a bocca aperta, cioè io e Tim rimanemmo a bocca aperta, ma non Asher.
Asher staccò subito la sua mano dalla mia e corse verso la finestra, corse verso l’aria gelida e verso Slim, che, come se niente fosse, rientrava non dalla porta stavolta, ma dalla finestra aperta sulla bufera e correva ad abbracciare Asher.
Possono i palloncini abbracciare una persona? No davvero, lo so anch’io. Mica sono impazzita! Ma evidentemente i palloncini possono abbracciare i bambini e averne un abbraccio in cambio. E’ così diverso il mondo dei bimbi da quello di noi adulti.
“Hai vitto mamma?....Slim è tonnato e ha pottato Lu”
“Ha portato Lu? E dove è? Io non vedo nessun Lu” disse Tim pragmatico come al suo solito
“Ma è qui babbo!” rispose orgoglioso Asher mostrando il palmo della sua manina.
Da quel giorno noi sapemmo che Louis viveva sul palmo della mano di Asher, e quando non era lì era sulla sua spalla.
Noi non vedemmo mai Louis, ma istintivamente sapevamo che nostro figlio ci diceva la verità, la sua verità naturalmente e ci adattammo alla presenza di quel piccolo bimbo che poi ci fu descritto fin nei minimi particolari.
Cominciò un bel periodo per noi. Asher era sereno e cresceva in maniera stupenda. Era una fucina di idee e di iniziative. La sua fantasia si sviluppò in maniera incredibile e la sua creatività non finiva mai di stupirci. Quando gli chiedevamo dove sognasse tutte le cose che decideva di fare, invariabilmente rispondeva
“E’ Lu che me le insegna!”
La sera era bello mettere a letto Asher e preparare anche il lettino per Louis nella Capannettì.
Slim vegliava il sonno di entrambi.

Il tempo volò e passarono gli anni.
E venne il giorno che Asher, ormai un bel bambino di sei anni, mi disse senza tanti preamboli, come faceva lui, che era giunto il momento di levare Capannettì dalla sua camera.
Non mi dette spiegazioni, né io gliele chiesi. Sapevo che non le avrei avute.
Dentro di me sentivo però che questa cosa era legata a Louis.
Infatti la mattina seguente Asher mi disse sorridendo:
“Oggi Louis parte”
“E tornerà?” provò a chiederegli Tim
“Mi ha detto che quando sarà il momento lo rivedrò. Ha detto che io ora non ho più bisogno di lui, e che ci sono altri bambini dai quali deve andare”.
Tutto finì lì e al solito Asher non dimostrò tristezza. Quel giorno cercai Slim per tutta la casa, ma non lo trovai. Così compresi che Louis se ne era andato davvero, ma era rimasta la speranza che lui aveva lasciato. Un giorno Asher l’avrebbe rivisto.
Non volevo deludere la fiducia di mio figlio. Del resto per lui Louis era stato un amico vero. Che importava se era stato solo il frutto della sua vivida immaginazione? Alla fine, mi dissi sorridendo tra me e me, anche se noi eravamo perfettamente consapevoli che Louis esisteva solo nella fantasia di nostro figlio, il piccolo bimbo invisibile che per anni era stato in casa nostra, faceva parte della famiglia e, almeno nei nostri ricordi non avremmo mai rinunciato a lui.

Grover incassò il capo tra le spalle, mentre si avviava nella gelida nebbia che avvolgeva gli alberi del viale. Anche stavolta era stata dura lasciare l’amico che per anni aveva seguito con intelligenza e acume e al quale aveva insegnato ad acuire due grandi doti che il destino gli aveva regalato: la fantasia e la creatività. Era sicuro che Asher non avrebbe sprecato quei doni e che nella sua vita l’avrebbero portato a fare cose grandi.
Poi il suo pensiero andò alla sua di vita! Quanti anni aveva lui, Grover Mc Cormich? Centocinquanta forse?O centosettanta? Non lo ricordava più. Per farlo doveva ripensare ai tanti bambini ai quali era rimasto accanto durante i primi anni della loro vita, quando la personalità si forma. Erano stati tanti…ma uno come Asher non l’aveva mai trovato.
Asher era stato il discepolo prediletto, il migliore, quello che aveva imparato prima di tutti, quello dotato di una sensibilità unica, gentile e allegra. Asher sarebbe cresciuto, sarebbe diventato uomo e lui Grover sarebbe rimasto sempre l’eterno bambino, quello che i poeti dotati di sensibilità sanno che esiste senza averlo mai visto e che chiamano il fanciullino, che rimane sempre tale, nonostante gli anni che passano.
Era duro andarsene da quella casa accogliente, ma il suo compito era stato svolto e la sua comunità lo reclamava per altri incarichi.
I Tampis esistevano dalla notte dei tempi e le loro origini si perdevano nelle pieghe del grande libro eterno e da sempre svolgevano un ruolo primario nella formazione del carattere dei pochi eletti che venivano loro assegnati. Vicini nella scala gerarchica al grande Formatore, erano coloro che regolavano le sorti delle civiltà, quelli che facevano uscire l’uomo dalle barbarie per avviarlo sulla strada maestra della sapienza e della fantasia.
Un uomo sapiente se non ha fantasia è un pedante, mentre un uomo fantasioso se non ha sapienza è un perdente.
Il compito importante ed esclusivo del popolo dei Tampis era quello di saper miscelare nella giusta misura queste doti così selettive, per renderle utili al progresso e all’uomo come entità.
Compito dei Tapis era quello di equilibrare questi meravigliosi doni per rendere gli uomini degni di grandi cose.
Grover era soddisfatto del compito svolto. Sapeva di aver fatto un bel lavoro e di avere trovato terreno fertile e ben drenato. Ripensò anche a Joanna e a Tim.
Asher con due persone come loro sarebbe cresciuto bene, con saldi principi, voglia di fare cose nuove e ardite, ma giuste e per il bene di tutti.
Improvvisamente si sentì meglio. Era quasi giunto in prossimità della porta temporale che a breve l’avrebbe fatto entrare nel suo mondo. Si permise però il lusso di voltarsi per un’ultima volta e agitare una manina verso la casa di Asher che vedeva in lontananza. Era certissimo che l’avrebbe rivisto e questa certezza d’un tratto scacciò il breve attimo di tristezza e di rimpianto e gli fece spuntare un sorriso sulle labbra.


Venticinque anni dopo!


Il giovane uomo uscì dall’ufficio ed entrò nella bellissima giornata di maggio che lo accolse con i suoi colori e i suoi profumi.
Aveva fretta di tornare a casa per portare un nuovo giocattolo a suo figlio. Sua moglie proprio mentre usciva di casa gli aveva detto:
“Asher, potresti fermarti a quella bancarella che è proprio vicina al tuo ufficio e comprare un palloncino per Ted? Sai quella bancarella dove c’è quell’omino con una giacca a righe e i calzoni alla zuava! Te lo ricorderai?”
“Tranquilla tesoro, appena esco mi fermo e prendo il palloncino!”
Quanti ce n’erano! E di tutte le forme e i colori. Stette un attimo a guardare e senza sapere neanche lui perché, disse all’omino:
“Vorrei quel palloncino !” e indicò con il dito un palloncino rosso a forma di cuore! E mentre così faceva si domandava con un sorriso di divertimento se era proprio lui Asher, che aveva deciso di comprare un palloncino a forma di cuore, lui che di romantico non aveva proprio niente!
Eppure istintivamente seppe che voleva proprio quello! Alzò le spalle pagò e si avviò verso casa seguito dalle parole dell’omino che gli dicevano:
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”










Profumo di vento



Questa storia comincia in una bella baia, uno di quei posti prediletti dalla natura, dove il mare è dell’azzurro più incredibile, gli alberi del verde più acceso, il cielo costantemente sereno, i fiori smaglianti e profumatissimi, insomma quasi il giardino dell’Eden. Nessuno sa dove sia questa baia, si sa solamente il suo nome e anche quello è bellissimo; infatti si chiama ‘Profumo di vento’. Questo però non è sempre stato il suo appellativo, perché un tempo molto lontano qualcuno l’aveva nominata ’Approdo sicuro’, poi per le strane vicissitudini della vita a un certo punto invece diventò ’l’Antro del drago’ e questo la dice lunga.
Il drago in questione aveva un nome e un cognome. Si chiamava Ego Stormy. Non si sapeva da dove venisse, ma alla fine da una voce che tira l’altra, venne fuori che era ricchissimo, che aveva comprato quella baia, ci si era costruito una casa fiabesca…..e non voleva essere disturbato da nessuno. Il malcapitato che ignaro dei divieti di accesso a quel luogo osava avventurarsi perdeva la voglia di ripetere l’esperimento, perché veniva sempre scacciato in maniera poco ortodossa dalle guardie del corpo di mr. Stormy, grosse bestie pelose, un po’ animali un po’ uomini, che somigliavano molto a certi personaggi che di tanto in tanto si vedono in televisione e fanno il bello e il brutto tempo finché arriva un’onda che li spazza via e li rimpiazza con nuove leve più aggiornate sull’uso del ladrocinio, del doppio gioco, della strafottenza e del malcostume.
Queste erano le uniche persone che stavano vicine a Ego Stormy, del quale avevano un timore riverenziale e verso il quale erano animati non da sentimenti di affetto e neanche di stima ma solo di losca sudditanza e di odio profondo. Potete quindi immaginare che se guardie del corpo di tale calibro erano tenute in pugno da quest’uomo misterioso, quale abisso insondabile e tortuoso dovesse essere la sua anima, la sua personalità e la sua intelligenza.
Nessuno conosceva il suo aspetto, solo qualcuno, da lontano aveva intravisto qualcosa e l’aveva descritto, aggiungendo del suo alla paura deformandone lentamente l’immagine,,,,,,,e così Mr. Stormy era diventato prima alto, poi altissimo, poi di colore verdognolo, infine allungato su se stesso che strisciava sulla sabbia bianca della spiaggia tirandosi dietro una lunga coda, e infine l’avevano visto sputare fiamme e fuoco dalla bocca, verso il mare, che sotto quella cascata ribolliva come l’acqua che aspetta gli spaghetti. Così un po’ alla volta la gente del posto perse l’abitudine di chiamarlo col suo vero nome e gliene diede un altro, ancora più temibile: il Drago.
Quella mattina, Roy chiese alla mamma di andare al mare. Fu proprio lui a domandarglielo, ed era la prima volta da quando erano giunti in quel posto due mesi prima. La mamma lo guardò stupita, piacevolmente stupita. Possibile che finalmente in suo figlio si destasse l’interesse per il mare? Fino a quel momento, da che erano arrivati, spinti dalla necessità di aria salmastra, che il medico aveva detto sarebbe stata salutare per Roy, per fortificarlo e prepararlo al meglio per il difficile intervento chirurgico che avrebbe dovuto subire agli occhi per permettergli di recuperare la vista, il bambino aveva dimostrato una tranquilla indifferenza verso quei luoghi e verso quel mare che in genere piace a tutti i bimbi del mondo.
Si affrettò dunque ad esaudire il suo desiderio e si incamminarono verso la solita spiaggetta dove andavano abitualmente. Ma Roy a un certo punto si fermò e disse
Non voglio andare lì, voglio andare da quell’altra parte!”
Perché? –gli domandò la mamma un po’ perplessa – questa spiaggia ormai la conosci come le tue tasche. Non ci sono più pericoli per te!”
Ti prego mamma – e Roy la guardò con i suoi bellissimi occhi azzurri che non vedevano – voglio andare là!” E con il dito indicò un posto proprio nella direzione opposta
Ma perché?” domandò ancora sua madre
Perché da là arriva il profumo del vento”.
La mamma lo guardò, poi sospirò. Era abituata ormai da lungo tempo a considerare le stranezze di suo figlio come qualcosa che lei non riusciva a capire, ma che nascevano da una sensibilità maggiore che lui aveva a causa della sua menomazione.
Senti il profumo di fiori?” gli chiese per potersi orientare e seguire una direzione un po’ precisa
No mamma. Il vento non profuma di fiori…il vento profuma di vento” e Roy sorrise
Allora dovrai guidarmi tu. Dimmi dove dobbiamo andare”
Va bene mamma…seguimi!”

Finalmente arrivarono e davanti a loro si spalancò l’incredibile bellezza di un paesaggio non contaminato.
Ma è bellissimo Roy” disse la mamma stupefatta
Vero mamma? – Roy era felice si vedeva – e lo senti che profumo di vento?”
La mamma non sentiva niente, ma si fidava di suo figlio per cui con gli occhi lucidi rispose dolcemente
Sì Roy, lo sento!”
Andiamo dai mamma! Voglio fare il bagno e giocare sulla riva….vieni?”
Agli ordini” e ridendo andarono a tuffarsi nelle onde appena increspate
Dopo due ore pensarono che era il momento di fare una bella colazione e la mamma si affrettò a tirare fuori dalla sua grande borsa tutto ciò che poteva servire per sfamare il suo cucciolo finalmente ridente. Ma dopo che ebbe apparecchiato per bene, rimettendo la mano dentro la borsa per prendere per ultimo la bottiglia dell’acqua, si accorse che non c’era più il portafoglio.
Che c’è mamma?” chiese Roy volgendo i suoi occhioni verso sua madre. Riusciva sempre a intuire gli stati d’animo di sua madre e capiva che c’era qualcosa che l’agitava.
Non trovo più il portafoglio! Forse mi è caduto quando abbiamo lasciato la strada per entrare in spiaggia. Ricordi che ho tirato fuori dalla borsa il tuo cappellino? Ecco penso che sia stato in quel momento…….”
Vallo subito a cercare mamma…..non ti preoccupare, io non mi muovo da qui, ci vogliono solo pochi minuti!”le disse Roy con convinzione
Me lo prometti?”
Certo…e stai tranquilla….lo sai che di me ti puoi sempre fidare!”
Lo so amore mio…allora vado e tu intanto fai la tua colazione!”
OK!” e Roy addentò con appetito il suo primo panino

La mamma si era allontanata solo da due o tre minuti e Roy si stava gustando il suo panino con le prelibatezze che ciascuno di voi vorrebbe avere nel panino, in una bella mattinata d’estate in riva al mare, quando una voce aspra lo apostrofò.
E tu che ci fai qui?”
Roy si girò verso quella voce e rispose tranquillamente
Aspetto che torni la mia mamma che è andata a cercare il suo portafoglio?”
Non è questa la domanda che ti ho fatto… Perché sei qui? Non ti ci voglio….qui non deve entrare nessuno, questa è la mia spiaggia”
Mi scusi signore, ma io non lo sapevo…..oggi ho convinto io la mamma a portarmi qui perché volevo sentire da vicino il profumo del vento?” gli disse sorridendo
Il profumo del vento?” tuono la voce
Sì, proprio il profumo del vento…lo sente anche lei signore?”
Io non sento proprio nessun profumo. Ma da quando il vento ha un profumo? Vorrai dire profumo di fiori, o di altra roba portata dal vento,……. ma chi vuoi prendere in giro giovanotto?”
Non voglio prendere in giro nessuno signore. Io sento il profumo del vento e sento che viene da questa parte del mare, proprio da quella parte là!” e col dito indicò una bellissima villa sopra un promontorio, una villa che lui non vedeva , ma che il Drago perché era proprio lui, vedeva benissimo, perché era casa sua
Profumo di vento – disse tra sé e sé l’uomo con cipiglio accentuato – profumo di vento! ….Ora basta con queste sciocchezze. Vattene ragazzo e non ti azzardare a tornare mai più qui!”
Non posso!” rispose piano Roy improvvisamente triste
Ti ho detto vattene subito…..non costringermi a chiamare le mie guardie!!!”
Ho detto che non posso!” disse ancora Roy con voce più sottile
E di grazia…perché non potresti? Parla su….non farmi arrabbiare di più di quello che sono già!” disse il Drago con voce severa
Ecco signore io non posso, non posso proprio, primo perché ho promesso alla mamma che non mi sarei mosso da qui………e poi- e qui i suoi occhi divennero lucenti – poi……….”
Allora?! Poi?.....ti vuoi decidere?” tuonò la voce del Drago
“….poi perché sono cieco!”

La corazza che un uomo si è costruita intorno a sé in tutta la sua vita, può crollare nel giro di un secondo? La risposta è sì, perché quella del Drago, fatta di ghiaccio, si dissolse come la neve al sole davanti agli occhi di un bambino, e il povero drago si ritrovò in un attimo spoglio dai suoi aculei, dalla sua potente coda, dalla sua bocca sputa fuoco, per essere solo e semplicemente un uomo che aveva avuto paura di amare.
Non piangere - disse bruscamente a Roy mentre guardava le perle trasparenti che scendevano silenziosamente dagli occhi del bambino – non piangere! Perché non fai sentire anche a me il profumo del vento? – e cosa inammissibile per lui, gli tese la sua grande mano, senza ricordarsi che Roy non poteva vederla.
Andiamo – gli disse – camminiamo insieme sulla battigia…forse lì anch’io sentirò quel profumo!”
Non posso…ho promesso alla mamma che non mi sarei mosso finché lei non fosse tornata!” rispose Roy nuovamente tranquillo
La mamma è qui tesoro – disse la dolce e inconfondibile voce di sua madre,che aveva assistito in silenzio e in disparte al miracolo che si stava compiendo e del quale lei era inconsapevole.
Signora – disse – Mi chiamo Ego Stormy e vorrei chiederle il permesso di fare una passeggiata con suo figlio”
Ho sentito parlare molto di lei mr. Stormy – rispose la giovane donna guardandolo intensamente -………..permesso accordato, purché dopo si fermi a fare colazione con noi!”
Anche l’uomo la guardo con la stessa intensità. Poteva essere la figlia tanto amata che non c’era più da troppo tempo ormai.
Va bene!”
Nient’altro fu detto e mentre Roy si allontanava con la sua manina nella mano di quel grande uomo, la giovane madre seppe in cuor suo che quell’incontro non sarebbe rimasto fino a se stesso.


E infatti così è stato. Roy si è operato e oltre al viso dolce della sua mamma ha potuto vedere anche quello di un uomo che ora chiama nonno, che un giorno di qualche tempo non si sa quando ritrovò se stesso negli occhi di un bambino, e alla fine arrivò anche per lui il momento di sentire il profumo del vento.
Da quel momento l’isola si chiamò ‘Profumo di vento’.





Perché ho scritto una favola?

Proverò a rispondere con sincerità

1 – Perché a me le favole piacciono tanto anche ora, che il tempo delle favole per me è passato da un pezzo.

2 - Perché mi piace allentare la briglia alla mia fantasia. Ciascuno di noi ha ricevuto i suoi doni dalla vita. A me è stato fatto questo.

3 - Perché appena ho letto l’aforisma di Chesterton mi sono subito gasata e ho capito che era lo spunto per farmi dire che è sempre bene uscire fuori dai luoghi comuni e dalla manìa di etichettare le persone, perché spesso proprio le stesse persone delle quali si dice tutto il male del mondo sono invece le migliori.

4 - Perché i draghi esistono veramente e i bambini lo sanno e siamo noi che dobbiamo dare ai bambini la possibilità di sconfiggerli e più che altro di far loro riconoscere quelli veri da quelli che invece la vita ha provato con la sofferenza. Il problema è tutto nostro perché quasi sempre siamo proni davanti ai draghi del potere e aiutiamo a uccidere quelli che invece portano solo una maschera di difesa. Facciamo uscire i nostri bambini da questa confusione. Come? Con l’onestà.

5 - perché…..forse anche io sono un drago?











L'epopea di Trepì

Trepì non era un tipo comune, o meglio non era un tipo come tutti gli altri, o meglio ancora, gli altri, quando parlavano di lui dicevano tutti che era un pò 'a modo suo'.
Cosa volessero dire con quel 'a modo suo' probabilmente neanche loro lo sapevano, ma istintivamente sentivano che il modo di pensare di Trepì, il modo di fare di Trepì, il modo di parlare di Trepì era proprio diverso da quello che invece caratterizzava un pò tutti loro.
Il risultato era stato che comunque sentivano che Trepì era qualcosa più di loro e per quello lo rispettavano, qualcosa di diverso da loro e per quello lo temevano, qualcosa di incomprensibile per loro e per quello lo sfottevano, ma il risultato di tutto ciò è che comunque alla fine ciascuno era orgoglioso di conoscerlo e di poter dire 'sono amico di Trepì', anche se proprio amicizia non era, ma forse più lo sfoggio di qualcosa che faceva dire 'ma guarda quello è amico di Trepì' e quindi un aumento del prestigio personale.
Forse fu per questo e per altro ancora che alla fine il suo nome diventò semplicemente Pì scritto però P e più tardi, ma molto più tardi, dopo le vicissitudini che vi racconterò, divenne 'Il P' assurgendo a quell'importanza e a quella gloria imperitura che un articolo può dare a un nome. Ci possono essere centomila P, ma solo uno diventa Il P, e non c'è niente da fare.
Ma torniamo a noi!
P, come lo chiameremo noi da qui in avanti, stava da una parte del mare, del grande mare, nessuno sa se dalla parte est o dalla parte ovest, ma comunque quello che si sa era che stava di là dal mare a seconda da quale parte si guarda. Della sua vita sappiamo solo notizie frammentarie che giungono dai luoghi più impensati. C'è chi lo descrive, chiamandolo Pì,come un cavaliere, raffinato conoscitore dello scibile umano, dei megabyte e dei giga, dei quali purtroppo oggi si è persa la conoscenza e se ne parla solo grazie a pochi reperti che sono stati ritrovati da archeologi lungimiranti che hanno capito che quei segni, quei circuiti, erano qualcosa di più di semplici pezzetti di metallo. Altri parlano di lui chiamandolo Pu, come grande curatore di cervelli a dimostrazione del ritrovamento di crani aperti e ricuciti, nessuno sa con quale tecnica, ma sicuramente le cicatrici parlano di grande civiltà e di sopravvivenza all'operazione. Tutti i reperti ritrovati hanno in comune una 'P' incisa vicino al lobo frontale. Molti invece parlano di P come di una donna e l'appellano Pa, consolatrice di tutti gli animali ai quali dedicava la sua vita la sua tecnica e le sue conoscenze, fino a diventare per il grande bestiario della terra una specie di dea, che veniva adorata, specialmente dai gatti.
Il mito ha fatto il resto e P è giunto a noi Uno e Trino, Padre e Madre, Dio e Dea.........e tant'altro che ora non sto a dire.
I fatti che vado a narrare accaddero in tempi lontanissimi, dei quali solo da poco si è ritrovato il ricordo, grazie a una tavoletta di materiale sconosciuto, rinvenuta casualmente nell'orto di un contadino che zappava per piantare i cavoli.Questo ritrovamento ha aperto le porte di un passato che nessuno di noi immaginava e che .............

"Bertingause! Bertingause! La zuppa è pronta...ti decidi a venire a mangiare prima che i tuoi figli te la facciano fuori tutta?"
"Arrivo Malorna, arrivo e dì ai ragazzi che se si azzardano a mangiare un mestolo della mia zuppa, assaggeranno il bastone sulla schiena. Fammi finire di piantare questi tre cavoli..........oh! Ma questo cos'è? Che strano aggeggio..."
"Ma che dici Bertingause? Ti sei messo anche a parlare da solo? Vieni sì o no?"
"Arrivo! Arrivo! Un attimo......devo vedere che questo affare che sta sbucando da sottoterra......" e si rimise a zappare finché non tirò fuori una tavoletta che tanto 'etta' non era e aveva non solo la forma strana di una barca senza sponde ma anche le dimensioni di quella specie di zattera con la quale lui andava a pescare i salmoni solo che questa era affusolata in cima e più piatta in fondo ed era fatta di un materiale leggerissimo, tant'è che potè mettersela con un pò di fatica sotto il braccio e trascinarla a casa, ma la cosa più strana è che era tutta segnata da incomprensibili disegni e segni per lui indecifrabili

Passarono gli anni e la strana barca un giorno di circa seicento anni dopo capitò in mano a un giovane che la scoprì nella cantina di suo nonno.
Farolfo era un ragazzo curioso e aveva anche un certo grado di cultura, sapendo leggere e scrivere e far di conto. Si mise a guardare la lunga e affusolata tavola e decise che era una cosa piuttosto antica e seppe che avrebbe fatto bene a portarla a Megrofina, una tizia strana, che raccontava cose incredibili, di antiche civiltà, di regni splendidi, di paradisi perduti. Tutti pensavano che fosse un pò tocca, ma non lui che fin da quando era bambino si era appassionato a tutte le cose che lei diceva. Ricordava ancora quando aveva parlato di strane torri alte fino al cielo...
"E in queste torri abitavano migliaia di persone e erano torri fatte di vetro e di ferro che dondolavano al vento.....per arrivare in cima usavano dei congegni che volano in alto e lasciano le persone davanti alla loro abitazione e poi c'erano delle strane palle di luce che illuminavano la notte fino a farla splendere come se ci fosse il sole ....e gli uomini parlavano lingue diverse ed erano anche diversi tra loro,chi chiaro di pelle, chi scuro, chi giallo........"
Quando Megrofina parlava tutti l'ascoltavano affascinati loro malgrado, ma poi qualcuno scuoteva il capo e si toccava la fronte facendo chiaramente capire che non aveva tutti i lunedì a posto.
E a proposito di lunedì Megrofina parlava sempre di un grande globo sospeso nel cielo, che con la sua pallida luce illuminava le notti e si divertiva a cambiare forma e a volte si faceva vedere solo sotto forma di esile falce, altre volte scompariva per notti e notti, altre ancora sembrava quella palla con cui da un pò di tempo a questa parte giocavano i ragazzi del villaggio.
Ma quando Farolfo ascoltava questi racconti, vedeva davanti a sé le grandi città con le torri altissime e nel cielo il grande globo che doveva esserci stato una volta. E ci credeva. E fu per quello che andò da lei una sera sfidando il grande gelo che attanagliava perennemente la terra
"Mi caro ragazzo -gli disse Megrofina dopo aver guardato tutti quei segni- non so dirti cosa può esserci scritto sopra questa cosa strana, ma sono sicura che qualnque cosa sia, viene da molto lontano. L'unica indicazione che ti posso dare riguarda questi pochi segni, che ho già visto in altri frammenti giunti fino a noi dal passato. Vedi? Sono questi qui – e indicò con il dito rugoso e ricurvo pochi segni strani che a Farlofo non dicevano proprio niente – Guarda, confrontali con quest'altri....vedi? Sono gli stessi anche se qui sono più dritti e in questa specie di barca pendono a destra.....ecco! Guarda per bene!- e gli fece luce con una torcia più grande che aveva accesa al fuoco – li vedi?
"Sì Megrofina li vedo, li vedo! - rispose eccitato Farolfo – quindi vuol dire che questa è una scrittura, un messaggio, qualcosa che chi l'ha scritto vuole fare arrivare fino a noi...."
"Già – rispose tranquilla Megrofina – questi sono i segni che sono scritti così.....2012D.C........ma cosa vorranno dire?

Il tempo passò e passò ancora e le costellazioni si spostarono nell'arco del cielo
Quando Radon si alzò quella mattina non sapeva che avrebbe fatto la scoperta più importante di tutta la sua vita.
Era giovane e pieno di belle speranze e viveva in un periodo in cui, dopo il buio dei tempi oscuri la mente si riapriva a nuove scoperte e a nuove invenzioni. Qualche tempo indietro un certo Galino aveva fatto un'invenzione che aveva del prodigioso. Aveva trionfato sulle tenebre della notte con una cosa di sua invenzione che spandeva luce nel giro di tre o quattro metri e questa luce non si consumava come il fuoco. La mente degli uomini era in fermento da quando un altro giovane pensatore aveva teorizzato che Ameropa, il luogo in cui vivevano non fosse altro che una gigantesca palla sospesa nel vuoto.......Lui, intanto sognava sui reperti che aveva trovato e su quelli che gli erano pervenuti dalla sua famiglia, conservati gelosamente di generazione in generazione da quando la sua antenata Megrofina li aveva definiti la chiave di volta della storia dell'uomo. Primo tra tutti l'esile barca, leggera e maneggevole fatta di un materiale resistente e incorruttibile. Ma il cuore accelerò il battito quando pensò alla grande tavola di pietra che gli era stata portata da Radico, un ragazzotto che pascolava il suo gregge nella collina prospicente. Sin da quando l'aveva avuta davanti a sé aveva intuito di essere davanti a qualcosa di importante. La tavola era coperta di una scrittura fatta con segni strani,ma la cosa più strabiliante era che c'erano almeno tre scritture diverse tra loro e la cosa ancora più entusiasmante era che uno di quelle scritture lui la conosceva.
Avrebbe dovuto ringraziare Megrofina per il resto dei suoi giorni perché era proprio grazie a lei e alla sua mania di raccogliere le cose del passato che era potuto venire in contatto con quella scrittura e riuscire a comprenderla almeno in parte.Non vedeva l'ora di mettersi all'opera e confrontare con il nuovo reperto le cose misteriose che erano scritte su quella tavola affusolata e leggera che veniva dalla notte dei tempi. L'unica cosa che sapeva era che aveva un solo dato da cui partire.....2012D.C. Doveva cercare, confrontare, senza stancarsi, senza perdersi d'animo.......cosa che fece per circa trecento ombre lunghe, che era sempre il modo più usuale di misurare il tempo,anche se nuovi esperimenti parlavano di ipotesi ardite e meccaniche......... finché un giorno chiese un colloquio con il Grande Maestro del Venerabile Ordine degli Anziani e quando si tròvò al suo cospetto parlò con voce emozionata:
"Grande Maestro ciò che sto per dirti è talmente incredibile che io stesso fatico a dirlo , ma le scritture parlano chiaro, per cui ti prego di ascoltarmi"
"Parla Radon...conosco la tua prudenza e so che non faresti o diresti mai niente di avventato...Ti ascolto"
"Allora ascolta o Grande Maestro! Tu sai che da quando ho l'uso della ragione mi sono dedicato a studiare la tavola misteriosa che è in possesso della mia famiglia da tante di quelle generazioni che ho perso il conto......ecco, senza fare tanti ed inutili preamboli ti posso dire che finalmente ho decifrato i suoi segni e dunque so che cosa c'è scritto,.........ma ciò che c'è scritto è talmente strano, talmente inaudito, talmente stupendo che mi lascia attonito, mi rende euforico e timoroso allo stesso tempo....."
"Bene Radon! Capisco la tua eccitazione, ma non ti sembra che faresti bene a illuminare anche me?"
"Hai ragione, scusami Grande Maestro...dunque ecco ciò che c'è scritto sulla grande tavola:

"Questa è l'epopea di Trepì. Ascoltate voi tutti che ancora potete ascoltare e tramandate ciò che affido a questa tavola che una volta si chiamava surf. Al tempo in cui accaddero questi fatti nuvole nere si stavano addossando all'orizzonte, nuvole predette e non credute. L'anno vecchio se ne era appena andato e il 2012 D.C già annunziava ciò che sarebbe accaduto a breve. L'aria era sempre più carica di elettromagnetismo e il timore incombente di una catastrofe cominciava a prendere forme sempre più precise. Il mondo tutto sapeva che di lì a poco niente sarebbe stato più come prima e che la civiltà splendente che l'uomo viveva avrebbe avuto un duro colpo. Le distanze che ora erano facilmente superabili, a breve sarebbero state insormontabili, la conoscenza sarebbe caduta nell'oblio, il buio della notte non sarebbe più stato vinto dalla luce conquistata dal genio dell'uomo.Fu allora che Trepì decise o decisero di costruire il grande uccello di fuoco, un uccello meccanico sulle indicazioni di un certo Da Vinci, un grande uccello che nutrendosi proprio del nemico del mondo, l'elettromagnetismo, avrebbe coperto le grandi distanze per portare messaggi ai sopravvissuti e riceverne in cambio. Se fu Pi,o Pu, o Pa o se furono tutti e tre insieme ciò non è noto neanche a me che scrivo, io so che fu un tipo un pò a 'modo suo' a restituire la speranza agli uomini e quel tipo si chiamava Trepì, ma più tardi tutti lo chiamarono 'il P.'......Il grande uccello di fuoco volò nei cieli da una sponda all'altra dell'oceano per lungo tempo, fino a che ci fu qualcuno capace e in grado di ricaricarlo, tra lo stupore, l'ammirazione e il terrore degli uomini, che ormai privi delle conoscenze del passato pensarono che fosse un dio e lo mitizzarono fino a farlo diventare un'unica leggenda con ' il P'.
Ciò che ho udito è giunto fino a me di generazione in generazione ma ora sento il bisogno di scriverlo anche su questa tavola che affiderò al mare. Chi lo troverà avrà l'arduo compito di diffondere il messaggio che tramanda: Nessuno mai sconfiggerà l'uomo.
Vengo in pace dal grande lago ghiacciato e vado in pace verso Proto, la stella del mattino. Neber"

Il silenzio regnò totale per un lungo momento poi il Grande Maestro si alzò, si avvicinò a Radon e abbracciandolo gli disse:
"Tu oggi hai reso un grande servizio all'umanità intera. Di qui in avanti questo giorno sarà dedicato al ricordo del grande P e della sua epopea e il tuo nome non sarà dimenticato".
E fu così che Trepì, quello un pò 'a modo suo' , che un giorno decise che qualunque cosa avrebbe riservato il 2012, sarebbe sempre rimasto in contatto con i suoi fratelli in barba al mondo intero, troneggia in un colossale monumento alla cui base si snoda un corso d'acqua di ampie dimensioni.
Uomo, Donna? Nessuno anche oggi sa dirlo. Il suo volto che nessuno conosce è stato rappresentato sotto le nobili sembianze di un cane il cui sguardo ardito si posa lontano inseguendo un sogno che solo lui conosce mentre corre a perdifiato per la valle e fa incredibili salti sulle rotoballe.









 Stranger in paradise


Una casa come questa mi sembra normale che si tinga di giallo!.......Almeno un pò.
Questo raccontino l'ho scritto qualche mese fa




Com’era bello stare a crogiolarsi al sole alle cinque pomeridiane di quella splendida giornata di giugno! Sdraiata in una comoda poltrona ricoperta di un telo di spugna sgargiante, con le gambe rialzate, già abbronzata nel mio castigato bikini nero, assaporavo il calore del sole, mitigato di tanto in tanto dalla leggera brezza che smuoveva anche le frange di paglia dell’ombrellone arancione, sotto il quale su un microscopico tavolino, una granita alla menta si scioglieva lentamente.
Nel dormiveglia in cui ero piombata riuscivo comunque a pregustare il felice momento in cui le mie labbra riarse si sarebbero bagnate di quella frescura e tanto bastava per farmi rimandare il momento del risveglio, quasi che il solo pensiero del ghiaccio servisse a far calare la temperatura del mio corpo che si stava surriscaldando.
Ma non volevo lasciare il rumore della risacca del mare che sentivo in lontananza e mi cullava, né il profumo di gelsomino che arrivava di tanto in tanto a portare una nota di incantesimo orientale nell’aria, né quella musica che da poco più di un minuto si era insinuata nel vento e con lui aveva volteggiato intorno a me per pochi attimi….già perché con la stessa sveltezza con cui era arrivata, se ne era già andata, lasciandomi però le indimenticabili note di “Stranger in Paradise” di Borodin.

Fu in quel momento che un raccapricciante “Aaaaaaaaahhhhhhhhh!” mi fece uscire dal mio sogno e con un attimo di sbigottimento mi ritrovai nella realtà della mia terrazza, sprofondata nella sedia a sdraio che aveva visto tempi migliori. Il mio sguardo trasognato corse a cercare l’allettante granita della quale mi resi conto subito, non c’era nemmeno l’ombra. Tutto questo in un secondo perché immediatamente il mio sguardo fu catturato dalla signorina Adelaide che si spenzolava dalla terrazza adiacente la mia e con quanto fiato aveva in gola si esibiva in un altro “Aaaaaaaahhhhh!!” seguito immediatamente da uno stridulo “Aiuto! Aiuto!”
Mi svegliai immediatamente, anche se mi accorsi che continuavo a sentire il rumore del mare, cosa impossibile perché da casa mia il mare è lontano almeno centocinquanta chilometri.
“Altro che mare” mi dissi rendendomi conto che il rumore dell’acqua veniva dall’appartamento vicino e che avevo come al solito fatto solo un bel sogno….
Mi affacciai subito dall’unico pertugio della grata piena di gelsomino che divideva la mia terrazza da quella della mia vicina, una tranquilla e simpatica ragazza con la quale avevo scambiato più che altro notizie sul tempo e sui fiori. Rosa, così si chiamava la bella ragazza alta e bionda, era una appassionata amante delle sue omonime e il suo terrazzo era pieno di colore e di profumo, perché le sue rose non solo erano bellissime, ma profumavano anche in maniera meravigliosa ed era un piacere godersele, anche se solo dal buco che c’era nella grata di divisione
“Signorina Adelaide! Signorina Adelaide!” chiamai con voce preoccupata. Che poteva essere successo? E che ci faceva la signorina Adelaide nella terrazza di Rosa?
La signorina Adelaide, un’anziana e candida insegnante di altri tempi era una persona tranquilla e riservata e sentirla gridare in quel modo, mi fece subito capire che doveva essere accaduto qualcosa di grosso.
“Oh Marilù! Meno male che sei in casa. Corri per piacere, vieni subito…vieni ma prima chiama i Carabinieri” mi disse stavolta piangendo come una fontana, mentre i suoi piedi si muovevano cautamente sul pavimento della terrazza tutto pieno d’acqua che sentivo, cominciava a colare sulla strada.
“I Carabinieri? Ma che c’entrano i Carabinieri con un po’ d’acqua in terrazza?” domandai allibita
“Ma che acqua e acqua! Chiamali ti dico! Qualcuno ha assassinato Rosa!”
Immediatamente tutto il caldo che avevo fino a tre secondi prima si dissolse magicamente e senza quasi rendermi conto mi trovai in casa di Rosa, in un mare d’acqua che aveva invaso tutto l’appartamento, ed essendo uscito anche dalla porta di ingresso scendeva in tranquille cascate per la rampa delle scale.
La signorina Adelaide mi venne incontro piangendo e additando la porta del bagno, dal quale mi resi conto, veniva quel mare che si riversava dappertutto.
Quasi in trance mi avviai verso la porta di quella che mi sembrò in quel momento l’antro dell’inferno.
Rosa era all’interno della vasca da bagno, in testa una civettuola fascia che le tratteneva i capelli e vistosi segni violacei intorno al collo, a dimostrazione che la poverina era stata decisamente strangolata. L’acqua continuava a scendere indifferente dal rubinetto e a cadere dal bordo della vasca facendo quel leggero sciabordio che io nel mio dormiveglia avevo scambiato per il rumore del mare. Quasi senza rendermene conto mi avvicinai al telefono e feci il numero dei Carabinieri.

“Come ha fatto ad accorgersi che la signorina Rosa era morta?” domandò il Maresciallo alla signorina Adelaide, che ora si era un po’ calmata, anche se continuava a tirare su rumorosamente col naso.
“Stavo rientrando a casa dopo la mia solita passeggiata e quando ho cominciato a salire le scale mi sono accorta che erano bagnate. Arrivata nel pianerottolo ho visto che la porta d’ingresso dell’appartamento di Rosa era aperta e che l’acqua veniva da lì. Ho provato a chiamarla, ma non avendo avuto risposta, sono entrata…e….l’ho vista…..poi ho chiamato Marilù che era nella sua terrazza a prendere il sole!” e la signorina Adelaide cominciò nuovamente a piangere.
“E lei signorina ha visto qualcuno o sentito qualcosa?”
“No – risposi – io stavo dormendo al sole e non mi sono accorta di niente”
“Sapete chi frequentava la signorina Rosa?” domandò il Maresciallo rivolgendosi a entrambe”
“Era molto riservata e riceveva poche visite. Però so che era fidanzata. Me l’aveva detto circa un mese fa ed era molto contenta”
“E questo fidanzato lo conoscete? Sapete dirmi come si chiama?”
“Io non l’ho mai visto, ma un giorno parlando con Rosa mi disse che il suo fidanzato si chiamava Rocco Spada e che era un disegnatore nella fabbrica di “Ceramica Inn”, quella che è in fondo alla strada che porta all’aeroporto”
Mezz’ora dopo Rocco Spada era a casa di Rosa, affranto e incredulo. Aveva risposto a tutto ciò che i Carabinieri gli avevano domandato con voce rotta dall’emozione e dal dolore.
“No in casa non manca niente…no Rosa non aveva un cellulare, perché odiava i cellulari, sì Rosa era una ragazza solare che non aveva nemici…no lui non la vedeva dalla sera precedente, quando l’aveva riaccompagnata a casa. No..non aveva la minima idea di chi potesse aver fatto una cosa simile né tanto meno del perché!”
Fu in quel momento che il suo cellulare squillò. Dapprima quasi in sordina, poi sempre più forte finché le note di ‘Stranger in Paradise’ si riversarono nella stanza.
Ma sì! Quella era la musica del mio sogno, quella che mi aveva accompagnato in uno splendido pomeriggio al mare, quella che mi aveva rilassato e fatto desiderare di continuare a sognare. Ora capivo, capivo tutto!
Alzai lo sguardo su Rocco Spada e lo vidi impallidire. Si era accorto che io sapevo.
“Maresciallo – dissi con voce più chiara e più forte di quella che sentivo dentro di me – io so chi ha ucciso Rosa!”
Tutti si voltarono verso di me.
“Oggi io ho sentito questa musica proprio mentre prendevo il sole in terrazza. Una musica che è durata pochi secondi, ma che si è impressa indelebilmente nella mia mente. Era la musica che è venuta ora dal cellulare del signor Rocco Spada”.
Mentre Rocco Spada veniva portato via in manette dai Carabinieri, ai quali avrebbe dovuto spiegare i tanti perché che gli sarebbero stati chiesti, guardai la signorina Adelaide che non riusciva a smettere di tremare. Provai tenerezza per quella persona eterea e gentile avvolta dalla sua chioma argentea a guisa di aureola. Sembrava un povero angelo ferito, come Rosa era stata un angelo amante dei fiori, ed io stessa un piccolo angelo sognatore.
Lo straniero che era venuto tra questi angeli non era come quello di Borodin, ma ogni storia ha una fine diversa dall’altra.






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