Signora Solitudine
Era il primo giorno di primavera quando tutti gli abitanti del bosco decisero di ritrovarsi sul grande poggio per parlare di un argomento che stava a cuore a tutti: l’amicizia.
Era stato scelto quel luogo per il grande rispetto verso l’albero che era lì da più di mille anni e che senz’altro era la creatura più antica di tutto il bosco. Neanche gli elefanti, dei quali i più vecchi avevano una veneranda età, potevano paragonarsi alla vetustà del grande albero.
Le scimmie avevano portato a tutti gli abitanti del bosco il proclama che il loro grande re Leone aveva bandito, preannunciando una data solenne: il primo giorno di primavera infatti segnava la rinascita della vita e il tema dell’amicizia era proprio intonato per l’occasione.
Tutte le creature del bosco avevano aderito senza indugio e chi non poteva andare al convegno, per ovvi motivi, aveva delegato qualcuno a rappresentarli. Le rane e i coccodrilli si sarebbero fatti portavoce per tutti i pesci dei ricchi ruscelli che scorrevano in quel luogo felice e i passeri si erano impegnati a tenere un filo diretto con loro per tenerli sempre al corrente dei risultati che sarebbero emersi.
E finalmente il grande giorno arrivò. Il sole nacque splendido sul poggio dove il grande albero allargava le sue braccia, quasi a chiamare a raccolta tutti gli abitanti del bosco, che già dalle prime ore del mattino cominciarono ad arrivare e si accamparono ai suoi piedi, sotterrando l’ascia di guerra, per cui tigri e gazzelle non rifiutarono di stare vicine, e neanche gli elefanti e i topolini furono da meno.
Si respirava sin dalle prime ore della giornata un’aria che parlava di dignità, di rispetto, di consapevolezza dell’importanza di quel ritrovo. Quel luogo in cui la guerra era di casa , anche se regolata da leggi antiche che parlavano di onore, di cavalleria, e mai di odio, quel luogo sentiva il bisogno di scoprire qualcosa di nuovo, che lentamente si era insinuato tra di loro: l’amicizia.
Avevano bisogno di scoprire, di definire che cosa volesse dire amicizia, avevano bisogno di capire che nome avesse il più alto grado dell’amicizia, avevano insomma bisogno di confrontarsi e di imparare e di dare delle regole.
Quando furono tutti, il re Leone alzò il suo bellissimo muso in tutta la sua fierezza e improvvisamente scese un gran silenzio.
“Vi ho chiamati perché voglio condividere con voi le mie esperienze, sperando che anche da parte vostra ci sia lo steso desiderio. Inizierò dicendo che credo di avere molti amici, specialmente tra le iene e gli avvoltoi e penso che la loro amicizia si manifesti standomi vicino in ogni mio spostamento”.
“Mi permetto di non essere d’accordo con te sire, - rispose un vecchio leone che aveva visto molte primavere. Anch’io una volta avevo intorno iene e avvoltoi e mi sentivo al centro dell’attenzione e confortato dalla loro presenza…ma quando sono diventato vecchio, sono tutti spariti e gli unici amici che mi sono rimasti sono le mosche e i tafani “.
“E come mai? – chiese timidamente una gazzella
“Semplicemente perché non avevano più bisogno di me. Io non gli servivo più e oggi è più facile che mi sia amica tu, piuttosto che loro”.
“Vuoi dunque dire che dovrei guardarmi da loro?” chiese il re leone
“Non dico questo. Ma bisogna stare attenti a non confondere l’amicizia con il lavoro. Iene e avvoltoi lavorano con te e ti aiutano a portare a termine le tue imprese. Ma questa non è amicizia”
“E’ vero! Ha ragione il vecchio leone – intervenne un’antilope – amicizia è stare insieme e andare a bere allo stesso ruscello e a mangiare nello stesso prato”
“Anche questa sono sicuro che non è amicizia – riprese il leone con la criniera bianca scuotendo il capo – anche questa è una forma di collaborazione, è unione che rende più forti, ma prova a pensare a quando una tigre vi corre dietro. Che fate?”
“Scappiamo con tutta la velocità delle nostre gambe” rispose stupita l’antilope per quella domanda così ovvia.
“Già e non vi preoccupate nemmeno quando vi accorgete che qualcuno meno fortunato è finito nelle fauci della tigre. Ti sembra amicizia questa?”
“Hai ragione!”rispose mortificata la piccola antilope
Continuarono a parlare per ore e ore, ma nessuno riusciva a trovare che cosa fosse la vera amicizia.
Intanto dense nubi nere si stavano avvicinando, senza che loro, presi come erano nelle loro discussioni, se ne fossero accorti, finché un tuono con un forte ruggito scosse la terra.
Grosse gocce di acqua cominciarono a cadere dal cielo e di lì a poco un uragano si abbatté nel poggio. Tutti gli uccelli si alzarono in volo e corsero a rifugiarsi nelle fronde del grande albero dalle braccia aperte. Le scimmie si arrampicarono veloci tra i suoi rami e tutti gli animali si misero al riparo sotto la sua folta chioma.
Il grande albero accolse tutti in silenzio, mentre il vento lo scuoteva e lo avvolgeva in spirali sempre più strette, facendo scricchiolare il suo vecchio scheletro. Ma lui rimase impavido ad affrontare la tempesta.
Poi, come era arrivata, la bufera si placò e il sole tornò a brillare in tutto il suo splendore, illuminando le gocce di pioggia che si erano posate sulle foglie del grande albero, che brillò come un diamante prezioso.
Il re Leone alzò lo sguardo sul vecchio tronco che svettava verso il cielo e rivolgendosi a se stesso e agli altri disse:
“Ora ho capito che cos’è l’amicizia! Guardate, guardate tutti che cos’è un amico! Un amico è colui che ti accoglie in silenzio, che allarga le sue braccia e si protende su di te e ti protegge nelle tempeste della tua vita … e dopo non ti chiede niente, contentandosi di aver fatto per te tutto quello che poteva…..non credete anche voi che questo grande, maestoso albero, sia ciò che di più grande e di più vero possa definire l’amicizia?”
“E’ vero, hai ragione!” dissero gli altri guardando con riconoscenza il vecchio albero “ora abbiamo capito!”
A quel punto si sentì la voce del vecchio albero, profonda e lenta, come di chi non parla ormai da tanto tempo e deve ritrovare la scioltezza del discorso.
“Amici miei, quello che ha detto il nostro re è vero, ed è molto bello, ma non è tutto, perché l’amicizia credetemi, può andare oltre, molto oltre questa definizione che le è stata data. Questa forma di amicizia che può definirsi anche come accoglienza e protezione è una forma molto alta di amore e di dedizione agli altri, ma è pur sempre qualcosa che gratifica non solo chi riceve, ma anche chi dona. Sappiate comunque che anche l’amico più caro un giorno si staccherà da voi e anche se non vi dimenticherà non cercherà più la vostra protezione e la vostra accoglienza, perché la troverà là dove lo porterà la vita, e allora l’amicizia, se è vera come quella che io ho avuto per voi, prenderà un altro nome. Sarà l’amicizia della solitudine. Non è un’amicizia facile nei suoi primi momenti, perché la solitudine deve farsi prima capire,per poter essere accettata ed infine vista come una luce che ravviva l’anima. La solitudine è come una signora elegante che incede con passo leggero ed entra dentro di te e ti aiuta a sapere chi sei. Ti fa conoscere nella tua vera essenza, senza più maschere, senza più veli, senza più domande. Sublima i tuoi sentimenti e li esalta, ti allontana dal dolore perché lo trasforma nell’essenza che ti fa raggiungere stadi di pensiero più alti e meno egoistici. L’amicizia che prende il nome di solitudine fa aprire nuovi orizzonti in cieli più chiari, dove tutto è più visibile e più giusto.
Io sono qui da più di mille anni e i miei amici, chi prima, chi dopo, sono andati tutti via, e li ho seguiti prima con lo sguardo, poi con il pensiero ed infine con i nuovi occhi, dono della mia solitudine e ora, sono qui con me, dentro di me, parte di me per sempre.
Amici miei, il cammino della vera amicizia è un cammino lungo e anche doloroso che però porta alla gioia della scoperta del sentimento più nobile che una creatura possa provare. Se vorrete trovare veramente l’amicizia più alta, anche voi, chi prima, chi dopo, dovrà varcare la porta della solitudine e accettare la catarsi che dovrà avvenire per raggiungere la purezza della vera amicizia. E’ un cammino solitario, che condurrà a una scoperta incredibile, che vi condurrà a fare la conoscenza dell’amico più grande che potrete mai avere in questa vita: voi stessi”.
Il sole tramontava dietro il grande albero, che dopo queste parole sembrava ancora più maestoso. Tutti lo guardarono con rispetto e con il nuovo silenzio di una lezione appresa ma ancora tutta da vivere. Domani era già alle porte e il nuovo giorno avrebbe portato nuove cose da vivere, nuove esperienze da affrontare: in qualcuno di loro avrebbe infuso anche nuova voglia di scoprire che si può migliorare, crescere, dare di più, offrirsi in dono, annullarsi in nome dell’amicizia per poi finalmente entrare nella porta di Signora Solitudine.
Thimothy Finch
VALLEDORO
Poiché
un sognatore
è
colui che vede la
sua
strada solo al
chiaro
di luna,
la
sua punizione è
vedere
l’alba prima
del
resto del mondo
Questa
novella è dedicata a Bali, mio insostituibile amico, fiero,
indipendente, fedele compagno delle mie avventure nella vita reale e
onirica. Emulando l’imperatore Caligola, che nominò il suo cavallo
Senatore nell’Impero Romano, io nomino il mio cane Senatore a vita
nella Contea di Valledoro
Cap.1
C’era una volta, tanto
tempo fa, ma così tanto che gli orologi non erano ancora stati
inventati e neanche le clessidre se per questo…..insomma quando
ancora il tempo si calcolava col sorgere e il tramontare del
sole…….c’era allora una terra beata, una vallata, circondata da
monti altissimi e pieni di neve.
Questa valle era tutta
verde, ma non di un verde come tutti gli altri perché la sua erba
era fatta di pura menta e i fiori che vi nascevano erano tutti
canditi, e a guardare proprio per bene la cima dei monti, si vedeva
che la neve non era proprio neve, ma una bellissima panna montata,
che le fate, quando volando, facevano ritorno a casa, assaggiavano,
prendendola con la punta della bacchetta magica che in cima aveva una
stellina che poteva a piacimento funzionare anche da cucchiaino
Bastava fare un volo un po’ più radente, abbassare la bacchetta
e…zac! La stellina si adornava di panna che poi le fate leccavano
golosamente e quando erano sazie, non facevano altro che scuotere le
loro bacchettine e la panna avanzata diventava delle bellissime
nuvole bianche che correvano nel cielo spinte dal vento che si alzava
dalla valle. Di notte le buone fate si riposavano nelle tende
vellutate e nascoste del cielo e le loro bacchette, poste una accanto
all’altra illuminavano la volta celeste, formando il firmamento.
Era uno spettacolo
bellissimo e la gente della valle si sentiva sicura e protetta da
quelle stelle che vegliavano su di loro.
Gli abitanti di quella
valle si chiamavano Valdorati, ma siccome il nome era troppo lungo,
per gente come loro che era alta si e no cinquanta centimetri, si
erano da soli abbreviati in Val. Il popolo dei Val non era come tutti
gli altri popoli. Oh sì! Anche loro avevano due gambe, due braccia,
un naso, una bocca e due occhi, ma i loro occhi avevano tutti il
colore della valle e la bocca era rossa come un lampone e come i
lamponi piena di puntolini.
Le loro casette erano
tutte bianche, traboccanti di fiori canditi e di gatti di pannolenci
con i baffi di saggina. I cani invece avevano un bel pelo come quello
dei tappeti persiani e le orecchie con le nappe. Tutti avevano cani e
gatti. Qualcuno aveva persino un cavallo e una mucca. E non crediate
che fossero come quelli che si vedono da noi, perché i cavalli erano
a dondolo e le mucche avevano i boccoli biondi o bruni….qualcuna
rossi, ma erano tutte delle vere signore.
In una delle ultime
casette, vicino al torrente di marmellata vivevano Samo e Var.
Nessuno sapeva da dove fossero giunti. Il giorno prima non c’erano
e il giorno dopo erano lì, molto diversi dagli abitanti di
Valledoro, ma molto disposti a fare amicizia con tutti loro. Samo era
un uomo di nobile aspetto e di bel portamento , mentre Var era
biondissima e leggiadra. Avevano una bellissima figlia che tutti i
valligiani guardavano affascinati, per via del colore dei suoi occhi
che era identico al colore del cielo in una calda giornata d’estate.
Nessuno di loro aveva mai visto occhi simili, ma lungi dall’esserne
invidiosi erano contenti di avere tra di loro una simile perla rara e
tutti volevano bene a quella fanciulla bella come il sole, ridente
come una giornata di primavera, candida come la neve dei monti, che
aveva un nome scintillante come una goccia d’acqua attraversata
dall’arcobaleno: Iris.
I genitori di Iris non
avevano mai detto a nessuno la loro storia, ma le brave persone di
Valledoro intuivano che non erano persone comuni e che solo per far
perdere le loro tracce erano venuti ad abitare in quel luogo, così
isolato dal resto del mondo, ma non avevano mai fatto domande e dopo
un po’ Samo, Var e Iris, erano diventati parte di loro. Avevano
una sala da the dove ogni sera si radunavano tutte le persone stanche
della lunga giornata di lavoro, per fare un bel bagno nel the
zuccherato. Non c’era niente di più tonificante di un bagno con
abbondante zucchero di canna….e il popolo dei Val lo sapeva ormai
da innumerevoli generazioni e sapeva anche che il bagno di the
zuccherato conservava la giovinezza per lunghissimo tempo. Infatti
non vedevi nessun abitante di Valledoro che avesse una ruga, neanche
a cercargliela col lanternino. Le giornate trascorrevano tranquille e
sempre uguali, ma un giorno…..
Cap. II
Un giorno il sole si
svegliò come tutte le mattine e corse affannosamente su nel cielo
per far luce agli abitanti di Valledoro che dovevano andare al
lavoro, e per poterlo fare il sole doveva essere puntuale e non
poteva fare neanche un po’ il suo comodo.
Perché, se ancora non lo
avete capito il sole illuminava il giorno e i centomila elfi che
tiravano il suo carro, al comando del mago Spacamalosse avevano un
bel da fare e le stelle delle bacchette delle fatine,schiarivano la
notte insieme alla luna che era la lanterna del mago Spiridone, ma
tolte queste cose non esisteva nessun altro tipo di illuminazione,
tranne il fuoco d’inverno, quando la gente si riuniva intorno al
suo calore per raccontarsi gli eventi della giornata e le antiche
storie del popolo dei Val, che venivano tramandate di generazione in
generazione. E anche il fuoco non era alla portata di tutti; ci
voleva il permesso del mago Similoro, per poterlo accendere e si
doveva sorvegliare continuamente perché non facesse danni che
avrebbero provocato l’ira del potente mago.
Il sole, dicevo, si
svegliò come tutte le mattine e la giornata cominciò. Le fate si
stiracchiarono nei loro letti celesti e sbadigliando si
riappropriarono delle bacchette magiche e battendosele leggermente in
testa, in un attimo furono tutte pronte e come ogni mattina andarono
a rapporto da fata Filigrana, che era la più importante di loro.
Questa era già in
perfetta tenuta da lavoro: Abito lungo e trasparente, cappello a
punta tempestato di fili d’argento e un velo talmente lungo che non
si riusciva mai a vedere dove finisse.
Anche quella mattina la
giovane fata Dollarina, che tutti chiamavano Dolly cercò di vedere
dove terminasse il velo della sua potente regina, senza riuscirci.
Con una mano si toccò il suo, molto ma molto corto e si domandò
quali imprese avrebbe dovuto compiere per riuscire ad avere un velo
lungo come quello di Filigrana. Sapeva che il velo rappresentava il
successo di una fata e che l’importanza di una fata si misurava
dalla lunghezza di quella nuvola diafana. “Un giorno ce l’avrò
anch’io!” sospirò con un’alzata di spalle. Poi non ci pensò
più e dopo aver ascoltato ciò che le diceva la bellissima fata, più
giudiziosa e più assennata di lei, con un leggero colpo di tacchi si
alzò in volo, per dirigersi a fare il suo lavoro quotidiano. Non
doveva andare molto lontano.
Tutti i giorni
raggiungeva una gola, formata da due monti dirimpettai che non
facevano altro che farsi i dispetti. Il monte Star era proprio di
fronte al monte Nuto e non facevano altro che soffiarsi
vicendevolmente addosso tutti i venti che le loro cime riuscivano a
catturare, formando sempre un tale groviglio di nuvole, che se non
ci fossero state le buone fate, su Valledoro sarebbe sempre piovuto.
Invece le Fate, raccoglievano con le loro bacchette le nuvole e le
giravano intorno a queste, quasi come se fossero state zucchero
filato e poi volando le andavano a buttare in un lago che era poco
lontano. E così il popolo dei Val poteva lavorare tranquillamente
nei campi e nei boschi, facendo dei bellissimi raccolti.
Quel giorno però la
Fata Dollarina era più distratta del solito. Il velo lunghissimo di
fata Filigrana le era rimasto in testa e non riusciva a dimenticarlo.
Era così bello! Muoveva distrattamente la sua bacchetta, agitandola
con leggerezza e non si accorse della grossa nuvola nera, che,
minacciosa, si dirigeva a grande velocità verso di lei. Quando la
vide era troppo tardi. La nuvola l’avvolse in tutte le sue spirali
e cominciando un girotondo turbinoso la vece volare da una parte
all’altra, finché in un sussulto più forte, la bacchetta magica
sfuggì di mano alla giovane fata, che inorridita la vide precipitare
giù, più giù, sempre più giù, sempre più giù, fino a che sparì
in una nera e profonda voragine, che faceva paura solo a guardarla.
La giovane fata, riuscì
a malapena ad aggrapparsi al ramo di un albero, e a sottrarsi così
all’ira della nuvola nera, e piangendo diceva: “Come posso
continuare ad essere una fata, se non ho più la mia bacchetta
magica?”.
Si sdraiò sul prato
pieno di fiori, che si spostarono per farle posto e poi le dettero il
loro profumo più dolce per rincuorarla, ma la piccola Dolly non
riusciva a fermare le sue lacrime.
Dopo un po’, sentì una
voce rauca che le diceva: “Perché piangi piccola fata?”
“Piango perché ho
perso la mia bacchetta magica e se non riuscirò a riaverla, non sarò
più una fata e non avrò mai il velo bellissimo che ha fata
Filigrana!”
“Su piccola, non fare
così – le rispose la voce rincuorandola gentilmente – il velo
lungo di fata Filigrana non si può avere dall’oggi al domani. A
lei sono occorsi più di cento anni per riuscire ad avere il suo….e
tu da quanto è che sei fata? Non da molto suppongo, da quello che
vedo!”
“Mi sono diplomata
l’anno scorso e ora sto facendo il tirocinio!” rispose la piccola
fata, che ora sembrava ancora più piccola.
“Lo supponevo –
rispose sospirando la voce – e presumo vorrai riavere la tua
bacchetta magica…ma per fare ciò avrai bisogno di aiuto”.
“ E chi mi può
aiutare?”
“Ti aiuterò io! Ma
nemmeno io posso scendere in quella voragine. Nessuno può scendere
in quella voragine…….se non due persone speciali, così almeno
narra da sempre la leggenda, un principe e una principessa dal cuore
puro e intrepido. Laggiù – continuò la voce – abita il mago più
potente di tutta la terra. Si chiama Avidus ed è il mago di Ego. Ego
è un regno potentissimo e per ora inespugnabile e tutto ciò che
viene catturato, non è mai più ridato. Ma la leggenda degli antichi
Val parla appunto di un giovane principe e di una bella principessa,
che se si incontreranno, riusciranno a sconfiggere il potente mago:”
“Ma io devo riavere la
mia bacchetta al più presto, perché la stella che ha in cima, è
una stella importante, anche se non è luminosa come quelle delle
altre fate. E se non ho la mia bacchetta, di notte una stella
mancherà in cielo….come posso fare?” singhiozzò rumorosamente
la fata
“Che stella è?”
chiese la voce incuriosita
“Si chiama Stella
Polare” rispose fata Dollarina con un ultimo singhiozzo
“Cosa? La stella
polare? Ma stai scherzando? O mi stai prendendo in giro?”
“No, ti assicuro,si
chiama proprio stella polare. Perché è una stella che tu conosci?”
“E chi non conosce la
stella polare? E’ la stella che indica la via a tutti…e proprio a
te l’hanno data! Che incoscienti! Ma non si sono accorti che sei
troppo giovane per una simile responsabilità?......Suvvia ora non
ricominciare a piangere e lasciami pensare.”
“Va bene – sospirò
la fata – ma almeno potresti farti vedere? Sto parlando con te da
mezz’ora e non so neanche chi sei!”
“Scusami, non ci avevo
pensato. Arrivo subito” E quasi all’istante Fata Dollarina vide
smuoversi la terra avanti ai suoi occhi e dopo un po’ uscì un
lunghissimo lombrico con un paio di occhiali dalle spesse lenti e un
berretto scozzese in testa.
“E tu chi saresti? –
chiese la fata arricciando la bocca
“Ciao mi presento. Io
sono l’amico Lombricone e vivo in quel canneto laggiù. Lo so che
non sono troppo bello. Ma madre natura mi ha fatto così, che ci
posso fare?”
“Piacere io sono Fata
Dollarina, ma se vuoi puoi chiamarmi Dolly”
“Bene Dolly, diamoci da
fare. Io non so chi può essere il principe che ci può aiutare, ma
credo di non sbagliarmi se dico che conosco la principessa…….”
“Davvero? E chi è”
“Tutto a suo tempo……….e
tu mi dovrai aiutare……”
Cap- III
Era quasi sera quando
arrivarono in paese. La piccola fata, senza la sua bacchetta magica
sembrava aver perso tutta la sua leggerezza e la sua velocità e il
vecchio Lombricone, anche se faceva del suo meglio, era poco più
veloce di una lumaca. Però alla fine giunsero alle prime case e
Lombricone si diresse senza esitazioni verso la sala da thè, che
brillava poco più in là.
A quell’ora si
sentivano già voci allegre che parlavano tra di loro della giornata
che stava languendo dietro i monti, anche se l’aria ancora era
chiara e tiepida.
“Ma non ho voglia di
andare a prendere il thè” si lagnò la piccola fata con un filo di
voce.
“Stai zitta e seguimi
senza fare troppe domande!” rispose l’affannato Lombricone,
mentre arrancava su per il primo scalino “ E per piacere….lascia
parlare me, hai capito?”
“Va bene” rispose
docile Dollarina e abbassò mestamente gli occhi……..per rialzarli
quasi subito perché in quel momento una voce dolcissima e gentile
giunse sino a lei con una melodia, talmente bella, ma talmente bella,
che faceva venire i brividi
“Chi è che canta?”
chiese incuriosita
“Come,….non conosci
Iris, la figlia di Samo e di Var?”
“No…sai non mi ero
mai spinta fin qui e non so chi sia Iris”
“Iris è la bellissima
figlia di un re, che tempo fa dovette lasciare il suo paese e
nascondersi qui, sotto mentite spoglie, perché il suo regno era
finito nelle mani di un usurpatore che voleva disfarsi di lui, della
sua bella moglie e della sua bellissima figlia. Iris non sa di essere
una principessa, e pensa soltanto di essere una ragazza qualunque che
vive in un paese nel quale le persone sono molto diverse da lei……ma
non conoscendone altre non se ne fa un problema ed è una fanciulla
serena e felice, non lo senti dalla sua voce?”
“Oh sì! E mi
piacerebbe conoscerla e parlare con lei” disse subito Dollarina,
che essendo giovane, sentiva il desiderio di stare con giovani come
lei.
“La conoscerai
prestissimo, anche perché ritrovare la tua bacchetta di pende da lei
per il cinquanta per cento……”
“E per l’altro
cinquanta per cento, come si fa?” chiese allarmata la fata
“Non ne ho la minima
idea, ma occupiamoci di una cosa alla volta. Intanto pensiamo alla
principessa, poi penseremo al principe”
“Ma dobbiamo fare
presto, lo capisci questo? Se verrà la notte spunteranno le stelle
in cielo e tutti, dico tutti, fate comprese e per prima Fata
Filigrana – e qui la giovane fata fece un sospirone da commuovere
anche un elefante – si accorgeranno che la stella polare non è al
suo posto….”
“Ho capito, ho capito”
e l’amico Lombricone guardò fissamente la fata da dietro le spesse
lenti che coprivano i suoi occhi miopi, domandando in cuor suo perché
si era impicciato di cose che in fin dei conti non lo riguardavano.
Ma gli amici Lombriconi, suoi parenti e antenati, da che mondo è
mondo, erano sempre stati sensibili e generosi e si erano sempre
ritrovati in un mare di guai e lui non poteva fare diversamente.
Alzò le spalle,
(sinceramente non so come, perché non ho mai visto un lombrico
alzare le spalle, ma giuro che lui lo fece) e con voce più gentile
disse:
“Allora non perdiamo
tempo in inutili discorsi e diamoci da fare” e con nuovo vigore si
diresse verso Samo, che in quel momento era apparso sulla soglia.
“Buon pomeriggio Maestà
– disse Lombricone facendo un inchino sperticato (non so come fece
a farlo, ma vi garantisco che gli riuscì benissimo)
“Buon pomeriggio a te
amico carissimo – rispose Samo guardandosi repentinamente intorno –
ma mi raccomando – sussurrò pianissimo- non mi chiamare Maestà.
Qui nessuno sa niente di noi, a parte te, che sei mio amico da
sempre”
“Scusami Samo, è vero,
ma mi viene istintivo rivolgermi a te dandoti l’appellativo che ti
meriti, e spero che un giorno tu possa tornare a rivestire gli abiti
che ti spettano di diritto”
“Lo spero anch’io!
Chissà? Ma intanto dimmi….Cosa ha potuto smuoverti dal tuo
canneto, se non qualcosa di estremamente importante?”
“Come mi conosci bene
Samo – ridacchiò Lombricone – in effetti è una cosa di estrema
importanza e di estrema urgenza. In due parole: il Mago di Ego,
Avidus, ha rubato la Stella Polare”
“Cosa mi dici!”
esclamò Samo “E io come posso aiutarti?”
“Tu direttamente non
puoi fare niente, ma Iris sì” disse lentamente Lombricone, sapendo
che quanto stava per dire e chiedere a Samo era molto difficile da
fare e soprattutto da accettare.
Samo infatti impallidì
visibilmente e dopo aver ascoltato tutto il discorso di come si
erano svolte le cose il suo viso rimase turbato per almeno cinque
minuti. Poi, solo come i veri Re sanno fare, si ricompose e un
sorriso spianò la sua bocca e illuminò i suoi occhi
Tese la mano a Lombricone
che la strinse fra le sue (non so dove le avesse tenute fino ad
allora, ma Lombricone aveva proprio due mani…ed erano anche belle)
e disse con voce un po’ commossa:
“Te l’affido mio caro
amico. Veglia su di Lei” poi volgendosi indietro chiamò a gran
voce:
“Iris?”
Cap. IV
Quando Iris arrivò,
tutti si girarono a guardarla e rimasero ammutoliti per
l’ammirazione. La fanciulla quel giorno indossava un diafano
vestito color del cielo e tra i biondi capelli sciolti sulle spalle
alcuni fiori color pervinca esaltavano la sua bellezza in modo
incantevole. Aveva ancora negli occhi la gioia che il canto appena
eseguito le aveva procurato ed era……bellissima!
“Mi hai chiamato
babbo?” chiese con voce gentile
“Sì figlia
mia….siediti e ascolta questi amici che devono parlare con te di
una cosa della massima urgenza”
Iris fece come il padre
le aveva chiesto e ben presto Lombricone la mise al corrente di tutta
la storia, non senza scuotere il capo ogni volta che si riferiva alla
fata Dollarina. Quando ebbe finito, le fece un profondo inchino, come
solo il Lombriconi di alto lignaggio sanno fare e aggiunse con un
lungo sospiro:
“Vedi bene principessa,
che il tuo aiuto ci è indispensabile, perché solo grazie a te e a
un’altra persona che ancora non conosciamo, potremo salvare non
solo la bacchetta magica di fata Dollarina, ma l’intero genere
umano. Si è mai visto il cielo senza la stella polare? Immagini che
confusione ci sarebbe nelle rotte dei naviganti e nel cammino
solitario dei viandanti che cercano il nord per orientarsi? Senza la
stella Polare, tutto il mondo dovrebbe trovare un altro punto celeste
verso cui indirizzarsi, ma passerebbero secoli prima che ciò possa
accadere. …….Capisco che ti chiedo tanto, ma ti prego dacci una
mano,”
“Caro signor
Lombricone, certo che vi aiuterò, anche se ancora non so come. Cosa
dovrò fare me lo dovrete dire voi. Penso che abbiate già studiato
un piano…io mi atterrò esattamente a quello, sperando di esservi
utile!” rispose Iris con un sorriso
“Un piano???!!!”
rispose Lombricone sconcertato
“Ma sì, un piano! Non
verrete a dirmi che non sapete che cosa dobbiamo fare!” La voce di
Iris era sempre gentile, ma un tantino stupita
“Certo che sappiamo che
fare. Dobbiamo andare sul monte, scendere nella gola profonda,
prendere la bacchetta magica, tornare su il più presto possibile per
rimettere la Stella polare al suo posto, prima che si noti la sua
mancanza…….vero Dollarina?” chiese conferma Lombricone,
cominciando ad accorgersi che il suo programma faceva acqua da tutte
le parti
“E tutto questo in
quanto tempo dovrebbe essere fatto?” chiese nuovamente Iris,
stavolta veramente stupita
“Beh! Diciamo che ora
sono le cinque e comincia appena ad imbrunire, quindi…..calcolando
che fa buio alle otto, diciamo che abbiamo tre ore di tempo per
andarci a riprendere la stella polare” concluse sottovoce,
consapevole per la prima volta che il tempo lo aveva superato e aveva
deciso per lui che quella sera non sarebbe stato più possibile fare
niente
“Io direi di partire
domattina appena albeggia. Se tutto va bene abbiamo una giornata
intera per rimettere al suo posto la stella polare” Samo parò per
la prima volta, ma le sue parole avevano tutte l’autorità che solo
un re può imprimere e nessuno osò contraddirlo.
Solo la fata Dollarina,
che temeva più di Samo la sua fata Filigrana si azzardò a dire:
“E come si fa stanotte
senza Stella polare? Per di più è tutto sereno e non c’è una
nuvola neanche cercandola con il caleidoscopio!”
“Già…la Stella
polare” rispose pensieroso Lombricone “Non possiamo creare il
panico tra la gente! E’ proprio quello che vuole Avidus e se ciò
succedesse, diventerebbe padrone incontrastato di questa valle libera
e felice, perché dovremo rivolgerci a lui per riavere la stella che
ci indica da sempre la via….E lui non esiterebbe un attimo a
ricattarci per aumentare il suo potere!
“Fata Dollarina –
disse Iris dolcemente pensosa – i tuoi poteri magici sono tutti
esauriti senza la tua bacchetta, o continui ancora ad averne un po’?”
La fatina chinò il capo,
quasi vergognandosi di quello che stava per dire ma poi lo rialzò
velocemente e disse;
“Posso ancora volare,
posso rimpicciolire i cavalli e ingrandire i topini, posso far
sognare i bambini, posso preparare delle torte squisite e far cantare
gli uccellini,,,,posso..”
“Hai detto che puoi
volare vero? E che puoi ingrandire le cose….per caso puoi anche
tenerle sospese?” la voce di Iris era elettrizzata e tutti
l’ascoltavano senza sapere dove volesse andare a parare
“Sì, Certo…….tenere
sospese le cose è uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto. Lo
sanno fare anche le fate apprendiste. E’ una cosa da niente”
concluse sorridendo Dollarina
“No che non è una cosa
da niente. E’ semplicemente la cosa che ci risolverà il problema
della stella polare…almeno per stanotte”
“Ma come?” chiese
Lombricone allungandosi in maniera sperticata, come del resto fanno
tutti gli amici Lombriconi quando sono molto curiosi.
“Aspettate e vedrete.
Torno subito” e Iris sparì in un attimo all’interno della casa
Dopo neanche un minuto
era di ritorno tenendo in mano un pennello da pittore e una stellina
rossa, che consegnò alla fata Dollarina
“Tieni – le disse
allegramente – questa è la tua bacchetta magica e questa è la
stella polare. Vai, corri su nel cielo, dipingi questa stellina con
il colore delle stelle e poi ingrandiscila come sai fare tu. Quindi
fai in modo che stia sospesa lassù insieme a tutte le altre”
Dollarina guardò l’esile
pennello e la stellina rossa, chiedendosi come mai avrebbe fatto a
farla diventare una stella polare, ma dopo un po’ un grande sorriso
le spianò la bocca e disse con quanto fiato aveva in gola:
“Ci sono, ci sono!”
“Come farai? Insomma
dite qualcosa anche a noi!” si stizzì Lombricone che non stava più
nella pelle e si era allungato a tal punto che sembrava si dovesse
dividere in due
“Avete ragione.
Scusate. Bene, prenderò un po’ del mio velo che è del colore
delle stelle e lo scioglierò con le gocce di rugiada che si formano
nel cielo prima di cadere sulla terra…e con questo dipingerò una
Stella Polare, come non se ne sono mai viste” concluse Dollarina
che aveva ritrovato tutta la sua sicurezza di neo fata appena
diplomata e che non vedeva l’ora di dimostrare a se stessa prima
che a tutti, che non era poi così sprovveduta come forse gli altri
avevano pensato.
“Quanto tempo pensi che
ci vorrà?” domandò Iris accorgendosi che stava ormai diventando
notte
“Oh! Fare questa cosa
sarà una sciocchezza credetemi! Importante era pensarla” e sorrise
a Iris
“Allora vai!” le
disse Samo “Noi staremo qui finché vedremo la stella brillare nel
cielo e poi andremo a riposare perché domani ci attende una lunga
giornata. Ci vediamo qui domattina alle cinque in punto. Va bene?”
“Va bene” risposero
in coro gli altri, mentre Dollarina con un guizzo improvviso spariva
su nel cielo
“Speriamo bene” disse
Lombricone scuotendo il grosso berretto scozzese “mi sembra così
giovane e sprovveduta”.
Ma dovette rimangiarsi le
parole e lo fece ben volentieri, perché dieci minuti dopo una bella
stella, la copia esatta della Stella Polare brillava alta nel cielo.
Cap. V
Si ritrovarono la
mattina seguente davanti alla sala da the, tutti molto insonnoliti,
ma decisi a fare del loro meglio perché l’impresa riuscisse.
Samo con la solita calma
autorevolezza che lo distingueva parlò per primo:
“Amici miei, state
partendo per un’impresa molto difficile, ma io credo in voi e so
che ce la metterete tutta per portarla a buon fine. Purtroppo non
abbiamo avuto tempo per poter fare un piano che permetta di agire con
una certa coerenza. Dobbiamo affidarci alla sensibilità di ciascuno
di noi e pensar che agiamo non soltanto per il bene nostro, o per
restituire la bacchetta magica a fata Dollarina, ma più che altro
per il bene e la serenità di tutta Valledoro.
Questo mi ha convinto a
darvi il tesoro più grande che possiedo, mia figlia, e la regina Var
si unisce a me in questo sacrificio. Vi prego di proteggerla e di
vegliare su di lei, che è la luce dei nostri occhi. Io da parte mia,
comincerò a fare preparativi nel caso vi occorresse aiuto”. E qui
Samo si interruppe perché l’emozione rischiava di spezzargli la
voce
“Stai tranquillo Samo.
Iris è in buone mani, parola di Lombricone. Non permetterò che le
succeda niente di male. Stai tranquillo. Diglielo anche tu Dolly…”
“I poteri che mi sono
rimasti saranno tutti a disposizione di Iris e serviranno per
proteggerla…non preoccupatevi maestà….ce la metterò tutta e non
mi dimenticherò mai di voi” rispose la fatina rizzandosi sulla
punta dei suoi piedini per far vedere che tutto sommato, qualcosa
contava anche lei.
“Bene…ora partite
perché non c’è tempo da perdere…….La strada è lunga per
arrivare nel regno di Ego ed è bene cercare di essere lì prima che
Avidus si svegli”
Si misero dunque in
cammino e attraversarono la fiorente vallata, mentre il sole
lentamente saliva su nel cielo cancellando le tremule stelle. Per un
giorno intero il segreto della Stella Polare sarebbe stato salvo, ma
poi?
Intanto avevano lasciato
il borgo e la campagna si allargava davanti a loro in morbide colline
di pannolenci dai colori smaglianti, piene di alberi da frutto, che
lasciavano pendere i loro rami carichi delle più deliziose
confetture di marmellata, mentre più in basso si stendevano ettari
di vigne, i cui grappoli a forma di bottiglia si riempivano via via
che la stagione si inoltrava e giungeva il momento della vendemmia.
Allora bastava staccare la bottiglia dalla vite e tapparla, perché
il pregiato nettare era già pronto per essere consumato.
Nel cielo cominciavano a
volare i primi uccellini con la carica a molla e qualche volta, si
vedeva passare anche il cucù, che di tanto in tanto si appoggiava
sul ramo di qualche albero per riposarsi un po’, non mancando mai
di ricordare l’ora.
Già si vedevano nei
campi appena illuminati dal sole nascente, i fornai che, girando tra
le spighe di grano, staccavano dal loro fusto i panini che di lì a
poco avrebbero venduto nella panetteria del borgo.
Insomma tutta Valledoro
si risvegliava e cominciava a lavorare di buona lena.
Iris si guardava intorno
felice! Amava molto la sua terra e sentiva di appartenerle anche se
sapeva di essere molto diversa dagli abitanti di Valledoro.
Intanto, si erano
lasciati dietro le spalle anche i fertili campi e ora cominciavano ad
addentrarsi nel bosco che era ai piedi del monte , regno del potente
Avidus.
Lombricone, si fermò e
rivolgendosi a Dolly e a Iris chiese gentilmente:
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
“No caro Lombricone,
non siamo stanche- rispose Dolly per entrambe – però vorremmo
tanto sapere cosa faremo una volta che siamo arrivati nel regno di
Ego.”
“Vorrei sapervi
rispondere, ma non lo so….proprio non lo so. L’unica cosa di cui
sono certo è che Avidus sarà sconfitto solo dall’amore……..ma
non chiedetemi come perché io dell’amore non ne so proprio
niente!!”
“Allora cosa
facciamo?”chiese Dollarina che aveva bisogno più di fatti che di
parole
“Toc toc toc!”
“Avete sentito anche
voi?” chiese Iris
“Toc toc toc”
“Ma non sentite anche
voi questo toc toc toc?” ripetè nuovamente Iris
“Certo che lo sentiamo
- rispose sottovoce Lombricone – ma non sappiamo da dove
venga”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
Alzarono gli occhi sulla
grande querce che era proprio davanti a loro e Iris vide un
bellissimo picchio che col becco batteva sulla ruvida scorza della
pianta
“Ma….sei tu che hai
parlato?” domandò allibita
“Certo, e chi sennò?”
rispose il picchio continuando a battere il becco. “Buongiorno
principessa Iris”
“Mi conosci?”
“Sicuro che ti conosco.
Qui tutti ti conoscono e ti vogliono bene e tutti sono pronti ad
aiutarti a ritrovare la stella polare”
“Ma che dobbiamo fare?”
si intromise Dollarina che aveva voglia di recuperare quanto prima la
sua bacchetta
“Toc toc toc….è
inutile che vi fermiate all’imbocco dell’antro di mago Avidus. Da
soli non riuscireste mai a recuperare la bacchetta magica.”
“E allora signor
picchio cosa dobbiamo fare?” chiese gentilmente Iris
“Toc toc toc…. Io non
sono il signor picchio, per te sono soltanto Berto! Toc.toc toc…che
dicevo? Ah! Sì! Lombricone e Dollarina dovranno fermarsi lì, perché
a loro non è concesso andare oltre, ma tu Iris, dovrai proseguire
fino alla vetta della montagna”
“E poi?” chiesero
tutti e tre all’unisono
“E poi dovrai aspettare
gli eventi…..l’unica cosa che so con certezza è che Avidus è
molto curioso e gli piacciono gli indovinelli. Purtroppo conosce la
soluzione di quasi tutti gli indovinelli che gli sono stati proposti,
per cui è difficile tenere la sua mente occupata per più di un
minuto, ma se tu sapessi qualcosa che lui non sa, allora sarebbe
tutto più semplice, perché la sua attenzione sarebbe tutta rivolta
a risolvere l’enigma e per te sarebbe facile riprendere la stella
polare,………comunque vai, non perdere tempo, tutto si compirà
secondo quanto è stato scritto nell’alba dei tempi”
“Grazie amico Picchio”
disse Lombricone avviandosi
“Non c’è di che”
rispose il Picchio “ e state tranquilli! Noi animali della foresta
vi seguiremo e se sarà necessario faremo la nostra parte, ma
confidiamo che l’amore vinca ogni cosa”
“Arrivederci signor
Picchio….cioè Berto!” Iris sorrise all’impettito uccello
“Toc toc
toc…arrivederci principessina e non aver paura di smarrire la
strada. Mentre cammini ogni tanto guarda il cielo e lassù vedrai
Agora, la regina delle aquile che ti indicherà la strada. Con lei
non potrai sbagliare”
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
“E’ perché te lo
meriti mia cara…..e ora non indugiare ….vai..vai”
Dopo un’ora arrivarono
all’imbocco dell’antro del regno di Ego, ed era cos’ buio, ma
così buio, che non si riusciva di vedere a un passo di distanza.
“Noi ci fermeremo qui
allora e cercheremo di fare buona guardia e tu mia cara Iris, dovrai
proseguire da sola fino lassù- e con il dito della mano sinistra
Lombricone indicò un punto in alto “Te la senti di arrivarci?
Guarda, che se vuoi sei sempre in tempo a dire di no….”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
E la fanciulla con passo
deciso e leggero si incamminò per il viottolo che portava in cima
alla montagna.
Non sapeva perché
dovesse andare proprio fino lassù, ma era certa che il Picchio le
aveva detto cose giuste e sagge, e decise di seguire alla lettera ciò
che le era stato detto. Con Agora vicina poi si sentiva sicura.
L’aquila bianca come la neve, volteggiava nel cielo lasciando scie
colorate di arcobaleno e le indicava la strada che doveva percorrere.
Ma nonostante la sua
agilità e la sua sveltezza, la strada non finiva mai e Iris si
lasciò dietro i boschi di querce e anche quelli degli altissimi
faggi e quando arrivò in vista della vetta era stremata, e con
orrore si accorse che il sole cominciava già a calare e le ombre
diventavano più lunghe.
“Ancora pochi passi e
potrò vedere cosa c’è di là del monte. Immagino che ci sarà
un’altra vallata! Ma a che mi serve? Come mai sono dovuta venire
sino qui se poi non c’è niente e nessuno che mi possa aiutare?”
Mentre così pensava il sentiero ebbe una brusca svolta e…..rimase
a bocca aperta.
Sotto di lei si stendeva
un mare di luci, ancora non molto forti, ma stabili…che anzi
aumentavano sempre di più, come se se ne accendesse una dietro
l’altra. Non aveva mai visto luci così, e rimase affascinata a
guardare quella distesa di puntolini luminosi, che sembravano tante
stelle in terra.
“Cosa saranno?” si chiese a voce
alta incuriosita e impaurita allo stesso tempo?”
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
“Lampadine? Cosa sono
le lampadine?” chiese sconcertata
“Mah! Non ti so proprio rispondere!
So solo che servono a fare luce”
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
“Sembra un cavallo con
il suo cavaliere – bisbigliò alla lucertola- ma io non ho mai
visto cavalli con zampe in quella maniera , né che nitrissero in
quel modo!...........e non ho mai visto cavalieri che indossassero
simili elmi………..o mamma mia….mi gira la testa, mi gira la
testa” e la poverina svenne mentre la piccola lucertola
preoccupatissima gridava “Aiuto la Principessa Iris sta
male….presto correte ad aiutarmi” e con un rombo più forte di
tutti gli altri la lucente motocicletta si fermava davanti a lei.
Brando scese agilmente
dal sellino e senza perdere tempo si inginocchiò davanti a Iris,
dandole piccoli colpi leggeri sulle guance per farla riprendere.
“Chissà perché si è
impaurita tanto!” si chiese sorpreso “Non andavo neanche tanto
veloce!”
“Ma che bella ragazza!
Che capelli stupendi! Chissà chi sarà? Non l’ho mai vista da
queste parti. Che strano abbigliamento ! Non ho mai visto nessuna
delle nostre ragazze vestita in questo modo! Ma è proprio bella,
anzi bellissima!”.
Andò a prendere la
piccola borraccia che teneva sempre nella sua moto e le spruzzò
qualche goccia d’acqua sul viso. Immediatamente gli occhi di Iris
si aprirono e si rivelarono in tutto il loro splendore a Brando che
con sollecitudine la guardava e cercava di tenerle sollevata la
testa.
“Va meglio?” chiese
con un sorriso
“Oh! Sì! Molto meglio
grazie! Mi scusi tanto del disturbo che le sto arrecando, ma
sinceramente mi sono proprio impaurita. Sa…non avevo mai visto un
cavallo come il suo, né tantomeno un cavallo che avesse il fuoco
negli occhi” si scusò Iris additando la motocicletta di Brando.
“Un cavallo?” rise il
giovanotto sgranando gli occhi con stupore!” Possibile che lo
svenimento avesse procurato alla ragazza un piccolo choc? Decise di
prendere tempo e di assecondarla
“Più che un cavallo,
questa è una mandria di cavalli. Per l’esattezza cinquecento! E
comunque dammi del tu.” e sorrise nuovamente
Iris lo guardò stupita.
Possibile che quel bel ragazzo non avesse tutti i venerdì a posto?
Come faceva a vedere cinquecento cavalli, quando lei ne vedeva solo
uno ….e di una razza sconosciuta, con bruttissime zampe tonde, una
testa piccola e tonda che era ancora illuminata e due orecchie che
avevano la forma di due tubi, neanche tanto dritti? Decise comunque
di non dire niente, anche perché quel giovane era gentile e parlare
con lui le piaceva e la incuriosiva.
“Senti” le disse
Brando dopo aver pensato un attimo “che ne diresti di arrivare in
quel prato verde pieno di fiori?? Fare due passi ti farà bene e da
lì pare che si goda un’ottima vista perché siamo proprio in cima
al monte e si vedono le valli sottostanti. Che ne dici?”
“Mi sembra una buona
idea” rispose contenta Iris, che aveva ancora un po’ di
tremarella alle gambe e pensava in tal modo di poter riacquistare il
suo abituale equilibrio “andiamo” e si incamminò con passo
veloce verso il praticello verde che cominciava proprio a due passi
da lei, seguita da Brando, che ogni tanto le gettava un’occhiata
colma di ammirazione. Quella ragazza le sembrava più bella ogni
istante di più!
Arrivarono in cima al
monte dopo cinque minuti e veramente da lì lo sguardo spaziava da
tutte le parti e si perdeva lontano
“E’ bellissimo”
disse Iris commossa
“Sì! Vedi tutte quelle
luci laggiù?”
“Vuoi dire quelle
lampadine?” domandò Subito Iris, contenta di far vedere che anche
lei conosceva qualcosa
“Beh! Lampadine e altro
ancora!” Brando era sempre più stupito dell’ingenuità di quella
ragazza. Sembrava uscita da un altro tempo “E’ la mia città,
Geapolis! Si chiama Geapolis! La conosci?”
“No rispose piano Iris
“Non sono mai uscita da Valledoro e non immaginavo neppure che
dietro il monte ci sarebbe stata una città di simili proporzioni e
così diversa da dove vivo io!”
“Come hai detto che si
chiama la tua città?”
“Valledoro…e non è
una città, è più un borgo, un bel borgo tranquillo e sereno”
“E hai detto che è…….?”
“Proprio dalla parte
opposta della tua città. Ecco se ti giri e guardi là in fondo, là
c’è Valledoro e la mia casa”
“In effetti è una
valle bellissima. Sembra quasi incontaminata, mentre invece di qua è
tutto rumore e agitazione. Certe volte non ne posso più di tutto il
baccano che sento e della vita frenetica che sono costretto a
vivere………Ma tu che ci fai qui invece di essere nella tua bella
valle?
“E’ una storia lunga.
Sappi solo che devo andare nell’antro del mago Avidus a riprendere
la bacchetta magica di fata Dollarina, perché nella punta di questa
bacchetta c’è la stella polare”
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
“Va bene” acconsentì
Iris e cominciò a narrare tutto per filo e per segno concludendo
“Sicché come vedi se riuscissi a trovare un indovinello difficile
e a proporlo ad Avidus, forse riuscirei nel mio intento e……..”
“Ma questa è una cosa
semplicissima. Te lo do io l’indovinello. L’ho proprio letto
stamani in internet….”
“Internet?....che
cos’è? Non ho mai sentito questo nome” disse Iris
“Te lo spiego più
tardi! Ora non c’è tempo, però mi ci vuole qualcosa per scrivere,
perché non lo ricordo benissimo. Accidenti, non ho niente con me per
scrivere! Brontolò Brando tastandosi il giubbotto che aveva addosso
“Non ti preoccupare. Ho
io quanto ti serve” e dalla sua microscopica borsetta che portava a
tracolla Iris tirò fuori un foglietto di carta leggerissimo, quasi
diafano,una penna con un pennino a punta e una piccolissima boccetta
di inchiostro.
Brando guardò stupito il
tutto ma preferì non fare domande e si limitò a scrivere sul
foglietto queste parole:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Cap. VI
“Sator, arepo
tenet,opera?.........che vuol dire?” domandò Iris allibita
“E’ un’iscrizione
antichissima scoperta in tanti reperti archeologici. In molti hanno
cercato di interpretarla e di darle un senso logico, ma fin’ora
nessuno con certezza sa che cosa vogliono dire queste parole……..però
ora non perdiamo tempo e andiamo a cercare il posto dove è caduta la
bacchetta magica di Dollarina.”
“Questo è
semplicissimo, proprio come per te è stato semplice trovare
l’indovinello. Dolly e Lombricone sono proprio davanti all’antro
che porta al regno di Ego e stanno facendo la guardia sperando che
Avidus non decida di uscire con la bacchetta magica per distruggere
la mia valle.”
“Allora andiamo subito
da loro. Guidami da loro”e presala per mano si incamminarono verso
la terribile porta di Ego.
Intanto il sole
cominciava a scendere e Iris guardò allarmata il cielo, che era
ancora chiaro, ma non aveva più la lucente vividezza di poco prima.
“Bisogna fare in
fretta. Se sorgono le stelle, stavolta sarà difficilissimo che
Avidus non si accorga che la Stella Polare che è in cielo è falsa
come l’oro d’oria che quando passò dal ponte vecchio scappò
via” disse in fretta iris cominciando a correre
“Che dici?” chiese
Brando stupito. Quella frase la conosceva anche lui. Gliela diceva
sempre la sua bisnonna, ma non si ricordava più a che cosa si
riferisse. Ma anche lui cominciò a correre. Fortunatamente la
discesa aiutava molto i loro sforzi e dopo poco tempo arrivarono
trafelati davanti all’antro.
“Fermi tutti. Non
muovetevi e alzate le mani” si sentirono apostrofare all’improvviso
e i due giovani si trovarono davanti un cespuglio che camminava
velocemente verso di loro.
“Ah! Iris, sei tu…..che
spavento mi hai fatto prendere” e Lombricone si materializzò
davanti alla ragazza, liberandosi di tutte le fronde con cui si era
mimetizzato.
“E Dollarina
dov’è?”chiese Iris preoccupata
“Sono qui, sono qui!”
rispose un altro cespuglio addossato a un albero.”Che sollievo
rivederti Iris…..e questo giovane chi è?” disse guardando Brando
“Scusate! Questo è
Brando e si è offerto di aiutarci a recuperare la bacchetta magica.
Ha un indovinello da proporre ad Avidus e ora proverà ad entrare”.
Intanto che loro
parlavano Brando si guardava intorno con aria perplessa. Il suo
sguardo era stato catturato da un suono che proveniva dalla cima di
un poggio.
Lombricone se ne accorse e subito gli
andò vicino e con voce preoccupata gli disse:
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
“Non lo so” rispose
Brando pensieroso “ma so che a casa mia questi tentacoli, come dici
tu, si chiamano antenne e il sibilo, elettromagnetismo”.
“Lombricone guardò il
giovane non riuscendo a capire neanche una parola di quello che gli
diceva, ma Iris lo tranquillizzò
“Non ti preoccupare
amico Lombricone. Brando sa quello che dice. La valle da dove
proviene lui è molto diversa dalla nostra,. Un giorno ti spiegherò
tutto, ma non ora! Ora non c’è tempo. Fidati di lui. Vuoi?”
Lombricone, allungò il
collo fino all’inverosimile e guardò Brando da dietro le sue
spesse lenti, mentre a poco a poco un sorriso gli spianava la bocca
grinzosa.
“Mi fido!” disse
semplicemente
“E allora che facciamo
ora ?” chiese Dollarina che vedeva avanzare la sera e le si
ripresentava davanti l’immagine di fata Filigrana.
“Voi per ora niente….
O meglio no! Riuscite in qualche modo a mettervi in contatto con
Samo? Forse sarebbe meglio se mandasse qualche rinforzo, nel caso ce
ne fosse bisogno”
“Ci penso io- e
Lombricone si diresse immediatamente verso una querce che era poco
distante- Squirrol !Squirrol! –intimò con voce autoritaria
“Sergente Squirrol a
rapporto signore!” E un impettito scoiattolo si presentò
sull’attenti davanti a lui.
“Squirrol, ho bisogno
di affidarti un incarico della massima urgenza, della massima
rapidità, della massima efficienza”
“Conti su di me
Signore! Che devo fare Signore?”
“Metti in moto la tua
staffetta e il più velocemente possibile consegna questo dispaccio a
Samo. Gli devi dire di venire con tutto l’aiuto possibile
all’ingresso del regno di Ego. Pensi di potercela fare nel giro di
venti minuti?”
“Credo che un quarto
d’ora sia più che sufficiente per far giungere l’ultimo della
staffetta fino da Samo. Tu sai che tutti noi Squirrol siamo bene
addestrati. Non per niente siamo considerati un corpo speciale
conosciuto in tutto il mondo, anche se in pochi sanno che la nostra
base è a Valledoro”
“Benissimo sergente.
Parti subito. Noi aspettiamo il tuo ritorno”
“Da questo punto di
vista siamo a posto- disse Lombricone soddisfatto della disponibilità
degli Squirrol. Del resto non ne aveva mai dubitato. Se non fossero
stati ciò che erano non avrebbero mai avuto l’onore di montare la
guardia al Sacrario di Lincoln, né di diventare due personaggi
celebri nelle avventure di un altrettanto celebre papero, né …………
“Lombricone, ehi! Torna
tra noi” Brando lo scosse leggermente con la mano
“Eh!........a sì”
“Allora ascoltatemi
bene. Voi ora restate qui e tenete gli occhi bene aperti. Io provo a
entrare ….e vedrò che posso fare. Del resto ancora non ho ben
capito che cosa troverò là dentro.”disse Brando più a sé che
agli altri
“Io vengo con te” e
Iris mosse un passo verso di lui
“No, tu resti qui!
Potrebbe anche essere pericoloso” le rispose Brando
“No! Iris deve venire
con te. Lo deve proprio, perché sennò l’antica profezia non si
realizzerà. Lei deve venire con te” Lombricone era molto solenne
mentre diceva queste parole.
“Di che profezia
parla?” chiese sottovoce brando a Iris. Decisamente gli amici di
quella ragazza erano tipi strani…….però simpatici ecco! Questo
doveva proprio ammetterlo.
“Non c’è tempo ora
per nessuna spiegazione” continuò Lombricone con aria autoritaria.
– Dovete andare e quindi andate….però siate prudenti mi
raccomando!”
“Sei pronta?” domandò
Brando a Iris
“Prontissima” rispose
lei
“Allora andiamo” e
senza più dire niente si incamminò verso l’entrata scura della
grotta, di fianco alla quale un minaccioso cartello giallo minacciava
con due sole parole: LIMITE INVALICABILE.
Si trovarono davanti una
porta chiusa, che non riuscirono ad aprire.
“Si comincia bene!”
disse Brando
“Bisogna chiamare
Dollarina” disse Iris
“Questa è una porta
blindata che si apre solo con la parola chiave” ribattè Brando
“Io chiamo Dollarina,
vedrai che lei una chiave la troverà!” e Iris tornò indietro per
riapparire dopo due minuti con una Fata un po’ impaurita della
porta, ma molto meno che di Fata Filigrana.
“Ce la fai ad aprire
questa porta?” le chiese Brando dubbioso
“Beh! Posso provarci!”
e tirato fuori da una tasca un libricino, cominciò a sfogliarlo
cercando le parole magiche che avrebbero dovuto aprire la pesante
porta
“Ala cabana sala
gomò…si apra la porta almeno un po’…” Ma la porta non si
aprì
“Provane un’altra”
la supplicò Iris
“Ora ci
provo….Aspettate….ecco! Meca mecone, taca tacone, si vuole aprire
questo portone?”. Ma non c’era niente da fare. La porta non
voleva saperne di aprirsi. Dollarina aveva quasi le lacrime agli
occhi, ma caparbiamente continuò a sfogliare il suo libercolo
“Ecco…questa è una
delle più potenti……Abra cadabra mumina zagabra gugù..apriti
tu!” Ma non ci fu niente da fare.
“Possibile che in
questo libro non ci sia niente di decente? Ma che ci insegnano ai
corsi che facciamo? E pensare che ci fanno studiare ore e ore su
queste parole!” Dollarina si era arrabbiata e gettato il libretto
in terra ci saltò sopra con tutte le forze. “E poi ci dicono che
siamo progrediti! Che questi sono i programmi nuovi.! Per quello che
servono tanto valeva che ci fossimo fermati ad ..apriti sesamo”
In quel momento si udi un
clac metallico e tutti e tre allibiti videro la porta aprirsi
lentamente.
“Brava Dolly” rise
Brando che fu il primo a riaversi dallo stupore “ci sei riuscita.
Brava!”
“Bravissima” Iris
l’abbracciò contenta e senza indugiare oltre entrò con Brando
dentro la porta, lasciando una fata stupefatta e incredula che a un
certo punto disse
“Già…ci sono
riuscita” e si chinò a raccattare il suo libretto
Si appiattirono contro la
parete buia di quella che sembrava un’enorme caverna. Tutto era
silenzio lì dentro e loro potevano sentire benissimo il loro respiro
e i battiti dei loro cuori-
Poi improvvisamente una
luce rossa si materializzò davanti ai loro occhi, che non ancora
abituati al buio, non si erano accorti che il buio non era
propriamente tale, perché una nubilescenza verdastra permetteva di
andare avanti anche se continuava ad avvolgere nel mistero tutto
quello che li circondava. Tutto fuorché la luce rossa che proveniva
da un unico gigantesco occhio, laggiù in fondo, davanti a loro.
Cap VII
Fecero appena in tempo ad
appiattirsi dietro a una colonna, che un rumore inconfondibile di
passi giunse fino a loro. Trattennero il respiro, mentre i passi si
avvicinavano sempre di più e poco dopo ombre lunghe si proiettarono
davanti ai loro occhi. Poco dopo tre uomini, vestiti con camici verdi
si fermarono davanti all’occhio rosso e cominciarono ad armeggiare
con qualcosa che era più in basso
“Ecco fatto- disse uno
di loro- anche per stasera Mister Chip è a posto. Domattina chi deve
tornare per togliere l’allarme?”
“Domani tocca a me –
rispose la voce di una donna- e guardando meglio Brando e Iris si
accorsero che effettivamente uno dei tre era una ragazza poco più
grande di loro
“Bene, allora possiamo
andare. Domani ci aspetta una giornatina niente male, per cui
cerchiamo di riposarci stasera”
“Ok capo!” risposero
gli altri due e si incamminarono verso l’uscita
Quando il rumore dei loro
passi si fu dissolto nell’oscurità Iris disse piano a Brando :
“Come mai non avevano
paura di quel mostro e del suo terribile occhio? E poi chi è questo
mister Chip?”
“Iris, bisogna che ti
dica qualcosa, ma non c’è molto tempo per cui mi auguro che tu ti
fidi di me! Dimmi! Hai fiducia in me? Guardami per piacere e dimmi se
hai fiducia in me!”
Iris si voltò
leggermente e guardò Brando negli occhi.
“Certo che ho fiducia
in te. Se non l’avessi avuta non ti avrei detto tutto ciò che ti
ho detto!”
“Allora ascoltami.
Quello che sto per dirti forse ti sembrerà assurdo, perché bene o
male ho capito che tu fin’ora hai vissuto in un posto diverso dal
mio, ma ti garantisco che tutto ciò che sentirai è la verità”
“Vai avanti…ti
ascolto” rispose Iris impaziente
“Quello che tu chiami
un mago terribile, noi lo chiamiamo computer. Noi siamo appena
penetrati in un laboratorio informatico, dove vengono elaborati
progetti di sicurezza, che nessuno deve conoscere e infatti
l’ingresso era vietato….ricordi?”
“Certo che mi
ricordo,….ma questo marchingegno che tu chiami computer, perché
vuole fare del male alla mia gente?”
“Questo è quello che
crede la tua gente. Io non penso che voglia farvi nessun male, se non
quello di portarvi un progresso, che molte volte distrugge la
bellezza di tanti posti incontaminati…..ma questo è un altro
discorso”
“E tu vivi in un mondo
così?” chiese Iris incuriosita nonostante ci fossero ben altre
cose a cui pensare.
“Sì, io vivo in un
mondo dove tutto è meccanizzato, computerizzato, programmato. Nel
mio mondo la gente si sposta con le automobili o con le moto, come
quella che hai visto quando sono arrivato…
“Nel mio mondo andiamo
a piedi o con i cavalli a dondolo …..
“Nel mio mondo abbiamo
la luce elettrica…
“e noi le candele e la
luce delle stelle delle fate…
“nel mio mondo
guardiamo la televisione e ascoltiamo la musica stereo….
“ e noi guardiamo i
tramonti e raccontiamo le favole e suoniamo i pifferi e le cetre…
“nel mio mondo…..ma
ora basta! Ce lo diremo dopo che cosa facciamo nel nostro mondo, ora
abbiamo cose più importanti da fare. La vuoi riprendere sì o no la
bacchetta magica di Dollarina?”
“Certo….e allora che
facciamo?”
“Vieni con me e non
avere paura! Il terribile occhio rosso, come lo chiami tu non è
altro che una spia luminosa che dice che il computer è acceso”
“Posso continuare a
chiamarlo Avidus?” disse Iris”Chiamalo come vuoi” e presola per
mano si incamminarono verso la grande consolle piena di tasti e di
pulsanti.
Iris guardava affascinata
tutte quelle cose che non aveva mai visto in vita sua, ma Brando
conosceva bene le tastiere dei computer e anche quella, anche se
molto sofisticata, non lo impressionò più di tanto.Premette un
tasto e improvvisamente non uno ma dieci, venti, cento schermi si
accesero in tutta la stanza, lasciandoli per un momento esterrefatti.
“Ora non bisogna
perdere tempo. Hanno innescato il sistema di allarme e appena Avidus
riuscirà a risolvere l’indovinello che ora gli proporrò, tutti i
campanelli di questo antro suoneranno e noi saremo perduti.”
“Pensi che riuscirà a
risolverlo?” chiese Iris
“Credo proprio di sì.
Bisogna vedere quanto tempo ci mette. Quindi faremo così! Io ora
scrivo le parole dell’indovinello e nel frattempo tu guardati
intorno per vedere se riesci a trovare la bacchetta magica con la
stella polare. Appena ce l’hai in mano avvertimi che scappiamo…..e
speriamo bene. Sei pronta?”
“Prontissima”la voce
di Iris tremava un po’, ma non si sapeva se era per la paura o per
l’eccitazione di quell’avventura così strana
Brando si chinò sulla
tastiera e cominciò a scrivere: sator, arepo, tenet, opera, rotas.
“invio!” disse tra i denti e immediatamente sugli schermi
apparvero schermate di parole, che si cancellavano e si riscrivevano
con una velocità impressionante.
“Non ce la faremo mai.
E’ velocissimo! Sta già dando tantissime probabili soluzioni.
Cerca più in fretta Iris, cerca più in fretta!”
La ragazza correva
intanto di qua e di là, guardando in ogni pertugio, in ogni più
piccolo anfratto, sotto i tavoli e sotto le sedie, ma non riusciva a
vedere niente.
“Non c’è, non c’è”
gridava disperata mentre Brando, seguiva con occhi affascinati il
lavoro di Avidus, che tra poco avrebbe risolto l’arcano che nessuno
fino a quel momento era riuscito a districare. Eppure erano passati
millenni da quando quelle parole avevano fatto impazzire migliaia di
generazioni di uomini!
All’improvviso in un
angolo Iris vide qualcosa che brillava fiocamente. Si avvicinò col
cuore in tumulto ed era là la piccola bacchetta magica, con la sua
stellina in cima, quella stellina tanto importante, e della quale
ancora nessuno aveva notato l’assenza.
“L’ho trovata, l’ho
trovata” disse Iris raccattando la bacchetta e stringendola in mano
“E ‘ tardi Iris è
tardi….Non ce la faremo a fuggire. Guarda manca solo una parola e
l’indovinello sarà risolto!” disse Brando afferrando Iris per
una mano e cercando di spingerla verso l’uscita mentre lui avrebbe
cercato di ostacolare come poteva la soluzione del rebus. Ma Iris si
fermò interdetta. Qualcosa, una forza più grande di lei, la
spingeva a restare in quel posto, mentre davanti ai suoi occhi
appariva un viso dolcissimo avvolto in un velo trasparente di stelle
e una voce dolce e gentile le diceva”Fermati Iris e fai quello che
ti dirò. Io sono fata Filigrana. Hai mai sentito parlare di me? Sì?
Lo vedo dai tuoi occhi. Allora ascoltami. Punta la bacchetta verso
l’occhio di Avidus e recita a voce alta queste parole: “Velo di
fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi
tarocchi” presto cara, non perdere tempo e fai esattamente quello
che ti ho detto.
“Scappa Iris, scappa!”
Brando la sollecitava ad andarsene, ma inutilmente. I piedi della
fanciulla erano incollati al pavimento.
Quasi come una sonnambula
si voltò verso il grande occhio e, puntando la bacchetta magica
proprio al centro di quella luce, a voce alta recitò quello che
fata Filigrana le aveva suggerito
“Velo di fata, del
grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi”
Immediatamente accadde
qualcosa che Brando e Iris guardarono affascinati e increduli. Una
ridda di parole senza senso apparve in tutti gli schermi, rimbalzando
da uno all’altro in un carosello infinito, e con una velocità che
aumentava ad ogni secondo.
“Ecco miei cari, questo
è il momento di andarsene. Non tentiamo troppo la fortuna. Avidus ha
delle risorse inaspettate anche per una fata potente come me. E’
meglio non indugiare”.
“Andiamo, andiamo”
disse Iris a Brando, che continuava a guardare affascinato tutto ciò
che stava accadendo. Una parte di lui era estremamente interessata a
quello che si stava svolgendo in quella lotta tra tecnologia e magia,
ma il buon senso di Iris ebbe la meglio e i due giovani riuscirono in
breve tempo a riguadagnare l’uscita.
Cap. VIII
Giunsero all’aria
aperta nell’arco di due minuti e con stupore si accorsero di essere
rimasti dentro l’antro solo per pochi attimi, anche se a loro erano
sembrati lunghissimi.
Il sole era ancora in
cielo, anche se ormai cominciava a cambiare colore e guardando verso
Valledoro si potevano vedere i primi picchi che si levavano in volo
per andare a riporlo dietro la montagna. Era una cosa bellissima
vedere il tramonto del sole a Valledoro. I picchi si mettevano tutti
intorno al disco dorato e al comando del loro generale il picchio
Picone,( pluridecorato per il compito importantissimo che aveva
assolto per tanti anni, talmente decorato che ormai non poteva più
volare da quanto pesavano le medaglie appuntate alle sue piume),
afferravano un lembo dell’infuocato disco e all’unisono con volo
circolare, facendo ampie evoluzioni lo andavano a riporre nella
vaschetta dietro il monte Poitorno, dove sarebbe rimasto fino al
mattino successivo quando la staffetta delle civette diurne, al grido
di tuttomio-tuttomio, l’avrebbero riportato sul suo trono nel
cielo, dove gli elfi l’avrebbero preso e, caricato sul carro d’oro
l’avrebbero portato in giro per tutto il giorno. Era così da tempo
immemorabile e nessuno aveva ricordo di ritardi o di incidenti di
percorso. Ma non fu quello che fece rimanere a bocca aperta i due
giovani, appena giunti fuori, anche perché da quella parte il sole
tramontava come tramonta sempre il sole e solo Iris sapeva che invece
c’era tutto un lavoro di alta responsabilità e di grande
affiatamento. No! Non fu quello!
Ma lo spettacolo che si
presentò ai loro occhi! Un esercito era schierato davanti al
temibile antro del regno di Ego, e altri soldati stavano arrivando da
tutte le parti:
A Iris si inumidirono gli
occhi dall’emozione, mentre Brando non riusciva a riaversi dalla
sorpresa che tale visione gli aveva procurato. Era talmente sorpreso,
che non riusciva neanche a ridere, anche se dentro di sé, cominciava
a sentire un pizzicorino che partiva dalla punta dei piedi e che
irrefrenabilmente si allungava su per le gambe, fino ad arrivargli
allo stomaco. Tra un po’ sarebbe giunto alla bocca e allora……..
Poi guardò Iris e
immediatamente seppe che mettersi a ridere sarebbe stato l’errore
più grande della sua vita. Quello che vedeva, non era uno scherzo,
ma una cosa estremamente seria che aveva una dignità, che solo ora
vedeva in tutta la sua grandezza. In piedi, proprio di fronte a lui,
un uomo e una donna, come lui, gli fecero inequivocabilmente capire
che si trattava di Samo e di Var, che erano i genitori di Iris e
l’esercito che si snodava dietro di loro ad un tratto diventò
qualcosa di così dignitoso, che cominciò a guardare tutti con
rispetto.
C’erano tartarughe,
supercorazzate, sopra le quali, piccoli cannoni muniti di turaccioli
pieni di polvere pizzicorina, puntavano contro l’ingresso
dell’antro dal quale cominciavano a uscire suoni strani.
Evidentemente le immagini che rimbalzavano l’una sull’altra,
avevano messo in moto altri meccanismi, per cui si sentivano
chiaramente dei bip-bip senza alcun senso, che cominciavano a
diffondersi nell’aria circostante con una frequenza sempre
maggiore. Dietro lo squadrone delle tartarughe, un altro imponente
esercito di castori aveva le forti code già armate di palle di fango
impastato con l’ortica, da catapultare contro i nemici, che di lì
a poco sarebbero senz’altro apparsi a difendere il loro regno, e
interi stormi degli uccelli più diversi, volavano ad ali spiegate,
primi tra tutti i pellicani, che con volo planato, avrebbero
scaricato dai loro capienti becchi milioni di pulci, di cimici, di
pidocchi, di formiche,ciascuno dei quali era stato dotato di una
bomboletta del temibile liquido pruriginoso, (il terribile
grattachecca b2) contro il quale neanche le più sofisticate corazze
avrebbero potuto resistere! Poco distanti un esercito infinito di
zanzare ballerine e di api industriose, dal volo leggero e silenzioso
stavano affilando i loro pungiglioni. Anche i pipistrelli, il
temibile squadrone dei Pip, celebri per i loro voli notturni nonché
per le loro divise nere, avevano accettato di fare un raid diurno,
per essere più che altro elemento di disturbo e di scompiglio. E che
dire delle ranocchie saltatrici, pronte a fare le loro acrobazie
all’interno delle camicie dei nemici? Un po’ in disparte uno
squadrone di topolini a molla, si era attaccato con i loro fili già
tesi e fissati alla base di un albero, Ciascuno di loro aveva in
dotazione una formica con le pinze, che avrebbe al momento opportuno
tagliato il filo e fatto partire il proprio topolino, che
coraggiosamente avrebbe avanzato finché la sua molla lo avrebbe
permesso, dando così modo a chi veniva dopo di loro di avere più
tempo per preparare una tattica. Piccoli eroi di Valledoro!
Intanto un esercito
infinito di ragni di tutti i tipi e di tutte le dimensioni si dava da
fare a tessere tele, con le quali avrebbero imprigionato il nemico.
Nessuno doveva essere ucciso a Valledoro e i nemici sarebbero stati
debellati dal gran ridere che avrebbero provocato tutte le armi
dell’esercito dei Val.
Intanto il bip-bip
cresceva sempre di più di intensità e un rumore concitato di passi
si faceva sentire sempre più vicino. Tra pochi secondi l’esercito
di Ego, sarebbe stato lì e dunque non c’era tempo da perdere. Fata
Dollarina infatti, che fino a quel momento era rimasta vicino
all’amico Lombricone, con un leggero volo arrivò da Iris, che
senza parole, le consegnò la bacchetta magica, mentre Samo la
incitava: “Presto Dolly, riporta la stella polare al suo posto,
prima che gli uomini dei Val se ne accorgano!”.
Anche Lombricone andò
verso i due giovani che lo guardarono entrambi con un misto di
rispetto e di deferenza. Lombricone infatti aveva ritrovato tutta la
sua dignità, che gli proveniva da intere generazioni di Lombriconi
Generali, Guardiamarina, Commodori, Ammiragli. Qualcuno aveva detto
una volta che uno dei suoi bis,bis,bis,bisavoli, aveva eroicamente
combattuto con l’Ammiraglio Nelson, uscendo dalla battaglia con una
gamba in meno (anche se questa forse era una leggenda, perché da
quando mai gli amici Lombriconi avevano le gambe?) e una medaglia in
più.
Quella medaglia comunque
ora era appuntata al petto di Lombricone, che per l’occasione aveva
ritirato fuori il suo cappello da guardiamarina, anche se non aveva
mai confessato a nessuno che non sapeva nuotare.
“Ora che succederà?”
gli domandò Iris con apprensione
“Guardiamo e lo sapremo
subito! Stanno arrivando!” rispose trai denti, che si rivelarono
una sorpresa, perché fino a quel momento non si era accorto di
averli.
Di lì a poco, una decina
di uomini, in tute mimetiche, con l’elmetto in testa, fecero la
loro apparizione all’ingresso dell’antro. Tenevano tra le mani
temibili fucili e qualcuno aveva persino dei mitragliatori. In un
attimo li caricarono e puntandoli contro il piccolo esercito dissero
con voce minacciosa: “Alto là o facciamo fuoco!”
Intanto il bip-bip era
dapprima diventato un biiip-biiip fino a trasformarsi in
biiiiip-biiiip, per poi diventare
biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip-biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip,
fino a non far capire più niente a nessuno.
Tutti dovettero mettersi
le mani o le zampe alle orecchi per resistere a quel rumore
infernale, tutti tranne i soldati che dovendo imbracciare i fucili,
non potevano tapparsi le orecchie, perché avevano due mani sole e
con i piedi non riuscivano né a tenere i fucili, né a tapparsi le
orecchie, per cui rimasero stoicamente in quella posizione, e mentre
il cervello gli andava in pappa riuscirono ancora a pensare; “Ma
guarda che bisogna fare per guadagnarsi un po’ di pane!”.
Poi successe una cosa
stranissima. I fucili, che nel frattempo erano rimasti impassibili
tra le mani dei loro soldati, si resero improvvisamente conto che a
loro nessuno avrebbe tappato le orecchie, per cui pensarono bene di
farlo da soli e siccome le orecchie dei fucili, per chi non lo
sapesse, sono vicine all’otturatore,( perché se non si sentissero
quando sparano, come farebbero poi a mandare il rinculo a chi ha
premuto il grilletto, per avvertirlo che ha sparato?) e si possono
tappare solo se l’otturatore è su, pensarono bene di alzarlo per
trovare un po’ di pace.
Vedendo questo, le
tartarughe, i castori, i pellicani e tutti gli altri, ebbero un
sospiro di sollievo, perché avrebbero potuto continuare a tenersi le
orecchie tappate, e così tutti aspettarono gli eventi, cioè che
quel rumore infernale avesse termine. Per fare la guerra ci sarebbe
stato tempo dopo.
Ma quel rumore non passò,
anzi, se possibile divenne ancora più intenso, mentre ormai le ombre
della sera cominciavano a distendersi su tutte le valli, Valledoro
compresa, E’ a quel punto che Brando, togliendo per un attimo una
mano dal suo orecchio, ma solo per un attimo, puntò l’indice verso
i cielo dicendo: “Ecco! Guardate! La Stella Polare è tornata al
suo posto” E infatti la stellina era lì, circondata da tutte le
fate, che l’avvolgevano con i loro veli, facendola a tratti sparire
e poi riapparire, prima tra tutte Fata Filigrana, che con i suoi
lunghissimi capelli neri, portava le ombre sulla terra.
Tutti guardarono il cielo
e per un attimo non ci furono più nemici, persi come erano
nell’immensità della volta che si tingeva del blu della notte,
nella quale cominciavano ad apparire tante stelle lucenti.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Fu allora che accadde un
altro evento prodigioso. All’ingresso dell’antro si materializzò
un omino con un camice bianco, di due taglie più grandi di lui.
Aveva spessi occhiali, e una testa di capelli arruffati.
“Ma….Ma…..”
cominciò interdetta Iris guardandolo
“Ma…Brando. Guardalo
ti prego. Non ti sembra che somigli tutto a Lombricone?”
“E’ vero” rispose
Brando guardando prima l’omino e poi Lombricone. Anche Samo e Var
guardavano stupiti l’omino e Lombricone, finché quest’ultimo
spezzò il silenzio dicendo
“Perbacco che ci
trovate di tanto strano se anche un verme come me può avere un uomo
che gli somiglia? Io non ne sono offeso”
Intanto l’omino aveva
fatto qualche passo. In mano teneva alcuni fogli e mentre avanzava
con lo sguardo rivolto al cielo diceva:
“Hanno risposto! Hanno
risposto!”
Cap. IX
Stranamente non fu Brando
e neppure Samo a ritrovare per primo la parola e nemmeno Lombricone,
nonostante la sua distinta figura che incuteva rispetto, perché
tutti si fermarono interdetti guardando Var, che alzando il viso in
tutta la sua fierezza si rivolse all’uomo, che appariva ancora
stralunato, dicendogli con la sua dolcissima voce che aveva una
leggera calata , dalla quale tutti riconobbero immediatamente, la
provenienza della gentildonna;
“Vussiete uno
scienziato signore? Ditecelo, dè, sennò ci viene l’affanno se
dobbiamo indovinare. Suvvia dèè!”
A tale gentile invito,
l’uomo riacquistò immediatamente la sua dignità e prontamente
rispose:
“Sissignora! Sono il
professor Von Rintronaten Zaccheus……premio nobel per i tanti, no,
per i troppi, uffa, volevo dire per i quanti, scoperti davvero in
quantità incredibile e……”
“Ebbene professore Von
Rintronaten…….intervenne Samo
“Vi prego chiamatemi
semplicemente Zac!”sorrise timidamente il professore
“Mi sembra un’ottima
idea- sospirò sollevato Samo – Ebbene Zac, cosa volevi dire quando
hai urlato ‘Hanno risposto?’
Lo sguardo dello strano
uomo si perse nuovamente dietro le spesse lenti in un mondo tutto suo
e disse a voce più contenuta:
“Hanno risposto! Sì
hanno risposto! Ed è per questo che sono uscito immediatamente per
sapere chi è il genio che ha impostato il computer sulla frequenza
che da ormai cinque lustri cercavo, senza mai riuscirci!”
“Sono io” rispose
Brando”Ma mi creda professore, è stato un caso fortuito. Ma cosa è
successo di tanto importante?” domandò incuriosito Brando mentre
anche Iris si faceva più attenta, le tartarughe allungavano il
collo, i pellicani cominciavano ad atterrare, e tutto il resto
dell’esercito di Valledoro si avvicinava per udire, ciò che
l’incredibile personaggio uscito dall’antro di Ego si apprestava
a dire.
“Ecco! Scusate se sono
un po’ confusionario, ma l’emozione, capirete è tanta! Non
capita tutti i giorni di ricevere una risposta a messaggi che
mandiamo ormai da oltre vent’anni nello spazio, senza avere mai
risposta. Oggi è arrivata….chiarissima, grazie alla frequenza che
questo giovanotto è riuscito a impostare sul computer. Abbiamo
trovato la chiave di volta…..e ora possiamo parlare con loro!”
disse il professore passandosi una mano tra i folti capelli, che si
arruffarono ancora di più se possibile.
“Ma con loro ….chi?”
azzardò Lombricone che pensava di aver capito e temeva la conferma
del professore.
“Con gli abitanti di
Nefele,…….quella stella lassù…..”
“Con gli alieni?
Incalzò Lombricone
“Non sappiamo ancora
quale sia il loro aspetto, ma il messaggio che ci hanno mandato è
inequivocabilmente un messaggio di pace e di amicizia”
“Meno male” bisbiglio
Lombricone a Samo e si rilassò in tutta la sua lunghezza, perché se
c’è una cosa che gli amici lombriconi hanno, questa è il
coraggio, ma se c’è una cosa che hanno ancora di più è la fifa e
per non farla vedere in genere si sdraiano per terra, prendendo la
posizione pensosa e riflessiva, di chi medita su grandi tematiche,
cosa che Lombricone fece immediatamente, attirando su di sé lo
sguardo del Professore che identificò subito in lui il Capo di tutta
quell’incredibile esercito che aveva visto davanti a sé.
Quindi dirigendosi verso
di lui, gli tese la mano e afferrando quella di Lombricone, la
strinse calorosamente dicendogli in maniera solenne:
“La patria le sarà
riconoscente di tutto quello che lei con i suoi uomini, ha fatto per
l’umanità. Solo un comandante come lei poteva portare a buon fine
una ricerca così importante come questa e le garantisco che avrà il
premio che si merita.”L’amico Lombricone ritrovò immediatamente
tutta la sua dignità, contento in cuor suo che nessuno si fosse
accorto di quel piccolissimo attimo di panico, e il professor
Rintronaten ignaro di quanto il suo nobile cognome si adattasse alla
perfezione alla sua figura, si diresse davanti a Samo e a Var
continuando:
“Naturalmente anche voi
siete invitati al Palazzo dei Congressi, dove riferirò
immediatamente l’accaduto. “E s’intende che anche tu giovanotto
verrai con la tua splendida fidanzata a ricevere la ricompensa che
meriti” aggiunse mentre Iris diventava rossa come una ciliegia a
sentire quell’affermazione e Brando non sapeva più dove guardare,
ma a forza di non saper più dove guardare si trovò proprio a
guardare negli occhi di Iris e lì ci si perse per sempre.
Samo scosse il capo e
disse tranquillamente “Caro professore, siamo contenti se siamo
potuti essere utili alla sua scoperta e il fatto che nelle stelle ci
siano altre presenze ci riempie di gioia, anche se a Valledoro lo
abbiamo sempre saputo, perché le buone fate che ci onorano della
loro amicizia ce l’hanno sempre detto. Ma era giusto che anche le
altre genti che popolano la terra fuori da Valledoro sapessero che ci
possono essere altre intelligenze che vogliono vivere in pace e
portare messaggi di amicizia………Ma io non verrò con te, perché
il mio posto è a Valledoro, con la mia gente e la semplicità della
mia vita….e credo che per Var sia la stessa cosa”
“Gliè così dèè”
annui sorridendo Var, già pensando alla sua sala da the e a tutto
quello che avrebbe dovuto fare per preparare una bella festa per
tutti gli abitanti di Valledoro, per festeggiare il ritrovamento
della Stella Polare. Altro che stella di Nefele! A lei interessava
solo la sua vita, i suoi affetti, il torrente che scorreva
dolcemente, tanto da leccarsi le dita, le sue tazze da the, dai
languidi occhi neri e le boccucce rosse e i pasticcini alla crema
serafina, fatta con le uova degli angioletti, che le fate le
portavano tutti i giorni freschi freschi, dai più reconditi nidi nel
cielo.
“E voi?” Von
Rintronaten si rivolse a Brando e Iris
“Io non lascerò mai
Valledoro. Anche se so di essere diversa dai suoi abitanti, sento che
loro sono la mia gente e in qualsiasi posto del mondo potessi andare,
so che non troverei mai la dolcezza della mia valle.”rispose piano
Iris, guardando sotto sotto Brando.
Brando era serio.
Guardava Valledoro che si stagliava in lontananza e poi la sua terra,
nell’altra valle, bella anche lei, anche se così diversa!
“Brando?” chiese il
professore
“No Zac! Neanche io
verrò.”Poi prendendo per mano Iris le disse “Mi prometti che di
tanto in tanto verremo anche nella mia valle e che ai nostri figli
insegneremo le cose buone di entrambe?
“Te lo prometto!”
rispose in un sussurro Iris e così si scambiarono la loro promessa
di amore.
“Ma tu devi andare
Lombricone! Devi andare e poi devi tornare a raccontarci tutto quello
ve vedrai e che farai!” disse Samo all’amico “Del resto chi più
di te merita una ricompensa? Se non ci fosse stato il tuo
interessamento, la tua amicizia, la tua costanza, forse oggi
Valledoro non sarebbe più così. Vai amico mio e grazie per tutto
quello che hai fatto per noi” E Samo abbracciò l’amico
Lombricone con una tenerezza che solo i lombriconi possono capire e
ricambiare. Poi si girò e rivolto al suo esercito, a Var, a Iris e
Brando disse semplicemente:
“Torniamo a Valledoro”
E così finisce questa
novella, che come tutte le novelle, non ha mai una vera fine, perché
continua a vivere nell’immaginario di ciascuno di noi. Sappiamo
però che Iris e Brando si sono sposati e Samo ha preparato una festa
per loro alla quale hanno partecipato tutti gli abitanti di Valledoro
e tutte le fate. Per l’occasione a Dollarina, Fata Filigrana ha
regalato un nuovo velo, lungo dieci metri in più di quello
precedente e la fatina non finisce mai di guardarlo e di farlo volare
nel vento. Anche il temibile Avidus, mago di Ego ha lasciato per
l’occasione il suo antro e alla fine si è scoperto che non era
nient’altro che il professore Von Rintronaten, che davvero non fa
paura a nessuno. E’ arrivata anche una missiva entusiasta da
Lombricone, ops, scusate da Sir Lombricone, Baronetto dei Canneti, al
quale sono state conferite onorificenze in tutto il mondo, ma lui più
che altro parla della prima…”e mi hanno portato in una grande
casa, tutta bianca, dove un uomo nero, mi si è avvicinato e
semplicemente mi ha sorriso e stretto la mano dicendomi: “La prego
di farsi portavoce verso tutti i Lombriconi del mondo per
ringraziarli del contributo che portano alla causa mondiale della
pace…….”. Che dire ancora? Forse è meglio ascoltare le parole
che Brando e Iris si sono scambiate e che le fate portano ancora sui
loro veli per affidarle al vento, che le trasporti in tutto il cielo
“Io Brando, prendo te………..” “Io Iris prendo te…………..”
Per tutta la vita, per tutta la vita, per tutta la vita per
tuttaaaaaaaaaaaalaaaaaaaaaviiiiiiiitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Per piacere non lo
dite al Professor Von Rintronaten, perché questo non è un messaggio
che viene da lontano. Questo è solo un messaggio d’amore!
Siccome
usa così, anch’io proverò a ringraziare qualcuno.
Ma
chi ringraziare? No! Non è difficile, me ne accorgo immediatamente,
perché sono qui intorno a me, tutte le persone alle quali voglio
bene.
Se
penso a questa novella la prima persona che devo ringraziare è
senz’altro il mio babbo, perché i maghi Spiridone e Spacamalosse
sono personaggi delle favole inventate da lui per me, quando ero
piccina. Anche Lombricone è un personaggio inventato da una giovane
mamma che passava le serate a narrare ai suoi bambini le imprese di
questo strano personaggio che vive in Canneto. Dunque il mio grazie
va anche a lei.
Ma
più di tutti devo ringraziare i miei figli, la mia mamma e i miei
amici, perché mi accettano per quello che sono, senza cercare di
cambiarmi e senza farmi notare troppo che il mondo delle favole per
me ormai dovrebbe essere finito.
E
di più, molto di più, il mio grazie va ai miei nipotini che mi
hanno ispirato questa novella, perché è grazie a loro che ho
ritrovato in me la fantasia e le ho dato le ali.
Il primo mattino del mondo
Il primo mattino del mondo l’Aurora si
svegliò nel suo gelido letto del nulla. Aprì gli occhi e vide che
sopra di lei tutto era buio, intorno a lei tutto era buio.
Si sentì sola e triste, immersa in un
torpore senza fine.
A un tratto però qualcosa le scaldò
il cuore, anche se ancora lei non sapeva che cosa fosse e le sue
membra piano piano si sciolsero. Allungò un braccio verso tutto quel
buio che la sovrastava e così facendo disegnò un drappo di un tenue
colore rosa. Allora, stupita, allargò le dita affusolate e ad ogni
suo movimento un nuovo arabesco delicato e mai visto si aggiungeva
agli altri. Fece la stessa cosa con l’altro braccio e la magia si
ripeté. Incuriosita da tutto quel colore, si appoggiò sui gomiti e
sollevò una gamba in tutta la sua estensione e col piedino
proiettato in avanti tracciò tanti piccoli cerchi, e ad ogni
movimento, pennellate di colore delicatissimo si posarono l’una
sull’altra.
Intanto il suo cuore si scaldava sempre
di più e un sentimento di gioia profonda si diffondeva in lei a
grande ondate. Si mise finalmente seduta e, gettando indietro il
viso, scosse i suoi capelli dorati, che lasciarono strisce auree
all’orizzonte.
Fu allora che lo vide e subito lo
riconobbe e lo amò. La luce che lui emanava l’avvolse in un lungo,
interminabile abbraccio.
“Finalmente sei arrivato – gli
disse – Era dall’inizio del tempo che ti aspettavo. Tu mi hai
svegliata alla vita e io non sono niente senza di te. Ti prego….non
lasciarmi più sola!”.
“Come potrei lasciarti sola, ora che
ti ho trovato?” le disse il Sole “Tu diventerai parte di me e
insieme formeremo una cosa sola. Insieme vivremo finché nascerà il
giorno sulla Terra Io porterò la vita agli uomini, ma tu mi
precederai sempre di qualche istante per annunciare con la tua
dolcezza il mio arrivo, in modo che tutti possano prepararsi
all’inizio di un nuovo giorno……Il Sole non potrà mai sorgere
senza l' Aurora e non ci sarà mai Aurora senza il Sole”.
Lei non parlava, ma mentre lo
ascoltava, appoggiata al suo petto, divenne ancora più rosea e
inconsapevolmente si strinse ancora di più a lui finché ci fu solo
una luce che brillava.
“E la notte?” Bisbigliò ancora lei
con una nota di paura nella voce “La notte dovrò ancora tornare
nel mio gelido letto e sperare che tutto si ripeta il mattino
successivo?”.
“Stai tranquilla amore mio”
l’accarezzò il Sole “Noi saremo sempre insieme. Io ti sveglierò
al mattino con il mio bacio e tu tenendomi per mano mi introdurrai
nel mondo e poi starai con me come in questo momento fino a che la
notte stenderà il suo manto su tutte le cose. E anche allora non
sarai sola perché verrai con me tra le braccia del Grande Ignoto e
lì riposeremo in attesa di un nuovo giorno, per tutta l’Eternità.”
“Ricordartelo non fa mai male….sei
sempre così distratto!” ho ribattuto piano piano con un sorrisino,
alzando le spalle. Sol non ha potuto fare a meno di sorridermi a sua
volta e non ci siamo rivolti la parola fino a quando non è finito il
nostro giro .A quel punto il Prof. Martini ci ha chiamato a raccolta
intorno a sé e con voce ferma ci ha detto:
”Bene ragazzi! Ora possiamo dividerci e ciascuno di voi può andare a vedere quello che più gli interessa. Vi conviene farlo nel migliore dei modi, perché al nostro rientro dovrete fare una relazione sulla giornata e su tutto quello che avete visto fino ad ora e quello che vedrete ciascuno per conto vostro. L’appuntamento è in questo posto ….diciamo fra sei ore a partire da questo momento! Domande da fare?”
”Bene ragazzi! Ora possiamo dividerci e ciascuno di voi può andare a vedere quello che più gli interessa. Vi conviene farlo nel migliore dei modi, perché al nostro rientro dovrete fare una relazione sulla giornata e su tutto quello che avete visto fino ad ora e quello che vedrete ciascuno per conto vostro. L’appuntamento è in questo posto ….diciamo fra sei ore a partire da questo momento! Domande da fare?”
“Te l’ho già detto.
Il nostro mondo si chiama At. Certo che conosco tutto quello che tu
hai nominato. Chi è che non conosce il sole? O la. pioggia o il
vento? Ma un conto è conoscerle queste cose, un conto è sapere cosa
esse siano veramente. …..Vedi quella grande costruzione laggiù?
Sìì? Bene guarda che insegna c’è attaccata nel cornicione. La
vedi? Benissimo…E allora dimmi! Cosa c’è scritto?”
”Wikipedia!” ho balbettato in risposta mentre pensieri tumultuosi mi girano per la testa. Io conosco questo nome. Quante volte l’ho consultato in internet per fare una breve ricerca?
”Wikipedia!” ho balbettato in risposta mentre pensieri tumultuosi mi girano per la testa. Io conosco questo nome. Quante volte l’ho consultato in internet per fare una breve ricerca?
Piccolo
fiore
Io non so se voi
credete ancora alle favole, ma io ci credo.
Ci credo perché ho
bisogno di crederci, ho bisogno di pensare che nella nostra vita ci
possa essere qualcosa al di là della logica e della razionalità.
Ho bisogno del sogno e della sua poesia, ho bisogno di questa
dimensione per ritrovare la parte più vera di me.
Per questo la mia
favola è dedicata a tutti sognatori e a quelli che ancora possono
diventarlo, ma in modo particolare è dedicata a Senny, principessa
di questa favola
C’era una volta…..o
forse c’è stato solo nella mia fantasia, ma insomma c’era, un
cavaliere che correva nel deserto alla ricerca di un palazzo
trasparente a forma di cubo, perché gli avevano detto che vicino a
quel cubo che era brillantissimo, tutto di cristallo purissimo, ci
sarebbe stata un fanciulla che lo aspettava, la donna a lui
predestinata.
Il cavaliere era un bel
giovane, sembrava quasi un principe azzurro, anche se di azzurro non
aveva proprio niente. Infatti era tutto vestito di nero e neri erano
anche i suoi occhi e i suoi capelli.
Non conoscevo il suo
nome, perché ogni volta che provavo a domandarlo, il giovane spariva
nel niente e la favola non poteva continuare. Ma correva, correva
giorno e notte, su e giù per quel deserto, alla ricerca di una
fanciulla che non riusciva a trovare. Solo molto tempo dopo mi sono
accorta che stava correndo dentro un quadro che avevo dipinto io
tanti anni prima, e che lui riusciva ad ampliare i suoi orizzonti
solo nella misura in cui io potevo allargare con la fantasia quel
dipinto di 30x40 centimetri che tra l’altro aveva anche una grande
cornice , oltre la quale anche per me era difficile andare.
Naturalmente come ogni
cavaliere che si rispetti, anche lui aveva il suo cavallo, che era
proprio un bel cavallo, non giallo come quello di D’Artagnan, o con
un nome impossibile, Ronzinante, come quello di Don Chisciotte.
Il cavallo di questo
cavaliere oltre a essere decisamente bello aveva anche un nome di
tutto rispetto: Jo, diminuitivo di Joloso, che poi non era
nient’altro che una contraffazione di goloso. E goloso lo era
davvero, tant’è che nel periodo in cui aveva vissuto nel far west,
non disdegnava assolutamente noccioline e un buon sorso di wisky. Non
si sa per quali vicissitudini Jo a un certo punto della sua vita si
era ritrovato a servire un cavaliere tutto vestito di nero. A lui la
cosa non interessava minimamente e non si faceva le strane domande
degli uomini, che vogliono sapere sempre il perché di ogni cosa, non
riuscendo mai a trovarlo. A lui questi passaggi temporali facevano lo
stesso effetto di una folata di vento e ora si trovava benissimo in
questo deserto così strano, in compagnia di un bel giovane, che
cercava l’amore. L’ultima volta che Jo aveva cercato qualcosa si
era trattato di oro….di pepite d’oro, di molte pepite d’oro.
Ora erano in cerca di amore e per Jo …andava bene anche quello,
purché alla fine gli portasse cose buone da gustare.
Provavo tenerezza per
quel giovane uomo che si affannava alla ricerca del suo amore, e per
quel suo cavallo fiducioso in tutto ciò che la vita gli riservava e
avrei voluto aiutarli, invece che starmene passiva, mentre questi
girovagavano senza meta nel deserto del mio quadro. Avevo dipinto
quella tela in un momento in cui il mio stato d’animo non
permetteva se non al deserto, di entrare a far parte della mia vita.
Il risultato era stato una distesa sconfinata di sabbia, talmente
uniforme, che all’orizzonte non si intravedeva neanche il presagio
di qualche altra cosa. Tra l’altro era anche un deserto piatto,
senza dune, il che non dava nemmeno l’illusione che dall’altra
parte ci potesse essere qualcosa di diverso.
Il mio cavaliere intanto
si era fermato, era sceso da cavallo e Jo, rimanendo fermo accanto a
lui, cercava col muso qualcosa di commestibile che non avrebbe mai
trovato, di questo ero sicura, perché quando avevo dipinto, non
avevo messo neanche un filo d’erba, figuriamoci, radici, o frutti,
o alberi, seppure rinsecchiti. Niente di niente
“Il deserto è deserto,
perdindirindina – parlottavo tra me e me – quando uno entra nel
deserto, specialmente in un deserto come il mio non può aspettarsi
di trovare qualcosa da mangiare e neanche da bere”. Dopo questa
considerazione, non mi rimase altro che rimanere impietrita. Mi
rendevo conto che stavo per commettere un omicidio, anzi un doppio
omicidio, perché per me Jo aveva la stessa importanza di questo
cavaliere….a proposito, ma come poteva chiamarsi questo cavaliere?
Nel momento stesso in cui
osai pensare al nome per il mio bel tenebroso, il giovane scomparve
dalla mia visuale, e nel quadro rimase solo uno sconsolato Jo, che si
mise a guardarsi intorno, forse cominciando a chiedersi dove diavolo
fosse finito, non solo il suo cavaliere, ma lui stesso. In effetti
credo che la sua mente equina cominciasse a elaborare la mancanza di
qualsiasi cosa da mangiare, e ciò, iniziavo a rendermi conto, non
gli era assolutamente gradito.
Dovevo assolutamente
trovare qualcosa che permettesse a Jo di mangiare e di bere, ma come
fare ? Del resto vederlo così solo, senza nessuno con cui poter
scambiare almeno un nitrito, mi infastidiva oltremodo, per cui
cominciai a spremermi le meningi e a cercare qualcosa. Ma cosa?
Però una cosa l’avevo
capita. Al giovane intruso del mio quadro, non piaceva che nessuno si
facesse gli affari suoi, non voleva far sapere chi era, e spariva a
comodo, incurante anche di lasciare il suo cavallo in balìa di se
stesso e dei pericoli che avrebbe potuto incontrare. Decisi in quel
momento che non avrei più pensato a lui cercando di capire chi era,
ma per esigenze mie gli avrei appioppato un nome, che si sarebbe
portato addosso a dispetto di se stesso. Il primo nome che mi venne
in mente fu Ego, ma lo scartai immediatamente. Non mi piaceva
cominciare la mia favola con qualcosa di così negativo, poi mi venne
in mente Cogito, ma anche stavolta, non so perché lo scartai subito.
In fin dei conti non sapevo nemmeno se riusciva a pensare, o se
quell’aria meditativa era solo apparenza e invece dietro quella
fronte si celava il vuoto più assoluto. L’unica cosa di cui ero
certa è che era solo, solo con un cavallo.
Immediatamente seppi che quello era il nome che gli
volevo dare, lo sentivo mentre lo scrivevo. Solo con un cavallo! Che
bel nome! Mi faceva venire in mente qualcosa di già sentito, o di
molto simile, poi quasi subito realizzai che avevo sentito un nome
altrettanto affascinante quando ero andata a vedere il film “Balla
coi lupi”. Non solo! Mi si riaffacciò alla mente anche un grande
poster in bianco e nero, con Charlie Chaplin seduto su un gradino con
accanto un cagnolino. Qualcuno, molto sensibile, vi aveva tracciato
di traverso un nome “Solo con un cane”! Del resto se uno poteva
chiamarsi Balla coi lupi, o Solo con un cane perché il mio cavaliere
non avrebbe potuto chiamarsi Solo con un cavallo?
E in quel momento seppi
anche quello che dovevo fare. Non so se avrebbe funzionato, ma di
sicuro ci avrei provato e anche molto velocemente.
Lavorai tutta la notte e
anche parte del giorno successivo, ma alla fine avevo preparato un
altro quadro, nel quale avevo rappresentato il deserto, un altro
deserto, stavolta pieno di cactus e anche di erba e di strane piante
grasse, che speravo fossero commestibili. Ci avevo anche dipinto un
bel palazzo, un palazzo trasparente, a forma di cubo, dove speravo,
prima o poi la fanciulla tanto cercata, sarebbe andata a ripararsi
dal sole cocente. Il cavaliere l’avrebbe trovata e il mio incubo
sarebbe finito. Ma come fare per permettere al mio cavaliere di
andare nell’altro quadro?
Provai ad accostarlo al
primo deserto, sperando che in una delle sue scorribande a cavallo,
facesse un balzo un po’ più grande e passasse di là, ma per
quanto mi sforzassi e lo incitassi pregandolo prima, e insultandolo
dopo, lui fece sempre finta di non accorgersi di niente e continuò a
correre come un matto nel deserto sabbioso, senza erba, senza neanche
un filo d’erba.
“Brutto stupido – lo
incitavo io – possibile che non capisci che in questa maniera al
massimo tra due giorni sarete morti sia te che il tuo cavallo?”
La mancanza di una
qualsiasi risposta mi fece arrabbiare a tal punto che non ci vidi
più. Dalla rabbia presi la tela che avevo appena dipinta e la
spiaccicai su quell’altra, in modo che i due disegni vennero a
contatto in tutta la loro grandezza, poi quasi con un urlo
liberatorio li ristaccai e li buttai da una parte. Mi ero proprio
scocciata.
“Se non interessa a te
caro Solo con un cavallo, figurati a me che importa! Io da mangiare
ce l’ho e anche da bere se è per questo!”. Non avevo ancora
finito di pronunciare queste parole che mi ero già resa conto di una
cosa. Nel mio nuovo quadro non avevo messo neanche un po’ d’acqua.
“Ma si può essere più
stupidi di così?” bofonchiai tra me e me “Ma tanto a che serve
darsi da fare, non riuscirò mai a farli passare dall’altra
parte.”: Ciò nonostante il mio sguardo corse ai poveri inutili
deserti della mia vita, perché non ero ancora pronta ad arrendermi,
anche perché io non sono mai pronta ad arrendermi, lo so ormai per
esperienza, e gli ostacoli mi spingono ad andare avanti. Ciò che
feci anche quella volta.
Ripresi il quadro in
mano per cercare di inserire almeno un rigagnolo d’acqua in tutto
quell’asciutto e meno male che lo feci. Non senza stupore, mi
accorsi quasi subito che i miei due eroi facevano parte del mio nuovo
deserto , forse non avevano aspettato altro, ma erano stremati. Jo
toccava quasi il muso in terra e Solo con un cavallo, non se la
passava meglio, completamente stravaccato dietro un cactus del quale
sfruttava fino all’ultimo millimetro di ombra. Mi fecero nuovamente
tenerezza. “Ma se non ci fossimo noi donne il mondo cosa sarebbe?”
mi domandai filosoficamente, mentre aprivo il mio tubetto di colore
azzurro e lo mischiavo col bianco che avevo già nella tavolozza.
Avrei fatto un bel ruscello per questi poveri amici, ma mi resi conto
già dopo le prime pennellate che non mi sarebbe venuto fuori niente
di meglio di una pozzanghera, anche se una pozzanghera grande.
Infatti né l’umano, né l’equino mi davano modo di finire il mio
lavoro. Entrambi si erano avventati nell’acqua appena dipinta e ci
si erano letteralmente gettati dentro. Non so chi dei due fosse più
animale, ma dai suoni gutturali che sentivo, mi sembrò che Solo con
un cavallo, si desse un gran daffare. Risi contenta! Sapevo di aver
salvato la loro vita e ciò per il momento mi bastava! Per il momento
il mio intervento non era più necessario. Avevano da mangiare e da
bere e io avevo tanto da fare, altro che starmene appiccicata a un
quadro a inventare la trama di una favola! Decisamente riposi i miei
pennelli e chiusi la scatola con un tonfo secco, spensi la luce e….
“Ehi! Ps ps!” possibile che avessi sentito una voce? Riaccesi
immediatamente le luce nello stesso momento in cui la voce si faceva
risentire, calda e forte, come se fosse a un metro da me.
“Ehi, mi senti? Guarda
da questa parte, sono qui nel ruscello che hai appena dipinto per
noi. Ti volevo ringraziare, perché ci hai salvato la vita!”.
A quel punto non sapevo
se stavo per svenire, se avevo le palpitazioni, se ero decisamente
impazzita, o se la cosa fosse vera come alla fine speravo
“Non c’è di che”
mi ritrovai a rispondere. Non mi era venuto niente di meglio da dire.
Ci sarebbe stato tempo dopo per approfondire la conoscenza. Al
momento mi sentivo pervasa da una strana timidezza che non riuscivo a
spiegarmi. Il giovanotto decisamente era consapevole della sua
avvenenza.
Infatti mi si mostrò spudoratamente a torso nudo, sicuro del fatto
suo. Brutto vanesio ma chi ti credi di essere?
Solo con un cavallo parlò
di nuovo “Ora che mi sono rimesso un po’ in forze corro
nuovamente a cercare il mio amore. Lo devo trovare. Grazie di aver
fatto il palazzo di cristallo. Forse Yasmin è lì che mi aspetta!”
“Sei molto innamorato
di lei” non potei fare a meno di dire
“Tantissimo, non amo
nessuno quanto lei”
“Deve essere una
ragazza bellissima per aver suscitato una simile passione!”
scherzai io
“Non lo so, non l’ho
mai vista se non nei miei sogni. Ma di lei vedevo tutto fuorché il
viso. Ma la sua voce! Mi sono innamorato della sua voce. Tu non puoi
capire che voce ha la mia Yasmin”
“La tua Yasmin? Allora
vi siete già rivelati il vostro amore?” ero sbigottita da quella
strana conversazione
“No, cioè sì. Io nei
miei sogni glielo dico continuamente, ma ancora non l’ho trovata e
non ho potuto neanche sfiorarla con una mano”.
“Mio caro, mi sembra
una situazione molto ingarbugliata. Tu che stai dentro i miei quadri,
questa Yasmin che forse c’è anche lei, però non lo sai e infatti
non riesci a trovarla….ma non ti sembra di lavorare un po’ troppo
di fantasia?”
“Non lo so” rispose
mesto e voltandomi le spalle se ne andò rapidamente al galoppo su un
Jo decisamente ringalluzzito. Ma come si fa a dire di un cavallo che
è ringalluzzito?.
E’ vero che avrei
potuto richiamarlo, ma il mio deserto anche se era grande quanto il
primo, in prospettiva era talmente profondo che per arrivare
all’ultimo cactus che si vedeva giù in fondo si dovevano fare
almeno trenta chilometri. E lui era già lontano.
“Uffa, meno mi impiccio
di questa storia e meglio sto! E’ già tanto che gli permetto di
stare nel mio quadro….gli ho fatto il palazzo, che altro vuole da
me?”. Stavolta spensi la luce e con decisione uscii dalla stanza
dando un colpo secco alla porta.
Il mattino dopo stavo
decisamente meglio. Ero convintissima di essermi sognata tutto
quanto, quadri compresi. Non vedevo l’ora di ricominciare la mia
giornata che era fatta di cose molto più concrete e senz’altro al
di fuori di ogni deserto. La mia camera mi piacque come non mai!
Piena di allegro disordine, nel quale solo io riuscivo a districarmi,
parlava della mia vita più di un libro aperto. Alle pareti poster
delle Piramidi di Giza, un ritratto di Sean Connery in kilt, l’uomo
ideale di tutte le mie aspirazioni, una gigantografia del mio cane
con un occhio azzurro, una recensione di un magnifico e gigantesco
Pavarotti, di quando a Londra immortalò per sempre il “Nessun
dorma”. E poi libri sparsi in ogni dove, da quelli di archeologia,
ai romanzi di Ken Follet, ai classici più famosi fino ad arrivare ad
Eco e il Nome della rosa, per non parlare di Dan Brown e il suo
Codice da Vinci, affascinante e intrigante come non mai. Su tutti gli
ultimi libri di un’agguerrita Fallaci, cassandra maledetta e
scomoda dei tempi nostri…e l’ultima pazzia…l’Enigma dei
numeri primi, libro stupendo, esaltante, pieno dell’intelligenza
dell’uomo e della sua fantasia. Mai avrei immaginato che la
matematica fosse anche fantasia, mai avrei immaginato che l’avrei
capita così bene, sentendo mie le ipotesi e i teoremi più arditi
che abbia elaborato mente umana. L’ho potuto fare con la fantasia,
sembra strano vero? Certo non più strano che veder scorrazzare un
cavallo e un giovanotto nei quadri dipinti da me.
Mi stiracchiai fino alla
punta del dito mignolo del piede sinistro e non contenta rifeci la
prova, scoprendo di crogiolarmi in quello stiracchiamento sbadiglioso
che precede sempre qualsiasi mia giornata, bella o brutta, piovosa o
piena di sole, monotona o ricca di avvenimenti.
“Ora una bella
colazione e poi al lavoro!”. Ah! Mi sono dimenticata di dirvi chi
sono e cosa faccio. “Chi son? Sono un poeta, e cosa faccio ?
Scrivo! E come vivo? Vivo!”. Mi piacerebbe poter rispondere così,
sulla musica della Boheme, ma il mio lavoro è decisamente più
normale. Sono semplicemente una correttrice di bozze e a tempo perso
una mediocre pittrice, anche se devo confessare che l’odore dei
colori, della trementina, dell’acqua ragia, mi sono familiari da
sempre, come il croissant che mangio tutte le mattine. Però amo il
mio lavoro se non altro perché mi permette di lavorare a casa mia e
senza orari frustranti. Ho soltanto una scadenza per consegnare le
bozze lette e corrette, alla casa editrice, per cui se a un certo
momento della lettura di qualche manoscritto, mi accorgo che mi è
venuta voglia di dipingere, non faccio altro che smettere e cambiare
tavolo. I miei due tavoli parlano di me molto esaurientemente,
mostrando la mia doppia personalità. Molto ordinato e molto grigio
il primo, fa bella mostra di sé con un computer, una macchina da
scrivere piuttosto vecchia e tanti fascicoli, diligentemente
impilati. Il secondo, è di un’allegria e di un disordine unici.
Tubetti di colori che si rincorrono su tutta la superficie,
tavolozze, spatole, pennelli, pennellini, teorie di matite
coloratissime e tante, anzi tantissime boccette ne siglano la mìse,
insieme a tele e album da disegno, appoggiati negligentemente su un
cavalletto tutto macchiato di colore. Questo è il mio studio e il
mio ufficio, in definitiva insieme alla mia camera e a una minuscola
cucina, la mia casa, quella in cui a volte sogno cavalieri vestiti di
nero che rincorrono fanciulle trovate a loro volta nei sogni.
“Ma che sogno strano
che ho fatto stanotte!” mi appresto a dire alla fotografia di Dedo,
che mi guarda dalla mensola poco più in alto della scrivania. Parlo
tantissimo con Dedo, (all’anagrafe Demetrio Donati) perché è il
mio migliore amico, colui al quale non mi riesce di nascondere nulla,
che mi legge nel pensiero e sa quando sono triste. Il bello è che
lui lo sa molto prima di me! Questa è una cosa che mi ha sempre
stupito, ma che ho sempre accettato con naturalezza allo stesso modo
con cui bevo un bicchiere d’acqua.
Con Dedo tutto è
semplice perché non c’è amore tra noi ma solo una solida amicizia
che è cresciuta con il tempo, senza incrinarsi mai una volta. Eppure
è un bel ragazzo con incredibili capelli neri e occhi color del mare
in tempesta.
Sarebbe facile innamorarsi di lui per ogni ragazza, ma non per me. Io
sogno qualcosa di diverso, qualcosa di romantico e di affascinante,
mentre Dedo invece è molto tranquillizzante, molto comprensivo,
molto accomodante, molto prevedibile. Proprio l’amico che ciascuno
vorrebbe!
“Già, proprio uno
strano sogno!” e mentre dico queste parole lo sguardo mi cade sulla
tela nella quale ho dipinto un bel deserto. Davvero niente male!
Decisamente il mio
cavaliere nero se ne è andato a dorso del suo cavallo. Eppure è
stato un bel sogno! Resta il palazzo trasparente a forma di cubo. Per
un momento da quanto era trasparente non l’avevo nemmeno visto, ma
ora i miei occhi si stanno dilatando a dismisura perché ho scorto
qualcosa di strano in quel quadro, qualcosa che prima non c’era e
ora invece si sta materializzando in tutta la sua bellezza. Una
ragazza sta uscendo dal palazzo. Dire che sta uscendo, mi sembra
troppo riduttivo. Sta decisamente scalciando e tirando qualcosa
dietro, qualcosa che ha tutta l’aria di essere una valigia e anche
una valigia assurdamente grande., tanto grande che non ce la fa quasi
a spostarla.
“Se invece di stare lì
impalata tu mi dessi una mano a tirare questo coso, te ne sarei
grata!” Mi apostrofa con fare di chi è abituato a essere obbedito.
“Yaaaaasmin!?”
domando reticente e incredula
“E chi altri sennò?”
risponde la ragazza risentita. “Mi hai fatto te e non sai neanche
chi sono?” prosegue senza nessuna pietà per il mio sbigottimento.
“Ma io non ti ho
dipinto. Davvero non ti ho mai vista. Io ho dipinto solo il palazzo
di cristallo trasparente e nient’altro”. Mi trovo a rispondere
piena di perplessità.
“Eh già! E dentro quel
palazzo, chi pensavi ci abitasse? Pecos Bill?”
Guardo allibita la
bellissima ragazza che ho davanti ai miei occhi. Come è possibile
che una simile bellezza, possa racchiudere tanta aridità dentro di
sé?
“Allora ti vuoi
decidere a darmi una mano?” Mamma mia ma chi si crede di essere
questa?
Do voce al mio pensiero
e: “Ascolta io non sono la serva di nessuno, tantomeno la tua.
Prova a chiedermi in modo migliore che cosa vuoi e forse qualcosa
otterrai. Chi ti credi di essere la Principessa sul pisello?”
A tutto ero preparata
tranne a ciò che è accaduto immediatamente dopo. La bellissima
fanciulla si è accasciata ai piedi della sua valigia, scoppiando in
un pianto dirotto. Non sapendo cosa fare non ho trovato niente di
meglio da fare che tirare fuori un kleenex e provare a darglielo, ma
ciò si è dimostrato subito impossibile. Sarebbe stato come se a me
avessero offerto un lenzuolo matrimoniale per asciugarmi le lacrime.
Però questo l’ha fatta immediatamente ridere e ha fatto ridere
anche me. La tensione si è sciolta come per incantesimo e io mi sono
ritrovata davanti una bella ragazza che se invece di essere vestita
con quegli abiti assurdi con cui l’aveva formata la mia fantasia,
avesse avuto un paio di jeans e una maglietta, avrebbe potuto essere
Monica Bellucci, forse con qualche centimetro in più e un po’ di
tette in meno. Ma insomma siamo lì.
“Senti Yasmine mi vuoi
dire perché piangi? Mi sembra che hai tutto per poter essere felice.
Hai un bellissimo palazzo di cristallo, un cavaliere bellissimo che
ti sta cercando in lungo e in largo per offrirti il suo amore e
tu…cerchi di scappare per caso?”
“Certo che cerco di
scappare. Non mi piace niente di tutto ciò. Non mi hai fatto come
volevo essere io…….”e tirando su col naso ha cominciato
nuovamente a piangere rumorosamente.
“Aspetta! Aspetta!
Fammi capire! Perché dici che ti ho fatto io? Io non ho fatto un bel
niente…….”
“Non è vero! Io sono
nata dalla tua immaginazione e che ci posso fare se volevo essere
immaginata in un’altra maniera?”
“Ma scusa, cos’è che
non ti piace di te?”
“Niente mi piace….Prima
di tutto il nome. Non mi piace di chiamarmi Yasmine. Non ho niente
contro tutte le Yasmine del mondo ma Yasmine non sono io…………Io
ecco potrei essere Desireè”
“Beh! Se è solo questo
il problema di qui in avanti ti chiamerò Desirè”
“No non Desiré con una
e e basta ma Desirée. Io posso essere solo Desirée”
“E va bene sarai
Desirée… e se poi ne vuoi anche un’altra di e non fai altro che
dirmelo. Sono gratis”comincio a perdere la pazienza
“Ma figurati! Il nome è
solo una piccola cosa. Per quello che riguarda la casa mi potrebbe
stare anche bene. E’ bella e confortevole, ma io non voglio essere
una principessa, oppure se proprio devo esserlo voglio essere una
principessa moderna, dei tempi nostri, una che vive la sua vita senza
aspettare che a farla vivere sia un cavaliere del quale non conosco
nemmeno il nome”
“Si chiama Solo con un
cavallo” Troppo tardi mi accorgo di aver fatto un altro errore
“Solo con che?” La
ragazza ha sbarrato gli occhi, ma per fortuna ha smesso di piangere
“No guarda, non è il
suo vero nome. Sono io che l’ho chiamato così perché non sapevo
che nome dargli!”
“Lo vedi quanti errori
fai?”
“Non mi sembra che un
nome, per quanto fantasioso sia la cosa più importante. Non so se
hai visto bene quanto sia bello il nostro cavaliere”
“E con questo? Non è
il mio tipo. Io voglio scegliermelo da me il ragazzo, e non che una
stupida donna con una fantasia deprecabile, mi voglia fare accoppiare
con chi pare a lei”. La ragazza sta andando decisamente fuori dal
seminato
“Ehi carina. Aspetta un
attimo. Io non voglio fare accoppiare proprio nessuno. Figurati che
questa cosa io ero sicura di averla sognata e continuo a crederlo
anche ora, solo che ora si tratta proprio di un brutto sogno”.
“Troppo facile così
mia cara…..a proposito ma tu come ti chiami?”
“Io? Io sono Lara”
“Senti Lara, ascoltami.
Da donna a donna. Ma se a te qualcuno ti portasse a casa un uomo e ti
dicesse: ti devi mettere con questo, tu che faresti?”
“Lo manderei al diavolo
ecco che farei!” ho ribattuto risentita.
“E allora perché non
posso farlo io?”.
Il suo ragionamento non
fa una piega: La capisco benissimo, solo che ho ancora davanti a me
l’espressione estasiata di Solo con un cavallo quando parlava della
sua Yasmine.
La ragazza ora è più
tranquilla. Si è seduta sull’enorme valigia e mi guarda con uno
sguardo più sereno. Niente da ridire. Ha degli occhi incredibili.
Sarà anche frutto della mia immaginazione, ma mi sembra di aver
fatto proprio un bel lavoro. Mi affretto a dirglielo, ma lei mi
precede
“Senti Lara, ti
ringrazio per avermi fatto come sono, perché sono veramente bella,
lo vedo anche da me. Purtroppo per te mi hai dotato anche di una
personalità”.
Annuisco. E di una
personalità anche molto forte mi pare!
“Vedi Lara, io come
avevo cominciato a dirti, se devo proprio essere una principessa,
sarò una principessa. Mica ci sputo sopra a tutto questo ben di
dio…….però sarò una principessa come dico io”
“E cioè?”.
“Voglio essere una
cantante. Voglio diventare una cantante famosa e voglio anche
innamorarmi, certamente, ma il ragazzo deve piacere a me, non a te.
Io voglio un giovane che abbia gli occhi sognanti, che sia dolce,
simpatico, disponibile,……..ecco guarda…..un ragazzo come quello
della fotografia che hai su quella mensola”.
Sbarro gli occhi
inorridita. “Ma quello è Dedo!!!!!!!!”
“Dedo sì, anche il suo
nome mi piace. Ma chi è Dedo, tuo fratello?” chiede speranzosa
“Ma niente affatto.
Dedo è il mio migliore amico e non credo proprio che tu saresti la
ragazza adatta a lui”
“E perché mai?” mi
domanda nuovamente imbronciata
“Beh! Per prima cosa
lui è un tipo tranquillo e tu, mi pare sei un vulcano instabile……e
poi santo cielo, ti rendi conto che tu stai dentro un quadro?”
Yasmine Desirée pensa un
po’ e poi il suo volto si illumina
“Questi sono affari
tuoi. Pensa al modo di tirarmi fuori di qui. Io voglio conoscere
Dedo, o lui o nessun altro e tu mi devi aiutare perché in fin dei
conti hai delle responsabilità verso di me”
“Già, però ce le ho
anche verso Solo con un cavallo….e anche verso Jo se è per questo”
sospiro sconsolata
“Sei una scema! Sei una
scema! Sei una scema!” Continuo a ripetermelo ininterrottamente,
mentre guardo Desirée con due e, che aspetta che io le dica
qualcosa. “Ma perché invece di metterti a sognare, quella sera non
sei andata a farti una bella passeggiata, o magari non hai invitato
Dedo a cena e ascoltato le sue noiosissime chiacchiere sull’ultima
musica che ha composto e che nessuno suonerà mai?”
“Lara! Lara! Ohi, dico
a te, mi senti?”
“Certo che ti sento, e
penso a come posso farti conoscere Dedo, ma non so proprio come fare.
Credimi, io vorrei vedere tutti i miei amici felici e contenti, ma
non sono una fata, non ho la bacchetta magica e non conosco nessuna
pozione che mi possa aiutare. Io sono solo una persona dotata di
troppa immaginazione e mi sono fregata con le mie stesse mani.”
“Con questo mi vuoi
dire che non mi aiuterai?. Non ci credo. Non sei la persona che
lascia a piedi gli altri. L’ho capito quando hai disegnato il
ruscello nel deserto e il palazzo trasparente. Senti, facciamo così…
Io ti prometto che per ora non scappo, però tu tieni lontano Solo
con un cavallo, e poi pensiamo a qualcosa che possa farmi conoscere
questo ragazzo così simpatico” e il suo sguardo si posa con
adorazione sull’immagine di Dedo. Anch’io lo guardo
automaticamente domandandomi come posso fare a tenere il mio amico
fuori da questa storia, ma non lo so. Tra l’altro domani deve
venire a cena da me e improvvisamente non mi sento più a mio agio,
sapendo che Desirée comunque potrà guardarlo indisturbata e
ascoltare quello che ci diremo.
O bene Ci penserò
domani.
“Desirée, ascoltami
bene. Cercherò di fare qualcosa, ma non so che. Quello che so è che
ora devo lavorare e anche parecchio, per cui se permetti la finisco
qui. Ci risentiamo poi! Ciao”
“Ciao Lara e per
piacere non dire a Solo con un cavallo che mi hai visto, altrimenti
mi sa che nasceranno guai”.
Stamani appena mi sono
svegliata stavo decisamente meglio. Chissà perché con la luce del
sole tutto sembra più semplice, più risolvibile.
“Uffa, non voglio più
pensarci, ho troppe cose da fare. …..Allora.! intanto mi metto a
correggere le bozze, perché le devo riconsegnare entro la settimana,
poi, non sarebbe male mi mettessi a dipingere un po’. E’ da tanto
tempo che non lo faccio, e credo che mi servirebbe molto per
allentare la tensione di questi ultimi giorni………Poi dovrò
imbastire qualcosa per la cena di stasera con Dedo, anche se lui, non
è esigente davvero. L’ho sempre detto io che Dedo è un uomo da
sposare!”
Involontariamente mi sono
messa a ridere pensando a Dedo sposato. Chissà perché, ma non
riesco proprio a vedercelo! Dedo è Dedo, è la persona disponibile
ad ascoltare le mie paturnie, ad entusiasmarsi per i miei paesaggi,
ad accettare il mio carattere lunatico e fantasioso.
“E’ davvero l’amico
migliore che uno potrebbe avere!” dico ad alta voce sorridendo alla
sua immagine che mi guarda dalla cornice azzurra che la imprigiona.
“E Desirée con due e?”
“Ma che cavolo vuole
quella! Non esiste nemmeno e si ostina a darmi tutti questi
grattacapi! Come vuoi che faccia stupida pupattola a programmare un
appuntamento tra te e Dedo, se tu non esisti? Eh!? Me lo dici come
faccio?....E siccome sappiamo entrambe che tu non esisti, non rompere
più e lasciami lavorare!” Ma possibile che anche ora l’immagine
di quella ragazza venga a scompigliare i miei pensieri? Sbatacchio un
po’ di suppellettili, per chiedere conferma che ho ragione di
mandare Desirée con due e al diavolo.
“E Solo con un cavallo,
che fine avrà fatto? Potevo aver inventato solo lui? Invece
nossignori, cretina che non sei altro, ti sei andata a complicare la
vita. Se ci fosse stato solo lui avrebbe continuato a girovagare per
il deserto col suo stupido cavallo, tanto a questo punto non gli
mancava né da bere né da mangiare, e tutti saremmo vissuti felici e
contenti”.
“Ne sei proprio
sicura?”
“Certo che sono sicura,
strasicura….ehi! Un momento, questa cosa non l’ho detta io!”
Mi giro di scatto perché
so da dove proviene quella voce! Solo con un cavallo mi sta guardando
dal mio quadro, mentre poco più in la Jo, bruca intorno a una pozza
d’acqua. Mi guarda per un momento fa una specie di nitrito che mi
ha tutta l’aria di disapprovazione e poi non si cura più di me.
Forse ha sentito che gli ho dato dello stupido.
“ Certo che non l’hai
detto te! Sono stato io e te lo ripeto. Ne sei proprio sicura? Non
sai che da soli si sta male? Guardati! Chi hai te oltre il tuo amico
Dedo? Sei talmente sola che per avere compagnia sei stata costretta a
inventare noi. Noi abbiamo portato movimento nella tua vita
pianificata, noi ti abbiamo fatta sentire indispensabile, arrabbiata,
tenera, debole. E tu mi vieni a dire che è meglio essere soli? Ma a
fare che?” Solo con un cavallo è molto serio mentre mi dice queste
cose ed io comincio a intuire che la mia giornata, cominciata così
bene, sta per essere rovinata inesorabilmente.
“Ehi giovanotto! Sei
troppo filosofo per i miei gusti e poi scusa, chi ti ha permesso di
entrare negli affari miei? Pensa piuttosto a te, e a quella
schizofrenica della tua principessa dei miei stivali, che non riesci
neanche a tenertela vicino!” Troppo tardi mi accorgo dell’errore
che ho fatto
“Che vorresti dire? Hai
visto Yasmine? Dove l’hai vista? Perché non me l’hai detto
subito?” Solo con un cavallo comincia ad arrabbiarsi e devo dire
che è veramente bello vedere uno tutto vestito di nero, con gli
occhi neri e i capelli neri, diventare nero di rabbia.
“E va bene l’ho
vista! Quanto a dirtelo dimmi tu come facevo, visto che te ne sei
andato via come un fulmine e sei sparito dietro quelle dune, con la
velocità di un ghepardo!” e indico le dune del mio quadro
“Ma che ti ha detto? Ti
ha parlato di me? Hai visto quant’è bella?” Come vorrei che
qualcuno dicesse queste cose a me con lo stesso tono di voce, mi dico
sospirando
“Quanto a essere bella,
lo è davvero. Anzi! Bellissima. Per il resto ha un carattere
pestifero e bizzoso e se fossi in te, andrei a cercarmi un’altra
ragazza. Il mondo è pieno di belle ragazze anche più di Yasmine o
Desirée, come vuole che la chiami io!”
“Oh che bel nome!
Ancora più bello! Come le si addice”
“Oh che bel tonto!
Possibile che non ti accorgi di stare a sprecare il tuo tempo dietro
a quella, quando potresti fare cose molto più intelligenti?
“Del tipo?”
“Beh! Mica potrai stare
sempre dentro questo quadro. Dovrai pure guadagnarti la vita in
qualche modo, non credi?” rispondo spazientita
“Tu non ti preoccupare
per me, non ho assolutamente bisogno di lavorare e se volessi potrei
togliermi tutti gli sfizi di questo mondo. Ma io voglio una cosa che
per ora mi sfugge. Voglio Yasmine, o meglio Desirée. Anch’io da
oggi la chiamerò con questo nome.!”
“Senti mio caro Solo
con un cavallo….
“Come mi hai chiamato?”
mi chiede ridendo
“Solo con un cavallo.
Non so in quale altro modo posso chiamarti. Non mi vuoi dire il tuo
nome, e a me non andava di parlare con una persona della quale non
conosco neanche il nome. …..Allora mi è venuto in mente questo”
rispondo piano, quasi scusandomi
“Certo la fantasia non
ti manca!” continua ridendo
“A te invece!!! Vero?”
ribatto piccata.
“ Senti Lara, smettiamo
di punzecchiarci. Ti domando scusa se posso averti dato l’impressione
di intromettermi negli affari tuoi. Lungi da me! Ma continuo a
chiederti che tu ti intrometta nei miei, visto che noi siamo qui
perché tu ci hai pensato. Però siamo infelici, io per un verso,
Desirée per un altro. Aiutaci in qualche modo a trovare la nostra
strada……”
”Ehi un momento! Io ho già detto che non ho la bacchetta magica, né ho poteri speciali. Tu un minuto fa mi dici che non ho saputo fare niente della mia vita e pretendi che sappia fare per la tua? Scordatelo mio caro! Per me potete tornare anche da dove siete venuti!”
”Ehi un momento! Io ho già detto che non ho la bacchetta magica, né ho poteri speciali. Tu un minuto fa mi dici che non ho saputo fare niente della mia vita e pretendi che sappia fare per la tua? Scordatelo mio caro! Per me potete tornare anche da dove siete venuti!”
“Perché dici cose che
non pensi?” ribatte lui “Sai benissimo che non è così e che
non ti disinteresserai di noi! Solo che hai paura di mostrare la tua
parte fragile, romantica, ecco…”
.Non rispondo. Non so che
dire. Le sue affermazioni mi hanno lasciato senza parole. Possibile
che abbia ragione? Possibile che io non abbia saputo vivere la mia
vita? Possibile che io sia più tenera di quello che credo?
Possibile?!!!
“UUUUUUUUHHHHHHHHHH! Ora basta. Ne ho le tasche piene.
Preferisco pensare agli
affari miei e disinteressarmi di cose che esistono solo nella mia
immaginazione. Basta! Al lavoro! E mentre dico queste cose passando
oltre getto un’occhiata in tralice a Jo, che continua a brucare, ma
per un attimo il suo sguardo ha incrociato il mio ed è stato un
attimo di troppo. Vi ho letto tutta la sua disapprovazione
La tavola è pronta e il
profumino che arriva dal forno non è male. Dedo tra pochi minuti
sarà qui e passeremo una piacevole serata, come solo due amici come
noi sanno passare. Lui mi parlerà della sua ultima musica, io farò
finta che sia bellissima, per non vedergli lo sguardo da cane
bastonato, poi gli farò ammirare la mia ultima tela e lui dirà che
è bellissima, come tutte le cose che faccio, per non vedermi con gli
occhi da cane bastonato, e con queste nuove certezze andremo avanti
per un’altra settimana sentendoci quasi felici.
Driiiin! Driiin!
“Arrivo , eccomi!” e
spalanco la porta su un giovanotto niente male che tiene con una mano
una bottiglia di vino e con l’altra un fiore, che a dir la verità
comincia un po’ a ciondolare.
“Ciao” mi dice Dedo
oltrepassando la soglia e dirigendosi verso la poltrona dove lascia
andare tutto, fiore compreso, che poi addita dicendo “questo è il
titolo della mia ultima composizione!” “
“E come si intitola la
tua composizione…Fiore stanco?” domando un po’ perfidamente. Ma
è come dire al vento. Dedo non raccoglie mai le provocazioni. “No
si intitola Piccolo fiore” per lui l’argomento è finito.
“Che profumo!”
”Vero?” dico io. Anche questo è scontato. Per Dedo sono un’ottima cuoca, segno evidente che i suoi pranzi sono di quanto più schifoso ci possa essere.
”Vero?” dico io. Anche questo è scontato. Per Dedo sono un’ottima cuoca, segno evidente che i suoi pranzi sono di quanto più schifoso ci possa essere.
“Se vuoi possiamo
cominciare a mangiare! Così poi possiamo uscire a fare una
passeggiata…..”
“Sì, mangiamo subito,
perché ho fretta di farti ascoltare il nuovo pezzo che ho
scritto…Stavolta sento che ho fatto veramente qualcosa di buono!”
“E la passeggiata?”
domando di malumore
“Ci andiamo un po’
più tardi, ti va bene?
“Ok. Dedo” annuisco
accomodante. In fin dei conti è un piacere vedere quella luce di
compiacimento nei suoi occhi
Se c’è una cosa che
non manca a Dedo è l’appetito. Spazzola tutto quello che gli metto
davanti con la velocità di un fulmine, ma mentre mastica riesce
anche a parlare della cosa che gli interessa, cioè della sua canzone
“Certo ci vorrebbe una
voce di donna una voce calda, per questa musica….non la può
cantare chiunque, solo che non conosco chi può interpretarla”
“Se vuoi la canto io”
rido divertita e anche Dedo mi fa eco. La mia voce è ciò che di più
stridulo possa esistere, ma mentre lo dico il sorriso mi muore sulle
labbra, perché a dispetto di me stessa mi è tornata prepotentemente
in testa Desirèe che mi diceva “Voglio fare la
cantante”
”Accidentaccio!” mi scappa detto
”Accidentaccio!” mi scappa detto
“Cosa?” Dedo mi
guarda sorpreso
“Niente, niente, mi è
venuto in mente una questione di lavoro……continua pure….dicevi?”
“Veramente eri tu che
dicevi, comunque mi sa tanto che anche questo resterà un sogno nel
cassetto” sospira alzando le spalle. Ma poi sorride immediatamente.
Adoro Dedo per questo suo
carattere così solare. Niente può intristirlo per più di dieci,
dodici secondi al massimo. Fortunato lui.
“Beh! Allora si può
sentire questo capolavoro?”
“Sì prendi in giro,
prendi in giro” ma intanto si è avviato verso la mia tastiera, che
ha visto sicuramente tempi migliori, prima che la utilizzassi come
piano di appoggio di tutti i miei tubetti di colore.
“Ma insomma Lara,
quando ti deciderai a capire che uno strumento musicale non può
essere un tavolino?” mi dice ridendo, cercando di impegnarsi
nell’ardua impresa di liberare la tastiera.
“Creiamo un’atmosfera
– dico improvvisamente – accendiamo la lampada azzurra e
spengiamo quelle centrali”
“Ok. Posso cominciare?”
“Sono tutta orecchie!”
Quando Dedo suona io non
mi stanco mai di guardarlo. Tutto il meglio di lui viene fuori in
quei momenti. Lo sguardo perso in un mondo lontano, i capelli che
scendono sulla fronte, le mani lunghe e affusolate e quella musica
che cattura e porta lontano, verso altri cieli.
Cosa?
Cerco di tornare presente
a me stessa e mi metto a sedere più eretta. No! Non mi sono
sbagliata. Stavolta la musica di Dedo è veramente bella, un
gioiello, una perla rara, una goccia d’acqua che scende lungo la
schiena e la fa rabbrividire. E’ vero, ci vorrebbe una voce calda,
suadente,morbida per una simile musica, e Desirèe mi ritorna in
mente, e anche se provo a scacciarla, rimane……”Voglio essere
una cantante io!”
Mi sento stranamente
turbata dalla musica, dai pensieri, da Dedo che continua ignaro a
dare il meglio di se stesso. E’ un attimo fuori dal tempo che
durerà….Driin! Driiiiiin!
Mi alzo di scatto, quasi
contenta che qualcosa abbia interrotto quella magia. Ma chi può
essere? Non aspetto nessuno a quest’ora. Meccanicamente apro la
porta e
“Desirèe,…….ma che
ci fai qui?”
“Sei tu che mi hai
chiamato, non ti sei accorta che pensavi continuamente a me? Ed
eccomi qua. Che bella musica! Chi è che suona?......No! Non mi dire
che è Dedo!”
“Sì è proprio lui, e
se mi vuoi fare un piacere vattene!”
“Andarmene? Ma con che
coraggio me lo chiedi? Ho trovato l’uomo della mia vita e non mi
permetti nemmeno di vederlo? Sei proprio sadica!”
“Lara ma con chi
parli?” la voce di Dedo arriva pericolosamente vicina
“Niente niente. E’
una mia amica che passava di qui a salutarmi, ma ora se ne va!”
“Non ci penso nemmeno”
sibila Desirè “ Però Lara, mi devi prestare qualcosa da mettermi.
Non posso mica andare di là con un vestito come questo?”
“Ma cosa vuoi che ti
dia? Noi due non abbiamo nemmeno la stessa taglia!”
“Non ti preoccupare,
vedrai che me la saprò cavare. Ti prego Lara solo per dieci
minuti,…poi me ne vado”
“Non se ne parla
nemmeno. Ti vuoi decidere a uscire dalla mia vita?” le sibilo
arrabbiatissima
“ No non me ne vado,
non ti conviene credimi, perché sennò il tuo amico saprà che
soffri di allucinazioni” risponde incattivita
“E chi glielo dirà?
Tu? Tu ci sei solo perché io ti ho creato io!” sorrido beffarda
Per un attimo la vedo
interdetta, quasi vacillante, ma dura poco. Oltretutto è anche
intelligente.
“E’ vero, ma ormai ci
sono e tu non puoi proprio fare niente se non darmi una mano a vivere
la mia vita” risponde sicura di sé
“Come rimpiango quel
momento! Pensavo che sognare qualcosa di bello non fosse causa di
guai….e invece!”
La mia amarezza è
evidente e vedo Desirèe dispiaciuta
“Dai Lara, accontentami
e ti prometto che tra dieci minuti me ne vado”
“Promesso?” Non
voglio impelagare Dedo in questa storia di allucinazioni
“Promesso!”
Chi dice che le donne ci
mettono ore per cambiarsi? Niente di più falso! Ho staccato da
dietro la porta di camera una tunica azzurra che porto quando voglio
stare comoda e l’ho tirata a Desirée, che in un’attimo l’ha
indossata e in un altro attimo se l’è drappeggiata da principessa
quale è.
“Dedo? Ti presento
Desirée. Desirée questo è il mio amico Dedo” Dedo è balzato
dalla seggiola e senza riuscire a staccare gli occhi dalla ragazza
che gli sorride, risponde un timido “Incantato”.
Incantato lo è davvero,
anzi a ben guardarlo sembra molto di più che incantato. Sembra un
deficiente. Scuoto il capo
sconsolata. Possibile
che anche Dedo sia il solito fesso che si fa abbindolare da un paio
di occhi azzurri? Ma come faccio a dirgli che Desirée con due e o
anche con un’e sola non esiste e la personcina squisita che è
davanti a lui è solo un ologramma proiettato dalla mia mente?
Possibile che Dedo non si accorga dell’assurdità di tutto quanto?
Lui, con la sua intelligenza!
“E’ possibile, è
possibile! Sicuro che è possibile. Guardalo là...il tonto” Non so
se mi viene da ridere o da piangere. Non lo so ecco! So solo che mi
sento di troppo in quella stanza.
“Ho sentito una musica
bellissima entrando” Desirée tira fuori tutto il suo charme. Anche
la sua voce è bellissima. “Quanto sarebbe bello poterla
interpretare”
“Se vuole le faccio
vedere le parole. Le ho scritte sopra uno spartito”
“Grazie mi farebbe
veramente piacere”!
“Grazie mi farebbe
veramente piacere”! mastico tra me e me. Possibile che quei due non
si accorgano di quanto sono cafoni? E io che ci sto a fare qui? Il
paralume?
Mentre faccio queste
considerazioni sbatacchiando le mie suppellettili, la musica di Dedo
ricomincia in tutta la sua armonia e subito dopo una voce aggraziata,
profonda e limpida nello stesso tempo, rende quelle note ancora più
seducenti. Niente da ridire ! Desirèe ha veramente una voce
bellissima. Ha ragione a voler diventare una cantante. Mi sa tanto
che Solo con un cavallo dovrà rassegnarsi e cercarsi un’altra
principessa!
“Oddio non devo pensare
a lui. Non devo assolutamente pensare a lui! Hai visto che è
successo quando hai pensato a Desiré? Vuoi che qui dentro succeda un
macello?. Magari mi porta anche il cavallo! Eh! No! Corriamo ai
ripari” e mentre mi dico freneticamente queste parole, getto la
tovaglia sul quadro del mio deserto, appoggiato in un angolo,
sperando in cuor mio che Solo con un cavallo, non si sia accorto di
niente.
Involontariamente tiro un
sospiro di sollievo! Solo con un cavallo non si è accorto di niente
e immediatamente mi viene in mente l’espressione innamorata di quel
bel ragazzo tutto vestito di nero e mi accorgo di parteggiare
apertamente per lui. Come posso aiutarlo a conquistare la sua
principessa, e allo stesso tempo aiutare Dedo a non invischiarsi in
una situazione a dir poco imbarazzante?
Intanto la canzone è
finita,ma Desirée non accenna minimamente ad andarsene. Anzi! Si è
spaparazzata tranquillamente sul mio divano e chiacchiera
animatamente con Dedo, che la guarda affascinato.
“Brutta smorfiosa!”
sibilo tra me e me”meno male che mi aveva assicurato che se ne
andava dopo dieci minuti….Ora ci penso io” e senza starci a
riflettere tanto sopra torno verso di loro e con il miglior sorriso
che riesco a stamparmi in faccia le tocco una spalla e…..
“Desirée, ti volevo
solo ricordare che mi avevi detto che dovevi andartene subito perché
hai un appuntamento!”
“Grazie Lara, ancora
dieci minuti e scappo. In fin dei conti il mio appuntamento non è
poi così importante…”ribatte lei sorridendomi perfidamente, o
almeno così pare a me, ma non la lascio finire
“Ma come non è
importante. Via non ti sminuire così. Non mi avevi detto che dovevi
incontrarti con alcune persone importanti che volevano proporti un
contratto?” invento spudoratamente
“:::Unnnn….contratto?”
deglutisce lei evidentemente spiazzata una volta tanto
“Ma sì cara, a Dedo lo
puoi dire che non sei una semplice autodidatta. Sbaglio o stai per
diventare una cantante professionista?” dico candidamente
“Già……sì, è
meglio che me ne vada allora!” finalmente Desirée ha capito che
non è più il caso di insistere e che io posso diventare cattiva e
arrivare persino a dire tutto a Dedo.
Dedo è il mio migliore
amico e non si tocca. Verrà anche per lui il momento di innamorarsi
di una ragazza, ma per dindirindina sarà una ragazza vera e non un
ologramma,… per quanto un bell’ ologramma.
“Mi dispiace che vai
via” Dedo sembra veramente afflitto “mi sarebbe piaciuto ancora
suonare per la tua bellissima voce, ma capisco che un appuntamento
del genere non si può rimandare.
“Può darsi che ormai
il mio ritardo sia inaccettabile!” Desirée cerca di riguadagnare
punti, ma stavolta non sono costretta a intervenire perché Dedo,
lasciandomi a bocca aperta dice”Ti accompagno io, non mi perdonerei
mai che tu perdessi un’occasione per causa mia”.
Sono costernata. E ora
che succederà? Se ora Dedo esce con Desirée, lei sparirà o il mio
pensiero riuscirà a farla sembrare ancora vera? So che è inutile
dire a Dedo, che posso accompagnarla io, perché quando lui decide
una cosa, nessuno riesce a farlo desistere, anzi, caso mai il
contrario.
Sono agitatissima. Ma
guarda te in che impiccio sono andata a mettermi e guarda un po’
chi ci ho tirato dentro. E’ vero che è il mio migliore amico, ma
proprio per quello so che è anche tenero, sprovveduto, fiducioso
come un bambino.
Anche Desirée mi sembra
abbastanza scossa. Forse anche lei pensa che non sarebbe proprio una
cosa stupenda sparire in un attimo, davanti agli occhi di quel
ragazzo che ha definito l’uomo dei suoi sogni!
“Pensami per piacere.
Ti prego pensami intensamente Lara, pensami almeno per dieci,
quindici minuti, in modo che Dedo possa lasciarmi a destinazione”
mi bisbiglia all’orecchio Desirée
“Ma quale
destinazione??!! Lo sai benissimo che non c’è nessuna destinazione
e che non hai alcun appuntamento” ribatto acida e sottovoce
“Ti prego, ti prego….”
“Va bene, ok. Ma come
farai a non farti accorgere da Dedo che è tutta una montatura?”
“Non lo so, ma stai
tranquilla che mi arrangerò”
“Ehi, voi due, che
avete da confabulare?” si intromette Dedo ridendo. Ha appena finito
di risistemare i suoi spartiti
“Niente niente,
confidenze tra donne” dico io abbastanza sbrigativa
“Che c’è Lara, sei
arrabbiata?” Dedo mi guarda fissamente con occhi interrogativi.
Forse pensa che stasera mi ha trascurato in maniera vergognosa e ora
cerca di scusarsi in qualche modo. Ma non è mia intenzione fargliela
passare liscia
“Affari miei, non ti
preoccupare” e così lo liquido in quattro balletti, piantandolo
lì, senza dargli il tempo di ribattere.
“Bene, ….sei pronta
Desirée?” chiede Dedo in tono un po’ dimesso
“Prontissima”
risponde lei abbastanza nervosamente “Ciao Lara …e grazie di
tutto”
“Ci vediamo domani! –
dice Dedo dando la cosa per scontata. Questo lo dici tu!
“Domani ho un
appuntamento” rispondo prontamente, per niente imbarazzata. In fin
dei conto se posso inventare appuntamenti per Desirée, per quale
motivo non dovrei inventarli per me?
“Un appuntamento?”
chiede Dedo “E con chi?”
“Ehi, vacci piano mio
caro! Mica penserai che ti debba dire tutto quello che faccio per
caso…o con chi devo uscire!” rispondo ridendo come se stessi
prendendolo bonariamente in giro
“Ci sentiamo !”
aggiungo quasi subito per mitigare la mia stupida risposta.
Non vedo l’ora che se
ne vadano tutti e due. Quello che succederà una volta fuori dalla
mia porta, non sono affari miei. Ho preso l’impegno di pensare a
Desirée per quindici minuti. Lo farò per venti e poi, me ne andrò
a letto, perché ho decisamente sonno e il mio tempo da dedicare alle
paturnie degli altri è esaurito .
Sorrido tra me e me e per
un attimo entrambi mi guardano come se non mi riconoscessero, poi in
silenzio escono tirandosi dietro la porta.
“Fnalmente se ne sono
andati! Non ne potevo proprio più!” e mentre dico queste cose mi
butto a capofitto sul divano, esausta oltre ogni dire “ma tutte a
me devono capitare….che ho fatto di male per ritrovarmi sempre in
un mare di guai?” brontolo risentita.”Concentrati – mi dico –
hai promesso di pensare per venti minuti a Desirée e le promesse
sono promesse….ma perché non riesco a pensare a te Desirée dei
miei stivali? Perché se penso a te mi viene sempre in mente Solo con
un cavallo? Come si fa, dico io, a preferire Dedo a uno come Solo con
un cavallo……..non riesco davvero a capirlo. A proposito che farà
in questo momento?”
Piano piano sollevo un
lembo della tovaglia che ricopre il mio quadro, per vedere se il mio
cavaliere e il suo cavallo sono ancora lì. Jo in effetti è ancora
in riva al ruscello e appena si accorge di essere osservato, mi
guarda a sua volta e l’espressione dei suoi occhi sa di
compatimento. Mi sembra persino che scuota il capo mentre mi guarda.
Poi improvvisamente fa un grosso nitrito che mi fa fare un salto
all’indietro mandandomi a finire a gambe all’aria
“Brutto somaro di un
cavallo!” gli grido inviperita “ma chi ti credi di essere? Guarda
che di brocchi come te è pieno il mondo e fanno tutti una brutta
fine!” Mi ci voleva proprio una sbecerata come questa.
Improvvisamente mi sento molto meglio e d’un tratto sono rilassata.
Guardo nuovamente Jo domandandomi se per caso non l’ho offeso
troppo e… “Santi numi…..Jo, ma che fai ridi?”
In effetti il cavallo ha
un’espressione proprio buffa sul suo muso e la sua dentatura è
tutta in evidenza in un sorriso come solo don Camillo sapeva fare, ma
Jo non gli è da meno,…no davvero! Ora capisco! Il mio cavallo è
psicologo e con quell’atteggiamento compassionevolmenteriprovevole,
voleva solo spingermi a reagire e a sfogarmi, cosa che ho fatto, mi
pare!
“Grazie Jo,” mi
ritrovo a dire e nuovamente rimango stupita quando vedo i suoi occhi
ammiccare. Tra un po’ andrò a letto ma prima metterò in uno
sgabello di fronte al quadro un po’ di carote. Potrebbe anche
mangiarle! In questa casa succede di tutto da un po’ di tempo in
qua!
E’ di nuovo mattina!
Apro un occhio, lo richiudo, li apro tutti e due, li richiudo
nuovamente, sentendo che la realtà si sta rimpadronendo di me.
“Oh ti prego ti prego!”
mugugno rivolgendomi a qualche sconosciuta entità benevola “ti
prego, fa che sia un sogno, che non ci sia neanche più quel
maledetto quadro, dietro l’angolo, che tutto si risolva in una
bolla di sapone, e che io possa tranquillamente tornare a fare le mie
cose, come facevo fino a tre giorni fa……ti prego ….ti prego”.
Ma già mentre dico
queste cose sento che c’è qualcosa che non va. Mi sarebbe
difficile rinunciare a Jo ecco! Non voglio rinunciare a Jo e so per
certo che se non voglio rinunciare a lui devo tenermi anche Solo con
un cavallo e Desirée con due e. E poi neanche loro sono malaccio,
devo ammetterlo, è solo che io non posso essere l’artefice della
loro felicità e quindi della loro vita. Sono loro perbacco che
devono riuscire a sapere cosa vogliono e cosa fare per ottenerlo.
L’unica cosa che so è
che Desirée non può avere Dedo, per un semplice motivo; Dedo è
fatto di carne e di ossa, lei solo di pensiero.
“Cosa posso fare?” mi
dico rigirandomi un biscotto tra le mani, più tardi, seduta al
tavolino davanti una tazza di caffè “Non so davvero che posso fare
e come posso aiutarli! Se almeno Solo con un cavallo non fosse sempre
così collerico e non sparisse ogni volta che cerco di sapere
qualcosa di più di lui,….se…..”
“Lara mi senti? Ti ho
chiamato almeno dieci volte, ma sembri diventata sorda!
Apro completamente gli
occhi e mi volto verso la voce che mi ha chiamato, stupita, perché
Solo con un cavallo, stamani ha la voce decisamente tranquilla…anche
una bella voce devo dire!
“ Ciao, scusami, ma ero
immersa nei miei pensieri e non ti ho sentito proprio!”
“Però mi hai pensato e
anche parecchio perché sono dovuto tornare indietro di molti
chilometri per raggiungerti. Che c’è Lara?” mi chiede
gentilmente
“Senti Solo con un
cavallo, ….e ti prego non ridere se ti chiamo così, perché la
colpa è tua che non vuoi dirmi chi sei, quindi falla finita e
ascoltami!”
“Sono qui a tua
disposizione mi pare…allora dimmi!”
“Bene! Se proprio lo
vuoi ecco! Ieri sera Desirée con due e, è venuta a casa mia e si è
incontrata con Dedo, ha cantato con Dedo, è uscita con Dedo e…”
“Ma sei impazzita Lara?
Perché hai permesso che Desirée entrasse in casa tua? Perché l’hai
pensata intensamente? Perché le hai dato la possibilità di uscire
con Dedo? E più che altro dove è ora?
“Non ne ho la minima
idea…”rispondo abbattuta. Ti pareva che non fosse colpa mia?
“Lasciamo stare….e
più che altro cerchiamo di rimediare! Ma tu di qui in avanti mi devi
promettere di fidarti di me e di fare quello che ti dirò. Io devo
ritrovare in tutti i modi la mia principessa, perché lei e solo lei
è la donna della mia vita….hai capito?”
“Certo che ho capito”
rispondo con una strana soggezione. L’uomo che mi parla in questo
momento ha ben poco di tenero, ma da lui scaturisce un’autorevolezza,
che mette a disagio
“Bene Lara” riprende
più addolcito “a questo punto è bene che tu sappia chi sono io”
“Sarebbe l’ora”
rispondo senza riuscire a trattenermi.
Solo con un cavallo
sorride tranquillamente e riprende:
“Ascolta! Io sono Amhed
Hassan Ben Jor, e sono un principe di Dubai. Le mie ricchezze sono
immense e le mie proprietà hanno confini talmente estesi che neanche
io li conosco tutti. Sono stato un privilegiato della vita ma non ho
potuto avere l’unica cosa che desidero più di tutto al mondo:
l’amore di Jasmyne, o di Desirée come lei vuole che si chiami.
Desirée è davvero una principessa ma è anche una ragazza del suo
tempo e non accetta di sposarmi solo perché mi era stata promessa in
sposa. Lei so che ha sempre detto che dovrà amare l’uomo della sua
vita e io le do ragione. Noi non ci siamo mai visti, io l’ho
sentita solo cantare e già la sua voce è bastata per farmi
innamorare di lei. …..e vorrei che anche lei si innamorasse di me,
ma non del principe Hamed, ma soltanto del ragazzo che sono anch’io,
nonostante tutti i miei blasoni e le mie ricchezze…….è chiedere
troppo?” finisce sospirando
“No, non mi sembra”
rispondo dolcemente “Ma dimmi! Come avete fatto a finire nel mio
quadro?”
“Questo non lo so
davvero” finalmente Solo con un cavallo Hamed Hassan Ben Jor, ride
di gusto e alla fine anch’io non posso fare nient’altro che
unirmi a lui “Però penso che la tua immaginazione abbia una parte
importante in tutta questa vicenda!”
“E ora che facciamo?
Sai devo pensare che di mezzo c’è anche Dedo, il quale poverino,
non sa proprio niente di tutta questa storia!”
“Lascia fare a me Lara
e tu per piacere limitati a fare la parte pratica di ciò che ti
dirò. Dunque per prima cosa devi riuscire a richiamare Desirée qui.
Le parlerai della sua voce, di quanto sia bella e che ti è venuto in
mente che conosci un locale dove cercano voci nuove….che forse lì
riuscirà a cantare e a farsi scoprire da qualcuno che conta. ….No!
Non ti preoccupare! Il locale è mio e non ci saranno problemi. Al
resto penso io. Naturalmente invita anche Dedo, per le otto di domani
sera. Il locale si chiama Madison Inn……”
“Cosa?! “ strabuzzo
gli occhi affascinata. Il Madison Inn è il posto più prestigioso
dell’intera contea, ma che dico! dell’intero paese e so che è
frequentato solo da persone dell’alta società.
“Sì! Hai capito bene!”
mi interrompe Solo con un cavallo senza battere ciglio
“Ma non so se io sarò
all’altezza di un simile posto!”
“Certo che lo sarai!
Anche perché ti andrai a comprare il più bel vestito da sera che
troverai e ne comprerai uno altrettanto bello per Desirée….Non ti
preoccupare! Vai allo Chaperon e segna sul mio conto. Non ci sarà
neanche il minimo problema! Farai queste cose per me? ……E per
Dedo?” aggiunge sghignazzando
“Ok” una volta tanto
sono senza parole. Mi devo completamente riavere dalla sorpresa e ho
la testa piena di nuvole.
“Bene! Allora comincia
a pensare a Desirée e speriamo che non ci faccia aspettare
troppo……Mi raccomando! Acqua in bocca. Desirée non deve sapere
chi sono io”
Ecco fatto! Mi
stiracchio in poltrona guardando compiaciuta il vestito color
acquamarina che fa bella mostra di sé, spenzolando da una gruccia
appesa alla porta. Possibile che riesca a trattare così un simile
capolavoro?. E’ possibile, è possibile, mi dico sospirando. Il
vestito è bello è vero, ma a me non interessa per niente. E’
soltanto qualcosa che mi serve per portare avanti il mio progetto.
Poi il mio pensiero vola
a ieri e a Desirée. Non è stato necessario andarla a cercare e fare
in modo che tornasse qui, no davvero! Sorrido con tenerezza
ripensando alla scampanellata che ha interrotto il mio sonno e più
che altro sorrido con tenerezza rivedendo l’immagine della ragazza
che si è presentata davanti a me. Desirée con due e non aveva
proprio niente della bella principessa arrogante, era solo una
normalissima ragazza inzuppata di pioggia, che si era improvvisamente
trovata a contatto con la vita reale e aveva deciso che non è che
poi le piacesse tanto.
“Posso entrare Lara?”
mi aveva domandato con voce quasi dimessa.
Le avevo fatto un cenno
di assenso, senza proferire parola. Qualcosa mi diceva che non ci
sarebbe stato bisogno di incoraggiarla a parlare. Cosa che lei fece
immediatamente.
“Che esperienza
terribile!”
A quel punto l’avevo
interrotta spaventata “Vuoi dire che Dedo?......”
“Macché Dedo! Oh Lara!
Sono proprio una sprovveduta! Ieri sera, l’unica cosa che volevo
era trovare un posto per nascondermi, in modo che Dedo non si
accorgesse che in fin dei conti non esisto, non almeno nella vostra
dimensione. Speravo fortemente che tu continuassi a pensarmi fino al
momento in cui avrei potuto infilarmi da qualche parte, e tu
evidentemente l’hai fatto, e anche molto più a lungo di quello che
mi avevi promesso, perché nonostante tutti i miei sforzi, anche dopo
che ho salutato Dedo e mi sono infilata nel primo atrio di un
albergo, non sono riuscita a tornare nel mio palazzo di cristallo”.
E poi che è successo?”
ho domandato incuriosita
“Sono rimasta lì il
tempo sufficiente perché Dedo se ne andasse senza insospettirsi,
dopo di che sarei uscita tranquillamente anch’io, ma portiere mi si
è avvicinato e mi ha domandato cosa desideravo……..lo so che è
brutto da dire, ma gli ho risposto che ero una cliente del loro
Hotel, ma evidentemente non sono stata molto convincente, perché mi
ha chiesto i documenti ….e io, dimmi te, come potevo darglieli se
non ce l’ho? Se non sono segnata a nessuna anagrafe? Se non
esisto?” la voce di Desirée cominciava a incrinarsi e allora le
avevo domandato in tutta fretta:
“E poi che è
successo?”
“cosa vuoi che sia
successo?....... gli ho ho risposto che li avevo lasciati in camera,
ma lui non ci ha creduto neanche per un attimo e ha detto che avrebbe
chiamato la polizia per cui sono scappata ovviamente, con tutta la
velocità che consentivano le mie gambe e neanche a farlo apposta, si
è messo a piovere, per cui mi sono tutta infradiciata e allora ho
pensato che l’unica cosa che potevo fare era quella di tornare da
te…ed eccomi qui” ha terminato con un sospiro profondo.
L’ho guardata con gli
occhi non proprio di una madre, questo no, ma di una sorella maggiore
senz’altro, anche se di una sorella maggiore un po’ scriteriata.
“Dai, non te la
pendere, vedrai che tutto si sistema. Tra l’altro devo darti una
bella notizia…..”
“Che cosa? Quale bella
notizia? “ lo sguardo di Desirée è tornato immediatamente vivido
e curioso “Dai Lara! Non farmi stare sulle spine. Qual è questa
bella notizia?”
Prendo un attimo di
tempo, cercando di capire tra me e me, se quello che sto per dirle,
sia proprio una cosa buona, o l’ennesimo pasticcio nel quale vado a
infilarmi.”Sii prudente Lara” mi dice una vocina lontana, sempre
presente e mai ascoltata. Purtroppo sono impulsiva, lo so, e non
riesco a curarmi da questa malattia che in qualche caso può
diventare anche una cosa grave. Pinocchio docet!
“Siamo state invitate
in un locale, il Madison Inn,… figurati, gestito da un mio amico,…
perché tu possa esibirti insieme a Dedo, per un’anteprima della
sua musica” ho buttato là tutto d’un fiato. Ormai è fatta.
Indietro non si torna, né Desirée mi permetterebbe più di farlo,
da come mi si è buttata addosso facendomi mille domande. Come,
quando, perché, dove, con chi?
“Ormai è fatta- mi
sono detta rassegnata, ma anche un pochino soddisfatta della piega
avventurosa che stanno pendendo gli avvenimenti – del resto potevo
forse non dare una mano a Solo con un cavallo? Oddio! Come ha detto
di chiamarsi? Mi pare Hamed Hassan ben Jor? Non ne sono sicurissima e
comunque per me rimarrà sempre Solo con un cavallo” i miei
pensieri sono talmente lontani da tutto ciò che è presente che non
ho sentito per lungo tempo Desirée che mi chiamava sempre più
stupita al mio silenzio.
“Che c’è?”
improvvisamente riscossa dal tono della sua voce sempre più
stridulo, quasi allarmato. Ma qualche volta potrò essere lasciata in
pace a seguire i voli dei miei pensieri? Evidentemente sembra di no.
“Ma Lara, che mi
metterò? Non ho niente a indossare e immagino che per andare in un
simile locale, ci voglia un abito da sera….o mi sbaglio?”
“No mia cara non ti
sbagli e se chiudi un attimo gli occhi ti materializzerò l’abito
più bello che tu abbia mai visto”
“Come è possibile?”
“Ti fidi di me
Desirée?” l’ho provocata perfidamente
“Beh
insomma……abbastanza Lara, ma non del tutto….ecco proprio del
tutto no, devo dire!” Desorée è un po’ confusa mentre mi dice
queste parole, ma io mi sto divertendo un mondo perché
improvvisamente so di avere il coltello dalla parte del manico.
L’ambizione di quella ragazza è senza limiti. So che farebbe di
tutto per avere l’abito più bello del mondo e so che lei sa che io
lo so.
“Bene! Io di te invece
non mi fido per niente. Ne ho avuto la prova l’altra sera con Dedo.
Non hai esitato un attimo a rimangiarti la parola che mi avevi dato e
mi hai costretto a metterti con le spalle al muro. Ora te lo dico
prima che tu possa fare qualche altra sciocchezza. Devi lasciare in
pace Dedo, hai capito? Perché nel caso tu non avessi capito, sappi
che se vedo qualche cosa di storto, non esiterò un attimo a dire chi
sei, anche se sono sicura che dopo mi metteranno una camicia di
forza!” Sorrido mentre le dico queste parole, perché vedo la sua
espressione cambiare repentinamente fino assumere un’espressione di
bambina sola, senza nessuno che la possa sostenere. Mi sento cattiva
e ingiusta verso di lei, anche perché mi sto accorgendo che le
voglio bene…però voglio più bene a Dedo….Dedo è il mio
migliore amico, anche se è un amico salame a tal punto da non
accorgersi che Desirée è perlomeno una persona strana, senza
vissuto, senza consistenza. Potere della bellezza delle principesse!
“Hai capito? Voglio la
tua promessa, come io ti ho dato la mia!” ripeto con durezza
“Va bene Lara. Stai
tranquilla. Farò quello che vuoi” mi risponde rassegnata solo per
un secondo perché immediatamente dopo i suoi stupendi occhi
sfavillano e:
“Ora posso vedere il
mio vestito?”
“Ok – rispondo
laconica – vieni con me”
Sono pronta! Desirèè è
ancora in bagno che si fa la doccia, ma io sono già pronta, come se
non avessi aspettato altro per tutto questo tempo di indossare il mio
abito da sera. Mi guardo lungamente allo specchio e ammetto con me
stesa di essere piuttosto carina. Unico inconveniente: le mie scarpe
con un tacco vertiginoso e una punta che sembra uno spillo.
Resisteranno i miei piedi abituati a tranquille scarpe da tennis a
una simile tortura? E più che altro, riuscirò a camminare
normalmente o sembrerò una di quelle persone che vanno sui trampoli
?
Mi arrischio timidamente
a fare un passo e mi accorgo subito con orrore, che riuscirò a fare
una figura ridicola senza metterci il minimo impegno. L’impressione
che do è quella di un’imbranata che cammina su un tappeto di uova
fradice.
“Al diavolo! E ora come
faccio?” domando allarmatissima alla mia immagine, che non sa cosa
rispondermi, lo vedo benissimo. Il mio sguardo corre fuggevolmente in
cerca di soccorso fra le mie tante scarpe, ma non c’è niente da
fare. E’ impensabile che possa mettere un paio di scarpe con le
stringhe con un vestito diafano color verde acqua.
“Io non ci vado ecco!
Resto a casa e chi si è visto si è visto. Che si arrangino da soli.
Sai che faccio? Vado a letto e non ci penso più! Dedo si arrangerà
e imparerà a tirarsi fuori dai guai da solo….e se poi non ci
riesce…..affari suoi…….vuol dire che continuerà ad andare
dietro a un miraggio. In quanto a Desirée, per me ci può aggiungere
altri venticinque e al suo ridicolo nome, tanto continuerà a non
esistere e Solo con un cavallo….beh! Solo con un cavallo mi sembra
che se la sappia cavare bene anche da solo, tanto per rimanere in
tema…..Basta vado a letto!” e mentre lo dico mi tolgo quelle
deliziose scarpette, torture indicibili per i miei piedi, facendole
volare il più possibile lontano da me.
In quello stesso istante
un ricordo attraversa fulmineo la mia testa. Le pantofoline da notte!
Ma sì! Le pantofoline da notte in raso verde…..guarnite di
leggerissimi strass…..con quel piccolo tacco….ma sì! Ma sì! Le
odiate pantofoline verdi, dono inutile di mia zia Cloe, dimenticate
da anni nella scatola, dentro l’armadio……..forse saranno la mia
salvezza…..perché in fin dei conti io ci voglio andare in quel
locale e voglio anche divertirmi!
Mi arrampico verso lo
sportello alto dell’armadio, col rischio di inciampare sul mio
lungo vestito, ma ormai non mi ferma più nessuno. Tiro fuori
scatole, scatoline, borse, plaid, e tante di quelle cose che non
sapevo più di avere, finché le mie mani frettolose non incontrano
una scatola azzurra. Eccola! E dentro, le mie pantofoline che ora mi
sembrano bellissime, perfette, degne di Cenerentola quando andò al
ballo del Principe azzurro.
Un attimo dopo sono nei
miei piedi e guardo il risultato. Stupefacente. Non sono più
pantofole, ma scarpette da sera per un’occasione speciale. Cara zia
Cloe! Come ho fatto a dire sempre che eri insopportabile? Sei un
angelo invece, un angelo mandato dal cielo!
Ecco sono pronta. Ora
posso andare da Dedo che mi aspetta nell’unica, impagabile,
insuperabile stanza della mia abitazione, oltre la mia camera
…naturalmente.
Appena entro il suo
sguardo corre sul mio vestito e un sorriso stupito appare sul suo
volto! Poverino! Non c’è abituato a vedermi in abito da sera…anzi
per meglio dire non è proprio abituato a vedermi con nessun abito.
Sono sempre in jeans o al massimo in qualche tutina colorata, il
massimo della mia frivolezza. Devo proprio sembrargli un’altra
persona, cosa che si affretta a dire senza il minimo tatto
“Ma Lara, lo sai che
quasi quasi non ti riconoscevo? Sembri proprio un’altra vestita
così”. Non so perché ma mi sembra abbastanza interdetto. La cosa
mi innervosisce immediatamente e mi fa ribattere aspramente
“Hh sì? Anche tu, in
smoking hai tutto un altro aspetto… che ti credi?”
“Insomma volevo dire
che a essere sincero…ti preferisco molto di più come sei sempre.
Mi sembri un’estranea e per di più un’estranea straniera”
“Hai nient’altro da
dire? ….Certo non che mi aspettassi dei complimenti, questo no, ma
almeno pensavo che un minimo di delicatezza l’avresti avuta……invece
non riesci mai a stare zitto e farti gli affari tuoi vero? Se volevi
rovinarmi la serata ci sei riuscito. Sei contento ora?...E pensare
che tutta questa mess’in scena l’ho fatta per……” mi tappo
la bocca appena in tempo, ma non tanto da fargli ribattere
“Quale mess’in
scena?” la sua espressione è interrogativa, ma il suo volto è
sereno come al solito e guardandolo mi dico che è giusto mantenerlo
così.
“Niente.. Cose mie. Non
potresti capire”
“Forse no, ma mi sembra
che da qualche giorno di cose tue ne hai un bel po’….o mi
sbaglio?
Alzo le spalle senza
rispondere niente e fortunatamente in quel momento Desirée esce
dalla camera da letto abbigliata di tutto punto ed entrambi restiamo
ammutoliti a guardarla.
Finalmente a casa! Non
pensavo che una serata potesse essere tanto bella e tanto lunga, ma
così è stata, me lo dico anche ora mentre ripenso a tutti gli
avvenimenti che si sono succeduti, dandomi continue scariche di
adrenalina non richiesta.
Il Madison Inn non è un
locale di lusso, nel senso comune della parola, ma molto, molto di
più, e il suo non è un lusso ostentato e appariscente, ma di una
raffinatezza incredibile e affascinante.
“E pensare che io sono
venuta in un posto come questo in pantofole” dico sghignazzando tra
me e me, ma quasi istintivamente ritiro i miei piedi sotto il
vestito, cercando di nasconderli il più possibile. Del resto neanche
Dedo è molto a suo agio nel bellissimo smoking, che lo rende
decisamente attraente. Me ne accorgo da come lo guardano tutte le
ragazze che sono già sedute ai tavolini illuminati da lampade che
diffondono una luce discreta e calda. Anche lui se ne è reso
ampiamente conto, ma ciò anche se forse lo lusinga, lo imbarazza, lo
vedo benissimo e non sa dove guardare.
Desirèe con due e è
l’unica che sembra non far caso a tutto ciò che le circonda. E’
come se lei fosse abituata a vivere tutti i giorni in ambienti come
quelli e la sua disinvoltura è naturalissima. Del resto non ha
nessun bisogno di sentirsi in qualche modo a disagio, perché in
tutto il locale non c’è nessuna bella come lei né altrettanto
affascinante. Anche il modo che ha di sorseggiare il Martini che un
cameriere ci ha portato è affascinante e io continuo a domandarmi da
dove venga questa principessa sconosciuta.
A un tratto la vedo
cambiare espressione e guardare attentamente verso il giardino ricco
di fiori e di piante stupende. Seguo il suo sguardo e….
“O perdindirindina!”
mi scappa detto, ma Desirée neanche se ne accorge e continua a
guardare l’incredibile scena che si presenta ai nostri occhi.
Anche Dedo, nonostante
la sua distrazione perpetua, sembra essersi accorto che i nostri
occhi sono stati catalizzati da qualcosa là fuori e comincia a
guardare anche lui con interesse.
Un cavaliere a cavallo si
sta muovendo con passo sicuro sul bordo dell’enorme piscina e la
scena ha qualcosa di misterioso e conturbante, illuminata da una luna
che si riflette sui vestiti neri del giovanotto che in questo momento
con mossa elegante scende dal suo destriero e si avvia verso il
salone.
“E meno male che voleva
presentarsi come un ragazzo come tutti gli altri!” borbotto tra me,
mentre Solo con un cavallo, alias principe Amedh Hassan ben Jor, si
dirige senza gettare uno sguardo verso di noi, a un tavolo poco
distante dal nostro. Ma per quello che riguarda Jo, niente a ridire.
Non sembra nemmeno più quell’essere che cercava disperatamente
qualcosa da mangiare nel mio deserto desertico. Il suo aspetto è
splendente, il suo pelo lucidissimo, l’incedere elegante, la testa
nobile e fiera, anche se qualcosa nella sua espressione mi dice che
ha fiutato l’odore del wisky.
“E ora che succederà?”
mi chiedo con apprensione. Fino a quel momento la serata aveva avuto
un andamento normale, anche se fin al nostro ingresso in sala, un
signore in smoking si era avvicinato per salutarci e per dirci che
tra non molto Desirée e Dedo sarebbero stati chiamati per eseguire
la loro performance. Ci aveva anche informato che nei primi tavolini
erano seduti impresari teatrali e discografici e il nostro sguardo si
era posato su alcuni volti noti dello spettacolo. Io mi ero sentita
elettrizzata stranamente innervosita, mentre Dedo e Desirèè erano
rimasti imperturbabili e avevano entrambi assentito con un cenno di
capo.
“Sembra che la cosa
neanche vi riguardi!” avevo esordito non appena seduti al nostro
tavolino “Sono più eccitata io di voi e…” mi ero interrotta
immediatamente, perché una strana espressione della bocca di Dedo mi
aveva colpito. Dedo ha quell’espressione solo quando è
estremamente teso e preoccupato, cosa che fortunatamente gli capita
così di rado, che è difficile anche ricordarselo, ma io lo conosco
da troppo tempo ormai e non me la fa.
“Ha una fifa
incredibile!” mi dico stranamente contenta. Non so perché ma provo
un sadico piacere nel constatare che la proverbiale tranquillità di
Dedo si è infranta. Me lo fa apparire un po’ più umano. Non
conosco abbastanza Desirée per sapere cosa le passa per la mente, ma
improvvisamente è diventata molto silenziosa e lontana da noi, per
cui penso che anche lei non sia così tranquilla come vuole far
credere.
A quel punto penso che la
cosa migliore sia quella di farmi i fatti miei e di lasciare quei due
immersi nei loro rispettivi pensieri. Del resto è anche
comprensibile che sia così. Non capita tutti i giorni che qualcuno
suoni e canti davanti a personaggi che potrebbero decidere del loro
avvenire. Poi improvvisamente mi sento avvampare e un grande senso
di colpa mi invade da capo a piedi, fino alla cima delle mie
pantofoline , perché solo allora mi rendo conto che mentre avevo
detto a Desirée che avrebbe avuto quell’occasione unica, a Dedo
non avevo detto proprio un bel niente e non perché non volessi
farlo, ma perché me ne ero semplicemente dimenticata.
“Bell’amica che
sono!” mi rimprovero mentalmente “butto il mio migliore amico
nella fossa dei leoni e non mi passa neanche per l’anticamera del
cervello di avvertirlo!!” Non so cosa farei per poter rimediare al
mio comportamento superficiale e mi appresto ad aprire bocca per
chiedere scusa a Dedo, ma lui mi batte di un secondo e rivolgendomi
il solito sorriso mi dice:
“Grazie Lara per non
avermi detto niente. Tu mi conosci davvero bene! Sapevi che non avrei
avuto mai il coraggio di venire qui vero? Così invece è un’altra
cosa e non mi rimane da fare altro che ringraziarti per l’amicizia
che mi dai e per capirmi così bene”.
Mi sento sollevata e
bastonata allo stesso tempo. Sono davvero una bella amica! Niente da
ridire. Ma il fatto di essermi salvata in corner e di aver fatto una
bella figura invece di quella meschina che avevo temuto,
improvvisamente mi fa sentire molto buona, per cui sono ipocritamente
sincera quando candidamente rispondo.
“Sennò gli amici che
ci stanno a fare?”
Poi il momento della
tanto attesa esecuzione pubblica arriva, senza che noi ci si
aspettasse.
Improvvisamente un
bellissimo tendone di velluto rosso, che io stupidamente pensavo
coprisse una serie di finestre, si apre con studiata lentezza,
inseguito da una luce deliziosa piena di stelle e un favoloso
palcoscenico si rivela in tutta la sua imponenza, sapientemente
illuminato. Al centro un grande cubo di cristallo trasparentissimo,
brilla dei mille colori che si riflettono dai faretti.
Più spostato a sinistra
un pianoforte con una coda lunghissima si mostra in tutta la sua
classica eleganza.
Mi giro leggermente per
guardare Dedo, e vedo i suoi occhi spalancati fissi sul bellissimo
strumento. In lui è scomparsa ogni forma di timidezza e di ritrosia.
Il disagio se ne è andato alle ortiche e resta solo il desiderio di
passare le dita delle sue mani affusolate su quei tasti eburnei.
Desirée ha gli occhi
brillanti come due stelle e anche lei è già entrata nel ruolo
artistico che le si adatta come una seconda pelle. E’ bellissima e
consapevole di esserlo.
“Ho il piacere di
presentarvi il Maestro Donati e la Principessa Desirée, due nuovi
talenti musicali, che stasera ci onorano della loro presenza e che
eseguiranno per noi “Piccolo fiore”, scritta e musicata al
maestro Donati.”
La voce del presentatore
mi riporta istantaneamente alla realtà e mi appresto ad ascoltare la
loro performance, incrociando i piedi, visto che non poso incrociare
spudoratamente le dita della mano. Altrimenti il bon ton dove
andrebbe a finire?
Dedo e Desirée si sono
già avviati verso il palco, perfettamente padroni di sé. “Possibile
che siano le stesse persone di cinque minuti fa?” Mi chiedo
allibita. Chissà perché, ma mi volto a cercare Jo! Ci sarà ancora?
O sarà tornato nel deserto del quadro a brucare le erbe sconosciute
che vi ho dipinto? Non so perché ma mi sembra che sia tra tutti noi
quello più presente a se stesso, il più giudizioso, quello che sa
prendere la vita come viene, senza porsi tante domande.
Fortunatamente Jo è ancora lì, sul bordo della piscina e se non ho
le traveggole, mi sembra chiaramente di vedere che incrociate le
zampe anteriori una sull’altra, si è appoggiato comodamente a un
lampione, in attesa di ascoltare la voce e la musica dei nostri
amici. In bocca ha un sigaro, dal quale escono leggere volute di
fumo.
“Ma te guarda questo
farfallone!” mi dico divertita e stranamente rilassata dal suo
atteggiamento. Del resto Jo non può più stupirmi. Se può ridere,
può anche fumarsi un sigaro!
I ragazzi sono pronti e
la voce di Desirée, comincia a riempire la sala con tutta la sua
morbidezza. La guardo attentamente, come non mi era capitato di fare
per tutta la serata. Il suo vestito è stupendo, tutto di fili
argentati che si drappeggiano sul suo corpo in morbide onde, i suoi
capelli neri, sciolti sulle spalle nude, l’avvolgono come un
mantello e l’effetto regale misterioso e esotico, non sarebbe
maggiore se avesse una corona di brillanti in testa.
Poi la musica di Dedo e
le parole della canzone mi afferrano come già avevano fatto la prima
volta che le avevo sentite e mi sembra che nella sala il grande
silenzio che è sceso, non sia solo frutto di buona educazione, ma di
interesse genuino, di coinvolgimento. Desirée canta:
“….sono solo un
piccolo fiore, un fiore profumato, nato un giorno nel deserto della
tua vita. ………non lasciare che il sole mi bruci, ma annaffiami
con gocce di rugiada ….e io profumerò sempre per teeeeeee……..”
getto di sfuggita uno sguardo a Solo con un cavallo, che seduto al
suo tavolino fissa intensamente Desirée, incurante di tutto e di
tutti.
Ma anche Desirée sembra
non avere occhi che per lui e le prole della sua canzone sono solo
per lui, si vede chiaramente. E’ come se tra di loro si fosse
creato un filo invisibile che li avvolge sempre più strettamente e
il resto del mondo non sembra più esistere.
“Come sono contenta!
Come sono contenta!” Mi dico mentalmente. Possibile che Solo con
un cavallo sapesse davvero che sarebbe accaduto così? Da come stanno
andando le cose sembrerebbe proprio di sì. E Dedo?
Sposto lo sguardo sul mio
amico che in maniera magistrale sta concludendo gli ultimi accordi
su quel pianoforte che forse ha sognato per tutta la vita. Il suo
viso completamente disteso, il suo sguardo trasognato e il ciuffo
ribelle dei suoi capelli che sono scesi sulla fronte, lo rendono
finalmente il Dedo di sempre, l’amico che conta, quello che sa di
me molto di più di quanto ne sappia io. E’ la musica il grande
amore di Dedo.
“Ma non potrà mica
vivere sempre per la musica!” mi dice una vocina piccina dentro di
me.
“Lo so, stai un po’
zitta per piacere, quando sarà il momento ci penserò io a trovare
la moglie adatta per Dedo. Ora lasciamogli questo momento di gloria”.
Lo scroscio di applausi
che segue l’ultima nota che si è dispersa fino al soffitto,
suggella il loro trionfo ed entrambi sono radiosi… e io più di
loro.
Quando tornano al tavolo
mi complimento con Desirèe, perché ha veramente cantato in maniera
superba.
“Grazie Lara!” mi
risponde con semplicità, ma il suo sguardo si volge furtivamente a
cercare una persona che somiglia tanto a un bel cavaliere vestito di
nero. Dove sarà andato a finire Solo con un cavallo? Il suo tavolino
è vuoto e guardandomi intorno non riesco a vederlo.
“E ora che succederà?”
mi chiedo nuovamente allarmata
“Che ne dici Lara?
Siamo andati bene?”Dedo è improvvisamente davanti a me riprendendo
tutta la mia attenzione
“Siete stati superbi e
io sono orgogliosa di essere tua amica” rispondo raggiante
“Ora ti devo lasciare
per un attimo. Vedi quei signori laggiù? Sì, quelli seduti al
tavolino…Mi hanno domandato di raggiungerli perché devono parlarmi
di affari…Speriamo bene Lara…..ho un po’ di fifa!”
“Ma vai! Vai
tranquillo. Ti hanno chiamato loro, mica sei andato a cercarli tu!
Quindi vuol dire che sei piaciuto. Ma a proposito! Deve venire anche
Desirèe con te?” chiedo interessata
“A me non hanno detto
niente….ma senti, non ti sembra che Desirée sia un po’ strana
questa sera? Sembra che non le interessi niente del successo che ha
avuto…ed è sempre come se aspettasse qualcuno. Anche ora
guarda….non vedi come è distratta?”
“Sai Dedo quale mi
sembra la distrazione di Desirée? Nooo?! Lo vedi quel bel ragazzo
tutto vestito di nero….sì, quello che prima è arrivato con quel
cavallo? ….Ecco è lui la distrazione di Desirée. Non hanno fatto
altro che guardarsi per tutta la serata e Desirée sembrava cantare
solo per lui.”. mi sento un po’ in colpa per aver svegliato così
bruscamente Dedo dai suoi sogni, però mi sembra che lui, o non si è
svegliato, o non da molta importanza a quello che gli ho detto,
infatti, mi risponde con molta tranquillità:
“Ah sì? Mi sembra che
sarebbero davvero una bella coppia!”
“Ma Dedo….non ti
interessa che a Desirée piaccia un altro ragazzo?”
“Ma non è mica la mia
ragazza!” mi risponde stupito. E’ proprio vero che io gli uomini
non li capirò mai. Fino a stasera sembrava completamente perso
dietro a lei e ora si permette anche il lusso di mostrarmi una faccia
sorpresa!
“Ma! Se lo dici tu!”
preferisco non insistere. Forse sta semplicemente cercando di salvare
il suo amor proprio.
“Bene! Allora io
vado!Non mi dici in bocca al lupo?”
“Sì certamente. In
Bocca al lupo Dedo!” rispondo sbrigativamente allontanandomi da
lui, perché con la coda dell’occhio ho visto Solo con un cavallo
che si sta avvicinando a Desirée e sono letteralmente curiosa di
vedere cosa succederà.
E’ la prima volta che i
due si parlano e Desirée è completamente ignara dell’identità
del bel giovane che ha davanti a sé.
Il giorno dopo una bella
serata trascorsa in modo particolare, sa di rimpianto fin dalla
primissima mattinata. Infatti mi sono appena alzata ma sento che oggi
sa di grigio. Neanche la mia casa per la quale in genere stravedo, e
nella quale sto così bene, da allontanarmene sempre con disappunto,
stamani non mi convince.
Del resto il posto che ho
visto ieri sera era così perfetto che forse anche una reggia
scomparirebbe al suo confronto, le persone e le situazioni che mi si
sono presentate così interessanti, che stamani tutto mi sembra
scialbo e scolorito.
Anche la fotografia di
Dedo mi appare con una patina malinconica!! Già! A proposito di
Dedo, chissà come sta? Mica l’ho bevuta la storia della bella
coppia e del come stanno bene insieme. Magari ieri sera dopo che mi
ha riaccompagnato a casa è andato a prendersi una salutare sbornia
per dimenticare. Scuoto il capo e sorrido tra me e me! Dedo non è il
tipo di queste cose. Mai e poi mai farebbe una cosa simile. Credo che
in vita sua non abbia bevuto niente di più alcolico di un’aranciata.
E Desirée che fine avrà fatto? Quando ci siamo alzati per uscire
dal Madison Inn, con molta decisione mi ha informato che si sarebbe
trattenuta ancora un po’ e io non ho insistito perché venisse con
noi, ma ora sono curiosa di sapere che piega ha preso la serata e
come se l’è cavata Solo con un cavallo! E Jo, dove sarà Jo?
L’ultima volta che il mio sguardo si è posato su di lui, un
cameriere stava servendogli un wisky in generose proporzioni, come se
fosse una cosa naturalissima e lo facesse tutte le sere.
“Il che potrebbe essere
anche vero! In fin dei conti il suo padrone non è il proprietario
del Madison…..?”
Drinnn! Drinnnn!
Ma chi è a quest’ora?
E di domenica mattina poi!. Ma già mentre mi avvio per andare ad
aprire la porta credo di sapere con una certa sicurezza che si tratta
di Desirée. Del resto l’ho pensata così intensamente che se anche
non ne aveva voglia deve venire per forza.
La ragazza che si
presenta sulla porta ha due occhi così sognanti e così radiosamente
felici, che fatico a ritrovare in lei la stessa persona imbronciata
che ho conosciuta quando è uscita come un ciclone dal suo palazzo di
cristallo.
Non faccio in tempo ad
aprire bocca che dietro di lei si materializza Solo con un cavallo,
con un’espressione più o meno uguale, ma forse un tantino più
idiota.
“Ciao Lara, scusa se
sono venuta così presto, ma non resistevo più………indovina che
ti devo dire?” conclude precipitosamente
“Non saprei…….”perché
non lasciare a lei la gioia della risposta?
“Mi sono innamorata
Lara, ci siamo innamorati….e volevo tu fossi la prima a saperlo.
Non credevo fosse possibile un amore così intenso. Ci credi ai colpi
di fulmine Lara?”
“Non lo so…non li ho
mai sperimen…..”comincio a dire, ma lei mi taglia immediatamente
la parola
“Io sì, io sì, ed è
una cosa bellissima. Ho trovato l’amore e non intendo lasciarmelo
scappare per nessuna cosa al mondo”.
“E la tua carriera di
cantante?”
“Non me ne importa
più…canterò per lui…”
“E la tua voglia di
essere una ragazza moderna e senza legami?”
“Che cosa assurda!
Quello andava bene prima che conoscessi Raul……a proposito questo
è Raul, studia legge, ma gli mancano pochissimi esami per laurearsi,
dopodiché ci sposeremo” conclude festosamente in un turbinio di
parole e di gesti
Guardo Raul Solo con un
cavallo Hamed Hassan ben Jor e ammetto di non capirci più niente.
Lui se ne accorge e mi viene in aiuto
“Piacere Lara. Anch’io
credo nei colpi di fulmine e credo che Desirée sia la principessa
della mia vita. Tra poco sarò laureato e ci sposeremo. Certo
all’inizio non sarà facile, ma io lavorerò….”
“…e io ti aiuterò.
Andrò a fare anche i lavori più umili, pur di stare insieme a te
per tutta la vita”
Si guardano ed è come se
improvvisamente non esistesse più niente al di fuori di loro. Questo
è l’amore, l’amore vero, l’amore che cresce anche in un
deserto dove un piccolo fiore chiede solo di essere annaffiato un po’
per regalare il suo profumo alla persona amata.
“Proprio come dice la
canzone di Dedo” dico tra me e me.
Li guardo e finalmente
sento tanta dolcezza dentro
“Amen” concludo
filosoficamente
“Domani partiamo…e
così sono venuta a salutarti e a ringraziati di tutto, anche delle
brontolate che mi hai dato” ha gli occhi un po’ lucidi Desirée,
e ho gli occhi un po’ lucidi anch’io
“E…Lara, ti
dispiacerebbe darmi qualcosa di tuo perché possa sempre ricordarmi
di te?”
“Certamente Desirée,
prendi ciò che vuoi, anche se sinceramente non so che cosa posso
avere io di interessante da darti”
“Lo so io” e sparisce
in un lampo in camera mia
“Lara, ora che sono
solo con te, voglio veramente ringraziarti di ciò che hai fatto per
noi e più che altro ringraziarti di non aver rivelato neanche ora la
mia vera identità. Non ho ancora detto a Desirée chi sono, ma lo
farò prima che diventi mia moglie, tra qualche giorno. Per quello
che mi riguarda non ti dimenticherò mai…e non ti preoccupare per
Dedo! Io non ho potuto fare proprio niente per aiutarlo, perché
quegli impresari erano così entusiasti di lui che gli hanno fatto un
contratto per dici anni” Solo con un cavallo si è emozionato e gli
trema un po’ la voce.
“Ma dimmi…Solo con un
cavallo, e Jo?” chiedo improvvisamente allarmata
“Non ti preoccupare! Il
vecchio Jo parte con noi e sarà sempre trattato come un principe!”
“Mi hai tolto un gran
peso dallo stomaco” dico con un bel respiro
In quel momento rientra
Desirée, tenendo in mano le mie pantofoline verdi.
“Voglio queste Lara,
perché ogni volta che le calzerò, penserò a te, alla bellissima
serata che abbiamo passato e all’amore che ho trovato”.
Gli addii sono sempre
addii e non sono mai allegri. Neanche il nostro lo è stato, ma sono
contenta che tutto sia andato a finire bene.
Sono usciti da poco e mi
sento un po’ triste. Forse sarà meglio mettersi al lavoro e….
“Ci mancava anche il
telefono. Chi sarà ora?”
“Lara?”
“Lara?”
“Sì. Ciao Dedo!”
“Volevo dirti una cosa
stupenda. Non indovineresti mai!”
“”Che cosa?” chiedo sorridendo
“”Che cosa?” chiedo sorridendo
“Ho firmato un
contratto con una casa discografica per dieci anni. Ma ti immagini?”
“Sono felicissima per
te Dedo!”
“E’ tutto merito tuo…
Se non mi spingevi a venire a quella festa….!”
“Macché! Sei te che
sei bravo!” mi sento molto generosa stamani e poi il merito è
veramente tutto suo
“Stasera ti porto fuori
a cena,…che ne dici?”
“Perfetto” mi trovo a
rispondere
“Ma non al Madison
Inn……che ne diresti di una pizza e di una coca?” mi chiede
speranzoso
“Direi che va benissimo
Dedo! A che ora ?”
“Facciamo alle otto?”
“Ok. Ciao a dopo”
Riattacco e mi guardo
intorno, ritrovando lentamente la mia dimensione. Questa è la mia
stanza, io sono Lara, dipingo e correggo bozze. La mia vita è
questa.
Il mio sguardo cade per
un attimo sulla tela di un deserto con al centro un palazzo
trasparente a forma di cubo. Non c’è più Solo con un cavallo, non
c’è più Jo, non c’è più Desirèè. La favola è finita.
Poi lo sguardo mi cade
inavvertitamente su un macchiolina nera proprio ai piedi della porta
del palazzo.Apro la bocca per lo stupore. E’ una chiave, una
piccolissima chiave nera. Io non l’ho dipinta, ma quella chiave è
lì per me. Chi ce l’avrà messa? Chissà! Ma a dispetto di me
stessa mi viene in mente il muso sorridente di Jo e anch’io
sorrido. Forse un giorno potrei avere il desiderio di entrare dentro
il palazzo di vetro a forma di cubo.
La raccolgo e guardandomi
intorno, quasi avessi paura di essere spiata da qualcuno, me la metto
in tasca…e improvvisamente mi sento bene.
La tenda scorre
lentamente rivelando un immenso finestrone dal quale comincia a
entrare una luce rosata. Lo spettacolo che si presenta è stupendo.
Parigi a quell’ora mattutina è affascinante come non mai.
Il Principe Hamed
Hassan ben Jor, si avvicina lentamente al letto dove la sua sposa si
sta svegliando.
“Ehi dormigliona, ti
vuoi decider ad alzarti si o no? Abbiamo un sacco di cose da fare e
altrettante da vedere!”
“Arrivo, arrivo”
risponde Yasmine con voce insonnolita. Che idea è quella di suo
marito di alzarsi sempre al chiarore del mattino?
Ma scende
immediatamente dal letto e infilando un paio di pantofoline di seta
verde con dei piccoli strass si dirige verso di lui non senza il
solito piccolo stupore che l’accompagna tutte le mattine quando i
suoi piedini entrano nelle sue pantofoline preferite. “Possibile
che non mi ricordi dove le ho comprate?”.
“Allora andiamo?”
incalza lui allegro “Guarda che il nostro viaggio di nozze prima o
poi finirà……”
“Prima però ti
voglio dire di un sogno che ho fatto stanotte!”
“Dimmi, sono tutto
orecchie”
“Pensa,… ho
sognato una donna che non so chi sia…non l’ho mai vista in vita
mia, ma te la potrei descrivere in ogni più piccolo particolare…..ma
la cosa più buffa è che lei non mi chiamava col mio nome quando si
rivolgeva a me”
“E come ti chiamava
amore mio?”
“Desirée con due
e!”
Il principe non
risponde ma sorride, poi si volta verso l’enorme vetrata dietro la
quale Parigi si sta svegliando e il suo sguardo si perde nell’aria
appena mattutina, là, oltre la tour Eiffel dove un bellissimo
cavallo alato volteggia in ardite spirali per catturare i sogni più
belli che si innalzano dai tetti di tutto il mondo per arrivare sino
al cielo.
A.A.A.A.A. – Cercasi disperatamente
e con urgenza “Una moglie per Dedo” .
Chi avesse suggerimenti da dare è
pregato di mettersi immediatamente in contatto con me. Grazie
Lara
Una moglie per Dedo
Bene! Non so se qualcuno ha avuto il coraggio di leggere 'Piccolo
fiore' e non perché 'Piccolo fiore' non sia carino! Anzi a me sembra
proprio una cosina deliziosa, e poi in fin dei conti l'ho scritto
io!.....quindi sarebbe come rinnegare un proprio figlio, anche se un
figlio un pò particolare.
No! Faccio questa domanda semplicemente perché per leggere roba
simile bisogna avere il coraggio di ritrovare la fantasia, di allentare
la briglia e lasciarla galoppare fino a dove niente diventa impossibile.
E' il coraggio dei sognatori!
E siccome io sogno molto mi è sembrato giusto e doveroso scrivere
anche quest'altro racconto, perché Dedo è proprio un tipo simpatico, che
però ha bisogno di essere aiutato anche a trovare la moglie adatta a
lui.
Quindi chi ancora non ha trovato il coraggio di leggere 'Piccolo
fiore' si metta a cercarlo, e quando lo avrà trovato si metta a leggerlo
con lo spirito giusto, dopo di che vi assicuro....'Una moglie per Dedo'
è tutta una discesa................
“Lara carissima,
è da un bel pezzo
che non ci sentiamo e ti vorrei aggiornare sulle ultime novità.
Finalmente tuo zio Carlo, è andato in pensione, e invece di
rintanarci in casa, come inizialmente avevamo pensato e desiderato,
abbiamo deciso di comune accordo che è meglio goderci la vita e
andare in giro per il mondo. Del resto siamo soltanto lui ed io!
Dunque senza stare a pensarci troppo abbiamo affittato la grande casa
che tu ben conosci, ci siamo disfatti dei tanti orpelli che si
accumulano nell’arco di una vita, con un po’ di rimpianto, ma con
la consapevolezza che andiamo a iniziare una nuova avventura. Di una
cosa però non sono riuscita a privarmi. E’ una cosa alla quale
sono affezionatissima e che ho sempre vista. Addirittura proviene dal
mio bisnonno. Ho pensato quindi di regalarla a te, che sei la mia
unica nipote, con la preghiera di volerla conservare e tramandare
magari ai tuoi figli, se un giorno, a dispetto del tuo caratteraccio,
riuscirai a trovare un marito.
Il mio regalo ti sarà
consegnato il venticinque ottobre nel primo pomeriggio. Tengo
tantissimo a lui e spero che anche per te diventi qualcosa di
prezioso. Sono sicura che un giorno, magari lontano, mi ringrazierai
di ciò che stai per ricevere.
Ti faremo sapere
nostre notizie, ma non mi è possibile darti un nostro recapito,
perché neanche noi sappiamo dove siamo diretti. Abbiamo deciso di
scegliere i posti in cui andremo, di giorno in giorno.
Un bacio e un
abbraccio. Zia Cloe”
Il Vecchio Jo |
Mi rigiravo tra le mani
la lettera di zia Cloe e una volta di più mi dicevo sorridendo, che
la zia non finirà mai di stupirmi.
“Chissà che ci sarà
nel pacchetto?” mi domandavo con curiosità malcelata, una
curiosità che era aumentata, via via che i giorni passavano.
Finalmente era giunto il tanto desiderato momento e guardavo ogni
tanto con impazienza l’orologio chiedendomi quando questo
desiderato corriere si sarebbe degnato di arrivare.
Eh sì! Perché oggi è
il 25 ottobre e io già dalla mattina ho un senso di aspettativa al
pensiero di aprire il pacchetto di zia Cloe!! Che ci sarà dentro? Un
gioiello? Zia Cloe ne ha tantissimi e storco il naso al pensiero di
una delle sue collane.
“I suoi gusti
decisamente non sono i miei” sospiro rassegnata
“Ma che fa questo
corriere? Possibile che non sono mai puntuali? Aveva detto nel primo
pomeriggio e sono già le cinque di sera! E se dovevo uscire? Se
avessi avuto un altro impegno?”
Leggo nuovamente la
lettera di zia Cloe e mentalmente la ringrazio perché non ha voluto
rovinarmi la sorpresa. E se fosse uno dei suoi almanacchi
plurisecolari?O quella bellissima statuetta etrusca, molto simile
alla sua più celebre cugina detta anche ‘l’Ombra della sera’?
E se?....
Drinnnn!! Drinnn!
Driiiiinnnnnn!!
“Arrivo, arrivo” Alla
fine, persa nei miei pensieri sono stata colta di sorpresa. Mi
precipito alla porta apro e,:
“C’è un pacco per
lei…..”
“Sì lo so…ma non vi
sembra di averci messo un po’ troppo tempo?” ribatto subito
acida. Me ne rendo conto, ma è da troppo tempo che sto aspettando
“Mia cara signorina….ci
dispiace, ma il suo pacco ci ha dato qualche problemino” risponde
il giovanotto che ho di fronte, con pazienza.
“Problemino? E come
mai? Un pacchettino che problemi può dare?....A proposito, non vedo
nessun pacco. Dov’è?” La mia delusione deve essere molto
evidente perché il giovane si appresta a rispondere
“Lo stanno portando su
per le scale….ci vorrà ancora qualche minuto. Io sono salito per
avvertirla”.
“Scusi, ma non potevate
prendere l’ascensore?”
“Magari!
No!!...Decisamente nell’ascensore il suo ‘pacchetto’ non
c’entrava.” Mi sbaglio o il suo sguardo è già meno amichevole
di prima?
“E come mai?” domando
allibita
“Forse….è….come
dire…..un tantino grosso??!!” azzarda lui in risposta
Ma che fa? Mi prende in
giro? Dentro di me sto ribollendo, ma decido di non dargli spago e di
rimanere calma e impassibile.
“Ok. Allora aspetto che
il mio pacchetto ‘problematico’ arrivi! Pensa che ci vorrà
ancora molto?”
“Beh! Credo che in una
ventina di minuti riusciremo a consegnarglielo!”
“Oh! Beh! Se è così
mi metto l’anima in pace e aspetto!” Forse è meglio
assecondarlo. Non si sa mai che tipi ti possono capitare tra capo e
collo!
“Sììì? Benissimo! Io
allora scendo ad aiutare gli altri” Nel suo viso c’è un evidente
sollievo, che non so attribuire a niente. Possibile che anche lui
pensi di me la stessa cosa che io ho pensato di lui?”
“Gli… altri?”
Sgrano di nuovo gli occhi come una deficiente
“Già…gli altri!” e
girando velocemente sui talloni se ne va velocemente.
Non mi rimane altro da
fare che aspettare che il mio pacchetto giunga tra le mie mani.
Involontariamente il mio pensiero corre alla lumaca di Pinocchio che
per andargli ad aprire la porta ci mise tutta la notte.
“Ciascuno ha la propria
filosofia….e più che altro la propria concezione del tempo”
Sospiro rassegnata e
decido di continuare a correggere le bozze da spedire alla casa
Editrice.
Dopo un quarto d’ora le
mie attese sembrano essere giunte a compimento. Dall’inequivocabile
rumore di passi e di qualcosa che in certi momenti sembra
sdrucciolare sul pavimento capisco che il mio pacchetto è arrivato a
destinazione e che durante la strada è cresciuto proporzionalmente
alla mia attesa e alla mia ansia.
Driiinn! Driiinnn!
Guardo la porta quasi con
timore. Che ci sarà là dietro?
Driiinnnn!
Driiiiinnnnnnnn!
“Eccomi, arrivo” e
apro decisamente, pronta a tutto…..Ma non all’enorme imballo di
legno che sta soffocando il mio pianerottolo e le quattro persone
che, ansanti, cercano di riprendere fiato.
“Possiamo portarlo
dentro?” mi chiede il giovanotto di poco prima, che forse nel
frattempo si è reso conto che io sono completamente all’oscuro del
contenuto del ‘pacchetto’. Mi guarda, preoccupato dal mio
silenzio. Forse teme che mi possa venire un accidente.
“C….certo”. cerco
di chiudere la bocca, di riprendere la mia dignità e di togliermi
dal vano della porta.
La ‘cosa’, ora
appoggiata sulle tecniche ruote di un carrello sofisticato entra
agevolmente nel mio salotto sottotetto, riempiendolo totalmente. Io
una volta tanto sono rimasta senza parole.
“Lei è la signorina
Lara Goldoni….vero?” mi domanda ansioso il giovanotto. Credo che
non sarebbe pronto ad accettare un mio diniego. Forse la visione
delle scale, tutte in discesa stavolta, gli sta scorrendo davanti
agli occhi.
“Sono io!” rispondo
rassegnata, rendendomene anche conto.
“Non c’è niente da
pagare!” Se pensa che questo mi tiri su di morale, si sbaglia di
grosso.
“Ci mancherebbe altro!”
dico mentalmente, ma è come se l’avessi gridato perché al ragazzo
passa un sorrisino sulla bocca.
“Ora togliamo
l’imballaggio, che portiamo via con noi….e lei mi dovrebbe
firmare questa ricevuta.”!
“Come? Ah! Sì!
Benissimo” e metto il mio sgorbio.
Guardo furtivamente il
mio regalo. Ora è proprio mio, l’ho preso in carico e sento già
che mi pesa sulle spalle. Sulle assi di legno inchiodate ci sono
appiccicate delle targhe con su scritto ‘Fragile’, ‘maneggiare
con cura’ ‘la ditta non risponde di eventuali danni’ e altro
ancora, ormai destinato a sfuggirmi perché le tre persone che hanno
fatto la tredicesima fatica di ercole, stanno liberando velocemente
l’oggetto misterioso che vi è celato e dopo tre secondi non mi
resta altro da fare che mettermi una mano alla bocca mentre dico con
tutto il sentimento che ancora riesco a trovare dentro di me:
“O mamma mia!!!”
Rimango ammutolita con
una mano davanti alla bocca e l’altra in testa tra i capelli. Non
mi importa nemmeno se lì davanti a me ci sono persone perfettamente
estranee alle quali faccio vedere tutto il mio smarrimento.
“Ma……..è enorme!”
dico alla fine decidendomi a togliermi la mano dalla bocca per
puntare un dito accusatore verso la ‘cosa’, che impassibile
rimane lì in tutta la sua pesantezza.
“In effetti signorina –
azzarda il giovane lentamente – questo è il pianoforte più grande
che mi sia mai capitato di vedere.”
“Ma è enorme!”
ripeto nuovamente guardando il mio interlocutore, sperando che mi
dica che sto sognando - .enorme….e incredibilmente brutto”.
“Ma no signorina, non è
brutto…è…come dire….imponente?” il tono accattivante con cui
i dice queste cose mi fa balenare l’idea che si sia impaurito dalla
mia reazione e tema che glielo faccia riportare via. In effetti sarei
quasi tentata, ma in questo momento non ho neanche la forza di
pensare. Tutto il mio cervello è pieno di quel pianoforte nero, da
parete, alto quasi due metri, con orribili candelieri, uno per parte.
“Imponente eh? -
ribatto acida come ormai non mi accadeva da molto tempo – allora le
auguro che le facciano un regalo altrettanto imponente!”
“per carità….ci
mancherebbe altro” si lascia sfuggire suo malgrado il giovanotto,
poi capisce di avere fatto una bella gaffe e si appresta ad alzare i
tacchi per andarsene.
“Bene! Se non c’è
altro signorina la saluto” e con un leggero inchino si dirige verso
la porta senza aspettare il mio congedo. Mi accorgo solo ora che gli
altri si sono defilati ormai da un po’ di tempo. Forse anche loro
erano impauriti da un probabile viaggio di ritorno.
Chiudo la porta o meglio
sbatacchio la porta e mi lascio cadere sulla mia poltrona che è
letteralmente soffocata dall’ingombrante pianoforte
“E ora…dove lo
metto?” Mi guardo intorno cercando di dilatare con lo sguardo le
pareti del mio quasi appartamento. Per appoggiarlo a una parete devo
eliminare diversa roba, ma certo non posso farlo rimanere in mezzo
alla stanza!”Va bene! Vuoi la guerra?...E guerra avrai!” dico
inviperita rifilandogli un calcio, che ottiene solo lo scopo di farmi
fare male al piede. Lui non si sposta neanche di mezzo centimetro.
Provo a spingerlo con tutte le mie forze, ma è come se fosse
incollato al pavimento. Non c’è niente da fare.
Guardo sconsolata il
telefono.
“Bisogna che dica a
Dedo di venirmi ad aiutare. Vuol dire che gli preparerò la cena!”.
Compongo il numero e
aspetto impaziente. Dall’altra parte il telefono suona e mi preparo
a rimanere calma e di aspettare che Dedo si decida a rispondere. A
quest’ora è sempre in casa e stasera che ho urgente bisogno di lui
non c’è?
“Ma dov’è andato?
Possibile che quando uno lo cerca non riesca mai a trovarlo?” sto
quasi per riattaccare la cornetta quando una voce strascicata
risponde:
“Prontooo?”
“Dedo? Ma dove ti eri
infilato? E’ mezz’ora che sono attaccata a questo aggeggio!”
gli urlo nell’orecchio
“Scusami Lara, stavo
dormendo!” mi risponde tranquillissimo
“Dormendo? Ma ti rendi
conto che sono le sei e mezzo del pomeriggio e che è troppo tardi
per il pisolino pomeridiano e troppo presto per andare a dormire?”
“Vabbè Lara! Che ci
posso fare? Mi è venuto sonno e l’ho assecondato. Ma avevi bisogno
di qualcosa per caso?” mi domanda gentilmente.
Quando Dedo è così
gentile con me, cosa che capita tutti i giorni, io mi sento un cane e
così anche stavolta non mi è rimasto altro che sentirmi un cane e
comincio a guaire
“Oh Dedo! Tu sapessi!
Mi è capitata una cosa orribile!” e mi metto a piangere
“Che ti è successo
Lara?” La voce di Dedo è sinceramente preoccupata
“La zia Cloe…..Ti
ricordi la mia zia Cloe, quella che mi regalò le pantofoline verdi
che poi io regalai a Desirèe…….”
“Beh! Lara per piacere
non cominciare dalla creazione di Adamo ed Eva!”
“Scusami, hai ragione!
Insomma mia zia Cloe mi ha mandato un regalo…”
“O bella questa! Tua
zia ti manda un regalo e tu piangi? Che eri strana lo sapevo, ma così
strana mi sembra veramente troppo!”e Dedo si è messo a ridere
dall’altra parte del telefono, facendomi riandare subito in bestia.
“Non capisco cosa ci
sia di tanto buffo da ridere. Mia zia mi ha fatto un regalo è vero,
ma non entra nemmeno in casa ed è talmente brutto, ma talmente
brutto che io….”e ricomincio a piangere ignominiosamente.
“E cosa sarebbe questo
regalo così ingombrante e così brutto?” sento che la sua voce è
incuriosita
“E’ un pianoforte
ecco che cos’è….e non riesco neanche a spostarlo per metterlo
alla parete, per cui ti ho telefonato per chiederti se mi vieni a
dare una mano e per dirti di fermarti a cena da me!” e concludo
tirando su rumorosamente col naso.
Nessuna risposta. Per un
attimo penso che sia caduta la linea poi sento la voce di Dedo,
vibrante di emozione che dice
“Un pianoforte? Tra due
minuti sono da te!”.
Guardo Dedo che è appena
arrivato e senza degnarmi di uno sguardo si è diretto verso la
‘cosa’.
“Ma è bellissimo Lara
– mi dice estasiato mentre continua ad accarezzare la superficie
lucida del pianoforte. Gli gira intorno guardandolo per tutti i
versi, si abbassa, si rialza, continua ad accarezzarlo – è
bellissimo. E’ un pezzo meraviglioso e credo anche di gran valore!”
C’è rispetto nella sua voce mentre guarda quel pezzo unico e io mi
ritrovo intimidita mentre il mio sguardo si posa sul regalo di zia
Cloe, che sta riacquistando la sua perduta dignità, dalle parole e
dalle carezze di Dedo.
“Bisogna trovargli un
posto Dedo! Certo non posso lasciarlo in mezzo alla stanza! Penso di
trovarti d’accordo almeno in questo” non posso esimermi
dall’essere un po’ sardonica
“Certo Lara. Questo è
un pianoforte da parete e trova la sua giusta collocazione in una
parete. Io fossi in te comincerei ad apprezzare quest’oggetto. In
tutta sincerità ti dico che se lo avessi io farei i salti dalla
gioia!” conclude con un sorriso
“Ma và! – rispondo
accompagnando le parole con il gesto eloquente della mano – mica
vorrai paragonare il tuo stupendo pianoforte a coda con questo?”
Da quando Dedo ha avuto
quello splendido contratto con una casa discografica può permettersi
diverse cose che prima sognava e basta.
“Sono due cose diverse
– dice Dedo assorto – è come se tu volessi paragonare un coker a
un pastore tedesco. Sono entrambi cani stupendi, ma sono molto
diversi tra loro.”
“Bene! Mi arrendo e
siccome me lo dici te cercherò di pensare che zia Cloe non ha voluto
farmi un dispetto, ma regalarmi invece qualcosa di stupendo che io
non sono in grado di apprezzare”.
“Lo apprezzeresti molto
di più se tu cominciassi a suonare un po’. Quante volte mi sono
offerto di farti lezione?. Ma tu non ne vuoi sapere!”
“Non sono fatta per la
musica….o meglio sono troppo pigra per mettermi a solfeggiare. Se
mi fai imparare scavalcando questo noioso passaggio…..vedremo,
intanto che ne dici di andare a cena?”
“Perbacco! Questa sì
che è una felice idea. Cos’hai preparato di buono stasera?” mi
sbaglio o l’espressione di Dedo è un po’ scettica? Purtroppo
conosce bene la mia scarsa abilità culinaria, ma stasera lo stupirò
con polpette fatte proprio da me e un’insalatina condita in maniera
perfetta.
“polpette e insalata
mio caro e poi un bel gelato. Però prima spostiamo il pianoforte!”
lo ricatto amabilmente
“Ok! Forza allora” e
Dedo senza darmi il tempo di alzarmi dalla poltrona comincia a
spingere con leggerezza il pianoforte con una mano, mentre con
l’altra lo guida verso il posto che dovrà occupare da qui in
avanti.
“Ma come fai? – gli
chiedo stupita – io non sono stata capace di spostarlo neanche per
mezzo centimetro”
“E ci credo – mi
risponde facendo una bella risata – c’era il blocco alle rotelle.
La vedi questa levetta, qui di fianco proprio sotto la tastiera?
Ecco, basta spostarla verso l’esterno e il gioco è fatto”
“Sono proprio una tonta
vero?” dico scuotendo il capo
“Ma no! Sei solo troppo
impulsiva. Ti arrabbi con niente e non ragioni. Ecco, ora si può
cenare? Sai credo di avere una certa fame. Oggi ho mangiato solo un
tramezzino”
A questo punto so che le
mie polpette, in qualunque maniera siano venute, avranno sicuramente
successo. Però c’è qualcosa che mi trattiene.
Dedo, in tutto il suo
girare e accarezzare il pianoforte e tessere le sue lodi, non ha mai
alzato il coperchio della tastiera. Non è l’atteggiamento di uno
che ha sbavato fino ad ora dietro una cosa.
Non posso trattenermi dal
domandargli:
“Dedo, come mai ancora
non l’hai provato? Non è da te”
“Non ti sfugge niente
eh!? Già, è proprio così! E non certo perché non abbia voglia di
farlo, ma semplicemente perché ho paura, che dopo aver visto una
cosa stupenda, questa venga sciupata dalla parte più importante
della sua struttura, cioè il suo suono”
“E’ come se tu
vedessi una bellissima ragazza che poi quando apre bocca fa cadere le
braccia?” cerco di dare un’immagine più terra terra allo stato
d’animo di Dedo.
“Sì Lara è proprio
così. Ma come fai a capirmi così bene?”
“E tu come fai con me?
Siamo i nostri migliori amici o mi sbaglio? - dico ridendo – dai
non avere paura! Prova questa benedetta tastiera! Ora sono curiosa
anch’io.”.
Dedo si siede sullo
sgabello, apre il copritastiera quasi con la paura di trovare tasti
rotti o ingialliti, ma il bianco dei tasti è abbacinante e il nero
splendente. Si volta a guardarmi sollevato e soddisfatto. Ora arriva
la parte più difficile per lui. Appoggia le sue mani dalle sensibili
dita su due tasti e li preme leggermente. Due note perfette si
diffondono nella stanza. Le mani di Dedo a questo punto non hanno più
fermezza e in un attimo improvvisa una fuga di note che si rincorrono
per tutta la mia casa con un’armonia tale che fa venire la pelle
d’oca anche a me che di musica non ci capisco niente.
“Non solo ha un suono
meraviglioso Lara, ma tua zia è stata talmente gentile e accorta che
te l’ha mandato perfettamente accordato……..ora andiamo a
mangiare!” e Dedo si alza cominciando a chiudere la tastiera. Ma a
un certo punto lo vedo arrestarsi risollevare del tutto il coperchio
e guardare nella parte terminale della tastiera, dalla parte
sinistra. Guardo anch’io incuriosita e sgrano gli occhi per vedere
meglio
“Guarda Lara, ma qui
c’è qualcosa e mette una mano nella fessura tra la tastiera e il
legno della cassa dalla quale sta spuntando qualcosa di
bianco-giallo.
“Che cos’è?”
domando subito incuriosita
“Non lo
so,…..sembrerebbe una busta! Che faccio provo a tirare?”
“E me lo domandi anche?
Certo che devi tirare. Sono proprio curiosa di vedere che c’è.
Forse è un biglietto che ci ha messo la zia Cloe…..”
Dedo intanto lentamente,
per non rompere niente sta tirando fuori un centimetro alla volta
quella che è veramente una busta, una busta che a prima vista sembra
essere molto vecchia per quanto è ingiallita.
Finalmente Dedo me la
porge e mi ritrovo in mano una busta chiusa, all’interno della
quale si sente che c’è altra carta.
La rigiro e rimango di
stucco. Con una calligrafia svolazzante ci sono scritte alcune parole
sbiadite dal tempo.
“per piacere chi trova
questa busta è pregato di farla avere alla signorina Marinella
Conforti in via dei Calderai n° 32. Grazie. Galeazzo Goldoni”
leggo piano e poi qualcosa si agita in me.
“Perbacco, ma Galeazzo
Goldoni non è il mio…trisavolo?”
Se non lo sai te Lara,
certo non posso dirtelo io!”
“E ora che facciamo?”
dico a Dedo
“Non lo so….così sul
momento non lo so proprio Lara …..però così a naso non mi sembra
giusto aprire questa lettere, almeno non ancora. In fin dei conti è
indirizzata a un nome e a un indirizzo ben precisi”
“Sai che ti dico Dedo?
Domani andiamo in via dei Calderai n° 32…….ora andiamo a cena”.
Stanotte non sono
riuscita a dormire. Ho appoggiato la lettera sul comodino e non sono
riuscita a scordarmene. Mi ha perseguitato nel mio sonno agitato e mi
ha fatto sentire netta la sensazione che andrò a mettermi in un bel
ginepraio. Forse l’avventura con Desirèe è ancora troppo recente
perché non veda guai dietro ogni angolo della mia immaginazione.
Qualcosa mi dice che farei bene a distruggere quella lettera e a
continuare a vivere normalmente come se niente fosse avvenuto, ma mi
conosco, perbacco, mi conosco!!!!
E mi conosce bene anche
Dedo. Infatti poco dopo che mi sono alzata ho sentito suonare il
campanello e Dedo si è presentato dicendo:
“Me lo offri un caffè
e già che ci siamo anche la colazione?”
“Certo, prepara tutto
te mentre io mi vesto. Ti dispiace?” Al solito ho colto la palla al
volo e così troverò una bella colazione pronta e una tavola ben
apparecchiata. Dedo è bravissimo per queste cose, ma a casa sua
quando è solo non le fa.
Mentre mi preparo penso a
lui e a quanto sia solo in quella grande casa che ha comprato
recentemente. Lui è proprio un uomo fatto per avere moglie e figli,
non c’è dubbio su questo. E io che sono la sua migliore amica ho
il compito di aiutarlo. “Ebbene sì Lara, devi escogitare qualcosa
per trovare moglie a Dedo. Lui è con la testa troppo sulle nuvole
per farlo da sé”.
“Eh già! – mi
rispondo immediatamente – ma le mogli mica si comprano al
supermercato! Potrei mettere un avviso sul giornale……..AAAA
cercasi disperatamente brava ragazza con forte istinto materno per
marito cucciolo tenerone! Presentarsi con una rosa rossa in bocca e
un guinzaglio in mano” sorrido a questa prospettiva. Non farei mai
una cosa simile al mio migliore amico. Voglio molto bene a Dedo e
voglio che lui sia felice con la donna che un giorno sarà al suo
fianco, altrimenti questa dovrà fare i conti con me”
Torno in cucina e la
colazione che mi aspetta è senz’altro oltre le mie aspettative.
Sarò anche agitata è vero, ma senz’altro quei piccoli croissant e
quei panini imburrati e con un bello strato di marmellata di lamponi,
mi fanno venire l’acqua in bocca e il profumo del caffè, mi
predispone a rilassarmi e godermi in santa pace dieci minuti della
mia giornata. Credo che Dedo pensi la stessa cosa, almeno così si
direbbe dal profondo sospiro che fa, e dalla stropicciata delle mani,
prima di mettersi a sedere.
“Buon appetito…..e
buona giornata” dico a bocca piena mentre cerco di non scottarmi
col caffè bollente
“Altrettanto a te Lara”
e Dedo dopo avermi sorriso e ammiccato con gli occhi si appresta con
impegno a fare il suo dovere.
Via dei Calderai è
proprio una bella via. E’ una traversa di una strada principale del
centro della città. Le case che vi si affacciano sono tutte
piuttosto vecchie, di una sobria eleganza e improvvisamente mi
ritrovo a chiedermi perché nonostante ormai siano molti anni che
abito in questa città, non mi era mai capitato di passarci. I casi
della vita. Ci voleva una lettera ingiallita per farmi venire in
questo posto. Mentre cammino vicino a Dedo, cercando di stare dietro
al suo lungo passo, mi ritrovo a pensare che non è stato proprio una
bella idea venire in questo posto con una lettera ancora sigillata in
mano. Come posso andare da persone perfettamente sconosciute a
proporre una lettera che avrà quasi cento anni? E poi che ci sarà
scritto in quella lettera?
“Almeno se l’avevo
letta, ora lo saprei – dico ad alta voce a Dedo – se tu non
avessi avuto l’infelice idea che bisogna essere a tutti i costi
corretti e non aprire la posta degli altri, ora almeno sapremmo che
cosa andiamo a fare.
“Ma dai Lara. Possibile
che ti devi innervosire per una cosa come questa? Mi sembra carino
consegnare una lettera se non all’interessata, visto che ormai lei
non c’è più, almeno ai familiari….sempre che i familiari
abitino ancora a questo indirizzo”.
“Se lo dici te…..tanto
ora lo sapremo…guarda quello è il numero32”. Dico emozionata mio
malgrado
“Guarda Lara – la
voce di Dedo è emozionata altrettanto – guarda----“
“Che c’è? –
rispondo sporgendomi verso il punto che mi indica – vedo solo una
fila di campanelli!”
“Già, ma guarda il
nome!”
“Oddio Dedo è
possibile che non abbiano mai cambiato il nome in questo campanello,
dopo tutti questi anni? Dimmi che non ho le traveggole. C’è
scritto Marinella Conforti vero?”
“Proprio così! Che
faccio, suono?”
“E sennò che siamo
venuti a fare? - rispondo con una sicurezza che non provo per niente
– suona e leviamoci quanto prima questo impiccio”.
Dedo ha suonato! Speriamo
che qualcuno sia in casa. Non vedo l’ora di aprire la busta, ma se
non trovo nessuno ho deciso: l’aprirò da me punto e basta. In fin
dei conti una lettera scritta cento anni prima, non è più privata,
non può fare del male a nessuno….e poi sono molto curiosa!
Il mio pensiero corre al
mio trisavolo, per me quasi un illustre sconosciuto. L’ho sentito
nominare qualche volta, ma di lui so pochissimo. Mio padre parlava
qualche volta di quel bisnonno che amava tantissimo la pittura, i
cani, le lunghe passeggiate, la pipa e la musica. Diceva che era uno
tra gli ultimi rappresentanti di quei signorotti di campagna che
vivevano di rendita e finivano poi per mangiarsi tutto il capitale
inseguendo i sogni di una vita che stava trasformandosi. Penso che
alla fine successe proprio così, perché non ho mai avuto ricordo
che la mia famiglia abbia passato periodi di benessere e ricchezza e
l’unica cosa che ci è rimasta di allora è proprio la casa in
campagna, che è a metà tra una villa e una casa padronale,
circondata da un grande parco che sicuramente ha visto tempi molto
migliori. Le poche fotografie che sono rimaste di lui, lo vedono
vestito come un gentiluomo, in posa con cappello bastone e guanti, un
paio di baffetti e due occhi sognatori, che pare io abbia ereditato
da lui, almeno da quanto mi è sempre stato detto,
“Chi è? – sento la
voce di un uomo rispondere dal citofono – Chi è?”
Dedo mi precede , mentre
io mi risveglio dai miei sogni e risponde prima di me.
“Buona sera mi chiamo
Demetrio Donati e avrei bisogno di scambiare due parole con lei. Con
me c’è anche la signorina Lara Goldoni …..e anzi…è proprio
lei che dovrebbe dire qualcosa. Possiamo salire da lei, oppure se
preferisce scendere, visto che non ci conosce….”
“Un attimo per
favore….”
Poco dopo sento aprirsi
una finestra al secondo piano e una bella ragazza si affaccia
sorridendo:
“Siete voi che volete
parlare con mio fratello?”
“Ma….noi vorremmo
parlare con la signora Marinella Conforti, o perlomeno con qualcuno
dei suoi parenti.”
“La mamma non c’è in
questo periodo….se va bene potete parlare con noi….ora arriva
anche mio fratello…vi ha risposto lui, ma deve terminare di fare
una telefonata importante…….”
“Non importa,
aspettiamo qui – la voce di Dedo è molto conciliante
“Ma no! Vi apro io!
Salite al secondo piano…il portone in fondo al corridoio è il
nostro”
Trenta secondi dopo si
sente un clik e il portone si apre introducendoci in un ingresso
bello ed elegante, tenuto con molta cura. Ci guardiamo intorno,
incuriositi dalla bella atmosfera che si respira in quella casa già
all’ingresso. Le scale sono larghe e agevoli, per niente faticose.
Due minuti dopo siamo davanti al portone di noce scuro, che in quel
momento si apre. La giovane donna in jeans e t-shirt che si affaccia
è sorridente , bella e serena. Un piacere guardarla.
Anche lei ci guarda e i
suoi occhi mostrano una genuina curiosità nei nostri confronti. E
chi non avrebbe fatto altrettanto? Mi sento imbarazzata e un tantino
scema.
Come faccio a dirle che
sono lì perché ho trovato una lettera in un pianoforte indirizzata
al nome che è sul campanello della sua porta?
Guardo Dedo in cerca di
aiuto. Stranamente lui che è sempre così svagato e con la testa tra
le nuvole, stavolta è molto più calmo di me e a quel che sembra
capace di gestire la situazione in maniera tale da salvare la nostra
comune dignità.
“Ma
prego…accomodatevi!” e si tira indietro per farci entrare.
Varchiamo la soglia e mi ritrovo con la bocca e gli occhi spalancati
a dismisura:
“Ma ….è tutto
bellissimo qui!” mi scappa detto inopportunamente e contro la mia
volontà.
Anche Dedo guarda
affascinato il grande salone che ci accoglie, arredato in maniera
squisita e con accorgimenti che solo un grande architetto saprebbe
fare
“Signorina, ci scusi,
non ci siamo ancora presentati nel modo dovuto. Io sono Demetrio
Donati e questa è la signorina Lara Goldoni……e siamo qui perché
dobbiamo mostrarle una cosa”
“Il piacere è mio….Mi
chiamo …Dorotea Conforti, ma prego andiamo a sederci” e si avvia
verso un divano color panna che ha tutta l’aria di essere
estremamente morbido. Ci avviamo dietro di lei, quando Dedo si ferma
improvvisamente e un’esclamazione che nasce dal profondo del cuore
viene fuori in tutta la sua estensione:
“Mammamiasantissima! Ma
è stupendo!”
Ci giriamo a guardare il
motivo di tanto ardore e con la coda dell’occhio vedo qualcosa che
prima mi era sfuggita, obliterato come era da un lungo tendaggio. Un
pianoforte a coda, paragonabile a un transatlantico fa bella mostra
di sé in quel salone e ne esalta la sobria e armoniosa eleganza.
“Ah! Il mio pianoforte.
Sì, è un bel pezzo ed è nella nostra famiglia da non so più
quanto tempo. Io comunque l’ho sempre visto e forse è grazie alla
sua presenza in questa casa che mi è venuta una grande passione per
la musica.”.
Intanto ci siamo seduti e
Dorotea con voce gentile ci interroga prima con lo sguardo e poi con
la parola:
“Ditemi pure!”
“Sì! – comincio non
sapendo da che parte farmi per cui non trovo meglio da fare se non
aprire la borsa per prendere la lettera – ecco io ieri ho ricevuto
un regalo….”
“Buongiorno a tutti –
interloquisce una voce di giovane uomo. Una voce forte, allegra e
nello stesso tempo profonda – cosa possiamo fare per voi?”
Le parole mi muoiono in
gola nel momento in cui mi giro per vedere l’uomo che ha parlato e
rimango allibita
“Ma…ma…ma noi non
ci siamo visti ieri?” Le parole mi sono uscite contro la mia
volontà, mentre guardo il giovanotto decisamente avvenente e vestito
in maniera informale che ho davanti a me. Magari non è vero niente e
sto facendo l’ennesima figura da cretina, magari questo giovanotto
somiglia solo a quello che ieri è arrivato trafelato a casa mia con
quel ‘coso’ che Dedo si ostina a dire che è tanto bello. Però
quando ha visto il mio pianoforte mica ha fatto la stessa
esclamazione che ha avuto verso questo!
“Smettila di divagare e
torna a bomba!” mi dico arrabbiata con me stessa
“Salve!.....Sì è
vero! Lei è la signorina che aspettava un ‘pacchettino’ e non
capiva perché ci volesse così tanto tempo per recapitarlo!”
conclude con una risata
Mi sento idiota e
arrabbiata nello stesso tempo. Chissà che faccia ha un’idiota
arrabbiata? La mia non deve dare adito a dubbi, perché il giovanotto
mi tende una mano e amabilmente dice:
“Via facciamo la pace!
E già che ci siamo mi permetta di presentarmi. ….Leone Conforti!”
“Lara Goldoni!” dico
piano, continuando a seguire il mio pensiero. Che ci fa questo
ragazzo in una casa come questa? Non mi risulta che i ‘corrieri’
possano permettersi lussi simili….o forse mi sbaglio io…..in fin
dei conti Michele Strogoff non era forse il corriere dello zar? E poi
con un nome simile. Leone! Chi è che chiamerebbe suo figlio Leone,
se non avesse grosse aspettative per lui?
Che bel nome Leone. Mi
immagino mentre dico “Leone vieni qua” e lui arriva facendo le
fusa “miao miaooo!”
“Ehi! Bionda! – dico
tra me e me – sei impazzita per caso? Torna sulla terra!”
Il tonfo è notevole. Mi
accorgo che ora siamo tutti seduti tra divano e poltrone e tutti
stanno aspettando che io parli.
“Bene! Allora questa è
la questione. Ieri, mi è arrivato un regalo ! Il pianoforte che hai
visto anche tu – mi rivolgo a Leone – mi permetti di darti del
tu, visto che più o meno abbiamo tutti la stessa età?”
“Ma certo Lara. Vai
avanti. Siamo abbastanza curiosi di sapere che cosa vuoi da noi”
“Veramente lo vorrei
sapere anch’io! Sono venuta fino qui seguendo semplicemente un
istinto, o meglio, seguendo l’istinto di Dedo, che diceva che non
potevamo aprire questa lettera, - dico mostrando per la prima volta
la busta ingiallita - se prima non provavamo a ricercare la persona
alla quale era indirizzata.”
”Che sarebbe?” La voce di Dorotea è piena di curiosità.
”Che sarebbe?” La voce di Dorotea è piena di curiosità.
“Il nome della donna
che è segnato nella busta. Si chiama Marinella Conforti!”
“Ma è la mamma!”
dice sempre Dorotea. Ora anche Leone è più attento.
“Scusatemi ma vorrei
capirci qualcosa in quello che mi stai dicendo…..Allora ricapitolo!
Ieri ti arriva un pianoforte e oggi sei qui con una busta , che mi
sembra vecchiotta, dicendo che è per la mamma? E’ così?”
“No! Cioè sì!
Uffa!...Si sta facendo un sacco di confusione! Allora ! La lettera
era dentro il pianoforte e nella busta c’è scritto di farla
recapitare alla signorina Marinella Conforti da parte di Galeazzo
Goldoni…..che tra l’altro è il mio trisavolo….ragion per cui
questa lettera non può essere indirizzata alla vostra mamma perché
si parla di tanti, tanti anni prima”
Cala il silenzio, per
rifare ordine nelle idee di ciascuno di noi.
E’ Leone a romperlo per
primo;
“In effetti ci siamo
fatti confondere dal nome. Infatti non può essere quello della mamma
perché la mamma ha deciso di usare il cognome del babbo, dopo che si
sono sposati, ma quando era signorina si chiamava Battisti.”
”Infatti bisogna
cercare più indietro nel tempo. Non vi risulta di avere avuto
qualche parente con questo nome? – interloquisce Dedo che fino a
quel momento era rimasto silenzioso, non so se perché seguiva un suo
filo logico, o perché ancora doveva riprendersi dall’emozione del
pianoforte (possibile che non ci sia nessuna donna che gli procura
una simile emozione?), o molto più probabilmente perché se ne stava
andando dietro qualche musica che sta componendo.
Leone e Dorotea si
guardano, cercando di pensare, ma ogni tanto scuotono il capo. Di
parenti ne hanno tanti,anzi tantissimi, ma Marinella non l’hanno
mai sentita nominare da nessuno.Poi Leone si illumina:
“Ma sì! Ma sì! Come
abbiamo fatto a non pensarci prima Tea! Nelly! Ecco chi è! La zia
Nelly!”
“E’ vero! Nella
nostra famiglia c’è stata una zia Nelly che si faceva chiamare con
l’accento sulla y ci ha sempre detto il babbo. Guai se qualcuno la
chiamava in altro modo. Ce ne parlava sempre il nonno dicendoci che
sua zia Nelly’ l’aveva cresciuto come se fosse stato suo figlio,
perché lei non si era mai sposata e dunque non aveva avuto figli
suoi. Sono sicura che si tratta della zia Nelly’!”aggiunge Tea
emozionantissima.
“Ecco allora io penso
che possiamo leggere insieme questa lettera, senza il timore di
offendere qualcuno e nel rispetto di due persone che non ci sono più,
ma chissà perché, in questo momento mi sembra che siano qui con
noi.” Li guardo aspettando conferma “Voi che ne dite?”
“Penso che sarebbe una
cosa saggia!” mi liquida Leone sbrigativamente
“ Ebbene signori, visto
che sinceramente sono un po’ emozionata, credo che passerò la
lettera a Dedo,….sì,.. si chiama Demetrio, ma per me è sempre
stato Dedo,….dunque gli darò la lettera e lui la leggerà a tutti
noi. Vuoi Dedo per piacere?”
“Ok Lara. Posso
cominciare?”
“Siamo tutti impazienti
Dedo!” dice con un sorriso Dorotea e mi sbaglio, o il sorriso è
proprio tutto per Dedo?
Nelly’ mia adorata,
penso che non
riceverai mai questa lettera, che ho sentito la necessità di
scriverti in queste ore della mia vita, che avevano bisogno di
manifestare una volta ancora i veri sentimenti che ho sempre provato
per te. Non credo che avrò mai il coraggio di impostarla, perché
non vorrei turbare la tua vita, che magari è felice. La affiderò
invece al mio ‘vecchio Jo’, il nostro pianoforte, ricordi?
Quello su cui abbiamo suonato tante dolci romanze, quello nel quale
le nostre mani si sono unite per la prima volta, toccando una nota,
quello che ha sentito la dichiarazione del mio amore per te e la tua
risposta. La vita è stata crudele con noi e non ci ha permesso di
realizzare il sogno che volevamo si avverasse con tutte le nostre
forze: quello di passarla insieme.
Ricordo ancora il
dispiacere che provai quando tuo padre rispose di no alla mia
richiesta di fidanzamento. Non ero l’uomo che lui voleva per te;
lui ambiva a una posizione sociale più alta e la mancanza di
fiducia nelle mie capacità di pittore unita ai miei trascorsi
politici piuttosto liberali facevano di me una persona non gradita e
da allontanare quanto prima da sua figlia, nonostante fossimo
cresciuti praticamente insieme. Ricordi quanto era bello incontrarsi
d’estate nelle nostre case di campagna? O meglio la mia era una
grande casa, ma la tua era una villa enorme, che metteva soggezione.
Eppure noi giocavamo insieme, parlavamo di tutto,e nel corso degli
anni la nostra bella amicizia è diventata un grande amore. Dimmi!
Ricordi ancora Nelly’?
Ho cercato
disperatamente negli anni successivi di rivederti, di incontrarti, di
capire se eri felice, se avevi trovato un altro amore, ma non sono
mai più riuscito a vederti e a sapere qualcosa di te. Sembra strano
vero?Che una persona sparisca nel nulla, ma è così che è successo.
Tu non sei mai più tornata nella grande villa, e io, quando sono
venuto a trovarti a casa tua, in città, non sono mai stato ricevuto.
Solo l’ultima volta,
quando chiesi di poterti vedere, parlare, mi fu risposto che la
signorina Marinella era andata a conoscere i genitori del suo
fidanzato. Fu un duro colpo, ma da quel momento non ti cercai più.
La vita riprese il suo
cammino e dopo qualche anno mi sposai. Ho voluto bene a mia moglie,
ma tu sei rimasta il vero grande amore della mia vita. Ho avuto il
conforto di avere dei figli, ma non ho mai avuto il coraggio di
parlare di te con loro, neanche dopo che rimasi solo.
Tu lo sai che sono
sempre stato un sognatore e come tutti gli artisti, perché la mia
arte alla fine mi fu riconosciuta, non ho mai avuto molto senso
pratico e per tutta la mia vita ho continuato a fare castelli in
aria. E in questi castelli c’eri sempre te, anche se sapevo che non
ti avrei mai più rivisto.
Poi un giorno decisi
di preparare un regalo per te o per i tuoi discendenti, e per i miei
discendenti, in modo che i loro cammini, potessero incrociarsi e si
potessero conoscere e alla fine potessero parlare di noi come di due
persone che si sono volute bene al di là della vita. Qualche volta
il destino va provocato, ed è quello che sto cercando di fare ora,
visto che non ebbi il coraggio di farlo una volta.
Ricordi la piccola
chiave d’argento che ti regalai una volta in riva al lago? Ti dissi
che era la chiave dello scrigno che raccoglieva i miei pensieri più
cari e che solo tu avresti potuta averla, tu e nessun altro perché
eri al centro del mio cuore, la parte più importante di me.
Recentemente ho
messo dentro questa cassetta un documento importante e l’ho
affidata a un notaio. La cassetta è sigillata e solo quella chiave
potrà aprirla. Ma non basta! Prima di aver il permesso di aprire la
cassetta, chiunque si presenterà, per farlo dovrà saper rispondere
a questa domanda, della quale solo tu sapevi la risposta, perché era
diventata una cosa nostra fin da quando eravamo bambini. Quando io ti
dicevo: “Perché bisogna faticare tanto per conquistare il mondo?”
Tu come mi rispondevi?La tua risposta l’ho scritta in una lettera
che ho consegnato al notaio.
Ora tutto è affidato
al caso. Hai tenuto la chiave? Oppure hai pensato che non aveva più
alcun valore per te? E poi! Sarà mai trovata questa lettera? E più
che altro…quando? Forse se verrà letta tra tanti anni, queste
parole sembreranno intrise di un romanticismo ottocentesco, mentre
invece sono pervase solo di amore, amore vero, autentico, per te, mia
adorata Nelly’.
Non credo di avere
altro da aggiungere se non rinnovarti una volta di più tutta la mia
devozione e tutto il mio rimpianto di non essere potuti essere l’uno
per l’altro ciò che avremmo desiderato essere.
Tuo per sempre
Galeazzo
Ps- Lo Studio Notarile
presso il quale si trova la cassetta è del Dott. Frangione Ruperto
e figli, in via Augusto n° 4
Senza data perché tu
ed io saremo sempre al di là del tempo.
Quando la voce di Dedo
tacque, nella stanza non volava una mosca. A tutto eravamo preparati
tranne alla commozione che ci aveva procurato quella lettura.
Io che mi sono sempre
ritenuta un tipo pratico, cercavo di resistere alla commozione che si
era impadronita di me, ma il nodo che mi si era formato in gola non
andava né su né giù , ma anche gli altri non scherzavano davvero,
mi dissi, dopo che ebbi recuperato un po’ di dignità. Tea aveva
gli occhi lucidi e Leone, a dispetto del suo nome aveva più l’aria
di un tenero orsacchiotto che del temibile re della foresta….per
non parlare di Dedo. ……Forse perché gli era toccato il compito
di leggerla, era quello che aveva somatizzato di più, e continuava a
stringere la lettera tra le mani che non avevano fermezza, rosso in
viso come un pomodoro.
“E ora che si fa?”
dico cercando di apparire quasi estranea alla commozione generale.
Leone ritrova subito la
parola e allargando le braccia dice:
“Credo che la prima
cosa da fare sia quella di cercare questa famosa chiavetta….Io non
l’ho mai vista e tu Tea?”
“Non mi pare proprio!
Ma magari l’abbiamo sempre avuto sotto gli occhi e non ce ne siamo
mai accorti. Stasera telefonerò alla mamma per sapere se lei sa
qualcosa più di noi”
“Eh sì! Credo davvero
che siamo fermi a questa chiave. Nel frattempo però tu Lara potresti
vedere tra le tue scartoffie familiari, che penso avrai sicuramente,
come abbiamo tutti, se riesci a trovare qualcosa che ci possa
aiutare…non credi?...Ehi! Ma mi senti?....dico a te. Lara…Lara…ci
sei?”
“Eeehh!....a sì …ho
capito…va bene!”
No! Lara decisamente è
da un’altra parte in questo momento perché ha realizzato solo ora,
mentre gli altri stavano parlando che il suo Bis bis aveva dato un
nome al pianoforte e l’aveva chiamato il ‘Vecchio Jo’ e lei ha
già conosciuto un altro Jo, che era un cavallo che apparteneva a
Solo con un Cavallo…..
“Possibile! Possibile!
–dico dentro di me – che siano la stessa cosa?” e mentre me lo
dico mentalmente sento crescere dentro di me una grande gioia, perché
istintivamente so che Jo, diminutivo di Joloso, e il Vecchio Jo, sono
la stessa cosa e che lui è tornato da me sotto mentite spoglie per
aiutarmi a risolvere un altro inghippo della mia vita. Non vedo l’ora
di tornare a casa per guardare meglio il ‘mio’ pianoforte, perché
sono sicura che Jo si farà riconoscere in qualche modo.
Intanto dal silenzio che
c’è nella grande sala mi rendo conto che tutti gli sguardi sono
rivolti a me e non mi rimane altro che dire candidamente e col
sorriso sulla bocca:
Scusatemi ma mi sono
appena resa conto di avere ritrovato un vecchio amico!”.
“Bene – riprende Tea
con un incantevole sorriso – io credo che per il momento non ci sia
altro da fare. Appena sapremo qualcosa di nuovo ci sentiremo e
concerteremo insieme il da farsi. Io ora devo riprendere i miei
esercizi al piano….se vuoi rimanere Dedo, suoneremo qualcosa
insieme, che ne dici?”
“Volentierissimo – la
risposta di Dedo non lascia spazio a dubbi. Vuole rimanere lì e a
quel punto, da come sta guardando Tea, mi domando se è attratto più
dal piano o da lei o da questa combinazione vincente.
“Boh! Buon per lui. Io
voglio tornare a casa!” borbotto tra me e me.
“Benissimo –si fa
avanti Leone – allora io accompagno Lara a casa. Tanto il suo
indirizzo lo conosco”.
Lo ringrazio mentalmente
mentre torno a guardarlo di sottecchi, senza farmi accorgere da
nessuno. Decisamente è proprio un bel ragazzo con quei capelli un
po’ lunghi e spettinati, lo sguardo diretto e la bocca atteggiata a
un sorriso che non è di circostanza. “Ehi bimba! – mi brontolo –
vediamo di stare attenta ok?!”
Aspetto una risposta
dall’altra me stessa, che però guarda caso, non viene!
“E questo è tutto! –
dico lentamente a Leone che seduto sul divano di casa mia sta bevendo
un bicchiere di aranciata, unico liquido commestibile a parte
l’acqua, che mi concedo – so che è difficile credere a quello
che ti ho detto e sicuramente Desirée, Solo con un Cavallo e Jo,
sono frutto della mia fantasia, ma io ho vissuto così intensamente
questa avventura, che per me sono veri e più che altro…amici!”.
Leone è silenzioso e
continua a sorseggiare la sua bibita e io, innervosita da quel
silenzio che mi parla di incredulità continuo con un tono di voce
diverso, più agguerrito e più nemico:
“Se credi puoi dirmi
che sono pazza! Non mi importa! Non rinuncio ai miei sogni, se sono
stati solo sogni, e Jo per me in questo momento è qui….e io lo
troverò!”
Sai che ti dico Lara? -
Ribatte lui con un grande sorriso - ti dico che sei una persona
fantastica. Ma questo l’avevo capito anche ieri, quando sono venuto
a portarti quel pachiderma – e con un dito indica il Vecchio Jo –
Ma ti dico anche di più! Sei una persona limpida, adulta, ma che ha
lasciato che la bambina che è dentro di lei non morisse….ecco cosa
ti dico!...Dai ora vediamo di trovare dove si è nascosto Jo – e
alzandosi di scatto si è avvicinato al pianoforte – dopo ti
parlerò di me!.... Ho visto sai come mi guardavi quando ti sei
accorta che in quella bella casa ci stava la persona che ieri ti ha
portato con grosso dispendio di energie ,un pezzo raro che ieri
consideravi un ingombro e oggi hai capito che è un amico!”.
Il pianoforte è lì,
muto, appoggiato alla parete che riempie quasi totalmente, ma ora
guardandolo, mi rendo conto anch’io di trovarmi di fronte a un
pezzo unico. La sua superficie è lucida e levigata, i candelieri a
tre braccia lucidi e di bella fattura. Alzo il copritastiera e i
tasti mi appaiono lucenti, eburnei, ma chissà perché a un tratto mi
fanno venire in mente Jo, o meglio il sorriso di Jo, quello per
intendersi a tutti denti, durante la serata al Madison Inn.
Anche Leone gira intorno
allo strumento nero, che mette soggezione per la sua imponenza e la
sua altezza, lo accarezza, passa una mano sul nome dell’ ebanista
che l’ha assemblato, mi guarda e poi ritorna a girare intorno al
‘vecchio Jo’ come se cercasse qualcosa, senza sapere che.
Si abbassa per vedere la
pedaliera e involontariamente mi viene da sorridere
“Mica penserà che gli
abbiano messo i ferri da cavallo?”. Credo che anche lui abbia
pensato la stessa cosa perché improvvisamente si mette a ridere e
scuote il capo.
La nostra ricerca sembra
finita. Io ho avuto la sensazione che Jo e il ‘Vecchio Jo’ in
qualche modo siano la stessa cosa, ma niente è venuto a confermarla.
Alzo le spalle, pronta a infischiarmene delle prove. Per me Jo è
tornato nei panni di un pianoforte, si può dire così? E dunque non
ho bisogno di altro, per cominciare ad amare quello strumento del
quale fino a due giorni prima non conoscevo nemmeno l’esistenza.
Stranamente è Leone che non si da per vinto. In pochi minuti ha
fatto un’altra ispezione, che ha dato il medesimo risultato, cioè
zero. Alla fine torna verso di me e si mette seduto nel divano per
rialzarsi neanche un secondo dopo e correre, si fa per dire, perché
in casa mia con un passo hai già attraversato la stanza, comunque
lui corre ne sono sicura, nuovamente dal ‘vecchio Jo’ e solleva
il coperchio della cassa armonica, dove, chissà perché non è stato
guardato, forse perché è troppo alta.
“Ecco Lara! Vieni a
vedere perché solo tu puoi dire se questo è Jo…!”
“Mi avvicino trepidante
e guardo, senza vedere niente.
“Prendi una sedia dai!
Sei troppo piccola per arrivare fino quassù” mi dice con un
sorriso accattivante Leone.
“Ehi! Stai attento a
quello che dici – rispondo scherzando – ti avverto che da ora in
poi ogni parola che dirai potrebbe essere usata contro di te” Però
ascolto il suggerimento, prendo una sedia e ci salgo sopra.
“Ma è proprio Jo! Il
mio Jo” …E… guarda Leone, vicino a lui, lo vedi quel cavaliere
vestito di nero? Sì? Ecco quello si chiama Solo con un cavallo, e
anche se di nomi ne ha molti altri, per me rimane sempre Solo con un
cavallo.”
Guardo con affetto Jo,
che da cavallo è diventato pianoforte, ma conoscendolo so che a lui
va bene così. Jo è troppo superiore alle cose umane per
preoccuparsi di queste stupidaggini. Lui stava bene da cavallo e ora
sta bene da pianoforte.
Non so perché ma penso
che Jo è un perno importante nella nostra avventura, e il fatto di
saperlo qui con me mi rassicura e mi spinge a essere fiduciosa.
Mi sto accorgendo che
comincio a rilassarmi per cui credo che sia ora di porre fine a tutte
le emozioni della giornata. Ho bisogno di stare tra le mie cose, tra
i miei colori, tra i miei bozzetti da correggere e con i miei
ricordi, sia quelli con i miei amici onirici, sia quelli con coloro
che hanno condiviso con me la vita: i miei genitori, i miei nonni e
questo strano personaggio che è il mio trisavolo, che mi accorgo ora
è un incredibile sognatore e un incurabile ottimista.
Ma come fa a pensare che
dopo tanti anni i suoi discendenti e quelli della sua adorata Nelly’
si prendano la briga di infilarsi in un ginepraio?
Eppure è quello che
tutti noi ci accingiamo a fare, me ne rendo conto senza ombra di
dubbio e me lo confermano anche le parole di Leone, che arrivano
proprio in quel momento.
“Senti Lara, visto che
nei prossimi giorni dovremo incontrarci e vedere di portare a termine
questa cosa che ha dell’incredibile ma che comunque ci è capitata,
a meno che io non stia sognando….visto queste cose dicevo, mi
sembra giusto dirti qualcosa di me e di mia sorella, in modo che tu
non sia prevenuta verso di noi, e tu ci possa accordare la tua
fiducia ….Vuoi?”.
E’ un piacere stare ad
ascoltare Leone mentre parla e tra l’altro ciò che dice è anche
molto interessante.
“Dunque Lara, che mi
chiamo Leone ormai lo sai, ma forse non sei riuscita a capire che io
e Tea siamo gemelli. In effetti non ci somigliamo molto, però siamo
nati lo stesso giorno, per l’esattezza lei dieci minuti dopo di me.
Quando sei entrata in
casa ho visto subito che la bellezza del salone ti ha colpito e
magari ti sei anche domandata chi è che l’aveva restaurato così
bene e con tanta proprietà. Io sono Architetto e mia sorella è
Arredatrice di interni. Questo può bastare per soddisfare la tua
curiosità?”
“Beh! No! Se devo
essere proprio sincera! Se sei architetto, perché lavori per un
Corriere? Non sarebbe molto meglio che tu facessi il tuo lavoro? Da
quel poco che ho potuto vedere mi sembra che lo sai fare molto
bene….sono rimasta letteralmente affascinata dal tuo salone, eppure
ho visto anche altri posti molto belli e raffinati, ma questo ha
qualcosa di più!”
“La tua perplessità è
lecita e giustissima. Comunque sappi che io non lavoro per una ditta
di corrieri, ma la ditta è la mia. Se sono venuto anch’io a
consegnare il tuo pianoforte è perché sapevo che era un pezzo,
oserei dire unico, per cui doveva arrivare integro…….Abbiamo
avuto direttive ben precise per questo e un surplus nel pagamento,
per cui capirai bene che dovevo essere assolutamente certo che
l’operazione andasse a buon fine….Ho aperto la ‘Conforti and
friends’, insieme ad alcuni amici sei anni fa, in un momento in cui
la mia famiglia attraversava un periodo finanziario un po’
particolare, però ho continuato a studiare e l’anno scorso mi sono
preso la mia bella laurea. Insieme a mia sorella sogniamo di mettere
su uno studio, per fare la cosa che ci piace di più al mondo:
rendere belli gli ambienti. Però sai benissimo che le cose non si
fanno dall’oggi al domani, per cui mentre cerchiamo di ingranare da
una parte, non disdegniamo quest’altra attività che comunque ci fa
vivere, non proprio da nababbi, ma dignitosamente. Ora è tutto
chiaro?”.
“Chiarissimo – dico
sollevata e ammirata dalla spiegazione di Leone
“Anzi, sai che ti dico?
– continua lui come se non avessi neanche risposto – da quando
sono qui guardo le tue tele e devo dire che non sono niente male. Che
ne diresti di una collaborazione?” conclude con un sorriso che
farebbe sciogliere anche un iceberg
Lo guardo a bocca aperta.
“Ma..io non so! Non ho
mai pensato che i miei lavori potessero interessare qualcuno!”
“Proprio per questo. La
spontaneità che si vede nei tuoi dipinti li rende piacevolissimi e
molto personali. Non saranno vere e proprie opere d’arte, ma credo
che abbellirebbero qualsiasi parete!”
“Ok allora! Sono
proprio felice di questa cosa! Non vedo l’ora di cominciare..”
“Hai già cominciato
mia cara. Questa tela qui….sì! Il deserto con il cubo dentro, mi
piace proprio. Me lo vendi?”
“Ma neanche per sogno!”
rispondo con un risentimento che Leone non può fare a meno di
notare.
“Ho detto qualcosa che
non va?”infatti mi chiede stupito
“No…sono io che!
Insomma questo quadro vuol dire molto per me. Sai! Desirèe, Jo, Solo
con un cavallo….sono nati in questo deserto e io qualche volta
spero che ripassino di lì e vengano a farmi un salutino!”
“Come non detto allora!
Però comincia a preparare qualcosa di nuovo va bene?” Ma che
carino che è Leone. Peccato quel nome così importante che rende
sempre tutto troppo serio! Lui ha più l’aspetto di un cucciolone
rumoroso che ha voglia di giocare, non di un re leone signore della
foresta!
I nomi troppo seri mi
fanno rabbia, perché mi mettono soggezione. Saranno belli ma pongono
una barriera tra me e chi li porta. Anche con Dedo, all’inizio la
nostra amicizia non riusciva a decollare, perché il suo nome,
Demetrio, mi teneva lontano da lui anni luce! Poi venne fuori Dedo e
allora tutto si sistemò e lui divenne il mio migliore amico.
Ma con Dedo tutto era
molto semplice. Lui non aveva sicuramente il carattere di questo
giovanotto e Dedo gli è andato subito a meraviglia.
Mica posso andare da
Leone e dirgli:
“Senti carino, siccome
ho qualche problemino psicologico, se invece di chiamarti Leone, ti
chiamo…che ne so…Regolo! Sì ecco! Regolo, piccolo re, per gli
amici Reg? E per ulteriore contrazione Rus? Tu ci staresti?”
“Lara..Lara, ci sei?”
la voce di Leone è un po’ preoccupata, me ne rendo conto solo ora
“Eh! AH si! Scusami, ma
stavo pensando a una cosa importante”
“Mi hai fatto
spaventare! Si può sapere a che stavi pensando?”
“Sì – mi decido
all’improvviso – posso chiamarti Rus?” e gli spiego tutto il
meccanismo della trovata del suo nuovo nome – così tu sarai sempre
Leone, perché Regulus è la stella più brillante di quella
costellazione, ma io che sono tua amica potrò chiamarti Rus, così
mi sentirò più tranquilla quando parlo con te e non mi sentirò
intimidita dal suo nome” aggiungo con un sorriso, per non fargli
capire che il suo nome vero non mi piace per niente.
“Rus?! Mi sembra il
nome di un cane!”
“Se preferisci posso
chiamarti Regulus per intero, ma mi sembra un po’ una forzatura
ecco! Pensavo che la contrazione di Regulus potesse andare bene!”
“E io come ti devo
chiamare? La? Anche questa è la contrazione del tuo nome o mi
sbaglio?” Leone comincia ad affilare gli artigli e a ruggire.
Mi sento un po’
interdetta, un po’ scema e anche un po’ divertita. Ma quanto sono
suscettibili certi uomini!
“Nessuno ha mai avuto
da ridire sul mio nome. E’ un nome bello, importante e per tua
sfortuna difficilmente storpiabile. L’amicizia fortunatamente non
si crea sui nomi, ma sulle persone che lo portano e io intendo
tenermi il mio nome e se non ti va, peggio per te!”
“Ah sì? Brutto
presuntuoso che non sei altro. Ti ho solo domandato la cortesia di
farmi sentire a mio agio quando parlo con te, ma credo proprio che di
qui in avanti la scelta di un altro modo di chiamarti non sia più
importante. Per quello che mi riguarda la nostra conoscenza finisce
qui!” improvvisamente ritrovo la Lara di sempre, quella che a me
piace di più tra i tanti suoi volti
“E chiamami Rus,
Chiamami Gigio, chiamami….a fischio, con le lettere mute, con i
geroglifici,…. chiamami un po’ come ti pare. Ma chi le capisce le
donne?” l’ira di Leone è già sbollita e la sua criniera si è
abbassata
“Scusami! La colpa è
mia se sono fatta un po’ diversamente dalle altre persone. Non ti
preoccupare! Cercherò di abituarmi al tuo nome. Del resto quello che
hai detto è vero. L’amicizia non sono i nomi, ma le persone che li
portano…e noi diventeremo amici anche a dispetto del tuo nome….no!
Non volevo dire proprio così!” aggiungo mortificata, ma Leone
sembra aver ritrovato tutto il suo buonumore e mentre con una mano mi
scompiglia i capelli con l’altra mi saluta allegramente
“Ciao Rus! Ci sentiamo
domani e quando sappiamo qualcosa ci troviamo tutti insieme ok?”
“Ok! Ma Rus eri tu, non
io, ricordi?”
“Sì, ma sta bene anche
a te! Forse vuol dire qualcosa?” e senza aggiungere altro se ne va.
Guardo Dedo, che seduto
davanti al ‘vecchio Jo’ strimpella vagamente qualche cosa senza
senso. E’ strano in questi giorni Dedo, deve avere qualcosa che gli
frulla in testa. Apatico più del solito, distratto più del solito,
con gli occhi che vagano fuori dalla finestra. E strano più di
tutto, con poca voglia di parlare e ancora meno di ridere. Mica avrà
qualche problema finanziario!? Dedo lo conosco bene. Quanto a senso
pratico dire zero è dire troppo. Mica si sarà fatto incastrare da
qualcuno? Oggi l’avevo invitato a cena perché ho fatto la pizza.
Lara che si cimenta nella pizza, vuol dire un grande passo avanti
nell’arte culinaria!! Mi aspettavo salti di gioia e invece ne ha
mangiato appena un pezzo. Poi si è seduto al piano e ha cominciato a
strimpellare senza quasi rivolgermi la parola.
Mi faccio un rapido esame
di coscienza. Sarà colpa mia? Mi dico subito di no. Io sono stata
quella di sempre. Ma allora che avrà?
“Non ti senti bene
stasera Dedo?” gli chiedo affettuosamente
“No, no, sto benissimo
Lara!”
“Ma non hai mangiato
niente. Non è da te! In genere sgrufoli tutto quello che trovi!”
“Da qualche giorno ho
poca fame. Non so neanche io perché!” mi risponde ricominciando a
suonare.
“Sai ho fatto un altro
quadro. L’ho cominciato e finito in un paio di giorni, ma ci ho
lavorato sopra un bel po’!” cerco di interessarlo al mio lavoro,
ma mi sembra con scarso successo
“Lo vuoi vedere?”
chiedo speranzosa
“Ma sì!” risponde
con l’entusiasmo di un’ameba
Allungo il braccio e
scopro una tela che è sempre stata lì, vicino a me e la mostro a
Dedo, che la guarda attentamente e poi mi dice:
“Ma mi sbaglio o questa
è la tua casa di campagna?”
“Già, proprio così e
anch’io guardo la mia villa non villa, che ho disegnato con colori
strani in un contesto anch’esso da colori particolari, mentre sullo
sfondo un cielo verde e turchino non lascia presagire niente di
buono.”
“Ma lo sai che è
bella?- dice Dedo sinceramente. Si sente dal tono della sua voce –
ma per quale motivo hai scelto di dipingere la tua casa di campagna?”
“Mah! Che ti devo
dire?! E’ stata una cosa più forte di me. Forse questa storia del
mio trisavolo mi ha condizionato più di quanto io immaginassi e mi
sono ritrovata a pensare a cose che credevo di non ricordare neanche
più!”
“Anche Tea dice le
stesse cose che dici tu!” annuisce Dedo con semplicità
“Tea?! E quando l’hai
sentita? Io ancora non ho ricevuto nessuna telefonata, quindi presumo
che le ricerche che sono state fatte fino ad ora non abbiano dato
frutto” replico un po’ stupita
“Infatti non l’ho
sentita….L’ho vista ieri e anche oggi!”
“Ma guarda – dico
leggermente risentita dal fatto che il mio migliore amico non mi
abbia detto niente di questi incontri – e come mai?”
“Mi ha invitato ad
andare a suonare il pianoforte a casa sua, così mentre io suono lei
ripassa con me e…stando a quello che mi dice, lei impara da me,
anche se io credo di avere ben poco da insegnarle. E’ veramente
molto brava e preparata” termina Dedo con un piccolo sospiro.
“Ma guarda guarda- dice
una vocina maligna dentro di me – ora capisco che cosa è l’umore
di Dedo. Ha tutti i sintomi della persona che si è innamorata e che
ancora non lo sa. E’ la prima volta che lo vedo ammalarsi così
gravemente……Bene! Tea mi sembra una bravissima ragazza, con la
testa sulle spalle, educata, istruita, tranquilla…insomma proprio
la moglie che ci vorrebbe per Dedo. Però Leone potrebbe essere un
ostacolo per la loro felicità. Leone mi sembra molto affezionato
alla sorella e forse un tipo fuori dal mondo, come è Dedo, potrebbe
non andargli a genio. Bisogna che mi dia da fare per tenerlo fuori
dal gioco….Come posso fare? Non lo so. Dopo ci penserò, ora mi
voglio godere il mio innamoratino e prenderlo un po’ in giro”
“Anche a me sembra che
Tea sia molto brava ed è anche molto bella, non trovi?”
“Bellissima!” si
lascia scappare Dedo per diventare rosso subito dopo.
“Chissà quanti ragazzi
avrà intorno. Io penso che ha solo l’imbarazzo della scelta!”
butto là provocatoria
“Tu credi Lara?” mi
sbaglio o c’è proprio allarme nella voce di Dedo?
“Beeeh! Credo proprio
di sì! Io se fossi un giovanotto e avessi messo gli occhi su una
ragazza come lei, non starei troppo ad aspettare prima di dirglielo!”
“E come mai?” mi
chiede con un altro sospiro
“Ma come! Non lo
capisci anche da te? Altrimenti rischia di arrivare secondo e dopo
non può fare più niente se non mordersi le mani”
“Già!” annuisce
assorto Dedo
Guardo il mio amico, che
per la prima volta nella sua vita si trova in una situazione che gli
toglie l’allegria. Mi fa una tenerezza infinita vedere quel bel
giovanotto gentile, indeciso su ciò che deve e vuole fare. Lo
capisco anche. In fin dei conti è in gioco la sua vita affettiva!
Gli vado più vicino e
con un braccio gli circondo le spalle, mentre con l’altra mano gli
scompiglio i capelli ribelli
E con tutta la dolcezza
che riesco a trovare gli dico:
“Ma tu hai delle mani
troppo belle e troppo importanti per rischiare di rovinartele
mordendole!”
“Che devo fare Lara?”
mi dice rigirandosi improvvisamente e abbracciandomi con tutte le sue
forze
“Vai da lei e
diglielo….poi tutto verrà da sé”
“Sì, lo so! Ma non c’è
solo questo!” mi dice dopo un po’
“E allora che altro
c’è?” gli chiedo scostandolo da me e guardandolo dritto negli
occhi, che improvvisamente si inumidiscono
“C’è che ho paura di
perdere la tua amicizia…e tu sai quanto sia importante per me!”
“Ma quanto sei sciocco!
– rispondo stringendolo nuovamente a me – tu non mi perderai mai,
perché due amici come noi sapranno sempre volersi bene anche se
verranno altri affetti nelle loro vite. Stai tranquillo che Lara per
te ci sarà sempre!” e questa volta sono i miei occhi ad
inumidirsi.
Dedo se ne è andato, più
sereno anche se con una paura tutta nuova. Quella di sentirsi dire un
bel no! Beh! Questo fa parte del gioco e io non mi devo preoccupare
di ciò. Al momento opportuno Dedo saprà come deve fare.
“E’ inutile che fai
l’eroina! – mi dico a un certo punto – anche se sei contenta
per lui, perché è sempre quello che hai voluto – pure un po’
sei triste perché sai che non sarai più l’affetto più grande
nella sua vita. Via confessa a te stessa dai!”
“E va bene è così –
rispondo all’altra me stessa – e allora ? Che devo fare secondo
te? Se avessi voluto Dedo per me non credi che avrei avuto il modo
per averlo? Il fatto mia cara è che io per Dedo provo solo una
sconfinata amicizia e niente più!”
“Sei proprio una tonta!
Lo hai visto anche da te, che gli amici poi alla fine si innamorano
di un’altra e se ne vanno! E tu che fai? Credi di non avere bisogno
di amore nella tua vita?”
“Se permetti, queste
sono cose mie e quando deciderò di avere bisogno di qualcuno che mi
ami, mi metterò a cercarlo. Uffa ma lo sai che sei proprio noiosa?
Meno male che sono io l’amica di Dedo e non te”.
“Verrà un giorno che
mi dirai che avevo ragione….”
“Ma come sei
assennata!! Se un giorno ti dirò che avevi ragione vuol dire che te
lo dirò….ora vuoi lasciarmi un po’ in pace?”
L’altra Lara è molto
permalosa e a quelle parole non ha aspettato più di tanto. Ha girato
le spalle e se ne è andata lasciandomi ancora una volta al mio
destino e alle mie convinzioni.
Fortunatamente per me e
le mie paturnie il telefono comincia a squillare. Mi precipito
letteralmente a rispondere, come se andassi verso la salvezza.
Dall’altra parte la voce di Tea mi saluta con dolcezza:
“Ciao Lara, sono Tea!
Ti ho chiamato per metterti al corrente delle ricerche che Buzz ed io
abbiamo fatto in questi giorni…”
“Buzz?....” domando
interdetta
“O scusami, non mi ero
accorta di chiamare mio fratello col nomignolo che gli do sempre”
Tea si mette a ridere incapace di fermarsi. Evidentemente la mia voce
deve esserle sembrata molto più che sorpresa
“Ma…cosa c’entra
Buzz con Leone?” domando incuriosita
“Assolutamente niente.
Ma quando eravamo piccoli mentre per lui è stato semplice chiamarmi
Tea, per me non lo era altrettanto chiamarlo Leone. Avevamo un
pupazzo che era sempre conteso tra di noi che si chiamava Buzz e un
po’ alla volta quel nome l’ho trasferito a mio fratello e gli è
rimasto”
Stavolta sono io che mi
metto a ridere in maniera incoercibile tant’è vero che Tea dopo un
pò, mi domanda interdetta:
“Ma Lara, non so che
cosa ti ho detto di tanto buffo per farti ridere così!”.
“Se aspetti un attimo
te lo dico!” e appena riesco a riprendere fiato spiego per filo e
per segno la storia della mia ricerca di un nome nuovo a Leone,
interrompendomi di tanto in tanto per ridere nuovamente. Anche Tea mi
sembra che non sia da meno e per cinque minuti ci divertiamo entrambe
a discapito dell’ignaro Leone.
“Beh! Quasi mi
dimenticavo il motivo per cui ti ho chiamato! Mi ascolti?”
“Sono qui!” e torno
immediatamente seria anche se una lucina divertita continua a
brillarmi dietro gli occhi. La vedo dallo specchio che riflette la
mia immagine. Lo specchio non è lì casualmente. Mi piace molto
guardarmi mentre parlo con le persone e vedere tutte le smorfie che
fa la mia bocca, a seconda del mio interlocutore!
“Allora….come
promesso abbiamo telefonato alla mamma per raccontarle tutta la
storia…e puoi immaginare come è rimasta. Lì per lì non ci ha
saputo dire niente, ma capirai, chi va a pensare a una cosa del
genere? Poi invece ci ha richiamato ieri sera per dirci che le era
venuto in mente una scatola di vecchie fotografie che lei aveva
sempre visto in soffitta, per cui siamo andata a prenderla e vi
abbiamo frugato dentro. Le fotografie sono tantissime e a parte
qualcuna dei miei nonni, che ricordo vagamente, le altre erano per
noi immagini di perfetti sconosciuti. Poi ne abbiamo trovata una che
ha attirato la nostra attenzione. E’ un mezzobusto di una giovane
donna molto carina, anzi oserei dire proprio bella, dai tratti fini e
ben modellati, ma la cosa che ci ha colpito di più è che al collo
ha una catena alla quale è appesa una piccola chiave che sembra
quasi d’oro, almeno a giudicare dalla sua raffinata lavorazione.
Confrontando la fotografia con altre che poi abbiamo trovato e dietro
alle quali c’erano scritti alcuni nomi abbiamo potuto dire con
sicurezza che il volto della signorina in questione è quello di
Marinella Conforti, nostra trisavola. Tutto qui!”
“E poi che avete
fatto?” domando interessatissima mordendomi nervosamente un labbro
“Beh! La cosa più
ovvia è stata di andare a frugare nei vari cassetti dove ci sono i
gioielli di famiglia, o perlomeno tutti quelli che sono arrivati fino
a noi………e a un certo punto…
“A un certo punto?”
la incalzo
“Sì a un certo punto
abbiamo trovato la catena che la zia Marinella portava al collo……ma
era aperta e della chiavetta, neanche l’ombra” conclude con un
sospiro al quale fa eco il mio ohh! di delusione.
“E ora che facciamo?”
a questo punto la storia comincia a interessarmi davvero e non mi va
di piantare tutto in asso perché non si trova una chiave.
“Ma questa chiave come
era fatta?” domando incuriosita
“Guarda, mi è
difficile spiegartelo, Ma Buzz mi ha chiesto di invitare te e Dedo a
cena in modo che stasera potrai vedere la fotografia della zia, che
poi è un dagherrotipo, e insieme decideremo che cosa si può fare.”.
“Benissimo – rispondo
decisamente contenta – a che ora dobbiamo essere lì?”
“Facciamo alle otto?”
“Perfetto Tea. Ci
vediamo più tardi. Un bacio” e riattacco velocemente per
stropicciarmi le mani tutta contenta.
Una cena da Tea è quello
che ci voleva per Dedo…….e un po’ anche per me!
Dopo cena! Sprofondati
nei morbidi divani di casa Conforti sembra che il tempo sia tornato
indietro! Sparpagliate sul tavolino davanti a noi e sul divano
stesso, centinaia di fotografie ingiallite dal tempo ci parlano di
altre vite, di altri amori, di altre storie. Ho visto la famosa
signorina Marinella Conforti. Niente male davvero! Mio zio, mi dico
compiaciuta, aveva veramente buon gusto, …un pregio di famiglia, mi
dico maliziosamente gettando di sfuggita uno sguardo su Buzz-Leone.
La chiavetta appesa al
collo eburneo della signorina è proprio un piccolo gioiello, ma non
è quello che mi interessa. Da circa venti minuti qualcosa mi
tormenta, senza che io riesca a dargli un nome. Mi sento agitata,
vicino a qualcosa, ma annaspo nel buio. So che la mia agitazione è
cominciata dopo che ho visto quella piccola chiave, ma non so perché,
non so associarla a niente che mi possa ricondurre a qualcosa. Sto
decisamente male e nello stesso tempo non voglio far scorgere agli
altri quello strano malessere che mi è preso. Partecipo sempre meno
alla conversazione, perché cerco di seguire il mio pensiero, che
però non mi porta da nessuna parte.
“Lara sembra che tu
abbia mangiato delle cavallette, invece del buonissimo soufflé di
stasera!” Dedo si decide a venirmi in soccorso, ma non riesco ad
afferrare l’occasione che mi ha dato
“Già!” annuisco
semplicemente ricominciando a pensare a cosa vuol dire per me quella
chiave. Gli altri si guardano interdetti, poi guardano Dedo, che alza
le spalle e ricominciano tranquillamente a parlare tra di loro. Cerco
di seguire almeno un po’ quello che dicono. Stanno parlando di
musica, di concerti, di progetti futuri nel quale rientra anche uno
studio nuovo per Tea e Leone, dove allestiranno anche piccole mostre
artistiche. Viene fuori, mi accorgo, anche il progetto che dovrebbe
coinvolgere anche i miei quadri, ma ora non posso pensarci, ora devo
riuscire a capire. Sento Leone che dice a tutti, ma soprattutto
rivolo a me:
”Pensate un po’ che Lara si è rifiutata anche di vendermi quel bel quadro del deserto dove c’è un cubo trasparente!”
”Pensate un po’ che Lara si è rifiutata anche di vendermi quel bel quadro del deserto dove c’è un cubo trasparente!”
“Cosa? – interrompo
bruscamente tutti quanti – parlavate del mio deserto? Il mio
deserto. Ecco! Sì accidempolina! Ora ci sono….ora finalmente so
dove ho visto la chiave che ha al collo la signorina Marinella….”
“Ma che dici Lara? Sei
sicura di stare bene?” Leone è preoccupato dalla mia agitazione,
ma io finalmente sono calma e serena, perché so che la chiavetta
della fotografia è la stessa chiavetta che trovai davanti al palazzo
di vetro, dopo che Solo con un cavalle, Desirèe e Jo, se ne erano
andati.
“Ricordo solo che la
misi in tasca, ma mi venga un accidente se ricordo dove l’ho
infilata dopo. Di una cosa però sono sicura: non l’ho buttata
via!”
Mi sbaglio o tutti mi
guardano un po’ perplessi!?
“Vi giuro che sto
dicendo la verità e che la chiavetta che ho io è identica a questa
della fotografia” continuo un po’ risentita. Mica mi avranno
preso per scema?
“Bene Rus – Leone
cerca di alleggerire l’atmosfera dandomi nuovamente il nomignolo
che volevo affibbiare a lui – allora non ci resta altro che andarla
a cercare”.
“Scusate ma io non ci
capisco niente in tutto quello che dite!” Tea mi sembra veramente
allarmata. Del resto è comprensibile povera cara. Mentre io e Dedo
abbiamo vissuto l’intera storia, anche se Dedo al solito non se ne
è nemmeno accorto, mentre Leone sa qualcosa che gli ho accennato io
pochi giorni fa, la povera ragazza è ignara di tutto e non dubito
neanche per un attimo che mi abbia preso per una pazza isterica.
“Hai ragione Tea.
Allora ti spiegherò tutto, poi domani cercheremo la chiave a casa
mia. Galeazzo e Marinella hanno aspettato così tanto tempo che non
credo che un giorno in più possa voler dire qualcosa…..sempre che
riusciamo ad arrivare da qualche parte”
“Volete bere qualcosa,
prima che Lara cominci?” Buzz è veramente un padrone di casa
squisito.
“Grazie sì! Io ne ho
veramente bisogno!” e mentre gli altri si sistemano con i loro
bicchieri in mano comincio a raccontare Piccolo fiore, la canzone di
Dedo, ma anche una bellissima storia d’amore.
“…..E così li
salutai…e poco dopo gettando un’occhiata nostalgica sul quadro
che era stato lo scenario di quella favola, mi accorsi che vicino al
cubo di cristallo c’era una minuscola chiave. Non so perché, ma
pensai immediatamente a Jo e la misi in tasca pensando che avesse
voluto farmela trovare perché un giorno ne avrei avuto
bisogno…….tutto qui”. Mio malgrado la mia voce è emozionata ,
ma mi accorgo subito di non essere la sola. Tea ha gli occhi lucidi e
anche Leone non è calmo come vuole far vedere. L’unico è Dedo! Ma
a lui chi lo scuote? Ma mi accorgo quasi subito di aver dato un
giudizio temerario. Dedo non si è emozionato semplicemente perché
non ha sentito una parola di quello che dicevo, preso come era a
guardare Tea. Il ragazzo l’ha presa proprio grossa! Chissà se
ancora le ha detto niente?
Il giorno dopo sono
tornata me stessa. Mentre aspetto gli altri che verranno a darmi una
mano a cercare quel minuscolo oggetto che è la chiave che deve
aprire una storia cominciata tanti e poi tanti anni prima, do
un’occhiata nei cassetti che uso abitualmente. Forse l’avrò
infilata lì! Ma no! Sarebbe stato troppo bello. Nel frattempo ho
approfittato per fare un po’ d’ordine. In casa mia c’è sempre
bisogno di fare ordine, perché mi riesce in maniera eccezionale di
buttare all’aria e lasciare tutto in giro. Ma è quella la casa che
voglio io e non vorrei cambiarla con nessun altra…..Però capisco
che tra poco arriveranno ospiti, che tra l’altro hanno una casa che
potrebbe essere la copertina della più importante rivista di
arredamento.
“E tutte queste scarpe
dove le metto?” mi chiedo allarmata guardandomi in giro. L’armadio
è zeppo fino a scoppiare, le cassettiere non se ne parla……la
cassapanca mi guarda minacciosa….sotto il letto no! Non sta bene,
Hai visto mai! Venisse la tentazione di guardare anche lì!....ma
dove le metto allora?
Vago per il mio
miniappartamento con una bracciata di scarpe ingombranti, quando la
folgorazione arriva improvvisa
“Ma certo! Come ho
fatto a non pensarci subito! Le metto in lavatrice”
La mia vecchia lavatrice
si rivela subito un ottimo contenitore, e un complice discreto, in
quanto non fa un lamento neanche quando chiudo l’oblò.
”Brava tata!” le dico soddisfatta dandole un buffetto e giacché sono in bagno, mi guardo un attimo allo specchio, mi riaggiusto i capelli e passo sulle mie labbra un filo di rossetto.
”Brava tata!” le dico soddisfatta dandole un buffetto e giacché sono in bagno, mi guardo un attimo allo specchio, mi riaggiusto i capelli e passo sulle mie labbra un filo di rossetto.
“Ehi mia cara! Si può
sapere per chi ti metti in ghingheri?” Uffa! L’altra Lara è già
qui
“Lasciami in pace
noiosa e stai un po’ zitta – le dico spazientita – altrimenti
metto in lavatrice anche te”.
Giusto in tempo! Il
campanello suona prepotentemente e mi precipito ad andare ad aprire.
Leone si staglia sulla soglia con un’enorme scatola in mano. Che
genio!
“Hai pensato a portare
la pizza! – dico enormemente sollevata dal non dover preparare la
cena – bravissimo. Io ho birra a volontà e una quantità
strabiliante di noccioline, patatine, stuzzichini. Può bastare per
cena?”
“Perfetto!” mi
risponde come se gli avessi proposto il menù di Chez Maxim.
“E gli altri?”
domando con una punta di curiosità
“Ah! Dedo mi ha detto
che arriveranno tra mezz’ora. Prima doveva parlare di qualcosa con
Tea. Forse di uno spartito…”
“Me lo immagino già il
tipo di spartito! – ridacchio sotto i baffi – a Dedo piacciono
molto le musiche romantiche. In questo è un genio e la musica che
compone lui è veramente sempre molto romantica….e fa anche i testi
sai! Bellissimi! …Ma se poi si tratta di dire le stesse cose che
scrive, è una frana totale!” aggiungo sconfortata
“E perché dovrebbe
parlare!?” Leone alza le spalle.
E’ proprio vero che gli
uomini non vedono mai niente, neanche se sono il gemello della
ragazza con cui Dedo condivide uno spartito.
“Benissimo!....Allora
cominciamo noi? Che ne dici? Ti va di prendere tutti quei cassetti e
cominciare a guardarci dentro? Io intanto svuoterò la cassapanca”.
Per mezz’ora lavoriamo
senza neanche rivolgerci la parola. Ogni tanto mi stupisco di quanta
roba inutile ci sia nei miei cassetti, ma tanto so che quando decido
di buttarla via, poi mi faccio prendere dalla nostalgia e finisco per
rimettere tutto dentro. Anche un cartoncino ha la sua storia, e
mentre mi si materializza in mano, me la fa tornare in mente. Ho
conservato cose di quando avevo dieci anni. Possibile che sotto la
mia scorza ruvida, anch’io sia un’inguaribile romantica?. Dopo
mezz’ora però della chiavetta neanche l’ombra! Mi fermo un
attimo cercando di ritrovare un po’ di entusiasmo per continuare
quella laboriosa ricerca, ma proprio in quel momento Leone-Buzz mi
chiama:
”Lara, guarda che cosa ho trovato!” Volo letteralmente verso di lui, pensando di vedere tra le sue mani la famosa piccola chiave e invece vi scorgo una fotografia incorniciata.
”Lara, guarda che cosa ho trovato!” Volo letteralmente verso di lui, pensando di vedere tra le sue mani la famosa piccola chiave e invece vi scorgo una fotografia incorniciata.
“Che bella casa! Questa
è la tua casa di campagna vero? E’ proprio un bel posto!”
“Eh sì! E’ proprio
bello….e assolutamente tranquillo, anche se è a pochi minuti dalla
città……Non sembra… vero?”
“Da un senso di armonia
e di eleganza – Leone guarda affascinato la struttura sobria ma
elegante della casa- perché un giorno non andiamo a vederla?” mi
chiede con genuino interesse
“Volentieri –
rispondo con altrettanto entusiasmo – anzi potremmo portarci dietro
la merenda e fare una bella scampagnata”.
“Mi piace un sacco….sai
che penso? Che questo posto sarebbe l’ideale per concretizzare
tutti i nostri progetti….Tu potresti farci una mostra permanente
dei tuoi quadri, io potrei ricavarci il mio studio di architetto e
Tea quello di arredatrice……Dedo, se c’è un salone, potrebbe
usarlo per fare lezioni di pianoforte e serate musicali….Che ti
sembra come idea?”
“Sarebbe bellissimo! -
dico con vero entusiasmo anche se subito dopo torno con i piedi per
terra – c’è solo un piccolo particolare che non abbiamo preso in
considerazione!”
“Quale?” domanda
subito Leone
“I soldi!! Io non ho un
soldo da poter investire nella ristrutturazione della mia casa e come
vedi invece da te,… ha bisogno di interventi che non potrebbero
essere rimandati” concludo questa volta abbastanza sconsolata.
“ Potremmo fare una
società. Tu ci metti la casa, io Tea e Dedo ci mettiamo quello che
ci vuole per renderla nuovamente abitabile. Che te ne pare?”
“Dico che sarebbe
fantastico!” La mia fantasia comincia a galoppare e già vedo la
casa della mia infanzia trasformata in qualcosa di meraviglioso.
“Dopo ne parliamo con
gli altri….ma a proposito! Mezz’ora è passata da un bel pezzo.
Mica avranno deciso di fare i lavativi?” dice ridendo Leone
Quasi l’avessero
sentito in quello stesso momento suona il campanello.
“Vado io – dico a
Buzz che è messo in una posizione alquanto più scomoda della mia,
con un cassetto sulle ginocchia e una pila di libri in equilibrio
precario al suo fianco. Apro e rimango senza parole. Davanti a me
Dedo e Tea sono uno spettacolo unico. Lo sguardo perso l’uno
nell’altro, non hanno neanche parole per dire buongiorno!
Mi sposto in silenzio per
farli passare. Voglio che Leone abbia tutta la sorpresa del caso.
“Ciao Dedo….Tea…..ehi!
Ma che diavolo avete ragazzi? Sembra che abbiate visto gli spiriti”
Leone volge lo sguardo su di me “Ci capisci niente tu, che te la
stai ridendo sotto i baffi?”
“Eh! Se ci capisco! Ci
capisco anche troppo! “ribatto ridendo
“Leone….Lara, io e
Tea ci siamo fidanzati!” La voce di Dedo è tutta un programma,
mentre Tea diventa rossa come un tulipano. Possibile che oggi
esistano ancora ragazze capaci di arrossire?
“Cosa? – la voce di
Leone è incredula e anche un tantino esitante – state scherzando o
fate sul serio?”
“Mai stato più seri di
così – improvvisamente Dedo diventa quello che fino ad oggi non
ero mai riuscita di vedere: un vero uomo – voglio bene a Tea….mi
sono innamorato di lei appena l’ho vista…e non mi era mai
capitato prima d’ora…Lara te lo può confermare….Abbiamo deciso
di passare insieme tutta la vita”
“E’ vero Tea? – la
voce di Leone ora è più dolce e guarda con tenerezza la sorella –
anche tu sei innamorata di Dedo?”
“Sì Buzz….gli voglio
bene. Non avrei mai pensato di voler bene a qualcuno così tanto!”
“E allora ….benissimo!
Si stava proprio facendo progetti in questo momento mentre
aspettavamo che arrivaste. Ora diventeranno ancora più solidi”
Leone ha ritrovato tutto il suo buonumore mettendo a suo agio Dedo e
Tea che ora non sono più così tesi come quando sono arrivati. Certo
che per loro è una bella novità! Ma anche per me lo è e mi
affretto a rituffarmi nella ricerca della chiave, prima che
l’emozione abbia il sopravvento.
“Dai ragazzi….poi
brinderemo alla vostra felicità, ma ora mettiamoci tutti quanti a
lavorare e ringraziate il cielo che la mia casa è piccola,
altrimenti ci sarebbe voluto un mese….”.
Quando ho proposto di
mettere a soqquadro la mia casa, non avrei mai pensato che
l’operazione sarebbe riuscita così bene. Due ore dopo non sappiamo
neanche più dove siamo noi, coperti da cappelli, borse, vestiti,
libri, tubetti e pennelli, giornali…..e ancora sta venendo fuori
roba da ogni contenitore che la mia fantasia ha sistemato sino ad
arrivare al soffitto. Abbiamo spostato quadri, quadretti,
enciclopedie, ma della chiave niente di niente.
“Eppure sono sicura di
non averla buttata via – dico ancora convinta di quello che affermo
nonostante gli sguardi degli altri cerchino di farmi dubitare di me
stessa – sono sicura di averla messa da qualche parte che ora non
ricordo…ma c’è credetemi……Io non butto mai niente. L’unica
cosa di cui mi sono privata sono le pantofoline verdi che regalai a
De……” e mi interrompo. Gli altri mi guardano senza dire una
parola hanno capito che mi è venuto in mente qualcosa. Prendo
velocemente una sedia e sbarazzandola di tutto quello che le è stato
appoggiato sopra l’avvicino al mio armadio, vi salgo e allungandomi
quanto possibile prendo una scatola dove una volta ci sono state le
famose pantofoline che mi aveva regalato la zia Cloe.
Preferisco non aprirla in
quella posizione scomoda. Se dentro ci fosse quello che io credo che
ci sia, potrei rischiare di farla cadere e in tutta quella confusione
chi la ritrova più?
Scendo con calma dalla
sedia e gli altri mi si avvicinano con la stessa frenetica impazienza
che ho io.
“Uno, due e …tre –
e sollevo il coperchio – eccola…eccola, guardate! Ve lo dicevo
che c’era la chiave” La piccola chiave è infatti adagiata su un
foulard rosso, che ora lo ricordo bene, avevo messo nel fondo della
scatola, non so neanche io perché.
“Venite andiamoci a
sedere e confrontiamo questa chiave con quella della fotografia della
signorina Marinella” e mi dirigo verso il divano, seguita da Leone.
Dedo e Tea stanno sorridendosi e dicendosi qualcosa.
“Dai venite qua –
dico sbrigativa – avete tempo dopo per i vostri mucci mucci!”
Dopo trenta secondi i
nostri dubbi sono tutti fugati. La chiave è quella, senza ombra di
dubbio.
“Non vi sembra che ora
ce la siamo proprio meritata una bella pizza?” propone Leone
riscuotendo l’approvazione incondizionata di tutti noi.
“Poi che facciamo?”
domando incuriosita
“Mi sembra ovvio –
risponde Leone girando lo sguardo su tutti noi –telefoniamo al
notaio”
Frangione Ruperto e
figli
Studio Notarile
Non è facile stare
seduti in una sala d’attesa di uno studio notarile. Sembra che in
quel luogo il tempo si misuri con altri criteri, criteri lunghi a
quanto pare perché la segretaria che ci ha fatto accomodare ci ha
detto con un sorriso:
“Ci sarà da aspettare
circa cinque minuti!”
E invece siamo lì da tre
quarti d’ora e ancora niente prelude al nostro ingresso
nell’ufficio del Notaio, che logicamente non è più Ruperto, ma
sempre Frangione è.
Norberto per l’esattezza.
E’ stato facile trovare
il vecchi studio, perché tutti lo conoscono di fama e tutti ci hanno
saputo indirizzare al nostro luogo di appuntamento. Un appuntamento
che ha tardato almeno ottant’anni.
Leone sembra proprio una
fiera in gabbia. Passeggia nervosamente su e giù per la stanza,
mentre Dedo e Tea lo guardano tenendosi per mano. Per loro la cosa
più importante è di essere lì insieme, il resto è tutto al
contorno.
Quanto a me, siccome
nessuno si interessava di come mi sentissi in quel momento, per
salvare la mia dignità ho reputato giusto e saggio mettermi a
leggere. Le riviste in quell’ufficio non mancano; peccato che però
siano solo riviste tecniche e di contratti.
Poi improvvisamente la
porta di fronte a noi si è spalancata e un omino piccolo, con un
paio di baffi enormi si è materializzato sul vano.
“Voi siete i signori
Goldoni –Conforti? Prego accomodatevi – dice al nostro cenno di
assenso – sono tanti anni che vi aspettiamo!”
Lo studio nel quale
entriamo ci fa fare un viaggio a ritroso nel tempo perché potrebbe
essere quello di un notaio dell’ottocento. C’è legno
dappertutto. Le pareti sono letteralmente ricoperte da librerie in
legno di noce, stracariche di volumi austeri e di colore scuro, la
scrivania grande, massiccia si adorna di calamai e penne, che ci
scommetto, non sono lì solo per bella figura. Dietro la scrivania
un’enorme cassaforte, di rara bellezza e vetustà, chiama gli
sguardi su di sé. Qua e là poltrone e divani in cuoio e tavolini da
fumo. Le lampade sono discrete. Il neon non ha fatto la sua comparsa
in quella stanza. E neanche il computer.
L’omino si siede alla
sua scrivania e ci fa cenno di accomodarci.
“Permettete che mi
presenti. Sono il notaio Norberto Frangione! Quando il l’Architetto
Conforti mi ha telefonato per prendere un appuntamento e mi ha detto
chi eravate, non credevo alle mie orecchie. E’ passato così tanto
tempo da quando il signor Galeazzo Goldoni venne a depositare qui la
sua cassetta, che sinceramente ormai avevamo perso tutte le speranze
che qualcuno sarebbe arrivato. Noi, come studio ci siamo tramandati
la storia del signor Galeazzo e oggi siamo onorati di poter fare
qualcosa per voi”.
Ci agitiamo imbarazzati
sulle poltroncine. Una volta tanto nessuno di noi sa cosa dire, ma il
notaio è troppo vecchio del mestiere per non capire quando è
opportuno mettere a proprio agio i suoi interlocutori, cosa che si
affretta a fare immediatamente.
“Allora
….ricapitoliamo. Il signor Galeazzo Goldoni, trisavolo della qui
presente signorina Lara Goldoni venne a depositare in questo studio,
nelle mani del mio prozio Ruperto Frangione, notaio, una cassetta,
all’interno della quale disse che ci sarebbe stato qualcosa che
solo chi avesse avuto la chiave per aprirla, avrebbe potuto prendere.
Disse altresì che dentro la cassetta ci sarebbe stata anche una
chiave gemella di quella che doveva essere presentata da chi sarebbe
venuto. Se la chiave presentata non fosse stata identica a quella che
è dentro la cassetta, ciò che vi è contenuto non doveva essere
dato. Ecco! Il momento è arrivato….non resta altro che prendere la
cassetta!”
E con uno scatto agile e
improvviso l’omino si avvicina alla cassaforte. Gira diverse
manopole, infila diverse chiavi e dopo un rituale laborioso ma che
lui conosce molto bene, a quanto pare, lo sportello si apre.
La nostra bocca è
asciutta e non riusciamo a proferire parola. Finalmente il notaio si
gira nuovamente verso di noi tenendo tra le mani una piccola cassetta
di legno intarsiata e mostrandocela quasi fosse un’opera d’arte
ci sorride dicendo:
“Eccola!” e ci guarda
negli occhi uno per uno. Poi si rivolge a me e con un piccolo inchino
mi dice:
“Prego signorina.
Quando crede può infilare la sua chiave nella toppa della cassetta”
Che cosa provò
Cenerentola quando il principe le infilò la scarpetta di cristallo?
Non lo so, ma so quello che successe a me quando la chiavetta
minuscola, girò dentro la toppa della cassetta e fece sentire un
piccolissimo clic. Ho sentito un lungo brivido scivolarmi per la
schiena.
“Bene, la cassetta si è
aperta. Ora, se permettete devo verificare se la chiave con la quale
lei ha aperto signorina, è la gemella di quella che è qui dentro”
dice molto seriamente il notaio, rompendo nel frattempo il sigillo di
ceralacca che ha unito indelebilmente per tanti anni il coperchio
della cassetta con la sua base.
Il momento è carico di
una tensione che si avverte distintamente. So che se avessi un
coltello con me potrei tranquillamente farla a fette e distribuirla
in parti uguali ai miei amici. Anche Norberto Frangione mi sembra
teso. Forse dopo tanti anni di attesa, anche per lo studio Ruperto
Frangione e Figli, è auspicabile che questa operazione vada a finire
bene.
L’omino dal ridondante
nome di Norberto Frangione tira fuori lentamente una chiavetta del
tutto simile alla nostra. Tiro un sospiro di sollievo. Ora bisogna
vedere se le due copie collimano perfettamente.
“Signorina Goldoni,
questa è la sua chiave – mi dice il notaio con molta enfasi –
ora la sovrapporrò a quest’altra e vedremo se la nostra operazione
ha avuto buon esito e sorridendo fa combaciare le due chiavette, che
aderiscono perfettamente l’una all’altra.
“Bene – dico
sollevata per la fine di quell’attimo di pura tensione – a questo
punto mi pare che siamo a posto…non è vero dottor Frangione?”
“Non ancora signorina.
Come le ho detto questa operazione testamentaria riguarda sia la
famiglia Goldoni sia quella Conforti, per cui dovremo vedere il
proseguimento della cosa. Neanche io sapevo che cosa contenesse la
cassetta e solo ora che l’ho davanti a me aperta, posso vedere che
al suo interno ci sono tre buste sigillate, di misura diversa,
numerate con i numeri 1,2,3. La n° 3 mi sembra che contenga oggetti
più pesanti”.
“E noi che dovremmo
fare?” interviene Leone che fino a quel momento è stato silenzioso
e assorto in ciò che accadeva
“Ora dovremo guardare i
contenuti di queste buste e a seconda di quello che conterranno
dovrete prendere la decisione se accettare o rifiutare l’eredità
che vi è stata lasciata.” Il notaio ora è molto professionale e
il tono della sua voce è neutro, per farci capire che la decisione
che prenderemo non dovrà essere assolutamente influenzata da
nessuno, tanto meno da lui.
“Posso dare inizio
all’apertura delle buste?”
“Certamente – dicono
insieme Leone e Tea. Mica si è gemelli per niente!
Io non riesco a parlare.
Non so perché ma a un tratto ho paura. E’ come se quelle buste che
stanno per essere aperte possano contenere qualcosa che condizionerà
la mia vita. Per un attimo sono tentata di alzarmi e di uscire, anzi
no, di scappare, ma Dedo, che da un po’ mi sta osservando e che
capisce i miei stati d’animo ancor prima che li capisca io, mi dice
con voce pacata:
”Lara sei pronta per
sentire la lettura?”
Lo guardo con
riconoscenza. In un attimo ha saputo riportarmi presente a me stessa.
Ora sono più tranquilla
“Prontissima!” dico
con voce sicura.
“Allora vi prego di
ascoltarmi! Do inizio alla lettura del contenuto della prima busta -
dice Norberto Frangione schiarendosi la voce - “Carissimi, non
so se questa mia lettera potrà mai essere aperta, ma io confidando
di sì, voglio andare avanti nel mio sogno, o almeno quello che per
me è rimasto un sogno. Avendo già letto la lettera che avete
trovato nel pianoforte, vi sarete certo resi conto del grande amore
che mi ha legato a Marinella Conforti…un amore che purtroppo non ha
potuto avere il lieto fine che noi avremmo voluto. Per me lei è
stata comunque la donna della mia vita, per cui il mio desiderio,
scrivendo a voi che siete i miei discendenti, e a quelli che sono i
discendenti di Marinella, è quello che tra voi, se sarà possibile,
possa scoccare la stessa scintilla che un giorno si accese per noi
due. Logicamente non so come andranno le cose e forse anche questo
rimarrà un sogno, come lo sono rimasti tanti altri nella mia vita,
ma il pensiero di sapere che forse in un lontano futuro, Galeazzo e
Marinella possano rivivere la loro storia d’amore nei loro
discendenti, mi aiuta a vivere meglio. Non voglio complicare la vita
a nessuno per cui se ciò non accadrà, ciò che è stato destinato a
voi, andrà in altre mani e non sarà sprecato, ma nel caso che
invece questo bel sogno si potesse avverare, sarà tutto vostro e voi
potrete comunque fare del bene lo stesso. Ho stipulato un contratto
con il notaio Ruperto Frangione affinché la Villa Fiorita che ho
comprato recentemente venga assegnata a chi dei Goldoni- Conforti si
unirà in matrimonio. Se ciò non sarà possibile la suddetta Villa
sarà devoluta in beneficenza per ricavarne un collegio per orfani
.Se invece fosse presa la decisione di accettare l’eredità e
dunque di convolare a nozze, questo sarà possibile solo se saprete
dare la risposta alla famosa domanda che io facevo sempre a
Marinella: “Perché bisogna faticare tanto per conquistare il
mondo?”. Io so che se voi troverete la risposta giusta sarete fatti
l’uno per l’altra, proprio come eravamo noi.
Sono molto affezionato
a questa casa, perché è la villa della famiglia Conforti, che fu
venduta in un momento di grave situazione finanziaria della famiglia.
Nessuno ha mai saputo che il proprietario sono diventato io, né io
ho mai usato quella casa, che è rimasta sempre chiusa, in attesa che
qualcuno la facesse rivivere. In una busta dunque troverete il
contratto di acquisto, mentre in quell’altra troverete due chiavi.
Quella più grande è del portone di ingresso, mentre la più piccola
apre una stanza nella quale ho riservato una sorpresa per voi, una
sorpresa che spero vi possa fare piacere e che comunque sarà vostra,
anche se dovrete rinunciare alla villa. Lo so che è strano parlare a
persone che non si conosceranno mai, ma so che voi fate parte di me e
di Marinella, per cui vi voglio bene.
Vi auguro tanta
felicità e di fare la scelta migliore, per la quale avrete tempo sei
mesi dall’apertura di questa lettera.
Vostro Galeazzo
Goldoni”
Omessa la data perché
questa è una lettera senza tempo”
Il Notaio, ha terminato
la lettura e per un attimo nella stanza scende un grande silenzio.
L’imbarazzo è fortissimo e anche l’incredulità. Queste cose non
possono accadere ai tempi nostri, via!
Norberto Frangione si
schiarisce nuovamente la voce, evidentemente anche lui in preda
all’imbarazzo.
“Signori, lo so che
questa lettera vi può apparire strana, è così anche per me, ma
bisogna considerare i tempi in cui fu scritta. Per il signor Galeazzo
era una cosa normalissima formulare una simile richiesta, negli anni
in cui viveva lui. Oggi la cosa appare grottesca e nessuno si
sognerebbe mai di stipulare un testamento in questo senso…..Però
purtroppo vi devo dire che la procedura richiede di seguire quanto
dichiarato, alla lettera, per cui, se ho ben capito, la decisione in
questo momento spetta unicamente alla signorina Lara Goldoni e al
signor Leone Conforti”.
“Per quello che mi
riguarda non se ne parla nemmeno!” butto fuori il mio pensiero
senza neanche stare a riflettere per un attimo. Ma figuriamoci se
voglio farmi mettere il guinzaglio al collo! Neanche per un castello
lo farei!
“Anch’io non ho il
minimo dubbio! Figuriamoci se voglio legare la mia vita a una persona
che conosco a malapena ..e che tra l’altro non è neanche il mio
tipo!” ribatte Leone senza nemmeno guardarmi.
“Signori…come avrete
già capito dalla lettura che vi ho fatto, non dovete decidere
ora,….avete tempo sei mesi, da questo momento, per darvi anche modo
di pensare alla risposta al quesito posto dal signor Galeazzo, per
cui la vostra decisione me la comunicherete entro quella data. Però,
c’è anche un'altra eredità che non pone condizioni e che dovrà
essere divisa in parti uguali tra di voi. Io naturalmente sono al
corrente del contenuto della stanza in questione, perché a suo tempo
è stato redatto un documento in cui tutto è stato catalogato, ma
per espressa volontà del defunto signor Galeazzo, dovrete prenderne
atto da voi stessi.”
Non ho voglia di parlare
e neanche Leone a quello che sembra, per cui dopo un minuto di
assoluto silenzio è Dedo che prende l’iniziativa e:
“Cosa dobbiamo fare
quindi?”
“Decidere insieme a me
un giorno e un’ora per andare a Villa Fiorita e prendere atto
insieme del contenuto della nominata stanza!”
“Va bene a tutti domani
alle quattro del pomeriggio?” è la prima volta che Tea apre bocca.
Tutti la guardiamo e
l’espressione serena del suo viso è un balsamo per tutti noi.
“Per me va benissimo!”
le dico sorridendo
“Anche per me non ci
sono problemi!” aggiunge subito dopo Leone
“Perfetto dottor
Frangione, ci vediamo domani alle quattro davanti a Villa Fiorita”
conclude Dedo alzandosi.
Siamo fuori. Guardo Leone
di sottecchi.
“Brutto presuntuoso che
non sei altro! Ma chi ti credi di essere? Io non sarei il tuo tipo
eh?! Te lo fo vedere se sono il tuo tipo o no……e poi ti mollo in
mezzo a una strada!” penso a fior di labbra tutte queste belle
amenità, mentre ci avviamo verso casa. Mi accorgo che anche Leone
ogni tanto mi guarda senza darlo a vedere. Ha un’espressione
chiusa, molto ermetica, e probabilmente sente lo stesso disagio che
sento io. Dedo e Tea invece, mano nella mano, sembra che siano fuori
dal mondo e parlano fitto fitto tra di loro, facendo progetti per il
futuro, a quello che mi sembra di capire, cogliendo qualche parola in
qua e in là.
Sono contenta per Dedo.
Non l’avevo mai visto con l’espressione che ha ora negli occhi e
credo proprio che Tea sia la persona che ci vuole per lui.
Non vedo l’ora di
essere a casa. Sono sicura che tra le mie cose di tutti i giorni
ritroverò la serenità che in questo momento mi manca. Ci voleva
proprio il mio trisavolo a complicarmi l’esistenza! Anche lui non
aveva niente di meglio da fare che andare dietro a un sogno? Eppure
mi rendo conto di somigliargli molto e dentro di me sono orgogliosa
di lui e di tutta la storia che è riuscito a montare a distanza di
tanti anni. Un sorrisino comincia a spianarmi la bocca.
“In fin dei conti,
confessalo Lara che Leone ti piace. Ti è piaciuto dal primo momento
che l’hai visto, ricordi?”
“Non ci mancavi che te
– dico all’altra Lara che è venuta a importunarmi – come se
non avessi già abbastanza cose da pensare!”
“Sì lo so! Ma questa è
una cosa importante, la più importante di tutte! Ti piace o no
Leone?”
“Sì mi piace…e
allora?” rispondo inviperita
“E allora di che ti
preoccupi? Forse del fatto che se lui decide di sposarti pensi lo
possa fare per entrare in possesso della villa?” mi dice l’altra
me stessa in modo provocatorio
“Brutta cattiva che non
sei altro! Ti diverti vero a dirmi queste cattiverie! Ebbene se lo
vuoi sapere è proprio così!”
“E magari non pensi che
anche lui possa fare gli stessi ragionamenti?” continua lei
angelica
“Io non sono il tipo da
fare cose simili!” rispondo risentita
“E perché dovrebbe
esserlo lui?” incalza seraficamente il mio alter ego.
“Non lo so. Uffa! Non
ci sto a capire più niente! Mi vuoi lasciare in pace per piacere?
Almeno fino a domani mi vuoi stare lontano?” Non ne posso proprio
più.
“Voglio andare a casa!”
dico rivolgendomi a tutti e per tutti risponde Dedo che
tranquillamente mi dice
“Neanche per sogno
Lara. Stasera andiamo a cena fuori perché Tea e io abbiamo da dirvi
qualcosa”.
“Va bene, basta non
fare tardi perché sono veramente stanca!” rispondo abbastanza
sgarbatamente. Ma Dedo non ci fa caso. Sa che in questo momento sono
molto nervosa e cerca di aiutarmi come può.
“Dove possiamo andare a
cena?” chiede a Leone
“Io direi di andare al
‘Centro di gravità permanente’. Si mangia molto bene
“Aggiudicato! E
naturalmente siete miei ospiti”
E’ proprio vero che nel
ristorante proposto da Leone si mangia bene e infatti dopo dieci
minuti tutto il malumore è scomparso e io e Buzz riusciamo a
guardarci tranquillamente e anche a cominciare a scherzare sopra al
nostro ipotetico matrimonio combinato.
“Ma ti immagini cosa
vorrebbe dire vivere con te Lara? Significherebbe non trovare più
neanche un paio di calzini. Mi sono accorto che hai una capacità
unica di nascondere le cose” mi dice a un certo momento
“Per fortuna che ci sei
tu, che a quanto ho visto sei l’ordine personificato. Non lo sai
che poli opposti si attraggono?” gli rispondo ridendo, una volta
tanto senza neanche una punta di acidità.
A questo punto Dedo batte
leggermente la forchetta nel calice di cristallo, richiamando
l’attenzione.
“Hmm! Hmm!...io e Tea
vorremmo dirvi una cosa!”
“Siamo tutti orecchie –
dai non fateci aspettare più – per caso avete trovato un sistema
per risolvere questa cosa che ci è piombata tra capo e collo?”
chiede ridendo Leone
“No! – ora Dedo è
proprio serio e prendendo Tea per mano mi guarda dritto negli occhi e
– Noi ci sposiamo!”
“Oh diavolo!” non può
fare a meno di dire Leone lasciando a mezz’aria la forchetta
“Davvero? Questa è una
notizia splendida miei cari. Sono così contenta. Lo sapevo che
quando avresti trovato la ragazza giusta avresti capitolato in un
attimo Dedo!!” Mi alzo e fo i due passi che mi separano dal mio
migliore amico e lo abbraccio con quanta forza ho, per comunicargli
tutta la mia gioia “Sono proprio contenta!” ribadisco soddisfatta
“Oh diavolo! Sono
contento anch’io…..ma è stato come dire…un fulmine a ciel
sereno” e anche Leone si alza per abbracciare Tea, che
emozionantissima non riesce a parlare
“E quando vi sposate?”
domando incuriosita
“Il tempo di sbrigare
tutte le formalità! La mia casa è ampiamente sufficiente per
entrambi e se va avanti il progetto di ristrutturare la tua casa di
campagna, abbiamo deciso di collaborare insieme a voi!” questa
nuova sicurezza di Dedo mi affascina oltre ogni dire e guardo il mio
ragazzone con occhi di mamma. Una mamma compiaciuta.
Stanotte non ho dormito
bene. Sarà la novità di Dedo, sarà l’ansia per dover andare col
notaio a vedere l’eredità che ci è toccata, sarà per la
decisione da prendere o non prendere con Leone…..insomma mi sono
agitata tutta la notte, cosicché quando è suonata la sveglia, l’ho
guardata con occhio assassino e poi mi sono girata dall’altra
parte. Aiuto! Voglio tornare alla mia vita di prima, non voglio
trisavoli sclerotici tra i piedi a complicarmi l’esistenza e
neanche giovanotti dagli occhi neri che mi dicono che non sono il suo
tipo. Voglio tornare a dipingere le mie tele surreali e a correggere
le bozze più o meno noiose che mi manda la casa editrice. Voglio i
miei panini col formaggio e le mie quattro chiacchiere da dividere
con Dedo! Dedo…già! Neanche Dedo c’è più, o perlomeno non c’è
più come prima….Basta! Meglio alzarsi e mettersi al lavoro.
“E’ inutile che mi
fai gli occhi dolci! – dico all’immagine che si presenta alla mia
mente, un’immagine di Leone di prima mattina, con la criniera tutta
arruffata – tanto non mi importa niente di te! Per me caro bello,
puoi andare anche a farti friggere!” il grado di acidità con cui
mi sono svegliata stamani è quasi tossico, me ne rendo conto anche
da sola. “Peggio per chi mi starà vicino!” mi dico alzando le
spalle e. addentando una mela mi tuffo a capofitto nella lettura di
un testo di filosofia che devo riconsegnare entro domani!
Tre e mezzo! Il tempo
alla fine è passato in fretta e sarà ora che mi prepari. Dedo ha
promesso che passerà a prendermi e poi ci troveremo con Tea e Leone
a casa loro. Di lì andremo insieme a Villa Fiorita.
Nei miei ricordi c’è
un vago ricordo di quella casa, e un ricordo più che altro legato
alla mia fanciullezza, quando ancora d’estate passavo qualche
periodo nella casa di campagna. Ricordo solo che poco lontano c’era
un’enorme villa, ma in questo momento non so dire se fosse bella o
no.
“Poco importa tanto tra
poco la vedrò!” mi dico filosoficamente
In quel momento il
campanello suona e mi precipito ad aprire. Dedo è sulla soglia
sorridente come sempre e in un attimo le paure della notte spariscono
come per incanto. Dedo sarà sempre la stessa persona di prima, il
mio migliore amico, colui al quale potrò sempre dire tutto.
“Sono pronta! - gli
dico sorridendo – andiamo pure!”.
Siamo arrivati a Villa
Fiorita in uno splendido pomeriggio di sole. Non la ricordavo per
niente, anche perché per arrivare alla Casa di campagna, che è poco
lontano da lì, si prende comunque un’altra strada. L’unica cosa
che ho sempre ricordato di villa Fiorita è l’enorme querce che si
impone proprio all’ingresso. Non è cambiata per niente da come la
ricordavo, ma la villa mi fa un certo effetto, tutta chiusa, triste,
sola.
Leone e Tea la guardano
con rispetto misto a commozione. Lì hanno vissuto i loro avi, e
anche il loro nonno per un certo periodo della sua vita ha abitato
questo posto che per loro è perfettamente sconosciuto. Il silenzio è
pesante e carico di domande non espresse. Che ci sarà al di là di
quel portone?
Norberto Frangione tira
fuori la grossa chiave dalla sua borsa portadocumenti e con passo
deciso si avvia verso l’ampia scalinata. Noi lo seguiamo, Dedo e
Tea tenendosi per mano, io e Leone guardandoci intorno, per non
guardarci negli occhi. Siamo nuovamente imbarazzati.
La chiave gira nella
pesante toppa del portone che si apre con sinistri scricchiolii, o
così pare a me. Alzo gli occhi per guardare la maestosità del
portone e la mia attenzione è attirata da uno stemma al centro del
quale fa spicco una cavallo alato contornato da sette fiori
variopinti. Nel cartiglio un po’ consumato mi sembra di leggere
‘per aspera ad astra’. Due merli spiccano il volo dal cornicione
e vanno a posarsi nel verde prato poco più in là. E’ tutto molto
bello e molto austero.
Dedo mi chiama:
“Dai Lara muoviti.
Stiamo aspettando te!”
“Arrivo!” Possibile
che non ci sia neanche il tempo di guardarsi intorno?
Entriamo in un vasto
ingresso completamente arredato, ma anche completamente coperto di
lenzuoli bianchi. Sento un brivido scorrermi per la schiena . Mi
sembra la casa dei fantasmi. Istintivamente mi avvicino a Leone che
sembra capire il mio stato d’animo e senza dire una parola mi passa
un braccio intorno alle spalle. E’ come se una fonte di calore
scivolasse sulla mia schiena e mi scaldasse tutta, idee comprese. La
paura svanisce d’incanto e mi accingo a guardare incuriosita quel
poco che ci è dato di vedere. Al di là del vasto ingresso infatti
ci sono solo porte chiuse e un’enorme scalinata che porta al piano
superiore.
Il Notaio si ferma
davanti alla prima porta sulla destra e , tirata fuori la chiave più
piccola, la inserisce nella toppa e gira. Tra poco conosceremo che
cosa c’è in quella stanza e qualsiasi cosa ci sarà, sarà nostra
se la vorremo.
Norberto Frangione si
gira verso di noi e con voce tranquilla ma autoritaria ci dice:
“Ora aspettate un
attimo qui. Datemi il tempo di entrare e di aprire le tende delle
finestre. Solo così potrete vedere la vostra eredità”.
Entra richiudendosi
dietro la porta e noi rimaniamo lì in attesa, incapaci persino di
parlare. Quanto dura la nostra attesa? Non lo so dire, ma so che poco
dopo la voce del notaio ci chiama invitandoci ad entrare.
Ci si presenta uno
spettacolo che ci lascia a bocca aperta.
La stanza è grandissima,
stupenda e inondata dal sole del pomeriggio e fa da sfondo a
un’autentica collezione di quadri. Ci sono quadri dappertutto.
Quadri alle pareti, quadri in mezzo alla stanza appoggiati su
cavalletti. Colore, tanto colore, colore vivo che balza fuori dai
soggetti che sono rappresentati e arriva fino a noi inondandoci di
sbigottimento, di emozionato stupore. Galeazzo e Marinella sono lì
con noi e ci guardano dalle tante tele che affollano quella stanza,
ci parlano del loro amore, dei loro sogni, della loro gioventù. Ci
mostrano i loro volti a volte ridenti, a volte malinconici, e sempre
innamorati, perdutamente innamorati. E poi quadri di fiori, come se
la primavera dovesse regnare per sempre sovrana in quel posto e più
in là….no, non è possibile, il ritratto della testa di un
cavallo, con un sorriso misterioso sulla bocca e lo sguardo perso in
posti lontani, il bel muso appoggiato a una zampa in atteggiamento
pensoso.
“E’ Jo… Buzz,
guarda è Jo…-e prendendo per mano Leone me lo tiro dietro fino ad
arrivare a pochi centimetri dal muso di quel magnifico cavallo –
Guarda! Guarda Buzz, non ti sembra che mi stia guardando e che stia
per dirmi qualcosa?”
“Calmati Lara ti prego
– risponde Leone con voce preoccupata e anche un po’ emozionata –
lo sai benissimo che i cavalli non parlano!” mi sbaglio o c’è
poca convinzione in quanto dice?
Norberto Frangione è
rimasto in silenzio in disparte per tutto il tempo in cui noi abbiamo
guardato le decine e decine di quadri, ci siamo stupiti, emozionati,
e poi lentamente siamo tornati alla normalità.
Poi, schiarendosi la voce per attirare
la nostra attenzione ci dice di avvicinarci e quando siamo davanti a
lui spiega il suo punto di vista:
”Tutto questo è vostro, naturalmente da dividere in parti uguali, come da disposizioni testamentarie. Voi se credete potete anche rinunciare a questa eredità, ma mi permetto di dirvi che fareste una grossa sciocchezza. Molti dei dipinti del signor Galeazzo Goldoni sono esposti in altrettanti musei in tutto il mondo. Voi forse non apprezzate l’arte di Galeazzo Goldoni, ma sicuramente conoscete quella del celebre pittore Matieu. Ebbene signorina Lara, Galeazzo e Matieu sono la stessa persona e oggi voi entrate in possesso di un’eredità milionaria.”.
”Tutto questo è vostro, naturalmente da dividere in parti uguali, come da disposizioni testamentarie. Voi se credete potete anche rinunciare a questa eredità, ma mi permetto di dirvi che fareste una grossa sciocchezza. Molti dei dipinti del signor Galeazzo Goldoni sono esposti in altrettanti musei in tutto il mondo. Voi forse non apprezzate l’arte di Galeazzo Goldoni, ma sicuramente conoscete quella del celebre pittore Matieu. Ebbene signorina Lara, Galeazzo e Matieu sono la stessa persona e oggi voi entrate in possesso di un’eredità milionaria.”.
Sono frastornata. Forse
agli altri il nome di Matieu dice poco. Solo chi è introdotto nel
mondo dell’arte pittorica conosce questo nome che sta diventando
sempre più famoso, ma io lo conosco bene perbacco e mi è sempre
piaciuto, solo che l’avevo sempre visto esprimersi in altri
soggetti.
“Bene! A questo punto
direi di andare e ci vediamo domani nel mio studio per definire tutte
le formalità. Va bene?”
“Benissimo” risponde
per tutti Dedo “Ora penso che ce ne andremo a casa a smaltire
l’emozione di questa giornata. Per quanto mi riguarda ho bisogno di
andare a strimpellare un po’ di musica, per riappropriarmi di me
stesso. Tu che fai Tea?”
“Vado a casa anch’io.
Ho bisogno di sedimentare davanti a una buona tazza di the…..però
potrei prenderlo anche da te, che ne dici?” risponde sorridendo a
Dedo, che annuisce contento.
“Io e Lara penso che
faremo due passi qui nei dintorni. Ho una gran voglia di vedere la
Casa di campagna! Che ne dici? Mi fai da guida?”
“E’ un’ottima idea.
Vogliamo andare subito?” chiedo infervorata. Ho proprio bisogno di
vedere la mia vecchia casa per riavermi da tutte le emozioni di
questi ultimi giorni! Accidenti zia Cloe! Ma ti rendi conto di che
cos’hai combinato?
“Ma che posto
incantevole!” l’entusiasmo di Leone davanti alla mia vecchia
casa, è genuino e spontaneo. Certamente Villa Fiorita con tutta la
sua maestosa bellezza non gli ha fatto questo effetto. Continuo a
dire che gli uomini non li capirò mai!
“E’ proprio un posto
incantevole Lara. Qui ci verrà benissimo tutto quello che avevamo
progettato. L’interno di questa casa è anche superiore alle mie
aspettative e potremo farci un sacco di cose belle. Del resto è
piena di luce non vedi anche te? I tuoi quadri troveranno una
collocazione magnifica e potrai fare una piccola galleria……che ne
dici?”
“Ma allora il progetto
va avanti?” chiedo piacevolmente stupita.
“Ma certo! Sempre che
tu sia sempre della stessa idea.”
“Certo che sono
d’accordo ribatto entusiasta . tra l’altro pensavo che ora con la
vendita di qualche quadro dello zio potremmo fare dei lavori anche
più importanti di quelli che avevamo pensato!”
“Sì certo!” conferma
subito Leone, ma sento una sfumatura di esitazione nella sua voce. Lo
guardo interrogativamente e lui un po’ confuso aggiunge
“Sai Lara, avevo
pensato che il ricavato dei quadri di tuo zio Galeazzo avrebbero
potuto essere impiegati per ristrutturare Villa Fiorita e farne un
luogo per accogliere bambini”
“Ma che bella idea che
hai avuto! Io non ci avevo pensato sai? Invece sarebbe proprio una
cosa splendida – il mio entusiasmo è alle stelle, ma quasi
immediatamente dopo divento rossa come un pomodoro e dico sottovoce -
Ma…ma questo vorrebbe dire che noi ci dovremmo sposare!”
“Già – dice lui e
improvvisamente mi si guarda intensamente e appoggia le sue mani
sulle mie spalle – e la cosa non mi dispiacerebbe affatto. Ma tu
hai detto che non ci pensi neppure, per cui non so più come fare per
dirti che ti voglio bene!”
“Perché non provi a
ridirmelo?” gli suggerisco con un filo di voce, sentendo che le mie
gambe cedono ignominiosamente . Ma sono proprio io la ragazza di
quindici giorni fa? Se mi vedesse Desirèe in questo momento, farebbe
molta fatica a riconoscermi.
“Ti voglio bene Lara.
Mi sei piaciuta fin dal primo momento che ti ho vista, arrabbiata
contro il mondo, quando ti ho consegnato il ‘Vecchio Jo’, e fin
da allora dentro di me cercavo un pretesto per poterti rivedere…mai
mi sarei immaginato che il giorno dopo mi saresti piombata in
casa….poi è venuta tutta questa storia dell’eredità e del
matrimonio per poterla avere e mi sono detto che l’unica maniera
era quella di poter fare qualcosa per gli altri. Tuo zio l’aveva
messa come alternativa, ma io ho pensato che le due cose potevano
andare insieme. Aiutare qualcuno, ed essere felici noi. Una casa dove
andare ce l’abbiamo. E’ la mia…e mi sembra che ti sia piaciuta
molto…..che ne dici Rus?” finisce nervosamente. Capisco che deve
essergli costato molto fare un discorso così lungo a una ragazza, ma
l’ha fatto e io sono letteralmente volata tra le sue braccia prima
ancora che terminasse, risparmiandomi così una risposta, che in quel
momento non sarebbe venuta fuori, semplicemente perché non avrei
potuto parlare.
“Che cosa meravigliosa
– dico spalancando gli occhi e facendo una risatina felice -
chissà come sarà contento Dedo, quando glielo diciamo! Era così
preoccupato per me! Sai…temeva di lasciarmi sola e questo appannava
un po’ la sua gioia!”
“Ora non avrà più
nessun motivo per essere triste. Io gli ho risolto il problema!”
aggiunge sghignazzando Buzz
“Stai attento a come
parli sai!- rispondo scherzosamente – potrei anche ripensarci!”
“Non ti azzardare sai!
Come farei per Villa Fiorita?”
“O…bruto che non sei
altro! In un momento simile osi confessarmi che fai un matrimonio di
interesse?”
“E tu allora? Anche tu
fai un matrimonio di interesse almeno al cinquanta per
cento!........oppure mi vuoi un po’ di bene? Lo sai che ancora non
me lo hai detto?!”
“Non mi sembra che ce
ne sia stato bisogno” Come è bella questa schermaglia, mentre ci
teniamo per mano e ci arruffiamo i capelli l’uno con l’altro e ci
diamo piccole spinte per riabbracciarci l’attimo successivo. Ci
sarà mai più un momento altrettanto perfetto nella tua vita Lara?
“Dai….andiamo a dirlo
a Tea e a Dedo! Stasera bisogna festeggiare!” e Leone prendendomi
per mano comincia a correre tirandomi verso la vettura
“Ehi!...Ehi! aspetta un
attimo Buzz…..mi sono ricordata di una cosa!”
“Che cosa amore mio?”
“Noi non conosciamo
cosa rispondeva tua zia Marinella a mio zio Galeazzo quando lui le
faceva la famosa domanda ‘perché bisogna faticare tanto per
conquistare il mondo?’ Io non riesco neanche a immaginare che cosa
gli potesse rispondere!”
“Già…. È vero! Sai
che ti dico Rus? Stasera è la nostra sera, quella solo per noi due,
quella che deve rimanere per sempre nei nostri cuori….Poi domani ci
penseremo! Va bene?
“Ok! ….Ma …Buzz! Se
non riusciamo a trovare la risposta sei sicuro che la tua proposta
sia sempre valida?” gli dico ridendo, ma con una punta di
apprensione.
Lui se ne accorge e
tornato immediatamente serio, mi prende il viso tra le mani e mi
dice:
“Sappi che non ti
libererai mai più di me!”
Mi basta. Tiro un grande
sospiro di sollievo e mi appresto a rilassarmi. In fin dei conti oggi
è stata davvero una giornata emozionante!
Domani è arrivato sin
troppo presto. Mi sono appena svegliata stamattina e stiracchiandomi
nel mio letto, ripenso alle facce stupefatte di Dedo e di Tea, quando
gli abbiamo detto che abbiamo deciso di darci noia per tutta la vita.
Non potevano crederci. Per un attimo mi è anche sembrato che Dedo
fosse un tantino geloso, poi ripensandoci, credo che abbia avuto la
stesa reazione che ebbi io quando mi disse di Tea. In fin dei conti
l’amicizia è un’altra forma di amore, non l’ha detto qualcuno?
Poi tutto è tornato
normale e abbiamo cominciato a fare progetti parlando tutti insieme.
“ Faremo un matrimoni a
quattro” ha detto Dedo entusiasticamente, ma Leone ha alzato una
mano e ha sentenziato categoricamente:
”Non se ne parla nemmeno. Tea ha diritto ad avere il suo giorno unico e irripetibile e non sarò certo io che mi intrometterò”.
”Non se ne parla nemmeno. Tea ha diritto ad avere il suo giorno unico e irripetibile e non sarò certo io che mi intrometterò”.
Tea ha sorriso. Dentro di
sé ha sempre saputo che suo fratello avrebbe risposto così, ma
stranamente è stato Dedo, che di impeto ha abbracciato Leone e gli
ha detto semplicemente:
“Grazie!”
“Ma voi avete
intenzione di sposarvi presto?” ha chiesto Tea rivolta a entrambi
“Non ci abbiamo ancora
minimamente pensato…..già Buzz, noi che faremo?”
“Bella domanda!- ha
cercato di prendere tempo Leone, ma un sorrisino gli ha fatto
capolino sulla bocca – io credo che tra due mesi o forse anche di
meno saremo una coppia in pantofole!”
“In pantofole ci starai
te mio caro! Io non ne ho la minima intenzione!” replico
imbronciata
“Vedete? Ancora non
siamo sposati e già comincia ad alzare la cresta!” continua Leone
con comica rassegnazione
“Comunque ora abbiamo
un sacco e una sporta di cose da fare – dico rivolgendomi a Tea –
preparare il vostro matrimonio, aiutarvi a fare la lista delle nozze,
preparare gli inviti…….”
“C’è un’altra cosa
importante da fare….o mi sbaglio?” Dedo mi riporta con i piedi
per terra
“Eeehh?” dico
sorpresa
“Ma sì Lara….Non
ricordi? Dobbiamo a tutti i costi trovare la risposta che zia
Marinella dava a Galeazzo”
“E’ vero….ma non mi
viene! E a voi?” guardo speranzosa gli altri, che scuotono la
testa.
“Eppure bisogna
impegnarci a pensare…..possibile che sia una cosa tanto difficile?”
insiste Dedo
“Forse non è
difficile, ma ci sono non so quante risposte che potrebbero essere
date!” dice molto praticamente Leone
“Va bene – concludo
sbrigativamente – pensiamoci, ma pensare non vuol dire che intanto
non si possa cominciare a fare i preparativi per voi….o mi
sbaglio?”
“No! Non ti sbagli
assolutamente” dice ridendo Tea. Tra tutti noi, come sempre è
quella più tranquilla e serena.
“Ok. Ragazzi al
lavoro!”e Leone si alza ponendo fine alla discussione e alla
serata.
Sarebbe bello continuare
a pensare alle persona che amo, mi dico filosoficamente, ma il lavoro
mi chiama, i preparativi anche e perciò sarà bene che scenda dal
letto e mi dia da fare!!
Come sono passati in
fretta questi giorni! Può sembrare che non ci voglia niente per
preparare un matrimonio….e invece! Nel momento in cui pareva che
fosse tutto predisposto, tutto pianificato…patapumfete, uscivano
fuori altre dieci cose da fare. I fiori, le bomboniere, gli invitati,
la musica, le damigelle, il pranzo, i segnaposto, la cristalleria, le
valigie, il fotografo, il viaggio di nozze, i regali, e poi e poi e
poi!
“Uffa non ce la fo
più!- mi sono detta per la centesima volta con un diavolo per
capello – e menomale che volevano fare le cose semplici……Non
vogliamo niente di complicato, una cosetta intima, senza pretese,
solo per stare insieme noi e ricordarci questo momento….-
scimmiotto Dedo facendo le boccacce davanti allo specchio –
accidenti alla semplicità! E se erano complicati, che si faceva dico
io?”
Guardo i miei capelli
decisamente in disordine, il mio vestito decisamente in disordine, le
mie scarpe decisamente in disordine, il mio trucco decisamente in
disordine…… e pensare che sono la testimone….e pensare che tra
dieci minuti devo essere in chiesa……e pensare che devo portare
anche il bouquet allo sposo….quindi devo esserci anche prima di
dieci minuti……
“Mi devo spicciare via!
Non è colpa mia se sono conciata così! Mi hanno fatto lavorare
fino all’ultimo momento…e ora mi prendono come sono” dico
cercando di ritirarmi su le spalline del mio vestito color fuxia, un
colore che mi sta decisamente bene. Mi guardo compiaciuta per un
attimo.
“Beh! Tutto sommato non
sono poi così male! Anche le mie scarpette con impossibili tacchi
alti, fanno delle mie gambe qualcosa di apprezzabile….dai dai Lara,
smetti di guardarti e incamminati se non vuoi arrivare in ritardo.
Oggi l’unica giustificata se fa tardi è la sposa!”
Meno male che da casa mia
alla chiesa ci sono solo pochi minuti di strada, perché dopo i primi
passi, sento che le mie scarpette da cenerentola, saranno la tortura
di questa giornata, e con costernazione mi accorgo che per camminare
sono costretta a zoppicare…..la prima vescica della giornata ha già
fatto la sua comparsa nel mio piede destro
“Accidenti e ora come
faccio! – mi dico accorgendomi che davanti alla chiesa già ci sono
diversi invitati con gli occhi puntati su di me e il mio mazzolino.
“Un bel respiro Lara e
fai finta di non sentire niente. I piedi non ti fanno male….questo
portamento così eretto e questo passo volutamente strascicato, sono
solo l’incedere di una modella…e tu lo sai hai il portamento di
una modella, te lo hanno sempre detto…ricordi?” mi dice
prontamente l’altra Lara, quella che viene a scocciarmi sempre nei
momenti più difficili. Stavolta però pare che sia qui per darmi una
mano e mi affretto a ringraziarla
“Grazie
dell’incoraggiamento!- Le dico – pensi che ce la farò ad
arrivare a quegli scalini senza svenire?”
“Ma certo, ma certo!
Guarda mancano pochi metri. Quanti passi saranno? Venti? Trenta al
massimo. Dai fai vedere di che pasta sei! Una Goldoni non si è mai
persa d’animo, neanche in difficoltà ben maggiori”
“Forse non aveva i
piedi sbucciati come i miei – dico a denti stretti cercando invece
di fare un sorriso – comunque grazie davvero!” e il mio pensiero
va alle mie magnifiche pantofoline verdi con gli strass, che ora sono
di Desirée!!
Sono arrivata quasi
contemporaneamente a Leone, che mi guarda con ammirazione, gettando
poi uno sguardo particolare alle mie gambe e alle mie scarpette
deliziose. Fa un piccolo sorriso, poi mi fa segno con la mano di
aspettare un attimo e torna indietro, verso l’automobile. Dopo un
po’ ritorna tenendo qualcosa tra le mani. Una piccola scatola
verde, che mi porge ridendo maliziosamente.
“Pensavo di dartele
dopo, ma mi sembra che sia il caso di farlo subito.”
Guardo allibita la
scatola e sollevo un po’ il suo coperchio che è guarnito con un
fiore dorato. Un magnifico paio di pantofoline, elegantissime e di
foggia particolare, mi guardano dal fondo della scatola
“Ma sono bellissime –
dico veramente ammirata – come hai fatto a sapere che oggi avrei
avuto un vestito fuxia? – dico tornando a guardare quel capolavoro
che riflettono mille tonalità di rosa adornandosi di una minuscola
fibbia argentata e di piccoli esili tacchi dall’inconfondibile
stile italiano-
“Deve essere destino
che nelle occasioni importanti della mia vita io debba sempre avere
un paio di pantofoline – dico con gratitudine a Leone – appena ho
consegnato il bouquet a Dedo me le metto e così anch’io riuscirò
a godermi questa giornata”
E me la sono veramente
goduta in ogni attimo, quando è apparsa Tea, meravigliosa nel suo
semplicissimo abito bianco, adorna di un velo che le scendeva
morbidamente sulle spalle, quando ho sentito Dedo pronunciare le
parole che lo legavano a quella meravigliosa creatura, quando ho
percepito la commozione che si diffondeva sempre di più lungo le
volte della chiesa e si rifletteva sui nostri visi e più che altro
quando mi sono sentita il naso gonfio, le labbra gonfie di quel
pianto che credevo di riuscire a trattenere e invece veniva fuori con
mio grande sgomento in rivoli visibili, copiosi e salatissimi.
“Ma non capisci proprio
niente! Invece di ridere piangi!” e continuavo a piangere. Ogni
tanto Dedo si girava leggermente verso di me, rosso in viso e sudato,
quasi per rendersi conto di ciò che stava succedendo e per cercare
in me una forza che decisamente non riuscivo a dargli. Alla fine si è
tolto un fazzoletto di tasca e me l’ha allungato.
Mi sono soffiata il naso
cercando di fare meno rumore possibile, ma lì tutto sembra essere
amplificato e mi sto accorgendo che l’attrattiva della cerimonia
sono io, il mio naso che tira su, i miei occhi neri di rimmel sparso
da tutte le parti, come succede a tutte le persone che non abituate a
truccarsi, non si ricordano di averlo e quando piangono, si
strofinano una mano sugli occhi.
“Che figura che stai
facendo Lara!” mi dico esterrefatta, ma subito dopo mi rendo conto
che a cominciare da quello di Leone, gli sguardi che sono posati su
di me, sono affettuosi, carichi di calda complicità, consapevoli che
perbacco, il mio amico più caro sta mettendo in gioco la sua vita e
conoscendo Dedo, posso dire con assoluta certezza con la più
assoluta incoscienza, fiducia e disponibilità.
Dedo è Dedo, e io gli
voglio bene per questo e anche se avrà tutto il successo del mondo,
e anche se diventerà un buon marito e un buon padre, avrà comunque
sempre bisogno di qualcuno che lo tenga ancorato su questa terra.
Poi, passato quel momento
di assoluta commozione, tutto ritorna come sempre. E’ una bella
giornata, siamo tutti contenti, ci facciamo fotografare nelle pose
più assurde, mangiamo volentieri tutte le prelibatezze che in altri
giorni rifiuteremmo di metter in bocca e in quattro e quattr’otto
arriva il momento in cui gli sposi se ne vanno.
Anche Dedo e Tea, non
fanno eccezione a questa regola e scappano a bordo di un’automobile
rossa fiammante che si tira dietro una quantità spropositata di
barattoli.
Noi agitiamo le mani, io
agito la mano e sento di nuovo le lacrime pungermi gli occhi, ma una
voce non mi permette di mandare avanti il mio progetto piagnucoloso,
una voce cara che mi dice:
“Mi sembra che sia
arrivato il momento di andare a fare una visitina a Villa Fiorita….Ti
va?”
“Certo che mi va!”
rispondo contenta. Come è carino Leone. Ha capito che devo superare
un momento di malinconia e mi viene incontro con tatto senza farmi
sentire scema per l’ennesima volta nell’arco di questa giornata.
Venti minuti dopo siamo
nell’ampio viale che conduce alla Villa. Chissà perché, ma anche
se abbiamo deciso di sposarci e quindi sappiamo che diventerà
nostra, non riusciamo a sentire lo stesso trasporto che abbiamo verso
la Casa di campagna.
“E’ una casa
stupenda…non trovi Buzz?......Ma è così triste!” non posso fare
a meno di dire
“Ha solo bisogno di un
tocco di vita – risponde Buzz sorridendo – chiudi gli occhi e
prova a immaginarla con tutte le finestre aperte e volti e sorrisi di
tanti bambini. Prova a pensare che sotto queste piante ci siano dei
giochi e delle panchine, e tante piante fiorite…Ci stai provando?”
“Sì” rispondo in un
soffio, persa dietro la visione che mi sta suggerendo il mio ragazzo
“E come ti sembra ora?”
“Bellissima! – riapro
gli occhi e guardo Buzz che mi sta sorridendo – hai ragione tu! Nel
momento in cui ci saranno i bambini ad allietarla questa casa
riprenderà vita….E poi c’è la presenza di Jo anche qui!” dico
quasi a me stessa
“Ah! Vuoi dire nel
quadro che è dentro la sala che abbiamo visto?”
“No Buzz, veramente no.
Non ci pensavo a quel quadro in questo momento. Ora stavo pensando
allo stemma che è sulla porta di ingresso!”
“Non ci ho fatto caso.
Dai andiamo a vederlo” e prendendomi per mano mi trascina verso la
scala d’ingresso. Sul portone il grande stemma fa bella mostra di
sé proprio come la volta precedente, con una nota in più. Stasera
ci batte un raggio di sole che lo illumina meglio e il cavallo
rampante che vi è dipinto viene fuori con maggior spicco. Lo guardo
affascinata e anche lui mi guarda e poi senza alcun ritegno mi
strizza l’occhio.
“Ma Jo! – gli dico
ridendo – possibile che tu non possa fare a meno di fare l’occhio
di triglia alle ragazze? Io ora sono una persona felicemente
fidanzata, per cui sarà meglio che le tue attenzioni vadano a
qualche altra damigella”
Mi giro verso Leone per
ridere con lui di quell’attimo che ho vissuto o ho creduto di
vivere con il mio cavallo preferito, che quando vuole si trasforma in
pianoforte, ma l’espressione di Leone mi fa ammutolire.
Sta guardando lo stemma,
ma invece di guardare Jo, come ho fatto io la sua attenzione si è
posata sulle parole che sono scritte sotto ‘Ad astra per aspera’.
“Ma sì! Sì! Sì!”
grida eccitato
“Che hai Buzz? Che è
successo? – gli chiedo impaurita non sapendomi spiegare la sua
espressione
“Che hoo? Ho che
abbiamo trovato la risposta al quesito di Galeazzo. ‘Ad Astra per
aspera’ Questo è quello che gli rispondeva Marinella, un po’
scherzando e un po’ sul serio. E’ bellissimo. La risposta è in
questa casa, la risposta è per noi. Noi potremo conquistare il mondo
e arrivare alle stelle attraverso le vicissitudini della vita e le
vicissitudini della nostra vita vogliono che questa casa ne faccia
parte, per poter dare una mano a tanti bambini in difficoltà”.
Sarebbe bellissimo Buzz –
gli dico entusiasta – ma sei sicuro che sia proprio la risposta
giusta?”
“Sì, sono sicurissimo.
Non so come ma sento che questo è quello che è scritto nell’ultima
busta che ha in mano il dottor Frangione……Ma quello di cui sono
più sicuro è che voglio cominciare questa avventura e la voglio
cominciare insieme a te” e mi abbraccia sollevandomi da terra e
facendomi girare a tutto tondo.
C’è qualcuno che dice
che la felicità non esiste, ma io gli rispondo che la felicità
esiste e io la sto provando in questo momento, tra le braccia
dell’uomo che amo e col quale sono in procinto di cominciare un
cammino, che non so dove ci condurrà. Ma so che questo momento sa di
eternità e resterà per sempre impresso nella mia mente.
Circa un mese dopo alle
ore dieci di mattina.
Il Notaio Norberto
Frangione, seduto dietro la sua ampia scrivania, sta aprendo la posta
come fa tutte le mattine.
Dopo tre o quattro
fatture e altrettante lettere di pubblicità, una busta color avorio
di formato elegante attira la sua attenzione.
Prende il tagliacarte e
l’apre facendo attenzione a non sciuparla. Tira fuori un cartoncino
e lo legge attentamente mentre mutevoli stati d’animo passano sul
suo viso.
Per
aspera ad astra
Lara Goldoni
Leone Conforti
Annunciano il loro
matrimonio
Che si celebrerà
A Villa Fiorita
La S.V è invitata
alla Cerimonia e al Pranzo che seguirà
Più sotto, vergato a mano con una
leggera calligrafia svolazzante c’è scritto:
Caro dott. Norberto, speriamo con tutto il cuore che lei possa intervenire al nostro matrimonio, perché dopo ci sarà tanto da lavorare e avremo bisogno dei suoi preziosi consigli per aprire una scuola per ospitare bambini che possono aver bisogno del nostro aiuto. A presto
Caro dott. Norberto, speriamo con tutto il cuore che lei possa intervenire al nostro matrimonio, perché dopo ci sarà tanto da lavorare e avremo bisogno dei suoi preziosi consigli per aprire una scuola per ospitare bambini che possono aver bisogno del nostro aiuto. A presto
Lara e Leone
Un sorriso sale
lentamente alla bocca dell’omino che oltre a essere un Notaio è
anche un sentimentale e anche qualcosa di più…. Anche gli occhi si
illuminano di quel sorriso e mentre si stropiccia le mani per tenere
a bada l’emozione gira l’anello d’oro e guarda il bellissimo
muso di un cavallo nero che vi è incastonato. E’ un vecchio anello
di famiglia, un vecchio amico di famiglia, col quale ama parlare di
tanto in tanto
“Hai sentito mio caro?
Ci sarà da lavorare e noi siamo qui per questo non è vero? Siamo
sempre stati qui per questo. Come ti ha chiamato Lara? Jo? Bene ti
chiamerò così anch’io. Avremo tanto di quel lavoro da fare Jo,
che non riusciremo neanche più a riposarci un po’ mio caro…Ma ci
pensi? I bambini! Tanti bambini. A te sono sempre piaciuti vero Jo? E
io che dovrei dire? Se non ci fossero i bambini sarebbe inutile che
ci fossi io…..come dici? Sei contento anche te? Si vede! si vede!
Sai che ti dico? Oggi è
una giornata speciale ed è da tanto tempo che non ci pendiamo una
vacanza. Chiudiamo i battenti e andiamo a fare un giro? Dove? E’ da
tanto che non vediamo il Principale e credo che una nostra visita gli
farà piacere. Il tempo è perfetto per andarlo a trovare. Il cielo è
sereno e non c’è vento. Se ci affrettiamo per stasera siamo
nuovamente a casa……..Come dici? Quando partiamo?.........Ma
subito!”
Vi è mai capitato in una
tranquilla serata senza vento di avvertire per un attimo un fremito,
quasi come se un piccolo vortice si fosse improvvisamente animato?
Non si vede niente, non si sente niente, ma rimane addosso la
sensazione di qualcosa che ci ha sfiorato per alzarsi verso il cielo
portando con sé i nostri desideri nascosti che non siamo riusciti a
trattenere dentro di noi.
Guardai i suoi occhi! Io guardo sempre
gli occhi delle persone e anche degli animali. Quante cose nascondono
gli occhi e quante altre tentano di rivelare. Mi hanno sempre
attirato gli occhi. Essendo un'istintiva è lo sguardo di chi ho di
fronte che mi dice le prime cose sul suo carattere, sul suo modo di
essere, e in definitiva sul suo vissuto. Gli occhi non ingannano e
anche se sono abissi profondi lasciano sempre intravedere qualcosa
dell'anima.
Ti voglio raccontare
Ti voglio raccontare una favola, ma
una favola vera, una di quelle che si scrivono a nostra insaputa in
un giorno qualsiasi della nostra vita, magari mentre si va
frettolosamente a comprare qualcosa in un negozio....su in paese....
Correvo quella mattina d'inverno di
dodici anni fa, correvo per andare a comprare una cosa che mi era
assolutamente necessaria, e mentre andavo su per la salita col
fiatone, mi dicevo che dovevo fare in fretta, perché a quell'ora
avrei dovuto essere al lavoro, e terminare una serie di opuscoli che
dovevo inserire nel giornalino. Ti dico questo solo per farti capire
che quel giorno il mio tempo era molto limitato.
Alla fine sono arrivata e mi sono
catapultata dentro il negozio sperando di non trovare la fila. Sono
stata fortunata. Davanti a me c'era solo una persona e già veniva
servita.
"Buongiorno – ho detto con la
poca voce che mi era rimasta, rivolgendomi più che altro a Daisy (è
un nome fittizio) che mi guardava dall'altra parte del bancone.
Conoscevo abbastanza Daisy, perché sono stata catechista dei suoi
figli più grandi per un anno, ma non sono mai stata molto in
confidenza con lei, anche se di tanto in tanto abbiamo parlato del
più e del meno.
"Buongiorno!" mi avevano
salutato entrambe le persone e già dal tono di voce diversa con cui
mi era stato risposto avevo capito che Daisy aveva qualcosa che non
andava.
La danza della vita la immagino così |
E gli occhi di Daisy in quel momento
erano specchi di dolore, di rabbia, di sofferenza che aveva necessità
di urlare, di venire fuori, di esplodere e che invece restava lì,
dentro di loro, mente il viso si costringeva a sorridere al mondo.
Anch'io le sorrisi in risposta con la
testa da tutt'altra parte. Era arrivato il mio turno e chiesi
automaticamente ciò che mi occorreva, mentre continuavo a guardarla
sentendo crescere il disagio dentro di me.
"E' freddo oggi vero?" le
dissi tanto per dire qualcosa e rompere un silenzio che stava per
diventare imbarazzante
"Davvero è proprio freddo!"
rispose lei lentamente ma non aggiunse altro
Presi il mio pacchettino, presi il
resto, lo misi in borsa lentamente, come se cercassi di prendere
tempo, non non sapevo neanche io perché, poi :
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao " rispose e io uscii.
Ero sulla strada, mi fermai un attimo
come se qualcosa mi trattenesse, poi mi avviai per ritornare al
lavoro, un passo dietro l'altro, sempre con quella consapevolezza che
dovevo fare in fretta perché di lì a poco sarebbero arrivate le
persone che dovevano ritirare il giornalino per portarlo a Siena, e
camminando cercai di alleggerire un pò la tensione della quale non
conoscevo il motivo, ma che non voleva sapere di lasciarmi, anche se
in mezzo ad altra gente cercavo di riappropriarmi della mia
quotidianità o almeno così mi sembrò per un attimo perché invece
pochi minuti dopo, un'agitazione non voluta, ma latente per tutto
quel tempo dentro di me, venne fuori in tutta la sua urgenza e mi
costrinse a fermarmi. Ero davanti al negozio del ciabattino, quando
avvertii dentro di me quell'impulso che non riuscii a reprimere, un
impulso che mi diceva di voltarmi e tornare sui miei passi. Fu il
sesto senso? Quel famoso sesto senso che certe volte io credo di
avere, ma del quale ho sempre parlato così, per gioco? Non lo so.
Campassi cent'anni non riuscirò mai a dare una spiegazione logica a
quel momento, anche se da allora in poi il suo ricordo è diventato
per me uno dei momenti più dolci della mia vita.
La ragione mi diceva di continuare la
mia strada, di non intromettermi, di lasciar perdere, ma il cuore mi
suggeriva tutt'altro e anche allora fu l'istinto che mi disse quale
voce dovevo ascoltare e senza pensarci due volte, senza sapere
perché, senza sapere cosa avrei fatto, mi girai e tornai sui miei
passi.
Questa volta affrontai la salita più
lentamente, non perché fossi stanca ma perché avevo bisogno di
riordinare le idee, di cercare di capire perché stavo tornando
indietro, di trovare una scusa plausibile per rientrare in quel
negozio e capire se la sensazione di sofferenza che avevo avvertito
così intensamente era stata solo frutto della mia fantasia o se
invece quel senso di allarme che continuavo a sentire dentro di me
era qualcosa di reale.
E se anche avessi visto che sì, c'era
veramente una sofferenza che aveva bisogno di aiuto, sarei stata
accettata? Che avrei detto per poter arrivare a ciò che avevo visto
dietro quegli occhi?
Non riuscivo a trovare una risposta.
"Ora entro – mi dicevo – e provo a dire che non era questo
il prodotto che volevo....no non funziona! E se c'è gente che
faccio? E se mi risponde male? E se....e se...?!"
Con tutti questi se irrisolti che
giravano per la mia testa alla fine mi ritrovai nuovamente davanti
alla porta del negozio.
Per un attimo, confesso, ebbi la voglia
di tornare immediatamente indietro. "Non sono affari miei!"
mi dissi....ma fu davvero solo un attimo perché la mia mano era già
sulla maniglia della porta e la stava abbassando per entrare.
Ho sempre ricordato quella maniglia e
la sensazione che mi dette ma che non so descrivere neanche oggi, se
non confusamente. Posso solo dire che fu la parte tangibile di
qualcosa che in una maniera o in un'altra avrebbe cambiato i miei
rapporti con la persona che stava dietro quella porta.
Entrai.
Fui fortunata. Non c'era nessuno,
neanche Daisy e quell'attimo sospeso mi permise di recuperare un pò
di calma. Poi dal retrobottega venne la sua voce: "Vengo
subito!" e infatti fu immediatamente lì, pallida in viso,
senza quel sorriso che aveva avuto prima e che ora non aveva fatto in
tempo a stampare in fretta sul suo viso.
Non parve stupita di vedermi nuovamente
lì e mi resi conto che forse non si ricordava neanche di aver
parlato con me pochi minuti prima.
E infatti mi disse "Buongiorno!
....dimmi....."
Io mi avvicinai di più al bancone e
dissi:
"Sono tornata indietro....Posso
fare qualcosa per te?" tutti i discorsi che avevo preparato
erano naufragati miseramente e mi erano venute fuori solo quelle
poche scarne parole. Ma furono sufficienti.
I suoi occhi si riempirono di lacrime
in maniera repentina, come se si fosse improvvisamente rotta la
barriera che le tratteneva e il torrente che c'era dietro venne fuori
con la forza dell'acqua che scende quando è nutrita da un temporale.
In quelle lacrime sentii tutta la disperata solitudine che mille
parole non avrebbero saputo dirmi.
Eravamo ancora sole e io rimasi in
silenzio per darle tempo di allentare la tensione che fortunatamente
con quel pianto cominciava ad alleggerirsi.
Fu lei la prima a parlare.
"Andiamo di là!" mi disse e
si avviò nel retrobottega. La seguii col cuore in gola sapendo che
avrei dovuto ascoltare qualcosa che senz'altro mi avrebbe coinvolto
nella sua situazione e per la quale magari non sarei stata
all'altezza di dare consigli, ma ero stata io a scegliere di tornare
indietro e facendo un grosso respiro, mi detti coraggio e mi
tranquillizzai un pò.
Non ci volle più di un minuto per
sapere quale era il problema di Daisy. Dopo il pianto liberatorio le
parole vennero fuori nitide, distaccate, implacabili.
"Sto per separarmi da mio marito e
aspetto un bambino. Ho deciso che questo bambino non lo posso
tenere,...non saprei come fare con il lavoro e tutto il resto. Ho già
preso appuntamento con l'ospedale per praticare l'aborto....e
dopodomani vado...." terminò con quella che mi sembrò una
lievissima esitazione.
Mi sentii gelare, più che per le
parole, per lo sguardo deciso, quasi cattivo....o forse solo molto
sofferente?
Mi attaccai a quella esitazione e senza
sapere neanche quello che sarei andata a dire cominciai a parlare,
con calma e tranquillità. Ricordo che non feci esclamazioni di
stupore, o di orrore, quando mi disse la decisione che aveva preso.
Non fui brava io, fu solo l'istinto che mi disse di comportarmi così
e da subito mi accorsi che era stato l'atteggiamento giusto, forse
perché da me era preparata ad avere un altro tipo di reazione, e
accorgersi che invece non mi ero turbata più di tanto per quello
che mi aveva detto (il mio cuore galoppava invece!), l'aveva
spiazzata e stupita, ma le aveva anche fatto abbassare la guardia.
"Ci possiamo mettere a sedere?"
le chiesi più per me che per lei. Sentivo di avere le gambe di
pappamolla!
Vagamente intuivo in che ginepraio mi
ero messa. In quel preciso istante mi ero fatta carico di una
responsabilità che dieci minuti prima neanche sognavo....ma la cosa
lì per lì mi sfiorò e poi non mi interessò più di tanto. In
quel momento avevo ben altro da pensare!
Per quanto tempo parlai? Per molto
credo e la cosa strana, che non mi colpì al momento, ma dopo, quando
ci ripensai, fu che in tutto quel tempo nessuno entrò nel negozio.
Eppure in genere era molto frequentato.
Delle cose che ci dicemmo trascrivo
solo l'inizio:
"Tu hai due problemi e sono grossi
entrambi, ma sono due problemi separati, che vanno affrontati uno per
uno. Prima pensa al bambino che porti in grembo e poi solo dopo,
affronta quello che riguarda tuo marito......" giusto,
sbagliato? Non lo so, ma in quel momento mi sembrò che il problema
più urgente fosse quello che riguardava la vita.
Cercavo dentro di me le parole più
giuste da dire a una donna che in quel momento era disperata, ma mi
sentivo la testa vuota, sopraffatta come ero da quel problema che mi
trovavo ad affrontare senza nessuna preparazione. Sudavo freddo!
Fortunatamente le parole venivano da sé, frutto di convinzioni in me
radicate da sempre....
Ma la cosa che mi colpiva di più in
quel momento era come ci si intendeva bene senza bisogno di grandi
discorsi, senza usare parole difficili. Erano gli occhi che
parlavano, i suoi e i miei, me ne rendevo conto e se ne rese subito
conto anche Daisy. Dietro i suoi occhi c'erano libri di parole non
scritte e io li stavo leggendo in tutta la loro drammaticità.
Lei mi caricò di tutte le sue paure,
anche sapendo che io non avrei potuto fare niente di più che darle
la mia solidarietà e starle vicino qualunque fosse stata la sua
scelta e io le regalai i miei dinieghi alla sua disperata decisione,
le mie osservazioni, le mie esperienze di donna e di madre.
Alla fine entrambe sentimmo che non
c'era più niente da aggiungere. Qualsiasi parola in più sarebbe
stata qualcosa di posticcio che quel momento non richiedeva.
Mi alzai, sentendomi stranamente calma
e vuota. Anche lei si alzò pallida in viso, stanca, come una che ha
combattuto una battaglia difficile e ha...perso!
Ma che cosa aveva perso? L'ultimo
fragile appiglio alla speranza di trattenere una vita che si stava
formando? O la sicurezza dei suoi propositi che fino a quel momento
l'avevano portata a prendere una decisione estrema? Non riuscii a
capirlo, neanche a intuirlo.
"Ti farò sapere qualcosa...però
non ti prometto niente!" e con queste parole ci lasciammo.
Il resto della mia mattinata, puoi
immaginare da te come passò. Tornata al lavoro,tutti si accorsero
subito che qualcosa non andava e non mi domandarono nemmeno il
perché del mio ritardo; si limitarono a guardarmi di sottecchi,
mentre cercavamo di portare a termine il lavoro lasciato indietro e
che fortunatamente loro, vista la mia assenza ingiustificata, si
erano affrettati a cominciare, rimandando a più tardi le
spiegazioni.
La mattinata si concluse così,
lavorando, mentre lentamente mi riappropriavo di me stessa e della
quotidianità impellente, che non ci permette mai assenze di lunga
durata.
Alle due tornai a casa come tutti i
giorni e le cose di ordinaria amministrazione mi ripresero nel loro
giro. Preparai, pensando sempre a Daisy, qualcosa da mangiare,
senz'altro poco impegnativo, questo anche a distanza di tanti anni,
te lo posso dire con sicurezza, perché in quel lungo periodo, le
mie entrate erano talmente scarse che si lesinava anche
sull'indispensabile. Ti dico questo solo per farti capire che neanche
per me quello era stato un periodo bello e forse la cosa mi aveva
reso particolarmente sensibile e intuitiva. La vita qualche anno
prima, mi aveva messo davanti a una dura prova, o meglio, senza
incolpare la vita, io stessa mi ero messa davanti a questa prova,
facendo un salto nel vuoto del quale ancora non stavo vedendo la
fine, ma il rispetto per la sacralità della vita in me era rimasto
intatto come ai bei tempi passati e anche se per un lungo periodo non
ho saputo più chi ero e dove stavo andando, istintivamente sentivo
che era valsa la pena aver cercato di combattere per quella nuova
esistenza.
Verso le quattro suonò il telefono.
Neanche per un attimo pensai che potesse essere Daisy. Non conosceva
il mio numero che nell'elenco non era intestato neanche a me. Però i
suo figli conoscevano i miei. A questo non avevo pensato.
Era lei invece e la sua voce venne
fuori sottile, ma diversa da come l'avevo sentita la mattina. Una
voce fragile, ma allo stesso tempo più serena e più sicura. Io non
riuscivo a parlare
"Ciao....ti volevo solo dire che
ho deciso di seguire il tuo consiglio..........Ho già telefonato per
annullare l'appuntamento. Lo so che sarà dura, ma stamani tu mi hai
ridato la forza di continuare. Il resto lo vedrò dopo.....ora voglio
pensare solo ai miei figli, a quelli che ci sono e a quello che
verrà!.......Grazie, grazie davvero!"
Io avevo un nodo in gola che non andava
né su né giù, e trovai a malapena la forza di dirle:
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Ti verrò a trovare......posso?"
aggiunse Daisy
"Ti aspetto".
Pochi giorni fa è passato davanti a me
un ragazzino . L' ho guardato sorridendo e anche lui mi ha guardato,
così come si guardano le cose che capitano sulla nostra strada in
quell'attimo per poi perdersi nel niente, ed è filato via come il
vento. Non mi conosce, non sa chi sono, ma in me, ogni volta che lo
vedo, nasce un senso di soddisfazione, perché lui è qui e gioca e
salta e corre e cresce e poi avrà come tutti noi i problemi della
vita e poi costruirà la sua vita e un giorno la sua mano adulta
stringerà una manina mentre lui ascolterà la voce di suo figlio che
gli dice: "Dai babbo...andiamo a giocare!".
E con questa fantasia dentro gli occhi
oggi mi sono seduta davanti al computer e invece di trattenere
questo attimo solo dentro di me, ho cominciato a scriverti.
Dimmi te se questa non è una favola! E
quante ce ne sono di favole come questa... e sai, sono proprio queste
favole vere che ci fanno dire che nonostante tutto la vita è bella!
Thimothy Finch
Thimothy Finch, si
svegliò mercoledì mattina esattamente alle sette e un quarto, come
faceva del resto tutti gli altri giorni, e come sempre si stirò nel
letto, mise fuori le braccia dalle coperte e dopo averle allungate
bene bene, se ne portò una alla testa, per darsi la prima grattatina
al cervello, ma notò subito che c’era qualcosa di diverso.
In genere quel semplice
esercizio mattutino lo rilassava e lo preparava alla giornata che
doveva arrivare, ma quella mattina la cosa non gli dette punta
soddisfazione. Sbuffò un attimo, poi fu distolto da altri pensieri
ugualmente abitudinari e necessari. La colazione era un rito al quale
non si sottraeva mai, e che anzi, lo metteva di buon umore. Tutte le
mattine, da che aveva ricordo, si preparava un uovo al bacon, pane
tostato, una spremuta di arancia e un buon caffè italiano. Così,
sapientemente nutrito affrontava il lavoro di tutta la mattinata
senza sentire neanche un crampo allo stomaco; le ore scorrevano
tranquille e meticolosamente programmate, proprio come piaceva a lui
e l’ora del pranzo arrivava in un lampo e con essa quel momento di
piacevole conversazione con Jessica Lamb, sua amica dal tempo
dell’università, con la quale prima o poi, naturalmente dopo aver
pianificato il futuro, gli sarebbe piaciuto affrontare l’argomento
matrimonio.
Jessica non era proprio
una bellezza classica, e neanche mozzafiato, era semplicemente
Jessica, con la quale poteva parlare di tutto, dal lavoro, al suo
hobby che si tirava dietro fin dall’infanzia. Aveva una collezione
spropositata di farfalle di tutti i tipi, da quelle bellissime ed
esotiche, alle semplici banali falene che si aggiravano di notte sul
suo lampadario e che poi finivano sistematicamente infilzate a far
bella mostra di sé nelle teche che coprivano le pareti del suo
appartamento.
Farfalle gigantesche e
piccolissime, tutte con le ali spianate, tutte in ieratica posizione
verticale, lo accusavano in silenzio dei suoi assassinii. Le
descriveva a Jessica una per una, tutte perfette, ordinate,
rigidamente catalogate, in schedari che riempivano un’altra parete,
unici libri di una biblioteca monocromatica.. Del resto per uno come
lui che , sottosegretario all’ONUs, svolgeva meticolosamente un
lavoro di calcolo e di incastro, la perfezione era un rito. Jessica
lo ammirava per questo e lui si sentiva lusingato e accarezzato nel
proprio io, dalla eloquente espressione di rispetto che la ragazza
aveva verso il suo modo di gestire la sua professione e la sua vita.
Alzò nuovamente una mano
verso i capelli e gli sembrò che questa scorresse in maniera diversa
sulla cute, come se fosse più spessa, più dura.
“Ma che cavolo….!”
Brontolò tra sé e sé e data una spinta alle coperte, uscì dal
letto e si avviò verso il bagno dimenticandosi di mettere le
pantofole. Quando si accorse dell’omissione si stupì con se
stesso, rimproverando in cuor suo quella dimenticanza che lo esponeva
all’inevitabile polvere del pavimento anche se le mattonelle erano
lucide fino allo spasimo, ma proseguì scalzo fino al bagno, deciso a
farsi una bella doccia per svegliarsi del tutto. Evidentemente ancora
le sue sinapsi non erano al cento per cento, altrimenti non sarebbe
mai successa una cosa del genere, però mentre apriva i rubinetti
della doccia, qualcosa dentro di lui, al di là della sua volontà
gli fece dire, che non sarebbe entrato sotto il getto dell’acqua
che scendeva invitante dalla nappa in alto. “Invitante un corno!”
si trovò a dire “Oggi non ho tempo di farmi la doccia” ma già
mentre si diceva queste parole capiva che non erano altro che una
scusa con se stesso per non toccare l’acqua.
“Mi laverò il viso e
il collo!” e con decisione, quasi facendo uno sforzo si inondò il
viso con l’acqua del rubinetto, cominciando a soffiare
energicamente
“Sgrunch! Sgrunch!
……..Crrrrrr, crrrrrr…..ma si può sapere che mi sta
succedendo?” chiese ad alta voce questa volta, guardandosi allo
specchio che gli rimandò la stessa immagine di sempre, anche se
qualcosa era cambiato, lo vedeva bene. I capelli, erano più setolosi
e la pelle aveva un colore leggermente diverso, anche migliore, si
disse compiaciuto, ma la cosa che maggiormente lo colpì furono gli
occhi, l’espressione degli occhi, lo sguardo degli occhi…….uno
sguardo ….porcino!!
“Mamma santissima –
si disse costernato – ma che mi sta succedendo? ………Vuoi
vedere…….ma sì! Ma sì! Vuoi vedere che mi sono beccato
l’influenza suina?.......E ora come si fa? E come faccio ad andare
al lavoro? Se ne accorgeranno tutti, anche Jessica!” La cosa lo
terrorizzò e allo stesso tempo lo divertì.
“Ci penserò dopo! Ora
vado a prepararmi la colazione e magari scoprirò che sto sognando!”
Si diresse in cucina e
come d’abitudine tirò fuori gli ingredienti che aveva da sempre
usato, mise la padellina sul fornello, ma mentre si accingeva ad
adagiarvi sopra una bella fetta di prosciutto, qualcosa scattò in
lui facendogli dire inorridito:
“Non posso fare questo!
E’ come se mangiassi mio fratello!”
Si sedette sbigottito
sulla prima sedia che gli capitò a tiro e prendendosi la testa tra
le mani disse ad alta voce: “Porca la miseria!...Sono diventato un
maiale”.
Gli sembrò che ammettere
questa cosa assurda, lo tranquillizzasse alquanto e infatti sentì
subito lo stomaco che si agitava in prolungati glu glu glu,
facendogli capire che, maiale o non maiale, l’appetito non gli
mancava e fu a questo punto che si accorse di aver allungato una
zampa, pardon, una mano per intingerla nel vasetto della mostarda e
riportarsela immediatamente alla bocca. Che soddisfazione, leccarsi
le dita ad una ad una fin nell’interno “Sgrunch! E’ proprio
buona! Come mai non me ne ero mai accorto prima d’ora? Mi sembra di
mangiare la mostarda per la prima volta in vita mia!” Fatta questa
considerazione, si buttò su tutto quello che di commestibile trovò
nella sua cucina, evitando accuratamente tutto ciò che fosse stato
maiale e a operazione terminata il suo sguardo cadde sulla tavola e
sull’ecatombe di barattoli, briciole, salse versate. “Sono
diventato un vero maiale!” si disse un po’ disgustato, un po’
compiaciuto.
Ma siccome l’intelligenza
era rimasta quella di un uomo, immediatamente si domandò come
avrebbe potuto fare per non rendere manifesto il suo cambiamento di
identità.
“Mi dovrò controllare
molto, e per prima cosa mi metterò un paio di occhiali da sole!”
Eh sì! Perché il suo sguardo era la cosa che più di tutto faceva
capire la sua trasformazione .
Rivestito di tutto punto,
con gli occhiali da sole ultima moda, riprese il suo aspetto
sofisticato ed elegante, anche se una mano andava continuamente al
nodo della cravatta, per allentarlo e l’altra, indugiava sempre più
frequentemente nella narice del naso, e poi da questo passava con
noncuranza all’interno dell’orecchio, che era da tanto tempo che
gli pizzicava, ma che non aveva mai grattato, per via della buona
educazione.
Quando uscì per andare
in ufficio si senti decisamente felice.
“Bah! Lo so che sembra
assurdo, ma sono felice di essere un maiale. Mi sto finalmente
godendo la vita, senza tutti i paletti che prima mi hanno imposto gli
altri e poi mi sono messo da me. Se questa è l’influenza suina,
sono contento di averla beccata! E sai che ti dico? Non prenderò
nemmeno gli antivirali!”
Quando arrivò
all’ingresso dell’enorme grattacielo, che era il suo posto di
lavoro, la paura lo riprese. Si aggiustò bene gli occhiali, si tirò
su il bavero della giacca (infatti in metropolitana si era accorto di
alcune grosse setole che fuoriuscivano dal colletto della camicia),
si calcò bene in testa il cappello, un bellissimo cappello a larga
tesa, made in Italy, del quale fino a quel momento era andato
giustamente fiero, guardò a destra, poi a sinistra, e infine dopo
aver fatto un prolungato sospiro per prendere quanto più ossigeno
poteva, entrò.
“Buon giorno Mr. Finch”
lo salutò cortesemente il portiere
“Buon giorno Ted,
….cransh” il piccolo grugnito gli scappò inavvertitamente, e
guardò con apprensione l’altro che però non dette mostra di aver
udito niente di anomalo.
Rinfrancato
dall’atteggiamento normale del suo interlocutore Thimothy Finch si
diresse verso l’ascensore che doveva portarlo fino al suo ufficio.
Dentro c’erano già una decina di persone e quando entrò, gli
parve che tutte lo guardassero in maniera strana, ma subito dopo si
rese conto che non guardavano lui, ma il dottor Hobbs, che arrivava
di corsa, quanto glielo permetteva la sua mole, premendosi una mano
su un orecchio e lamentandosi rumorosamente. Pezzo grosso dell’ONUs
in tutti i sensi, il dottor Hobbs era uno dei responsabili della pace
mondiale.
Gli altri gli fecero
posto all’interno dell’ascensore, che partì decisamente verso
piani più alti.
“Dottor Hobbs –
domandò preoccupata Meryl,una delle segretarie – non si sente
bene?”
“Mi è venuto un
dannato male a un orecchio. Devo aver preso fresco ieri, quando ho
accompagnato mia moglie a fare spese al supermercato. C’era l’aria
condizionata che andava a palla” rispose il Dottor Hobbs con un
filo di voce, continuando a tenersi la mano premuta sull’orecchio
“Il guaio è che ora comincia a farmi male anche l’altro!”.
Intanto l’ascensore era
arrivato e tutti uscirono dirigendosi velocemente verso il proprio
ufficio.
Thimoty Finch entrò nel
suo e non appena fu seduto alla sua scrivania ebbe la sensazione di
essersi messo in salvo. Ma in salvo da che?
Aprì un cassetto e
tirato fuori uno specchietto, che teneva sempre a portata di mano per
verificare se era sempre in ordine, si dette una rapida occhiata.
Sospirò sollevato. Il suo aspetto era rimasto identico a quello
della mattina appena si era alzato. Gli altri non si sarebbero
accorti di niente. Prese un fazzolettino di carta e si soffiò
rumorosamente il naso, poi dopo averlo appallottolato, lo lanciò
verso il cestino, facendo cilecca.
“Chi se ne importa!”
si disse alzando le spalle e non riconoscendo più se stesso per
l’ennesima volta in quella mattinata. “No! Così non va bene mio
caro. Se vuoi che gli altri non se ne accorgano, devi stare attento e
fare esattamente tutto come prima!” Quindi si affrettò a
raccogliere il fazzoletto e lo mise all’interno del cestino.
La mattinata tutto
sommato passò tranquilla come sempre. Sbrigò la mole di lavoro che
tutti i giorni l’aspettava, cercando di tenere la sua scrivania in
ordine e i documenti rigorosamente impilati, ma per quanto facesse,
c’era qualcosa , se ne accorse dopo un po’ di tempo, che rendeva
sciatto l’ordine apparente che aveva cercato di dare. Aveva
lasciato impronte sulle cartelline, fogli sparpagliati, penne aperte
e sparse in ogni dove. Impaurito da tutto quel disordine si alzò
velocemente per ridare un senso alla sua scrivania, ma non fece in
tempo perché qualcuno bussò alla porta e Jessica Lamb entrò con un
sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Salve Tim – lo
salutò dolcemente – sei pronto per andare a pranzo?”
Thimothy Finch aprì la
bocca per rispondere ma:
“Scrunch, scrunch….”
Furono le sole parole che gli vennero fuori dalla bocca
“ Suvvia – insistette
Jessica – lo so che sei molto indaffarato, e del resto le persone
importanti come te lo sono per forza, basta vedere tutti i documenti
che hai sulla scrivania……..ma un po’ di relax fa bene anche a
te! Vogliamo andare?”
“Ok!” si azzardò a
rispondere lui e vide che la voce gli era tornata normale. Sorrise
rinfrancato e disse
“Andiamo pure!”
“Come mai hai gli
occhiali da sole?” Jessica lo guardava oltremodo affascinata
“Mi sono beccato un po’
di congiuntivite. Niente di importante, comunque….per precauzione!”
rispose Thimothy Finch.
Era sorpreso! Jessica lo
conosceva benissimo e sapeva il suo modo di fare, la sua precisione,
la sua pignoleria,….eppure sembrava che non si fosse accorta di
niente e si comportava come sempre. Respirò con sollievo.
“Andiamo a pranzo” e
prendendola per mano la condusse verso l’ascensore che li avrebbe
portati al ristorante.
.
Jessica Lamb si guardò
attentamente allo specchio. Non sapeva spiegarsi quella sua nuova
espressione di serenità che le si diffondeva in tutto il viso. Era
da un po’ di tempo, da quasi più di un mese che notava con
compiacimento che il suo viso aveva assunto un’espressione di
dolce felicità.
“No!” si corresse
subito “Non è proprio felicità! E’ qualcosa che le somiglia
molto ma non è felicità”.
Si sentiva appagata dal
suo lavoro, eppure non aveva compiti di estrema responsabilità
all’ONUs. Era poco più di una segretaria, ma era contenta di ciò
che faceva, contenta del suo Capo, il signor Hobbs, contenta dei suoi
colleghi, dei quali, da molto tempo ormai, un mese circa per
l’appunto, non aveva proprio niente da ridire.
Ma la sua gioia più
grande era Thimothy. Con tutte le sue stranezze! !Quando l’aveva
conosciuto, sin dai tempi dell’Università, le era sembrato carino,
ma niente di particolare. Sorrise ricordando, che le era sembrato
anche un tantino noioso con quella sua mania delle farfalle, della
precisione, di ogni cosa al suo posto e di un posto per ogni cosa, ma
poi col tempo aveva cominciato ad apprezzare le sue qualità e poi
aveva completamente capitolato. In poche parole stravedeva per lui.
Le sue farfalle da un
mese o poco più, le erano sembrate stupende e avrebbe scommesso che
la collezione di Tim, non aveva confronti da nessuna parte. Era
arrivata a considerare il suo amico come una delle persone più
intelligenti che avesse mai conosciuto e si sentiva lusingata che la
sua attenzione fosse caduta su di lei, che senz’altro era carina,
aveva anche delle belle qualità, ma non poteva certo paragonarsi a
ciò che era diventato Thimothy Finch.
Lui ormai sedeva dietro
una scrivania al sessantaduesimo piano e questo significava che di
strada ne aveva fatta….e parecchia.
Anche lei sedeva dietro a
una scrivania , quattro piani più in alto di Tim, ma solo come
segretaria. Sarebbe mai diventata dirigente lei, Jessica Lamb? Si
guardò nuovamente allo specchio e sorrise alla sua immagine. Lei era
contenta così, si disse, e avrebbe goduto della luce riflessa dei
successi di Thimothy.
Si dette un ultimo tocco
di rossetto alle labbra, che sapeva avere belle, e il pensiero si
soffermò per un attimo, solo per un attimo sul comportamento di
Thimothy, senza sapersi spiegare che cosa c’era di diverso in lui.
Questione di un secondo e non ci pensò più. A lei Tim piaceva in
ogni salsa e gettando un occhiata all’orologio si disse che doveva
spicciarsi e tornare a tavola dove tra poco sarebbe arrivato il
pranzo, che ordinava sempre Thimothy per entrambi. Niente era
lasciato al caso e i cibi erano sempre rigorosamente dietetici anche
per lei, anche se non ne aveva bisogno.
“Ma lui sa quello che è
meglio e quindi non mi rimane che ringraziarlo della sua premura!”
Si disse aprendo la porta della sala e dirigendosi velocemente al
tavolo dove il suo amico l’aspettava leggendo il giornale sempre
con gli spessi occhiali da sole sul naso.
“Eccomi!” gli disse
sorridendo e lui abbassò il giornale, poi senza ripiegarlo come
faceva abitualmente, lo gettò sul pavimento. Si irrigidì per un
attimo, poi si chinò precipitosamente e mentre lo raccoglieva le
disse:
“Scusami! Mi è
sfuggito di mano!”
“Ma figurati!” gli
rispose Jessica continuando a sorridergli. Le sembrava un bambino che
aveva commesso una marachella!
“Sta arrivando Robert
con il nostro pranzo” le sorrise anche lui di rimando ed entrambi
si concentrarono sui succulenti bucatini all’amatriciana, sui quali
Thimothy si affrettò a gettare cucchiaiate di parmigiano reggiano.
“Tu non ce lo metti?”
le domandò passandole la formaggiera.
“Beh!.....Posso?”
azzardò lei esitante, quasi avesse paura di aver capito male
“Sgrunch!...Ops…Certo
che puoi!” Cercò di rimediare Thimothy Finch dopo il primo
grugnito, guardando di sottecchi Jessica, per vedere se si era
accorta di niente.
Ma la ragazza guardava
estasiata gli spaghetti arrotolati nella sua forchetta pregustando il
primo boccone, e sembrava non aver sentito niente.
“Meno male – disse
lui dentro di sé – devo stare più attento!”
“Che carino che è
stato Tim – intanto si stava dicendo lei – e come è premuroso.”
“Come hai fatto a
capire che vado pazza per i bucatini all’amatriciana? Questi
pezzettini di rigatino mi fanno venire l’acquolina in bocca!”
disse poi a voce alta
“Coooooosa? Sgrunch!
Come ho fatto a non pensarci che c’era il maiale?.........Jessica
ti proibisco assolutamente di metter in bocca anche una sola
forchettata di quella pasta….sgrunch! unch!” La fronte di Tim si
era corrugata in grosse rughe orizzontali mentre diceva queste cose e
non era riuscito a trattenere le parole che erano finite in un
pietoso grugnito.
“M…ma perché?”
chiese Jessica un po’ stupita
“Non avevo pensato che
ti potrebbe fare male….ecco potrebbe farti tornare quei bruttissimi
foruncoletti della tua acne…………e non voglio assolutamente che
ti rovini la pelle meravigliosa del tuo viso!” terminò lui
compiaciuto di se stesso per la trovata geniale, che non solo lo
salvava da altre domande imbarazzanti, ma l’aveva fatto guardare
dalla ragazza con occhi adoranti.
“Hai ragione!”
rispose infatti quasi intimidita da tanto interessamento verso la sua
persona “Oh Tim! Sei proprio impagabile”
“Facciamoci portare due
insalate miste con mozzarella…che ne dici?” Thimothy parlò
lentamente, misurando le parole, per non incorrere ancora nella
possibilità di tirare fuori qualche altro sonoro grugnito.
“Perfetto!” e Jessica
sorrise col suo sorriso più bello e tutto dedicato a lui.
Jessica Lamb si guardò
lungamente allo specchio delle toilettes degli uffici. Come dire! Si
analizzò con espressione critica, ma per quanto cercasse di trovarsi
dei difetti, non riuscì ad evidenziarne alcuno. Il suo viso era
piacevole, i suoi capelli splendidi e ben curati, i suoi occhi dallo
sguardo sereno, degni di nota. Si sorrise compiaciuta, alzò la mano
e fece il classico gesto che in tutto il mondo significa ok.
Eppure non poteva fare a
meno di pensare alle parole che aveva sentito bisbigliare proprio
quella mattina, quando era passata nel lungo corridoio che portava al
suo ufficio. Se c’era una cosa che aveva ottima, era l’udito! E
proprio il suo udito le aveva permesso di sentire, mentre con
apparente indifferenza continuava a camminare, ciò che due colleghe
si erano dette a voce bassa, naturalmente dopo averla salutata con
ampi sorrisi, che lei aveva ricambiato.
“Hai visto che faccia
che ha Jessica?” aveva cominciato la biondina tutta curve,
accostando la bocca all’orecchio dell’altra
“Sì……non trovi
anche tu che sia imbruttita?” aveva prontamente risposto l’altra
che certo non brillava per avvenenza, per cui non lesinava critiche a
quelle che sapeva più dotate di lei.
“No, che dici! Di
aspetto è sempre la stessa, anzi direi che è anche
migliorata!.......E’ l’espressione che ha che è diversa, ….che
ne so,….più distratta, meno attenta,……come se avesse la testa
sempre da un’altra parte. Pensa che l’altro giorno le ho fatto
vedere una foto di un attore, che è di un fascino unico e tutto
quello che mi ha saputo dire, dopo averla guardata con un’espressione
ebete è stato ‘povero caro!’. Ti sembra un comportamento normale
questo, dimmi se ti sembra un comportamento normale!” sottolineò
due volte con una leggera punta di cattiveria la bionda, acida come
un limone acerbo.
“Certo che no! Chissà
che le è successo! Forse si è innamorata di qualcuno che non la
ricambia!” azzardò l’altra
“Ma no! Lo sanno tutti
che lei e Thimothy Finch stanno insieme da tanto tempo…!”
“E che vuol dire
questo? E poi guarda, che gli uomini sono strani. Per esempio proprio
Thimothy, non più tardi di stamani, in ascensore, mi ha guardato con
uno sguardo,….uno sguardo…..oserei dire uno sguardo proprio da
porco!”
“Ma dai! Thimothy!
Proprio lui! Mi viene proprio da ridere! Thimothy Finch con la sua
eterna espressione da salame imbalsamato che guarda una ragazza con
gli occhi di porco! Per me te lo sei sognata!” Aggiunse ridendo la
bionda e la conversazione finì lì, non perché non avessero altro
per farla continuare, ma perché si delineò in lontananza la figura
del capufficio, il dott. Hobbs che avanzava lentamente verso di loro,
con espressione minacciosa, almeno a loro parve così, sotto il
cappello che si era calcato in testa, fino quasi a coprirgli gli
occhi.
Jessica Lamb alzò le
spalle, sorrise di nuovo alla sua immagine rassicurante e senza un
pensiero al mondo uscì dalla toilette per tornare in ufficio dove il
Dott. Hobbs l’aspettava per terminare di dettarle alcune importanti
lettere, che avrebbero dovuto raggiungere luoghi caldi, dove
occorreva fare un grosso servizio diplomatico per cercare di
mantenere la scintilla della pace che rischiava di spegnersi ogni
giorno un tantino di più.
Il Dott. Hobbs alzò gli
occhi dall’ampia scrivania colma di inserti, fascicoli, telefoni,
cornici con le immagini della sua famiglia, che lo guardavano con la
fiducia di sempre. Solo lui sapeva quanto avesse bisogno che
continuassero a guardarlo così, lo sapeva a tal punto che sentì
inumidirsi gli occhi dalla commozione. Tirò su col naso, si calcò
ancora di più il cappello in testa e appoggiandosi una mano
all’orecchio, cominciò a tossire rumorosamente.
Jessica, che arrivava in
quel momento si affrettò a riempirgli un bicchiere d’acqua e
porgendoglielo gli disse:
“Fanno ancora molto
male le orecchie?”
“Grazie Jessica –
rispose il dott. Hobbs bevendo un sorso d’acqua – le orecchie
vanno un po’ meglio, ma è questa tosse stizzosa che non se ne
vuole andare!”
“Vuole che chiami il
Dottor Potter? Forse potrebbe darle qualcosa per fargliela calmare!”
cominciò a dire Jessica prendendo la cornetta del telefono in mano,
ma il dottor Hobbs la interruppe precipitosamente:
“No! No! Mi ha già
visitato cinque giorni fa e ho con me tutto quello che mi occorre!
Ora ci sono cose più importanti da fare……..ci penseremo dopo, o
meglio…. ci penserò dopo!”
“Come desidera lei
Dottore!” e Jessica Lamb, rivolgendogli un bel sorriso si accomodò
nella poltrona davanti al suo computer
“Quando crede! Io sono
pronta”
Finalmente la giornata di
superlavoro era terminata e Jessica se ne era andata insieme a tutti
gli altri impiegati. Il Dott. Hobbs si appoggiò pesantemente allo
schienale della sua poltrona girevole, pigiò un bottone e questa si
girò verso l’ampia vetrata che si affacciava sulla grande città
nella quale si intrecciavano i destini di tanti uomini che non si
sarebbero mai neanche conosciuti.
Aveva sempre amato quel
momento di solitaria malinconia crepuscolare, quando le luci si
accendevano diventando sempre più intense e colorate…..ma non
quella sera!
Era preoccupato! Anzi!
Era molto di più che preoccupato. Era letteralmente terrorizzato!
Tossì in maniera stizzosa e si premette le mani nelle orecchie, non
decidendosi a togliersi il grande cappello che si era messo in testa
fin dal primo mattino. Detestava i cappelli da sempre……ma non
aveva potuto farne a meno.
Il suo pensiero corse a
due settimane prima, quando era stato invitato a una riunione fiume
nella sala dei bottoni. Lui e altre undici persone. Il grande Capo
sedeva da un lato della sua immensa scrivania di lacca lucida, nera,
sulla quale spiccavano posacenere di cristallo e calici trasparenti.
A che cosa dovevano brindare? Eppure quei calici erano
inequivocabilmente lì per quel motivo. Non conosceva gli altri,
salvo il dottor Potter, per averlo visto aggirarsi qualche volta tra
i vari reparti. Si erano guardati tutti in silenzio, timorosi di
quello che di lì a poco avrebbe detto il Grande Capo. Inutile
negarlo! Mister Incontestabile Severo (di chiara origine italiana) il
Mister, come si faceva chiamare più semplicemente lui, incuteva
soggezione a tutti, anche a quelli più furbi e scafati. Forse era la
sua aria ieratica, quasi ascetica a dargli, un senso di diversità,
fatto sta che quella sera erano rimasti tutti in silenzio aspettando
che il Mister si decidesse a romperlo, cosa che lui fece solo dopo
diverso tempo e solo dopo aver posato i suoi occhi chiari, magnetici,
su ciascuno di loro.
Alla fine, quando già
perle di sudore apparivano sulla fronte anche dei più freddi, si
alzò e appoggiando le mani sulla scrivania cominciò a parlare;
“Vi chiederete il
perché di questa riunione. Ve lo dico in due parole. Un grave
pericolo minaccia la pace nel modo e quindi l’umanità. Ho bisogno
di un gruppo di persone estremamente fidate che mi aiutino nel
difficile compito di ristabilire un equilibrio che sta frantumandosi.
La mia scelta è caduta su di voi. In questi anni vi ho osservato
attentamente e sono giunto alla conclusione che posso fidarmi di voi
e che non deluderete le mie aspettative. Da oggi voi sarete i miei
collaboratori più stretti e tra qualche giorno riceverete le
comunicazioni per questa nuova missione che vi riguarda da vicino.
Non sarete soli in quest’impresa; altri vi affiancheranno, ma voi
sarete comunque e sempre i prescelti per le più alte cariche e le
più alte responsabilità. Naturalmente siete liberi di dire di no,
ma se accetterete questo grande incarico, dovrete fare tutto ciò che
vi verrà detto e alla fine sarete i miei più fidati collaboratori”
Naturalmente nessuno si
era tirato indietro, lusingato che lo sguardo del Grande Capo si
fosse posato su di lui. E alla fine tutti avevano bevuto dai
brillanti calici il pregiato liquido che sanciva più di qualsiasi
firma futura, che sicuramente ci sarebbe stata, un patto fortissimo.
Jonathan Hobbs, fece un
gran sospiro. Decisamente quella sera non riusciva più a
concentrarsi nel lavoro, e sì che ne aveva un bel po’ che
l’attendeva. Il suo pensiero continuava ad andare indietro nel
tempo e si fermava invariabilmente a quella riunione dove un brindisi
aveva suggellato un patto, che a prima vista aveva tutte le
caratteristiche di qualcosa di nobile, ma chissà perché non lo
lasciava tranquillo. Rivedeva il Mister, mentre pronunciava il suo
discorso, fatto di poche parole precise che non lasciavano adito a
equivoci. Loro erano stati chiamati in causa e da quel momento in poi
la loro vita non sarebbe stata più la stessa. Anche negli altri
aveva notato la stessa espressione inquieta, ma già soggiogata dal
fascino irresistibile che emanava da quell’uomo alto, magro, dagli
occhi chiari e penetranti. Lui personalmente si era sentito
attraversare da quello sguardo!
Poi la vita era ripresa
col solito ritmo e a poco a poco la sensazione di malessere era
sparita per lasciare il posto a una nuova euforia dettata
dall’ambizione. Avrebbe fatto più strada, avrebbe avuto successo e
soddisfazioni, perché essere il braccio destro di quell’uomo, uno
dei pochi eletti ad avere le sue confidenze e condividere i suoi
progetti, non era da tutti…no davvero!
Fu una mattina di
quindici giorni dopo che si svegliò con una strana sensazione.
Si sentiva tutto
dolorante, con la gola secca e il continuo bisogno di schiarirsi la
voce.
“Avrò preso freddo!”
disse alla moglie che preoccupata gli toccava la fronte per sentire
se aveva la febbre.
Si preparò comunque per
andare al lavoro, come tutte le mattine, quando all’improvviso
cominciò a tossire in maniera stizzosa e continua, senza riuscire a
riprendere fiato. Si sentiva tutto strano, costipato, e cominciava ad
avvertire un fastidio continuo alle orecchie. Non era dolore, non
sapeva neanche lui spiegarsi che cosa fosse la strana sensazione che
lo spingeva a mettersi le mani sui padiglioni auricolari e tenerseli
tappati.
Quando fu in ufficio la
situazione non migliorò, per cui decise di fare un salto dal dottor
Potter per chiedergli qualcosa da prendere che gli facesse calmare
quella tosse che lo lasciava senza fiato e senza forze.
Il Dottore lo ricevette
col sorriso che gli eraabituale, lo visitò, poi lo guardò dritto
nel viso
“Carissimo Hobbs, lei
ha semplicemente contratto una malattia che è una banale malattia
dell’infanzia. Il suo nome è pertosse, ma a seconda delle sue
caratteristiche viene chiamata più comunemente o tosse canina o
tosse asinina.”
“E la mia di che tipo
è?” chiese il dottor Hobbs ridendo rinfrancato
“Ah! Senz’altro la
sua è tosse asinina…e anche molto forte!” rispose il dottor
Potter che continuò a studiarlo con aria professionale “Vedo che
ha un ottimo decorso, ma del resto non avrei mai pensato il
contrario. Sette su dodici, con la tosse asinina è un bel successo,
non trova caro Hobbs?”
“Che vuol dire?”
domandò Hobbs, smettendo immediatamente di ridere “Che vuol dire
sette su dodici?”
“Vuol dire che gli
altri cinque hanno invece sviluppato la tosse canina perbacco!” si
affrettò a rispondere il dottor Potter “E io sono uno di quelli!”
concluse con un sorriso
“Ma insomma, che vuol
dire questo discorso assurdo? Che significa sette hanno la tosse
asinina e cinque quella canina? Lei mi sta dicendo che ci sono oltre
a me altre undici persone che contemporaneamente hanno i miei
sintomi?”
“Sì! Sì! Proprio così
caro Hobbs! Non ricorda la riunione di quindici giorni fa? E il
brindisi che è stato fatto? Quel brindisi serviva proprio a questo.
A fare di noi delle persone che sarebbero state da allora in poi al
servizio totale del Mister. Cinque, fedeli come un cane, e sette,
lavoratori indefessi come un asino. E’ un grande privilegio mi
creda, un grande privilegio!” aggiunse il dottor Potter guardandolo
negli occhi.
“Io divento matto! Lei
sta scherzando vero?” chiese con un filo di voce il dottor Hobbs,
sapendo già dentro di sé che il dottor Potter non stava scherzando
affatto
“Ma certo che no! Non
sto scherzando assolutamente. Si calmi e mi ascolti. Si ricorda il
vino che abbiamo bevuto? Bene! Dentro c’era un piccolo virus della
pertosse e tutti ce lo siamo trangugiato allegramente. Le garantisco
che il fastidio che sente ora passerà nel giro di pochi giorni……Ah!
Le anticipo che potrebbe avere la sensazione che le sue orecchie si
allunghino, un po’ come quelle degli asini, ma stia tranquillo, che
dall’esterno nessuno si accorgerà di niente. Per il resto si
consideri uno dei pochi privilegiati ai quali è toccato un simile
onore! Lei sarà un somaro del Mister. Le pare poco? Mi dica ! Le
pare poco?”
“No, no! E’ …….un
onore immenso!” rispose il dottor Hobbs, che aveva necessità di
finire quel colloquio. Era sicurissimo che tra un minuto o due si
sarebbe messo a piangere e non voleva farlo davanti a quello
psicopatico.
Jonathan Hobbs, si girò
lentamente verso la scrivania sulla quale appoggiò pesantemente i
gomiti, poi dopo un lungo sospiro portò le mani alla testa e si levò
con decisione il cappello. Si toccò le orecchie e gli sembrò che
fossero lunghissime e pelose. Ritirò le mani inorridito, ma quasi
immediatamente gli tornarono in mente le parole del dott. Potter: “Le
sembrerà di sentire le orecchie lunghe e diverse, ma in realtà il
suo aspetto sarà sempre quello di prima”.
Si alzò con decisione e
raggiunse la porta che portava al suo bagno personale. Entrò, si
mise davanti al lavandino con la testa bassa. “Ora o mai più!”
si disse e con uno scatto alzò il viso e si vide riflesso nel grande
specchio di fronte a lui. Era sempre lo stesso. L’immagine di una
persona un po’ scialba, buon padre di famiglia, marito esemplare.
Tirò un sospiro si sollievo. Le sue orecchie erano sempre uguali e
anche la tosse cominciava a diminuire e non ragliava più così
disperatamente come prima. Lui era sempre Jonathan Hobbs, uno dei
responsabili della pace mondiale, uno dei più importanti
rappresentanti dell’ONUs…..e ora il braccio destro insieme a
pochi altri privilegiati, del Mister, lo ieratico e carismatico
Incontestabile Severo.
Ad un tratto tutte le sue
paure svanirono e girandosi nuovamente verso l’ampia vetrata del
suo ufficio, si fermò con lo sguardo pieno di genuino orgoglio su
tutte le luci ormai accese, che facevano della sua città, il luogo
più importante del mondo. Dietro quelle luci c’era il potere e per
la prima volta nella sua vita, Jonathan Hobbs senti che tutto ciò
era nelle sue mani e in quelle di pochi altri scelti come lui, pronti
come lui a riversarlo nelle braccia del loro grande Mister, che
avrebbe fatto del mondo un regno di pace universale.
Sentiva di avere un
grande compito nella vita e che i suoi giorni sarebbero stati da qui
in avanti diversi e molto più ricchi. Avrebbe fatto tutto ciò che
gli sarebbe stato detto di fare pur di portare la pace a tutte le
genti. Si sentì quasi incaricato di una missione.
“Sono il somaro di
Incontestabile Severo….e per il bene dell’umanità giuro che sarò
il più grande somaro che il Mister possa desiderare.”. E stavolta
le sue parole erano piene di religioso fervore.
In quel momento si
riscosse. Perso nei suoi pensieri non si era accorto che il telefono
squillava ormai da diverso tempo. Quasi trasognato alzò il
ricevitore. Dall’altra parte del filo la voce del dottor Potter gli
arrivò, ridente e nitida
“Caro Hobbs come sta?”
“Ah! Dottor Potter! Sto
bene grazie! Mi sembra di essere quasi guarito del tutto!”
“Che le dicevo? Pochi
giorni ed è tutto finito. Quindi immagino che sarà pronto per il
primo colloquio con il Mister. Ho telefonato anche agli altri e tutti
saranno presenti alla cena che il Mister vuole offrire a tutti noi
per ringraziarci di essergli così vicini. Ci verranno anche spiegate
determinate dinamiche che dovremo seguire nei nostri
incarichi…..spero che ci sarà, vero Hobbs?”
“Certamente che ci
sarò, non vedo l’ora di cominciare! E mi dica dottor Potter,
quando sarà questa cena?”
“Le verrà comunicato
nel momento in cui il Mister riterrà più opportuno farla!” e con
queste parole il dottor Potter si congedò.
Jonathan Hobbs rimase a
fissare la cornetta in silenzio. Provava una strana sensazione di
aspettativa nella quale si insinuavano i freddi tentacoli di qualcosa
che aveva l’aspetto della paura.
Gettò un altro sguardo
circolare su tutta la sua stanza. Era grande e molto bella, ma sapeva
che ai piani superiori ce ne erano molte più grandi, più belle e
più importanti. Istintivamente seppe che una di quelle stanze a
breve sarebbe stata sua. Da lì avrebbe guardato il mondo ancora più
dall’alto e avrebbe saputo di avere più potere. Loro dodici,
subito dopo il Mister.
Ad un tratto ebbe una
gran voglia di correre a casa e comunicare a Jennifer, sua moglie da
tanti anni, che le loro vita avrebbe avuto una svolta, che avrebbero
potuto permettersi tante cose che ancora erano loro negate. Ecco sì!
Stasera avrebbe portato Jenny fuori a cena, in un ristorante lussuoso
e avrebbero festeggiato con champagne l’aumento del suo prestigio,
dato che ancora non poteva festeggiare l’aumento di stipendio,
poiché non lo sapeva neanche lui.
Incontestabile Severo,
non era un uomo come tutti gli altri; questo lo sapeva anche da sé,
perché appariva talmente evidente, che il negarlo sarebbe stato
stupido e lui, stupido non lo era davvero. Per essere arrivato al
posto in cui era, in età così giovane, voleva dire che aveva delle
carte in più di tanti altri. Era a conoscenza del magnetismo che
esercitava sulle persone e la prova tangibile era stato l’incontro
che aveva avuto poche sere prima con quel gruppo di dodici persone,
che aveva attirato irresistibilmente a sé, tutte tranne forse Fonte
Fantastica, l’unica donna che avesse avuto l’onore di partecipare
a quel meeting che avrebbe dovuto rivoluzionare la storia dell’uomo.
Incontestabile Severo
sapeva di essere molto più che bello; sapeva di essere affascinante,
ma dentro di sé sentiva che quella donna, non si era lasciata
prendere dal suo carisma come avevano fatto gli altri, ma l’aveva
guardato con occhi magnetici e intelligenti, che avevano sostenuto il
suo sguardo penetrante.
Anche ora, mentre si
avviava a rapidi passi per un lungo corridoio illuminato a giorno,
non riusciva a togliersela dalla testa. Era una cosa che non gli era
mai capitata e che gli procurava una sorta di disagio che non sapeva
spiegarsi.
Al termine del corridoio,
si voltò per un attimo fuggevole e assicuratosi che non ci fosse
nessuno,appoggiò l’anello che aveva al dito medio della mano
sinistra a un innocuo interruttore della luce. Immediatamente la
parete scorse su se stessa rivelando la porta di un ascensore che si
aprì silenziosamente. Incontestabile Severo entrò e la parete
scorse nuovamente su se stessa, nascondendolo al mondo intero. Pigiò
l’unico pulsante che c’era e l’ascensore partì velocemente
verso piani più alti, il cui accesso era consentito solo a pochi
altri, oltre a lui.
Quando le porte
silenziose dell’ascensore si aprirono, rivelarono un ambiente
mozzafiato. Cristalli e marmi si rincorrevano in una sorta di
carosello, dove il buongusto faceva da padrone. Ovunque divani e
lampade dalla luce discreta rendevano raffinatissimo quell’ambiente
già di per sé così elegante.
Il telefono suonava con
insistenza e Incontestabile ebbe un gesto di pacata stizza, pensando
che non aveva mai un attimo da dedicare a se stesso. Si diresse con
calma verso il tavolo sul quale un telefono di ebano metteva la sua
nota di sobria classe, e alzò il ricevitore, mentre il suo sguardo
diventava di gelo. Guai al temerario che avesse osato disturbarlo in
quello che considerava il suo momento di raccoglimento di tutta la
giornata appena trascorsa. L’avrebbe pagata cara!
“Sì! Chi parla?”
chiese con distaccata cortesia, ma ben presto la sua espressione si
fece più attenta e i nei suoi occhi guizzò un bagliore di autentico
interesse, che cercò inutilmente di celare.
“Buonasera dottor
Incontestabile, spero di non disturbarla” disse una voce morbida e
vellutata, ma anche terribilmente decisa.
“Assolutamente!”
rispose Incontestabile “Lei non mi disturba affatto!”
“Volevo soltanto
informarla di una cosa che mi riguarda,e che, dato la fiducia che lei
ha accordato a tutti noi, non mi sembra giusto nasconderle.”
“Mi dica e non abbia
paura che qualcuno possa sentirla, questa è una linea assolutamente
sicura” rispose l’uomo suo malgrado incuriosito
“La cosa riguarda il
mio nome. Fonte Fantastica non è il mio vero nome,….è…come
dire, un nome d’ arte. Io lo uso per poter salvaguardare la mia
privacy, ma ora non mi sembra più il caso di farmi chiamare così,
quando il mio vero nome è un altro…”
“E sarebbe?” tagliò
corto con voce annoiata Incontestabile. Non voleva farsi vedere
oltremodo interessato a quello che le avrebbe detto quella donna.
“ Io mi chiamo
Catecumeno Illuminata e ora che le ho detto chi sono, ci tengo a
farle sapere che lei potrà sempre contare su di me. Io le sarò
vicino in ogni cosa che vorrà fare e lei potrà sempre contare sul
mio aiuto” incalzò la voce della donna che ora aveva preso toni
più profondi “Sappia che credo fermamente in lei e nel suo
progetto di pace mondiale e che anche qualora gli altri undici la
dovessero abbandonare, io resterò sempre al suo fianco”
IncontestabileSevero,
forse per la prima volta in vita sua, si trovò spiazzato.
“Catecumeno? Intende
quei Catecumeno? Il Clan dei Catecumeno?”
Sentire la voce vibrante
di quella donna che dichiarava la sua totale adesione all’ambizioso
progetto che da lì a poco l’avrebbe reso l’uomo più conosciuto,
più amato e anche più odiato del mondo, lo riempiva di orgoglio e
di un turbamento che non aveva mai sperimentato sino a quel momento.
Ma anche sentire quel cognome potentissimo, legato alle più alte
gerarchie ecclesiastiche del mondo, non era cosa da poco. Il clan dei
Catecumeno era temuto e rispettato e nessuno avrebbe voluto averlo
come nemico! Meno che meno il loro capo, il “grande Teo”
americanizzato in “Big Teo” prima, e successivamente diventato
per tutti “Big Ben”.
“La ringrazio per
quello che mi dice” si trovò a rispondere sorpreso del suo tono
“Non c’è di che”
rispose la voce morbida “Proteo Catecumeno è mio padre” e dopo
una pausa brevissima la voce stupenda riprese; “Buonanotte” e
riattaccò il ricevitore.
Incontestabile Severo,
rimase a lungo con la cornetta in mano, chiedendosi in cuor suo chi
fosse quella donna, che non temeva di affrontarlo, di parlargli da
pari a pari. Indiscutibilmente aveva un grande fascino, dovette
convenire, e degli ascendenti autorevoli e autoritari, ma lui era
Incontestabile Severo, e il suo carisma si stava già diffondendo a
macchia d’olio, in attesa di un exploy più grande, che di lì a
poco l’avrebbe portato sulla scena mondiale, in una ribalta che non
conosceva precedenti.
Perso in quei pensieri,
si dimenticò di Catecumeno Illuminata, o almeno lui credette così.
Dall’altra parte del
filo del telefono, la bella donna dai tratti finemente modellati e
dalla chioma tizianesca, si guardò nello specchio che aveva di
fronte. Tutto in lei era grazia e fragilità. Tutto tranne gli occhi,
che come due lame d’acciaio si posarono sulla fotografia di
Incontestabile Severo, che aveva avuto cura di fare incorniciare. “Tu
sei un grand’uomo e un grand’uomo ha bisogno vicino a sé di una
grande donna!” e sorridendo alla propria immagine e all’uomo che
la guardava dalla fotografia, cominciò ad affinare la sua strategia.
Il signor Hobbs si rigirò
tra le mani l’invito ricevuto una settimana prima, su cartoncino
verde elegantemente bordato in oro, sul quale erano scritte a mano
poche e semplici parole.
Ho piacere di
invitarla alla cena che si terrà a casa mia
il 24 ottobre p.v
alle ore 21.
Cordialmente
Incontestabile Severo
A una settimana di
distanza, non riusciva ancora a dimenticare le impressioni che aveva
riportato da quell’incontro. C’era stato fin dall’inizio
qualcosa che gli aveva fatto capire che avrebbe partecipato a
qualcosa che non sarebbe mai stata dimenticata, e anche oggi non
riusciva a capire il perché.
Eppure era stata una
semplice cena a una tavola il cui candore era la cosa che spiccava su
tutto. Tovaglia di lino bianchissima, piatti bianchi di squisita
fattura, bicchieri trasparenti di semplice eleganza e cibi non
ricercati, anche se splendidamente cucinati.
Non mancava nessuno di
loro, né i cani, né gli asini e tutti avevano avuto assegnato il
loro posto a tavola e il posto alla destra del loro ospite era stato
occupato dall’unica donna che faceva parte di quel simposio e della
quale non si poteva dire che effetto avesse fatto su di lei il virus
bevuto tante sere prima per suggellare un patto.
Di lei gli era rimasto
impresso il viso sereno, in atteggiamento sorridente verso il padrone
di casa, verso il quale si sporgeva lateralmente per continuare a tu
per tu una conversazione cominciata e che sembrava di estremo
interesse per entrambi. Loro erano lì quasi a contorno, con i loro
sguardi posati sull’uomo e la donna al centro del tavolo, come se
tutto l’interesse della serata fosse improntato su di loro. E in
effetti era così. Perché stavano aspettando ansiosamente che il
Mister parlasse e dicesse che cosa voleva da loro.
Poi il discorso tanto
atteso, quello per il quale tutti erano venuti a quella cena, era
cominciato.
Incontestabile Severo si
era alzato e girando lo sguardo sereno su tutti i commensali, aveva
ottenuto il silenzio senza proferire parola e con voce tranquilla
aveva cominciato a parlare:
“Non mi aspettavo una
risposta diversa dalla vostra e in effetti la mia attesa è stata
ampiamente ripagata. Siete tutti qui, proprio come io vi volevo,
collaboratori strettissimi e fidati. Su di voi stanno le sorti
dell’umanità intera e il risultato della pace nel mondo dipenderà
esclusivamente dalla vostra capacità e dalla vostra fiducia in me.
Io sto lottando per un
mondo migliore, un mondo in cui la Pace regni sovrana, un mondo in
cui tutti gli uomini siano uguali e nel quale possano vivere felici
sapendo che ciascuno lavora per il bene dell’altro. Voi tutti
sapete che l’ONUs è nato proprio per tutelare i diritti di tutti
gli uomini, ma io voglio andare oltre il diritto…io voglio portare
l’Amore”.
Dopo queste parole i
commensali erano tutti emozionati e nei loro occhi adoranti si
leggeva l’ammirazione per il Mister per cui non fu affatto strano
che si levasse un applauso lungo ed estremamente sentito. L’atmosfera
nella stanza si stava letteralmente scaldando e tutti erano curiosi
di sapere che cosa avrebbe detto ancora l’uomo ieratico che in
mezzo a loro, conservando una calma incredibile si apprestava a
guidare il mondo intero.
Il dottor Hobbs senti un
brivido scendergli lungo la schiena. Era un brivido di eccitazione e
di aspettativa. La storia si faceva quella sera intorno a quel tavolo
e loro erano parte della storia.
“Voi dovete sapere che
questo progetto non è nato dall’oggi al domani - continuò
Incontestabile Severo – ci sono voluti mesi e mesi per trovare le
condizioni ottimali per cui questo operazione potesse cominciare, ma
sono sicuro che non ci vorrà molto tempo per portarla a termine.
Voi siete i prescelti, ma
sotto di voi ci saranno uomini e donne, debitamente istruiti che
collaboreranno con voi alla riuscita di questa impresa.”
Lo sguardo del Mister si
posò nuovamente su ciascuno di loro con la stessa serenità ma anche
con qualcos’altro in più. Il Signor Hobbs sentì un altro brivido
correre per la schiena, questa volta di natura diversa, come già gli
era successo in altri momenti, dopo che il Mister aveva parlato.
Diede una rapida occhiata agli altri vicino a lui, ma tutti
sembravano felici, sorridenti ed estremamente desiderosi di sapere
quali sarebbero state le parole successive del loro Capo.
Il quale, dopo una pausa
di mezzo minuto riprese:
“Voi siete al corrente
che per diventare i miei collaboratori più fidati, siete stati
sottoposti a un trattamento virale, la riuscita del quale ha permesso
che oggi siate qui seduti a questa tavola…..ebbene, altri uomini e
altre donne sono stati sottoposti inconsapevolmente a trattamenti
virali di altra natura rispetto ai vostri e ora sono pronti a fare la
loro parte. Non crediate che le persone siano state scelte a caso. E’
stata fatta una selezione accuratissima che è passata sotto il mio
vaglio, per cui i vostri collaboratori, sappiatelo sin da ora,
saranno persone di estrema fiducia che lavoreranno alle vostre
dirette dipendenze.
Voi sapete quali sono i
posti più caldi di tutta la terra, e per caldo non intendo la
temperatura, ma la situazione sociopoliticoreligiosa….lo sapete
perché ciascuno di voi è addetto a un’area ben limitata della
quale conosce tutto. Ebbene questi uomini, queste donne interverranno
seguendo le vostre direttive in ciascun area a voi assegnata e nel
giro di pochi mesi riusciranno a portare la pace in quei territori.
Il resto sarà operazione diplomatica, nella quale interverranno
altre persone preposte a ciò.
Fino ad ora sono stato
chiaro o avete qualche domanda da fare?”
“Vorremmo sapere che
direttive dovremo dare a queste persone che saranno i nostri
collaboratori!” disse con un filo di voce il signor Hobbs,
sentendosi immediatamente dopo in un bagno di sudore, ma dentro di sé
anche contento di essere riuscito a tirare fuori la voce. Non capiva
perché il Mister dovesse incutergli quel religioso rispetto.
“Domanda intelligente
signor Hobbs” rispose con voce tranquilla Incontestabile
“Domanda intelligente
alla quale risponderò subito perché mi permette di entrare
immediatamente nel vivo della situazione senza tanti altri
preliminari. Ebbene signori….ascoltatemi tutti attentamente, perché
non ripeterò un’altra volta ciò che sto per dirvi………..” e
qui Incontestabile Severo, appoggiò entrambe le mani sul tavolo e si
sporse verso di loro “……..ebbene signori, voi non dovrete fare
altro che dire ai vostri subalterni i luoghi in cui dovranno andare e
segnalare le persone , che con la vostra esperienza sapete essere
quelle più pericolose per la pace mondiale.
I trattamenti virali ai
quali sono stati sottoposti decine e decine di uomini e donne, li
mettono nelle condizioni di contagiare singolarmente chi è ritenuto
destabilizzante per la pace, senza mettere assolutamente a rischio la
vita di nessun uomo, meno che meno la loro, in quanto l’hanno già
contratta in forma attenuata e oggi sono solo portatori.
Avete sentito mai parlare
dell’influenza aviaria? E di quella suina? E di quella equina
modificata? ……….Ebbene signori, con questi tre piccoli virus e
la perdita di pochi uomini facinorosi, riusciremo a portare la pace
duratura in tutto il mondo….Tra l’altro la perdita di questi
uomini è intesa solo in senso figurato, perché verranno alienate
solamente le loro velleità egemoniche, in quanto i loro cervelli
diventeranno cervelli di maiali o di polli e altri volatili similari
o al massimo se sono fortunati di cavalli. Che ve ne pare?”
Il signor Hobbs deglutì
più di una volta per prendere tempo e pensare una risposta
diplomatica che gli facesse guadagnare tempo. Era letteralmente
paralizzato dalla sorpresa e gli sembrava di avere il cervello pieno
di ovatta. Quando alla fine pensò di aver ritrovato l’uso della
parola aprì bocca per parlare, ma qualcuno fu più veloce di lui e
da tre posti oltre il suo si levò una voce stridula che inneggiò
“Ottimo, ottimo, questa
è una cosa stupenda, una trovata geniale, qualcosa che solo lei
Mister poteva aver pensato!”
Hobbs guardò il
proprietario di quella voce querula e riconobbe il signor Smith, che
come al solito non si smentiva affatto ed era più ruffiano che mai.
Deglutì per l’ennesima volta e infine si decise ad aprire bocca,
ma ancora una volta fu preceduto da un coro di voci questa volta, che
davano la loro entusiastica approvazione.
“Forse sto sbagliando
tutto sentendomi così a disagio – si disse mentalmente – finché
si trattava di Smith, potevo avere qualche dubbio, visto il tipo, ma
questi altri sono tutte persone serie e rispettate, per cui chi sono
io, per sentirmi così?” e mentre si diceva queste cose, si accorse
di rilassarsi cosicché alla fine anche lui potè dire con sincerità:
“E’ una cosa
bellissima Mister. Complimenti per il suo lavoro!” dopodichè si
sentì benissimo e di nuovo protagonista indispensabile di una svolta
storica.
“Bene signori! Non
avrei mai dubitato di voi, per cui vi dico che al massimo tra due
settimane metteremo in esecuzione il piano che è stato messo a
punto col nome di “Allegra fattoria”
Di nuovo Incontestabile
Severo appoggiò le mani sul tavolo e sporgendosi verso di loro
continuò:
“Tra qualche momento la
mia segretaria vi consegnerà una busta sigillata. Al suo interno
troverete una lista con i nomi che ciascuno di voi dovrà
contattare. Dovrete conoscere solo i nomi delle persone che vi sono
state assegnate e non ammetto deroghe a questo ordine. Chi sgarra
sarà immediatamente allontanato da questo tavolo, ….ma sono sicuro
che voi tutti farete in modo egregio la vostra parte, poiché avete
meritato la mia stima e la mia considerazione. Dal vostro
comportamento dipende la pace nel mondo, per cui credo che non ci
sia altro da aggiungere…..Avete domande da fare?” aggiunse con
l’aria di chi pur non dicendolo fa chiaramente capire che è meglio
non fare altre domande. Cosa che fu recepita benissimo da tutti
quanti, Catecumeno Illuminata compreso.
Seduto alla sua
scrivania, il signor Hobbs, si rigirava un foglio tra le mani con
aria pensierosa. Quella era la sua lista con il nome delle persone
che aveva già convocato per un summit nel suo ufficio e che tra poco
sarebbero arrivate. Cosa avrebbe detto loro? E più che altro quale
sarebbe stata la reazione di queste persone alle sue proposte?
Come poteva andare
tranquillamente a dire a ciascuno di loro che dovevano andare a
contagiare in modo grave altri uomini e donne per farle uscire dalla
vita pubblica dei loro paesi e renderle così innocue? Gli sembrava
di vivere qualcosa di surreale, come se tutti fossero usciti di
senno e lui solo se ne rendesse conto, senza peraltro riuscire a fare
qualcosa per modificare la situazione.
“Magari sto sognando!”
si disse speranzoso dandosi un potente pizzicotto nel cicciuto
avambraccio, ma il dolore che sentì gli fece irrimediabilmente
capire che era sveglio, molto sveglio……anche troppo sveglio per
essere un asino.
“Ma come posso tornare
indietro? Come posso dire a mia moglie che tutte le cose che abbiamo
sognato e che ora stanno per diventare realtà, non ci saranno più?
Se decido di uscire da quest’affare, non solo non avrò l’aumento,
non solo non avrò la promozione, ma perderò anche il lavoro!! Il
Mister non è un tipo al quale si può dire di no, senza pagarne le
conseguenze! E che conseguenze! Ma cosa posso fare? E più che altro
perché quando sono insieme a lui, quello che dice mi sembra che sia
giusto, e poi quando comincio a pensare per conto mio, tutto ciò mi
pare solo una carognata?”
Non fece in tempo a darsi
nemmeno l’illusione di una risposta perché fu bussato alla porta e
si trovò a dire automaticamente: “Avanti!”.
Thinmothy Finch entrò,
dopo aver ceduto il passo a una sorridente Jessica.
Jessica sorrideva o
ridacchiava sempre in quei giorni e Timothy anche ora la guardò con
un po’ di stupore. Che c’era di così esilarante da dover sempre
viaggiare con quel sorrisino idiota sulle labbra? Decise che dopo la
riunione con il dottor Hobbs, avrebbe invitato Jessi a cena e così
avrebbe cercato di capire lo strano comportamento della ragazza. Ora
era lì per capire che cosa volesse da lui e da Jessi il suo capo,
che gli sembrò abbastanza strano anche lui.
“Ma che ci sta
succedendo?” disse mentalmente sicuro che almeno in quel caso
poteva star tranquillo. Non sarebbe venuto fuori nessun grugnito,
anche se doveva ammettere che in quei giorni era diventato abbastanza
bravo a gestirsi, e salvo in rari momenti in cui la sua nuova natura
porcina si affermava in tutta la sua prepotente vitalità, riusciva a
controllare sia i grugniti, sia lo sfintere e anche lo sguardo.
Quella era la cosa più difficile. Ogni volta che vedeva una bella
ragazza, i suoi occhi si animavano di una luce strana e decisamente
porcina! Ma tant’è! Con un paio di occhiali da sole, aveva
rimediato quasi alla perfezione e ringraziava la congiuntivite che
aveva avuto da bambino e che oggi gli forniva una valida e
documentata scusa per non togliersi mai le lenti scure.”Buona sera
dottor Hobbs, siamo in ritardo?” disse entrando e stringendo la
mano che il suo capo gli porgeva.”Nessun ritardo Tim. Buona sera
Jessica! Siete i primi ad arrivare e speriamo che anche gli altri
siano puntuali”
“…Ed ora vi ho detto
tutto ragazzi. Sicuramente ciascuno di voi, nel suo intimo si sarà
accorto di qualcosa di diverso nel suo atteggiamento, senza sapersene
spiegare la ragione, ma dalle cartelle che vi riguardano e che da
alcuni giorni sono in mio possesso vi dico con assoluta certezza Che
Jessica Lamb, Serena Stoy, Mabel Ridge hanno contratto una forma rara
di ochite acuta, mentre Iohn Fox, Roger Toys. Thimothy Finch, sono
reduci da un bel contagio di influenza porcina, la famigerata
influenza A, o se preferite N1H1………No! Aspettate un attimo
prima di interrompermi!......Volevo informarvi che non sono
assolutamente in grado di dirvi in che maniera vi sia giunto il
contagio; l’unica cosa che so è che siete stati accuratamente
selezionati per questo progetto di grande lungimiranza, proprio come
lo sono stato io, e che ciò va ritenuto un grande onore, perché
dimostra la stima che il Mister ha in ciascuno di noi………In
certi momenti non è facile adattarsi a questa situazione e alla
nostra nuova personalità, ma dobbiamo pensare che siamo stati
selezionati per portare a compimento la Pace nel mondo intero”
Un grande silenzio scese
nella stanza. Ciascuno di loro rimase assorto su se stesso, senza
trovare il coraggio di guardare gli altri in faccia. Fu un momento
veramente imbarazzante.
“Ecco perché Jessi mi
sembrava così strana. Ecco perché non si è accorta del mio
cambiamento!......Perbacco è diventata un’oca, nel vero senso
della parola…….e anche le altre due non scherzano affatto!” si
disse con un sorriso divertito suo malgrado Dal canto suo Jessica
faceva analoghe considerazioni.
“Tim ha una vera faccia
da maiale. Come ho fatto a non accorgermene prima? Già! E come
potevo? Sono diventata un’oca!”
Anche le espressioni
degli altri rivelavano pensieri simili e il dott. Hobbs reputò
saggio lasciare un po’ di tempo perché ciascuno di loro
realizzasse appieno ciò che era diventato e più che altro ciò che
avrebbe dovuto fare.
Alla fine fu proprio
Thimothy che ruppe quel silenzio imbarazzante e profondo. Si schiarì
la voce, o almeno cercò di farlo senza riuscirci troppo. L’emozione
di quel momento gli aveva giocato un brutto scherzo e il suono
gutturale che uscì dalla sua gola fu uno dei più bei grugniti che
avesse fatto in quei giorni. Immediatamente gli altri due gli fecero
eco, indipendentemente dalla loro volontà umana. In quel momento la
natura porcina aveva preso il sopravvento e tutti e tre si trovarono
a grugnire in maniera vistosa mentre le tre ragazze li guardavano con
sguardo veramente da oche.
Il signor Hobbs si mise
le mani in testa. Non sapeva se mettersi a ridere o sentirsi
esterrefatto dalla scena che aveva davanti ai suoi occhi, ma la
comicità della situazione prese il sopravvento e così si abbandonò
a una risata liberatoria che pareva non sarebbe mai terminata, se non
ci fosse stato un provvidenziale accesso di tosse asinina, che gli
fece ricordare il suo ruolo e quello delle persone che erano sedute
davanti a lui.
Tornato immediatamente serio, allargò
le braccia e guardando tutti dritto negli occhi disse:
”Ebbene signori, queste sono le armi che ci sono state date per portare la pace nel mondo. Proviamo a farne buon uso”.
”Ebbene signori, queste sono le armi che ci sono state date per portare la pace nel mondo. Proviamo a farne buon uso”.
Thimothy Finch, si fermò
come ormai gli capitava da diversi giorni a questa parte, davanti
allo specchio del bagno. In effetti il suo bagno era diventato per
lui come un secondo ufficio, nel quale faceva le sue prove
comportamentali tutte le mattine appena alzato. Controllava gli
occhi, i denti, l’espressione del viso, toglieva meticolosamente
tutta la peluria setolosa che stranamente non era nata nel viso, ma
intorno al collo. Faceva gargarismi per rendere più morbida la sua
voce, che fino al momento non l’aveva mai del tutto abbandonato,
anche se qualche volta qualcosa di simile a un grugnito usciva fuori,
specialmente quando abbassava le difese e non stava attento a
controllare le sue corde vocali. Comunque per il momento era
abbastanza soddisfatto di sé. La sua doppia personalità aveva anche
dei risvolti positivi e se guardava a se stesso come era prima di
questa impensabile evoluzione, doveva ammettere di essere stato
abbastanza monotono e ben poco divertente, con quella mania
dell’ordine, di un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto.
Chissà come aveva fatto Jessica a sopportarlo? Non è che se era
ancora insieme a lui si doveva a quell’ochite selvaggia che l’aveva
colpita così duramente? La povera ragazza, si disse con un
sorrisetto e un’alzatina di spalle, era proprio imbambolata. Su di
lei il virus aveva avuto un effetto devastante, perché pareva che
non fosse rimasto niente della vecchia Jessica, o almeno così
sembrava. Anche le altre due ragazze non erano certo in condizioni
migliori, si disse rassegnato.
“Io sono stato più
fortunato….chissà perché! Forse la mia personalità, anche se
monotona e seriosa, era più forte e questo cambiamento non ha
provocato tutti i danni che ha fatto negli altri!”.
In effetti gli altri due
maschietti della situazione erano molto più imporcelliti di lui e
non riuscivano a nasconderlo con lo stesso successo suo. Forse questo
era il motivo per cui , pur non avendolo detto ufficialmente, tutti
si erano rivolti a lui come a un capo e Thimothy aveva accettato
tranquillamente quel ruolo, perché gli era sembrato naturale che
fosse così.
“E ora da dove si
comincia? “ La parte precisa ed ordinata della sua personalità
esigeva un piano ben preparato dove niente fosse lasciato al caso, ma
il suino grufolante che era in lui spingeva ad approssimare, a
improvvisare, a lasciare al caso. Non riusciva a pensare a niente di
preciso e girava intorno allo stesso pensiero ormai da ore, senza
riuscire a organizzarsi. Non era certo tipico del vecchio Tim!
Intanto gli era venuto un
appetito mostruoso, per cui decise che forse era meglio assecondare
l’istinto animalesco di sopravvivenza e dar fondo a quello che di
meglio c’era in frigorifero.
Ingurgitò di tutto.
Sparirono intere lattine di ceci e di fagioli, trangugiò fette di
formaggio e di pane che avrebbero sfamato dieci persone, bevve succo
di pera e di carota a volontà e finalmente, dopo aver fatto un largo
sbadiglio a bocca aperta, si dichiarò soddisfatto.
“Almeno per il momento”
si disse contento.
Ora comunque poteva
pensare più tranquillamente e preso un foglio e una penna cominciò
a mettere nero su bianco il progetto che stava formandosi nella sua
mente.
Il periodo era propizio,
o almeno lui lo giudicò tale. Febbraio, chiama carnevale, carnevale
chiama maschere, maschere chiamano feste da ballo. Cosa poteva
esserci di più adatto di una bella festa di carnevale in maschera,
per invitare le persone che dovevano essere messe fuori uso? Del
resto nessuna di queste avrebbe avuto un motivo per rifiutare
l’invito a una serata danzante, figuriamoci una serata danzante
all’ONUs! Anzi l’ avrebbero ritenuto un onore al quale non
potevano dire di no. Un bel contagio ad hoc! Ciascuno di loro avrebbe
ballato con la persona prescelta e da mettere fuori uso, mentre le
altre avrebbero dovuto soltanto continuare a divertirsi. Niente di
più semplice. “Timothy – disse compiaciuto alla sua immagine che
lo guardava dallo specchio – sei veramente un genio!”. Ma poiché
tutto doveva restare “Top secret”, anche per gli altri addetti ai
lavori, salvo naturalmente a quelli del suo gruppo che dovevano
aiutarlo, ora doveva trovare un nome fasullo per il suo piano. Un
nome in codice! Nessuno doveva neanche lontanamente intuire ciò
che si celava dietro un invito a una serata di gala in uno degli
ambienti più prestigiosi del mondo e questo non doveva apparire
neanche nella carte in cui descriveva il suo piano di azione, che poi
sarebbero passate nelle mani del dottor Hobbs per andare in quelle
del Mister che avrebbe dato o no l’approvazione.
“Lo chiamerò Mocador”
si disse contento “è un nome che mi piace …..Mocador ha un che
di esotico, ma anche di importante, come del resto è l’affare in
questione. E si addice anche alle persone che dovremo neutralizzare.
Ma sì! Vada per Piano Mocador!”
Si mise alacremente
all’opera e come nei tempi migliori il lavoro scorreva nelle sue
mani che era una meraviglia. Di lì a due ore seppe di poter dire che
aveva fatto un progetto stupendo , che difficilmente il Mister
avrebbe potuto bocciare. Si stropicciò le mani e sorrise
soddisfatto.
Da quando Thimothy Finch
aveva preso in mano la situazione, il signor Hobbs si sentiva
alquanto più sollevato. Inutile dirlo! Queste cose non gli si
addicevano. A lui piaceva il suo lavoro abituale di publics
relations, ma l’intrigo internazionale non era per lui. Avere Tim
al fianco l’aveva riempito di gioia oltre che alleggerirgli la
tensione e al momento aspettava che Finch gli presentasse un
elaborato di ciò che pensava sarebbe stato meglio fare per venire a
capo di una situazione che non era per niente semplice.
“Ci è toccato la parte
più difficile” si disse con una punta di stizza. “Chissà se per
caso o per scelta?” L’istinto lo faceva propendere per la seconda
risposta, ma certo non poteva averne la sicurezza matematica. Chissà
in che modo Tim aveva organizzato la cosa?….ma gli aveva concesso
una settimana di tempo per presentare un progetto, per cui decise che
era il caso di non disturbarlo, dandogli eccessivamente fretta.
Nel frattempo decise di
godersi questi giorni tutto sommato relativamente calmi che la sorte
gli aveva concesso, insieme al nuovo ufficio, che era una cosa
fantasmagorica; al congruo aumento di stipendio e alla possibilità
di poter finalmente soddisfare le richieste di una famiglia numerosa
come la sua.
Decise in cuor suo una
volta di più che il Mister era una persona eccezionale, di
un’intelligenza al di là di qualsiasi confronto e che ciò che
stava facendo era per il bene dell’umanità intera.
Quando pensava a questa
cosa in particolare Hobbs sentiva che gli occhi gli si inumidivano e
la sua fantasia galoppava, vedendo davanti a sé volti di uomini e di
donne, che prostrati davanti a lui, lo ringraziavano, quasi che fosse
un dio, per aver dato un contributo così importante alla nuova Pace
del mondo.
Vedeva un mondo dove
nessuno aveva più bisogno di elemosinare il pane, perché la nuova
giustizia aveva eliminato ogni sorta di disparità e i Continenti
erano tutti floridi e sereni. Si viveva bene nel mondo che vedeva il
signor Hobbs, davanti ai suoi occhi lacrimosi. Non c’era la guerra,
perché erano stati aboliti tutti i motivi per farla, non essendoci
più le persone facinorose, ambiziose, pazzoidi, fanatiche.
E allora perché, si
chiedeva angosciato suo malgrado, in un angolino del suo cervello e
anche in un angolino del suo cuore, c’era qualcosa di piccolo, di
molto piccolo è vero, ma persistente, che gli impediva di avere una
serenità completa?
Si alzò dall’enorme
poltrona che era dietro una scrivania dove si sarebbe potuto giocare
una partita a ping-pong, dette un’ultima fuggevole occhiata al
superbo scenario che si stava illuminando al di là della parete di
cristallo che lo teneva sospeso sul vuoto, poi alzato il ricevitore
del telefono bianco formulò un numero.
Alla tranquilla voce di
donna che gli rispose, che poi non era nient’altro che quella di
sua moglie spiegò: “Ciao Jenny! Tra un’ora passo a prendere te e
i ragazzi e vi porto tutti fuori a cena. Mi raccomando mettiti in
ghingheri. Stasera ci diamo tutti alla pazza gioia!”.
Dieci piani più su,
Incontestabile Severo stava versando un liquido ambrato in due
calici. Aggiunse una fettina di limone e col suo passo elastico si
diresse verso il divano bianco dove una donna, Catecumeno Illuminata,
si era adagiata in tutta la sua languida bellezza.
La donna era
elegantissima, di un’eleganza raffinata e costosissima, quale pochi
si possono permettere e che lei portava con naturale disinvoltura.
Unico gioiello che le adornava l’anulare della mano sinistra, un
solitario che mandava bagliori per tutta la stanza . Quell’anello
le era stato infilato al dito pochi minuti prima e suggellava un
patto, che non era solo un fidanzamento, ma un’unione di affari, di
potere economico enorme e abbacinante.
Alla fine, non era stato
difficile catturare l’algido Mister, anche se era sicura che gran
parte del suo successo era dovuto al nome che portava. I Catecumeno
erano rispettati e temuti in tutto il mondo e la loro lunga mano
arrivava in ogni dove. Illuminata sapeva che dovendo scegliere se
averli dalla sua parte o contro, Incontestabile non avrebbe avuto
neanche un attimo di esitazione e il bellissimo solitario era lì a
dimostrarlo.
“Alla nostra salute mia
cara!” le disse l’uomo con un leggero inchino
“Alla nostra salute e
alla nostra felicità!” rispose lei con un sorriso misterioso e
affascinante dietro il quale si nascondevano pensieri di assoluto
dominio.
Sapeva, che quando avesse
voluto, sarebbe diventata talmente irresistibile, che neanche
quell’uomo di ghiaccio avrebbe potuto sottrarsi al suo fascino e al
suo dominio. Tutto a suo tempo! Tutto a suo tempo!
“Alla nostra felicità
amore mio!” ribadì con un sorriso delizioso questa volta e
Incontestabile Salvatore seppe di essere fortunato ad avere una donna
come lei al suo fianco e mentre la guardava col suo sguardo
impenetrabile decise che le avrebbe concesso qualcosa, ma solo
qualcosa del suo potere. Se lei pensava di poter avere di più si
stava sbagliando su tutta la linea , perché lui era Incontestabile
Severo e anche se di lei gli piaceva tutto, anche quel suo arrivismo
sfrenato che aveva intuito dal primo istante che l’aveva vista,
l’avrebbe tenuta in pugno, se necessario fino a stritolarla.
“Alla nostra felicità
amore mio!” rispose lentamente il Mister e lei involontariamente
sentì scorrere un brivido freddo lungo tutta la schiena.
Thimothy Finch si rilassò
sgangheratamente sul divano del suo appartamento. Completamente
rilassato, dopo aver messo a punto il piano che di lì a pochi
giorni, dopo l’approvazione del Mister, sarebbe diventato
esecutivo, aveva dato il meglio di sé, facendo fuori tutto ciò che
aveva trovato nel suo frigorifero. Ora guardava i resti del suo
luculliano banchetto, decidendo in cuor suo che avrebbe comunque
dovuto rimettere in ordine, visto che a breve sarebbe arrivata
Jessica.
Il fatto che ormai la sua
ragazza sapesse del virus che l’aveva colpito, metteva Tim al
riparo di qualsiasi critica, ma la parte di lui che aveva resistito
all’aggressione suina, diceva che quando è troppo è troppo e
stasera,guardandosi intorno, si accorse che il troppo era stato
ampiamente superato.
Si tirò agilmente a
sedere e con un piccolo grugnito di soddisfazione per la merenda
appena fatta, si accinse a ridare ordine alla sua casa.
Aveva invitato Jessica,
perché prima di discutere del suo piano con gli altri del suo
gruppo, voleva vedere la reazione che avrebbe avuto lei. In fin dei
conti anche le oche hanno delle reazioni e il suo piano era talmente
particolare, che doveva sapere l’effetto che avrebbe fatto, e più
che altro se sarebbe stato compreso in tutte le sue sfumature. Se
l’avesse capito Jessica era sicuro che non avrebbe avuto problemi
con gli altri, e poi Jessi era la sua ragazza e doveva essere la
prima a sapere cosa stava bollendo in pentola.
Dieci minuti dopo si
dichiarò soddisfatto del lavoro che aveva fatto per nascondere i
residui della sua abbuffata e neanche a farlo apposta il campanello
suonò.
Tim andò ad aprire e si
trovò difronte una sorridente Jessi, che avava l’aria più felice
del mondo. Era un piacere guardarla e Tim lo fece a lungo, prima di
aprire le braccia e stringerla in un caloroso abbraccio. Oca o no, la
sua ragazza era proprio bella e il suo sguardo sereno lo fece
rilassare immediatamente.
“Vieni Jessi e scusa se
non è tutto in ordine come eri abituata a vedere una volta, ma lo
sai anche te, ora non posso fare più di così” si scusò Tim
“Oh! Non ti
preoccupare. Sai che ti dico? Mi piace quasi più in questa maniera.
Prima eri ….come dire….un po’…
“…Noioso?” rise lui
“Ecco….sì, in un
certo senso sì” e anche Jessica rise di gusto, sentendosi forse
per la prima volta in vita sua a suo completo agio in casa di Tim.
“Preferisci cenare
subito…o prima ti va di parlare un po’? Sai, vorrei metterti al
corrente di un piano che ho preparato per il Mister e prima di
presentarlo agli altri vorrei confrontarmi con te!”
“Con me?! Ma Tim, di
tutte le persone del gruppo io sono quella che è stata contagiata
più forte…..me l’hai detto tu stesso, ricordi? Che cosa vuoi che
ti dica io? Non credo di essere in grado di aiutarti”
“E invece sì- ribadì
Tim – sono sicuro che se tu riesci a capire il mio piano, lo
capiranno anche gli altri e non ci saranno problemi. In caso
contrario dovrò modificarlo. Non voglio offenderti Jessica, ma l’hai
presa proprio grossa ….e credo che più oca di te al momento non ci
sia altra persona in circolazione!” finì ridendo Tim
Anche Jessica rise di
gusto e aprendo le braccia in segno di resa disse:
“Ok. Allora
avanti….dimmi tutto!”
Mezz’ora dopo Jessica
Lamb sgranò gli occhi in tutta la loro luminosa grandezza, spalancò
la bocca oltre ogni dire e con tutta la enfasi che potè trovare tra
le sue nuove piume, gridò:
“Mamma mia Tim! E’
una cosa strepitosa! Ma come hai fatto a pensare a una cosa così
semplice e allo stesso tempo così efficace? Sei un vero genio! “
“Sì va bene! –
incalzò Thimothy – ma hai veramente capito tutto quello che dice
questo piano? “.
“Ma certo Tim, stai
tranquillo! E’ talmente elementare che persino un’oca come me non
fa difficoltà a capirlo”.
“E sei d’accordo sul
risultato finale?”
“D’accordo?...... Di
più, molto di più che d’accordo. Ne sono entusiasta!”
“E come mai Jessi?”
domandò Tim con un’ombra di stupore
“Beh! Non te lo so
proprio dire, sai com’è, non è che abbia tanto acume in testa in
questo momento……..però il mio istinto di animale mi dice di
essere contenta e di sperare che vada a finire così” rispose
Jessica con una semplicità tale che Tim l’abbracciò stretta
stretta, sentendo in cuor suo che doveva restituire meriti anche alle
oche.
“E quando lo diremo
agli altri che reazioni pensi che avranno?”
“Mah! Io credo che come
l’istinto agisce su di me, allo stesso modo farà con loro ………Io
penso, no, sono sicura che anche gli altri saranno entusiasti quanto
me e poi – e qui Jessica si fece seria seria – penso che dobbiamo
proprio dare il meglio di noi stessi per la salvaguardia di questo
mondo…e forse è bene non dire niente a Hobbs. Lasciamolo nel suo
mondo dorato. Quando sarà opportuno l’avvertiremo. Non lo credi
anche tu Tim caro?”
“Sì tesoro, la penso
proprio così e quindi……..avanti tutta. Ora non credi che ci
siamo meritati una bella cenetta?”
“Direi proprio di
sì…..e già che ci siamo cucino io. Logicamente una dieta
vegetariana, va bene?” concluse ridendo Jessica
“Perfetto! Allora forza
con l’insalata e la mozzarella!” concluse Tim, che ora era di un
umore splendido e pronto a passare una serata indimenticabile con la
sua ragazza.
Thimothy Finch, guardò
l’imponente struttura che era la sede dell’ONUs. Davanti
all’enorme entrata si fermò per un attimo come per raccogliere il
coraggio di andare avanti. Tra pochi minuti avrebbe avuto un incontro
con il dott. Hobbs e stava cercando di ripassare tra sé e sé tutto
ciò che avrebbe dovuto dirgli e le risposte che avrebbe dovuto dare,
davanti a inevitabili obiezioni che sarebbero state fatte. Non
sperava neanche per un attimo che il Piano Mocador sarebbe filato
liscio, senza neanche l’ombra di un rimaneggio. Conosceva bene
Hobbs e sapeva che dietro quell’aria pacifica e bonacciona si
nascondeva una mente brillante e arguta, altrimenti non sarebbe stato
nel posto che occupava ormai da tanti anni, promozione a parte degli
ultimi dieci giorni.
Mentre entrava cercò di
ricordarsi l’incontro che aveva avuto con i suoi colleghi. Come
Jessica aveva previsto erano stati d’accordo fin dal primo momento
su tutta la linea e ciascuno di loro si era dichiarato pronto a fare
la sua parte nel migliore dei modi
“ Caro Tim – aveva
parlato per tutti Roger Toys – siamo molto soddisfatti di ciò che
hai elaborato e molto felici di seguirti in questa impresa. Del resto
la Pace mondiale sta a cuore anche a noi e il modo che hai trovato
per perseguirla ci entusiasma completamente. Quindi che possiamo
dirti di più? Conta su di noi e sulla nostra lealtà….penso di
parlare a nome di tutti, vero ragazzi?”
“Certamente”
annuirono gli altri e la riunione si era sciolta di lì a pochi
minuti con l’accordo di ritrovarsi non appena Thimothy avesse avuto
l’ok dal Mister.
“In bocca al lupo
Tim….mamma mia ma che ho detto! Si può augurare a un maiale di
andare a finire in bocca al lupo?” e Serena Stoy si mise una mano
davanti alla bocca per frenare la risatina che le era uscita malgrado
il momento importante e solenne
“Certo Serena che si
può dire – rispose sorridendo Tim – anzi si deve dire, perché
abbiamo proprio bisogno di fortuna!”
“E allora crepi!!!”
risposero tutti e con questa battuta si salutarono.
Incontestabile Severo,
guardava il dott. Hobbs seduto davanti a lui. Aveva ancora in mano i
fogli del Piano Mocador, che Hobbs gli aveva presentato circa due
ore prima, non immaginando neanche lontanamente di essere convocato
di nuovo poco dopo.
“Mi complimento con lei
caro Hobbs!” gli disse il Mister non appena giunse in ufficio “Lei
e i suoi collaboratori avete fatto un progetto veramente geniale,
semplice come un sonetto e di effetto sicuro”.
Hobbs si aggiustò meglio
nella poltrona, cominciando a sentirsi un po’ più tranquillo, dopo
quella lode che non si aspettava così immediata. Quando Thimothy gli
aveva presentato il progetto, gli aveva dato solo una rapida
occhiata, preso come era ancora dal ricordo della sera precedente,
passata con sua moglie e i loro figli a fare innocue pazzie nei
migliori locali della città.
In quel momento era in
uno stato di grazia e non aveva avuto niente da eccepire su quanto
gli aveva esposto Tim, salvo che dire:
“Non è un po’ troppo
semplice? Stando a questo progetto si tratta praticamente di fare una
passeggiata…..comunque caro Finch, se ritieni insieme agli altri
che questo piano sia quello giusto, mi farò domani stesso dovere di
portarlo al Mister” e così aveva liquidato Thimothy, che non
aspettava nient’altro che questo, ritenendosi fortunato, perché le
temute domande di Hobbs non c’erano state e la cosa era scivolata
nella maniera più tranquilla.
Hobbs ora vedendo la
reazione positiva del Mister, assaporava la giusta ricompensa alla
sua lungimiranza, che aveva visto in Finch la persona giusta per
risolvere un problema molto spinoso.
E tuttavia una parte di
lui continuava a non essere tranquilla e ogni tanto si domandava cosa
fosse quel malessere che giungeva quasi inaspettato e lo coglieva
sempre di sorpresa, a volte a tavola, a volte in ufficio, addirittura
in bagno, o mentre faceva una passeggiata. Anche ora sentiva che
stava arrivando eppure aveva tutti i motivi di essere soddisfatto di
se stesso. E allora perché?
“Forse sarà una
conseguenza di questo maledetto virus asinino –si diceva scuotendo
la testa - Chissà! Forse i ciuchi soffrono di ansia e qualche volta
si sentono depressi senza ragione………mah! Meglio non pensarci!”
“Qualcosa che non va
caro Hobbs?” La voce di Incontestabile lo richiamò bruscamente
alla realtà, mentre lo sguardo del Mister lo trapassava .
“Nnno! Niente,
…niente…mi scusi…….stavo appunto pensando che anche a me è
sembrato un piano geniale che darà sicuramente i risultati che tutti
ci aspettiamo.”
“Già! Proprio così!
Per cui a questo punto non rimane altro da aspettare il sedici
febbraio, che è l’ultimo giorno di carnevale. Abbiamo poco più di
un mese di tempo per organizzare tutto, per mandare gli inviti….per
preparare una festa che sia degna del luogo dove viene fatta. Voglio
un’organizzazione perfetta Hobbs, deve essere una festa che abbia
eco nel mondo, perché quel giorno qui, si farà la storia e la
storia ci deve trovare preparati e alla sua altezza…………per
cui caro Hobbs, si dia da fare e organizzi tutto nel migliore dei
modi. Lei da stasera è ufficialmente incaricato della buona riuscita
della festa di carnevale”:
“Io? Ma Mister,
senz’altro……..”
“Non accetto scuse mio
caro Hobbs, siamo intesi?” e lo sguardo gelido del Mister percorse
tutto il corpo di Hobbs con una lunga significativa occhiata.
“Certamente
Mister….certamente sarà fatto come lei desidera!”e la voce di
Hobbs uscì fuori con un raglio sottomesso.
“A proposito! –
proseguì Incontestabile – in questi fogli c’è scritto che tutto
il vostro gruppo indosserà scarpe rosse sotto i costumi
carnevaleschi e che queste scarpe dovranno essere ben visibili in
modo che io possa sempre sapere dove siete e che fate, nel caso
avessi bisogno di relazionarmi con voi………magari per aggiungere
anche qualche nome all’ultimo momento alla lista di quelli che
dovranno essere contagiati, quindi cerchi di procurare queste scarpe
al più presto……e che siano di bella fattura mi
raccomando…..scarpe italiane direi…….sono senz’altro le
migliori!”
“Benissimo Mister! Ci
sono altri ordini?”
“No! Al momento non mi
pare. Nel caso la chiamerò Hobbs!”
“Un’ultima domanda
Mister: …..ha delle preferenze sui costumi che dovremo indossare?”
“No! Dica loro di
prendersi quello con cui si sentiranno più a loro agio. Importante
sono le scarpe rosse. Mi raccomando. Buona sera Hobbs” e lo congedò
con un veloce cenno della mano
“Buona sera Mister!”
e senza fare rumore Hobbs uscì dalla stanza, sentendosi sudato, suo
malgrado.
Il Golden Schell era
senz’altro il ristorante più lussuoso della città e si vedeva
ancora prima dell’entrata.
Bellissimi tappeti rossi
facevano da passerella tra la strada e l’entrata, sormontati da un
gazebo dorato, scintillante di luci che si riflettevano sui cristalli
del tetto, perfettamente trasparenti. La porta era una sinfonia di
oro e vetri di murano di una finezza unica, quasi impalpabile.
L’interno proseguiva
sullo stesso tono, ma ancora più ricercato e raffinato. I tavoli
apparecchiati in maniera superba avevano una zona di privacy che
garantiva la riservatezza ai commensali, i quali tutti persone
sceltissime, la creme de la creme, dell’alta finanza, arrivavano
vestiti delle firme più prestigiose degli atelier italiani e
francesi.
Ad uno di questi tavoli
Incontestabile Severo e Catecumeno Illuminata, stavano consumando una
cena leggera a base di ostriche e champagne. La loro conversazione
sembrava animata, ma sottotono, come esigeva il luogo.
“Mia cara preparati per
una festa da ballo!” esordì Severo alzando la flute con lo
champagne
“Una festa da ballo?”
Illuminata alzò leggermente un sopracciglio con aria interrogativa e
nello stesso tempo alzò la sua flute, dentro la quale scintillava il
liquido ambrato che lei aveva definito il migliore del mondo “Allora
faccio un brindisi con il mio spumante!” disse sorridendo
maliziosamente. Al contrario di Severo lei preferiva tutto ciò che
era italiano, forse in omaggio alle sue radici.
“Salute – rispose
sorridendo il Mister – sporgendo leggermente il braccio che teneva
il calice – Una festa da ballo….sì, una festa da ballo in
maschera”
“bellissimo – si
entusiasmò la giovane donna – mi dovrò trovare un vestito
fantastico!”
“ Non vedo l’ora di
vederlo” approvò Incontestabile con galanteria
“E quando sarà questa
serata e più che altro….dove?” gli occhi di Illuminata
brillavano già per il divertimento.
“Il 16 di febbraio nel
palazzo dell’ONU” e fu come se il Mister avesse tirato una bomba
“Coooosa? Non mi dire
che la festa da ballo rientra nei piani che devono essere portati a
termine entro breve tempo?!”
“Ebbene sì! Questo
progetto che mi è stato presentato è quanto di più ardito e
semplice ci possa essere. E’ un piano perfetto”
“E si può sapere chi è
l’autore di questa perfezione?” domandò Illuminata
“Top
secret mia cara! Top secret!
L’unica cosa che ti posso dire è che non dovrai mai ballare con
nessuno che indossi scarpe rosse……. del modello che prima del
ballo ovviamente ti farò vedere !”
“Questa cosa mi
stuzzica parecchio, non vedo l’ora che arrivi il fatidico giorno!”
e alzando il suo calice la giovane donna sorseggiò il suo spumante
con la grazia felina di una pantera pronta a gettarsi sulla preda.
Mister Hobbs non avrebbe
mai più dimenticato la grande serata del ballo in maschera del 16
febbraio, ultimo giorno di carnevale. Per un attimo aveva pensato
anche ultimo giorno della sua vita. Il suo pensiero tornava a tre
giorni prima quando vestito da moschettiere aveva varcato la soglia
della grande sala delle riunioni, trasformata per l’occasione in
una meravigliosa sala da ballo. Era stato il primo ad arrivare anche
perché l’organizzazione della serata gravava tutta sulle sue
spalle e anche se tutto era stato preparato a puntino il suo occhio
vigile doveva continuare a far si che tutto procedesse nel migliore
dei modi. Avendo questo importante incarico che all’ultimo momento
il Mister gli aveva rifilato, i componenti della sua equipe l’avevano
dispensato dal ballare e quindi da indossare scarpe rosse.
Infatti Hobbs sfoggiava
un magnifico paio di stivali neri alti fino al ginocchio e la sua
casacca da moschettiere lo faceva sembrare più imponente del solito:
un vero comandante….al servizio del Re.
Qualche giorno prima
aveva mandato al Mister un paio di scarpe rosse da uomo e uno da
donna, prototipi di quelle che sarebbero state indossate alla festa e
una lista dettagliata dei costumi che avrebbe indossato il suo team,
per portare a termine l’Operazione.
Incontestabile era stato
irremovibile quanto a questo. Lui doveva avere sotto controllo ogni
momento la situazione e riconoscere i suoi uomini con un’occhiata,
per cui gli servivano anche i minimi dettagli di ciò che avrebbero
indossato, e per questo motivo Hobbs aveva stilato una nota in cui
con termini molto più particolareggiati aveva scritto:
Jessica Lamb –vestita
da Cat Woman
Serena Stoy – vestita
da Fata turchina
Mabel Ridge – vestita
da Biancaneve
John Fox – vestito da
Arlecchino
Roger Toys – vestito da
Diavolo
Thimoty Finch – vestito
da Cicisbeo.
Il rapporto era stato
debitamente consegnato e Incontestabile gli aveva risposto
complimentandosi con lui per la dovizia di particolari. “Ora ho la
situazione in pugno caro Hobbs!” gli aveva detto “Guarderò dalla
regia tutto l’esito dell’operazione e tutto sommato credo che mi
divertirò anche parecchio!”
Poi finalmente era
arrivato il giorno tanto atteso e Hobbs si era guardato intorno,
compiacendosi con se stesso per quello che era riuscito a
organizzare.
Il salone grandissimo a
piano terra era stato completamente trasformato e aveva perso
quell’aria austera e asettica che generalmente lo caratterizzava.
Al suo posto c’era una lucidissima pista da ballo contornata da
tavolini sapientemente illuminati, circondati da elegantissime
poltroncine color champagne. Dappertutto specchi e cascate di
palloncini e di nastri brillantissimi, rendevano quel posto, un
paradiso per le fate. In fondo la pedana per l’orchestra e enormi
tavoli per il buffet completavano l’armonia dell’insieme.
Gli strumenti
lucidissimi, facevano da contorno a un pianoforte a coda che sembrava
un transatlantico e sui tavoli apparecchiati con sontuose tovaglie
c’erano le raffinatezze più prelibate che sarebbero state servite
da Chef di prim’ordine.
E per finire i fiori.
Fiori dappertutto, dai tavolini alle pareti, spandevano il loro
delicato profumo che cominciava a diffondersi nell’enorme salone
con un effetto piacevolissimo.
Intanto cominciavano ad
arrivare persone, tutti nomi altisonanti della politica mondiale,
dello spettacolo, della cultura e tutte rigorosamente in maschera,
che dovevano fermarsi prima di entrare nel salone, per dichiarare
alla Sicurezza le proprie generalità. Chiunque, appena arrivato alla
soglia della bellissima sala, non poteva fare a meno di emettere un
oohhh! di meraviglia per lo spettacolo che si offriva ai loro occhi.
L’orchestra aveva
cominciato una musica discreta che si diffondeva tra le pieghe di
velluto delle bellissime tende che arricchivano i finestroni e
serviva a mettere a proprio agio chiunque arrivasse. Si vedevano già
molte dame con le alte parrucche bianche che terminavano in una
cascata di boccoli, alcune farfalle elegantissime e leggiadre,
splendide odalische e cavalieri, moschettieri, alcuni Zorro, soldati
romani con corazza ed elmo, orsi polari, raja indiani, cappuccetti
rossi, gatti con gli stivali…….insomma c’era solo da scegliere.
Hobbs aveva guardato affascinato tutte quelle maschere multicolori,
soffermandosi anche sulle loro scarpe, ma solo circa un’ora dopo
aveva capito che tutto il team era sceso in pista e si era
silenziosamente sparpagliato tra la folla. Ciascuno di loro sapeva
ormai quali erano le maschere con le quali avrebbero dovuto ballare e
le loro scarpe rosse sarebbero state facilmente individuabili e
raggiungibili dal Mister, nel caso avesse avuto bisogno di qualcuno
di loro.
Quando la festa era
entrata nel vivo del divertimento, delle danze, dei coriandoli e
delle abbondanti libagioni, Hobbs si era permesso il lusso di
rilassarsi e di andare a mangiare qualcosa, non prima di aver gettato
un’occhiata a Thimothy Finch, che col suo vestito settecentesco
faceva davvero un gran figurone. Il viso bianco di cipria, la
parrucca bianca, il vestito color argento e le scarpe rosse erano un
insieme veramente elegante, mentre la leggera maschera nera conferiva
un aspetto misterioso e affascinante.
Anche Thimothy Finch
guardava l’elegante cavaliere incipriato, compiacendosi tra sé e
sé per la grande somiglianza che suo cugino Brian aveva con lui.
Quando aveva offerto a Brian la possibilità di partecipare ad una
festa mascherata in uno dei posti più prestigiosi del globo, a
questo era venuto quasi un infarto. Quando poi aveva gli aveva detto
che doveva indossare il suo costume e far credere a tutti di essere
lui, poco c’era mancato che l’infarto gli venisse davvero.
“Ma cosa devo fare?”
aveva chiesto titubante “Chi mi assicura che se scoprono che non
sono te, non mi arrestino?”
“Stai tranquillo!”
gli aveva risposto un po’ ridendo, un po’ grugnendo Tim” “non
succederà proprio un bel niente. Tu non devi fare altro che ballare
con alcune persone che ti dirò e con altre che sceglierai
liberamente. Hai tutta la sera per divertirti, per mangiare quello
che vuoi, per sentire buona musica e per stare col Jet set mondiale.
Alla fine Brian si era
convinto, il senso dell’avventura era stato più forte della paura
e ora era lì che si guardava intorno, pronto a invitare la prima
dama che Tim gli aveva indicato. Chissà poi perché? Alla fine
decise che non erano fatti suoi e siccome era andato lì deciso a
divertirsi, concluse che doveva mettercela tutta perché quella
serata rimanesse memorabile negli anni a venire.
Intanto Thimothy, vestito
da Tuthanchamon, aveva girato lo sguardo sulla folla che ora
cominciava a essere veramente tanta. Fortunatamente Brian stava
ballando, per cui le possibilità di poter essere chiamato da Hobbs o
da Incontestabile erano remote, ma bisognava fare in fretta.
Cercò con lo sguardo
Jessica e la vide confusa tra la gente nel suo abito da Biancaneve.
Il suo pensiero tornò a qualche giorno prima quando a casa sua aveva
avuto uno scambio di idee con la sua ragazza e lì si era consolidata
l’idea di far vestire altri con i loro costumi in modo che loro due
potessero essere più liberi di agire.
Jessica non era stata oca
per niente in quel caso e aveva annuito entusiasticamente all’idea,
ma mentre per lui non c’erano problemi, perché aveva pensato
subito a Brian come sostituto, per lei era stato più difficile
trovare una persona che potesse prendere il suo posto.
Eppure perché il piano
avesse successo dovevano essere entrambi liberi di agire! Poi la
fortuna era venuta loro in soccorso e Jessica si era ricordata di
una sua vecchia amica che faceva la modella, che aveva il suo stesso
personale. Il viso no, ma del viso si sarebbe visto solo la bocca,
che abilmente truccata era risultata sorprendentemente uguale, tant’è
che una volta mascherata lo stesso Thimothy non l’aveva
riconosciuta.
Anche alla ragazza erano
state dette le stesse cose e al momento la gatta dalle scarpe rosse
stava ballando con un panciuto coccodrillo, primo della lista di
quelli con i quali avrebbe dovuto ballare. C’era comunque poco
tempo da perdere, perché il rischio di essere scoperti, esisteva,
anche se abbastanza remoto. Tim decise che al prossimo ballo in cui
si poteva scegliere il compagno, lui e Jessica avrebbero agito.
Si era dunque avvicinato
alla leggiadra Biancanevee le aveva chiesto l’onore di poter
ballare con lei.
“Al prossimo giro di
ballo partiamo – aveva sussurrato in un orecchio a Jessica – sai
quello che devi fare vero?”
“Certamente – Jessica
Lamb sembrava tranquillissima – mentre balliamo apro la fialetta
che mi hai dato e la passo per un attimo, solo per un attimo sotto il
suo naso. Più semplice di così! Poi finiamo il ballo e me ne vado
da un’altra parte.”
“Esatto – guarda non
bisogna sbagliare perché stasera tutto dipende da noi. Non credo che
ci saranno guai perché la ‘roba’ dovrebbe avere effetto quasi
immediato, dopodichè non ci saranno più problemi. Va bene?”
“Certo caro, ma
lasciami perché la musica è finita e stanno già dicendo che
bisogna scegliere il cavaliere e la dama per il prossimo ballo!”
E con un sorriso e un
inchino Biancaneve si dileguò.
Tim si guardò intorno e
quasi subito il suo sguardo si posò sull’affascinante pantera che
in quel momento era seduta su una poltrona. Fece un bel respiro e con
passo veloce si diresse verso di lei
“Posso avere l’onore
di questo ballo?”
Il signor Hobbs, se la
stava godendo un mondo davanti a un vassoio di tartine al caviale,
anche se l’ansia per il buono svolgimento della serata non l’aveva
mai lasciato del tutto. In quel momento guardava volteggiare nella
pista Incontestabile Severo nei panni di un affascinante Batman con
una timida Biancaneve che si era materializzata davanti ai suoi occhi
circa un’ora prima. Cercò con lo sguardo anche la meravigliosa
pantera dentro la quale si muoveva la bellissima Catecumeno
Illuminata e vide che stava ballando e ridendo con un Faraone con la
maschera d’oro Mentre si faceva sciogliere in bocca le piccole,
deliziose, morbide uova di storione, il suo pensiero tornava al
momento in cui aveva sentito un discreto toc toc alla porta del suo
ufficio, subito dopo la riunione che aveva avuto con il suo team.
“Avanti!” aveva
risposto ed era rimasto sorpreso quando sulla porta si era delineata
la figura di Thimothy Finch
“Venga Finch – aveva
detto tranquillamente – ha per caso dimenticato qualcosa?”
“No signor Hobbs –e
Tim era entrato chiudendo la porta dietro di sé – veramente avrei
bisogno di parlare seriamente con lei”
“Mi dica allora!...si
accomodi Thimothy” e Hobbs, improvvisamente serio e allarmato
dall’espressione dell’altro aveva indicato con la mano una
poltrona difronte alla sua.
“Grazie – e Finch si
era seduto in maniera sgangherata sulla poltrona – mi scusi signor
Hobbs, ma qualche volta non riesco a controllare i miei movimenti
…..specialmente quando sono agitato!”
“C’è qualcosa che la
turba?” incalzò Hobbs
“Ebbene sì! Tutta
questa storia mi turba molto….anzi per dirla meglio non mi va
proprio giù. Signor Hobbs è vero io sono diventato un maiale, ma
sia la parte umana sia quella suina che coabitano in me, si rifiutano
di eseguire quanto il Mister ci ha ordinato di fare. Io sono un uomo
e un maiale serio…..e da qualche giorno penso a tutta questa storia
e ogni volta che ci penso mi piace sempre di meno. Il Mister è
senz’altro una delle persone più intelligenti che io conosca, ma
qualche volta l’intelligenza, se consigliata male, o guidata dalla
sete di potere, può indurre a fare cose che non hanno niente a che
vedere con l’etica umana e neanche con l’etica suina….se è per
questo. …….”
Il signor Hobbs che
ascoltava attentamente si sentiva sempre di più sprofondare nella
sua poltrona, perché Finch finalmente dava forma a tutte le sue
ansie e ai suoi malcontenti. Come lo capiva!
“Continui Finch…ma
prima mi permetta di fare una cosa” e alzandosi velocemente si
diresse verso la porta dell’ufficio la spalancò, sbirciò nel
corridoio e dopo che si fu assicurato che nessuno era in ascolto
tornò a sedere dietro la sua scrivania, staccò il telefono, poi non
contento si alzò nuovamente, si avvicinò a Thimoty che lo guardava
con malcelata sorpresa e chinandosi verso di lui accostò la sua
bocca all’orecchio dell’altro e sussurrò in maniera quasi
impercettibile anche per Finch:
“Le dispiace se
continuiamo questa conversazione in terrazza?”
“Ok!” rispose alla
stessa maniera Finch e alzatosi si diresse con Hobbs sull’ampia
terrazza che si apriva sull’immensa città.
“Continui pure, ma è
meglio se parla sottovoce……Caro Thimothy capisce che la prudenza
non è mai troppa vero?”
“Certo signor Hobbs,
stia tranquillo…….Dunque per tornare a noi, come le dicevo,
questa storia mi piace sempre di meno, ….per tanti motivi…..ma il
primo di tutti è senz’altro la libertà dell’uomo, delle sue
scelte, del suo agire. A chi non piacerebbe un mondo fatto di pace?
Io credo che tutti desideriamo vivere tranquillamente su questa
terra, sicuri del posto al quale ciascuno di noi ha diritto per
nascita. La Terra è di tutti signor Hobbs, e da quando sono anche un
maiale, affermo con più convinzione che la terra è non solo
dell’uomo ma anche degli animali, delle piante…di tutti gli
esseri viventi insomma.
Ma solo noi vogliamo
arrogarci il diritto di possederla…e tra noi solo determinate
persone si sentono predestinate a comandarla e ad appropriarsene. E’
il senso del potere, dal quale nessuno di noi è scevro. Ma per avere
la Pace, questo senso sbagliato della vita deve terminare, perché
finché vivrà non ci sarà pace nel mondo”
“Ma è quello che dice
il Mister!” sussurrò il signor Hobbs.
“E’ vero! Lui lo dice
e lo pensa anche forse, ma in maniera distorta, perché a capo di
questa pace, vede se stesso come condottiero………….Ma la pace
non si impone, la pace si sceglie!
E perché l’uomo impari
a scegliere la pace ci vuole l’educazione alla pace. La pace è una
conquista, è un senso di vita, una scelta alla quale si arriva dopo
un cammino che può essere anche molto lungo. Non è togliendo di
mezzo i tiranni, i destabilizzatori, che avremo la pace, ma è
insegnando il rispetto per l’uomo, per la natura, che potremo
arrivare ad averla!”
“E cosa dovremmo fare?”
“Insegnare…..e per
fare ciò vivere noi per primi la pace, senza prevaricare gli altri,
senza odiare, senza escludere!”
“Sarebbe bello e
confesso che anche a me piacerebbe tanto poter arrivare a ciò….ma
come fare?” sospirò il signor Hobbs
“Ecco signor Hobbs….io
un piano ce l’avrei. Devo solo perfezionarlo, perché è ancora
abbastanza nebuloso. Ma di una cosa sono certo. Devo fare qualcosa
per impedire che qualcuno si appropri per i suoi fini più o meno
dichiarati, della libertà dell’uomo, anche della libertà di
sbagliare!”
Il signor Hobbs, sudava
vistosamente. Il somaro che era in lui e che lo spingeva a lavorare
indefessamente per il Mister si rifiutava di dare ascolto a quello
che Finch gli diceva con tanta convinzione, ma il sentimento umano
che tuttavia era sempre rimasto dentro di lui, non dandogli mai pace
in tutti quei giorni, alla fine trovava la sua rivalsa e il modo di
far vedere che somaro o no, lui era pur sempre un uomo.
“Va bene Finch –
disse sbrigativamente quasi nella paura di avere un ripensamento –
metta a punto il suo progetto……però le chiedo un favore…”
“Mi dica signor
Hobbs!......”
“Non voglio sapere
niente di quello che farà. Ho paura che me ne farei accorgere, per
cui io seguirò il copione che abbiamo avuto tra le mani sin dal
primo momento e che è quello che ha anche il Mister. ….Così da me
lui non potrà capire niente di quello che dovrà succedere!”
“Va bene signor Hobbs!
Le prometto che cercheremo di fare nel migliore dei modi………e
sapere che lei ci appoggia è un conforto importante per me”.
Si erano salutati con una
stretta di mano più forte delle volte precedenti e Tim se ne era
andato lasciandolo pensieroso a contemplare la sua città che quella
sera non riusciva a fugare le nuvole che forse si stavano addensando
all’orizzonte.
Inutile negarlo!
Catecumeno Illuminata era veramente bellissima e nel suo costume di
pantera toglieva il fiato. Era facile farsi ammaliare da una donna
così bella. Sembrava una principessa delle favole e suo malgrado
Thimothy si accorse che ne subiva il fascino. Per ovviare alla cosa,
visto che doveva avere i nervi saldi e scattanti, si impose di
pensare al piano che di lì a poco avrebbe trovato la sua
conclusione….almeno così sperava.
Il signor Hobbs non lo
aveva riconosciuto e da come guardava il Cicisbeo, si vedeva che era
convintissimo che il piano ancora non fosse scattato. Meglio per lui
pover’uomo. Rischiava grosso quella sera il suo Capo, rischiava il
posto, la carriera, e Finch si ritrovò a provare un moto di rispetto
genuino per quell’uomo che si era fidato di lui e aveva condiviso
con lui il rifiuto di un piano che gli sembrava obbrobrioso. Il suo
pensiero corse poi al dottor Potter, artefice suo malgrado, del nuovo
piano di Thimoty.
Rivedeva il momento in
cui era piombato nel suo laboratorio e senza mezzi termini, con due o
tre mosse di Karate ben dosate l’aveva reso innocuo e pronto a
collaborare.
Dove aveva il vaccino
dei virus che avevano inalato? Sarebbe bastato fare quel vaccino per
ritornare come prima? E più che altro, tra i vari esperimenti che
stava portando a termine c’era un virus nuovo, non mortale, ma di
sicuro effetto?
Alle prime il dottor
Potter aveva rifiutato di rispondere, ma altre tre o quattro carezze
ben assestate l’avevano convinto a collaborare in tutto e per
tutto.
“Sì! I vaccini fanno
tornare uguali a prima nel giro di due o tre giorni. Solo se non si
prendono il virus continua a essere attivo e ciascuno rimane così
anche per tutta la vita. …….Un virus sperimentale c’è, ma non
è ancora stato completamente testato. Potrebbe dare delle reazioni
collaterali, non sappiamo ancora di che genere!”
“E di che virus si
tratta?”
“E’ un virus che
agisce sul sistema nervoso e induce all’ottimismo, al quieto
vivere, all’atarassia…….!”aveva risposto piagnucolando il
dottor Potter
“E a che serve questo
virus?” aveva domandato stupito Thimothy Finch
“Ecco, ancora non
saprei dirlo con esattezza, ma è stato studiato per combattere lo
stress dei nostri giorni….ma come ripeto non si conoscono gli
effetti collaterali!”
“E questo virus
inibisce le qualità intellettive dell’individuo? Oppure lo rende
stupido?”
“Assolutamente no!
Questo già lo sappiamo. L’intelligenza se mai ne esce
rafforzata…….l’unica cosa è che prenda pieghe
strane…diverse…..del tipo giocoso, ameno, comunitario…..questi
sono gli effetti collaterali che non sappiamo di quale entità
potranno essere!”
“Dove è questo virus?”
domandò in fretta Tim
“Là, nelle cella
frigorifero insieme a tutti gli altri….”rispose tra i denti il
dottor Potter dopo un ennesima torsione del braccio che gli fece fare
un urlo di dolore
“Sotto che sigla?”
aggiunse Finch sbrigativo
“Perché lo vuole?
Perché dovrei darglielo?” ribatté Potter
“Perché mi serve e non
ho tempo da perdere” sibilò Finch torcendo ulteriormente il
braccio, che fece un sinistro scricchiolio”
“T1V3….T1V3…..mi
lasci per favore mi fa male”.
“Sì, ma prima una
cosuccia da niente! - e tirata fuori una siringa piena di un potente
sonnifero, che gli era stato assicurato, avrebbe fatto dormire per
quarantotto ore anche un rinoceronte, con una sveltezza che neanche
lui sapeva di possedere l’appoggiò a una natica del dottor Potter
che si divincolava e zac….gli iniettò il liquido
“Sogni d’oro Dottor
Potter! Quando ci rivedremo spero che il mondo sia un po’ migliore”
Ma il dottor Potter con un sorriso beato era già andato nel mondo
dei sogni.
Poi Finch aveva preso i
vaccini e qualche fialetta del nuovo virus, dopdiché se ne era
andato tranquillamente a letto, per riposarsi per il giorno dopo……un
giorno molto, molto importante.
E ora stava volteggiando
con quella donna stupenda che non sospettava minimamente che tra
qualche minuto la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Per un attimo
sentì affacciarsi un sentimento di pietà, ma fu una cosa
passeggera, la posta in gioco era troppo alta, e immediatamente dopo
guardò Jessica che già lo stava cercando con gli occhi. Avevano
deciso di agire simultaneamente e a quel punto Thimothy ruppe gli
indugi, annuì con la testa e ….clik la fialetta che stringeva
nella mano destra si spezzò e lui velocemente la passò sotto il
naso di Illuminata. Con la coda dell’occhio riuscì a vedere
Jessica che aveva fatto la stessa cosa con Incontestabile Severo.
Quello che doveva essere
fatto era stato fatto e loro non potevano fare di più. Ora bisognava
attendere gli eventi
Che non si fecero
attendere!
A grande voce
Incontestabile Severo tuonò:
“Hobbs! Venga qua
Hobbs!” facendogli andare a traverso il bicchiere di champagne che
cominciava a bere.
Hobbs si avvicinò in
fretta, temendo il peggio e Incontestabile, da dietro la sua nera
maschera gli disse
“Senta Hobbs! Ho
bisogno di un grande piacere da lei……Domani può dire a qualcuna
delle sue segretarie di prenotare per me e per la signorina
Catecumeno un volo che ci porti a un Parco divertimenti? Ho voglia di
passare qualche giorno rilassante e voglio fare una sorpresa alla mia
fidanzata!”
Hobbs lo guarò non
credendo ai suoi occhi. Ma quello era il temibile Mister? L’uomo
tutto di un pezzo che fino a cinque minuti prima incuteva soggezione
a tutti? In effetti soggezione la incuteva anche ora, ma in altro
modo. Ma che gli era successo? Poi guardò la sua compagna di ballo
che stava sorridendo e………
“Jessica!” si lasciò
scappare.
Allora il piano era già
stato messo in atto e a quello che sembrava aveva anche funzionato.
Non sapeva né come né perché, ma ciò che vedeva di questo nuovo
uomo che gli stava davanti gli piaceva tanto, ma tanto davvero!
“Senz’altro Mister!”
si trovò automaticamente a rispondere
“Ah! Hobbs! Complimenti
per la bella riuscita di questa festa. Lei è stato veramente
efficiente e quando rientrerò dal mio viaggio, parleremo insieme per
un nuovo posto nel mio organico. La voglio tra i collaboratori più
vicini. Ora se permettete vado a reclamare la mia fidanzata. Devo
darle la bella notizia. E che tutti continuino a ballare e
divertirsi. E’ solo in questo modo che potremo portare la pace nel
mondo Ora vado a dare la bella notizia ad Illuminata. E’ un po’
il mio regalo per il nostro fidanzamento”.
E che fu una bella
notizia si sentì di lì a poco dalle risate di Illuminata che
abbracciò il suo Severino con un trasporto tale che nessuno dubitò
che il loro matrimonio, quando sarebbe avvenuto, sarebbe stato molto
felice.
La festa continuò tra
volteggi e musica leggera, tra tartine di caviale e fiumi di
champagne e nessuno seppe mai che quella sera all’ONU era stata
vinta una grande guerra.
E poi cosa successe?
Le persone che erano
state contagiate dai vari virus del dottor Potter, presero il vaccino
e nel giro di tre giorni tornarono a essere quelle di prima.
Il dottor Potter dopo la
bella dormita che si fece ebbe un’idea luminosa e studiò un altro
virus che tutt’ora lo tiene impegnato giorno e notte. Non ricorda
neanche più ciò che è stato e anzi! E’ancora grato a ThimothY
Finch, che facendogli riposare il cervello gli dette nuove energie
mentali per le sue ricerche.
Il dottor Hobbs fece una
carriera sfolgorante, piena di iniziative, di soddisfazioni e di
remunerazioni per tutta la sua numerosa famiglia vicino al suo
Mister, che diventò per lui un mito
Incontestabile Severo
Catecumeno Illuminata si sposarono dopo breve tempo e portarono
all’interno dell’ONUs una nuova ventata di ottimismo, riuscendo a
fare cose belle per il mondo, a cominciare da enormi donazioni ai
bambini dei paesi poveri, specialmente da parte di Illuminata che
costrinse la sua potente famiglia a seguirla nella strada della
filantropia. Organizzarono inoltre momenti ludici e distensivi per i
più importanti Capi di Stato, il nostro compreso, che tornò
tonificato, rinvigorito e migliore da questi incontri A poco a poco i
Capi di Stato presero a guardare queste persone così importanti
eppure così generose verso gli altri e a loro volta anche se in
lungo tempo, cominciarono a migliorare e il mondo lentamente si
dipinse di un altro colore.
Jessica quando si riebbe
dall’attacco di influenza aviaria, sentì che comunque qualcosa
dentro di lei era cambiato irrimediabilmente in senso positivo e
scoprì quasi con incredulità che il suo Q.I era salito di diversi
punti.
Lei e Thimothy si
sposarono dopo un anno e tutt’ora stanno conducendo una vita serena
e costruttiva anche perché Timothy ha goduto della riconoscenza
infinita del dottor Hobbs, che l’ha voluto alle sue dirette
dipendenze, giovandosi dei preziosi consigli che Finch gli sa dare.
Pochi giorni orsono
Jessica ha detto a suo marito che la famiglia crescerà e quando Tim
immagina suo figlio lo vede un po’ come bambino e un po’ come
maialino, anche perché non ha mai confessato una cosa a Jessi:
quando fu sul punto di prendere il vaccino per tornare un uomo
normale, la visione di se stesso, quale era stato prima della sua
trasformazione suina, gli mise addosso una vera angoscia, per cui il
vaccino è rimasto chiuso in cassaforte e lui ha continuato a essere
quello di prima, anche se riesce a nascondere molto bene i grugniti
che di tanto in tanto gli vengono in gola. Molto diplomaticamente li
chiama ruttini. Ma se crede di incantare Jessica, si sbaglia
senz’altro. Forse una volta, ma ora no davvero! Lei sa benissimo
che Tim ha voluto mantenere anche la sua natura porcina e non ne è
per niente dispiaciuta. Prima era veramente troppo noioso!
E così è arrivato il
momento di salutare tutti i nostri amici di avventura. Ritornando
alla mia vita di tutti i giorni so che sentirò la loro mancanza ,
perché mi sono trovata molto bene a vivere la loro storia, una
storia che è finita bene e ha migliorato il mondo.
Ho un solo rimpianto: che
sia stata vissuta nell’isola di Utopia!
Giuly
Il serpente piumato
Il serpente piumato
Vi voglio
raccontare la storia di un serpente piumato, un piccolo serpente
piumato, non quello degli Atzechi e dei Maya, ben più importante, ma
un parente un po' alla lontana, uno che però amava questi fantastici
popoli e i loro miti, senza sapere il perché.
Kuki, era il
nome del piccolo serpente, che non sapeva di essere tale. Vivendo nel
mondo degli uomini, aveva sempre pensato di essere uno di loro, (
proprio come il mio cane che, cresciuto con i gatti ha sempre pensato di
essere un gatto anche lui).....anche se ci si sentiva un po' stretto
e infatti ogni volta che poteva se ne andava nel suo mondo onirico,
anzi, ci volava proprio.
Poi un giorno
il postino gli consegnò una strana lettera. Era indirizzata al
Serpente Piumato Kuki, via del...............
"Buon
giorno – disse il postino, un tipo abbastanza strano, che non era
proprio un vero postino, si vedeva, perché aveva solo quella lettera
– finalmente ti ho trovato. Non sai quanto ho dovuto girare per
arrivare fino a te!"
"Davvero?
– rispose Kuki stupito – mi sembra strano. Qui tutti mi
conoscono......."
"Che ti
devo dire! - riprese l'altro per niente turbato – non sai quante
volte questa lettera è tornata indietro......e mi rispedivano a
consegnarla!!"
"E come
mai?" Kuki era veramente stupito
"Bah! Io
mi sono fatto quest'idea.....Ci arrivava la comunicazione di
portarla, perché per consegnare delle lettere importanti come queste
ci vogliono motivi importanti, bisogna che almeno qualcuno ne parli
e ne faccia una questione....... poi però o per una cosa o per
un'altra questa missiva non ti è mai giunta ed è sempre tornata al
mittente"
"Ma a me è la prima volta che arriva e se mi fosse arrivata prima me lo ricorderei perché anche la busta è abbastanza strana, quindi io non posso averla rifiutata....non mi sembra che ci sia niente da pagare vero?"
"Ma a me è la prima volta che arriva e se mi fosse arrivata prima me lo ricorderei perché anche la busta è abbastanza strana, quindi io non posso averla rifiutata....non mi sembra che ci sia niente da pagare vero?"
"Assolutamente
niente da pagare amico. Questa è tutta roba gratis....mica siamo
come voi, che fate pagare anche l'aria che si respira.......Sai che
penso? Semplicemente non ti arrivava perché la cosa non era stata
ufficializzata. Ripeto noi siamo seri e finché una cosa non è
ufficializzata le lettere tornano indietro.......allora che fai
firmi?"
"Certo che
firmo! " e Kuki vece uno svolazzo sulla ricevuta che il postino
gli porgeva , impaziente di ripartire. E ripartì così in fretta che
Kuki quando alzò gli occhi dalla ricevuta non si accorse nemmeno
che non c'era più.
Si rigirò
quella strana missiva tra le mani, desideroso di leggerla e al tempo
stesso titubante. Qualcosa gli diceva che leggere quella lettera
voleva dire aprire tanti punti interrogativi. Per un attimo gli passò
in testa l'idea di cestinarla, ma non fece neanche in tempo ad
attraversarla tutta perché un cecchino appostato sul tetto proprio
per uccidere le idee balzane la fece fuori...
"Col
cavolo- si disse – figuriamoci se non guardo cosa c'è scritto,
specialmente se è tutto gratis....".
Alla
fine di questo ragionamento Kuki si sedette, aprì la busta e tirò
fuori due fogli. Cominciò a leggere:
Carissimo Kuki,
finalmente
riusciamo a trovati per comunicarti che stiamo facendo il censimento
di tutti i serpenti, divisi anche nelle categorie di appartenenza.
Troverai la tua
scheda personale e il tuo numero di matricola in allegato, per cui se
di qui in avanti tu dovessi avere bisogno di qualche documento basta
solo che venga comunicato detto numero e nel breve spazio di poche
ore avrai tutto quello che ti serve.
Felici di
averti trovato ti porgiamo i nostri più cari saluti
INPS (Istituto
Nazionale Per Serpenti)
Kuki rimase a
bocca aperta per circa tre minuti, no forse per tre minuti e
venti....ventuno secondi per l'esattezza, poi lentamente cominciò a
scorrere l'allegato, scritto su fine carta verde.
Kuki, nato a ........ il ..........., residente a ................... appartenente alla categoria dei 'Serpi insopportabili',
discende dalla Casta dei Serpenti Piumati,della progenie del nobile
Queatzcoatl, conosciuto più familiarmente come KuKulKan.
Da ciò la
derivazione del nome Kuki, contrazione popolare di tanto famoso
antenato.
Matricola di
Kuki: 45 28 17 74 83 61.
La prima
reazione di Kuki dopo la lettura di quel documento fu un gesto di
incredulità, seguito da un altro di aperta ribellione,(però nel
frattempo si faceva anche strada in un angolo della sua mente l'idea
di giocare i numeri della sua matricola al superenalotto)e poi mentre
si preparava ad una serie di improperi da rivolgere a chi l'aveva
catalogato nei 'serpi insopportabili', chissà perché gli venne in
mente Maga Magò quando dice a Merlino "Avevo forse detto draghi
viola?" e questo pensiero lo mise di buon umore anche se non
sapeva spiegarsi il motivo.
Decise che
mentre pensava al perché dei draghi viola, avrebbe dato una
sbirciatina al suo aspetto, perché non riusciva a vedere se stesso
in veste di serpente e si immaginò inguainato in una tuta verde un
po' cangiante, quando aveva trent'anni di meno. Se al tutto poi ci
aggiungeva una musichina alla Roger Rabbit il risultato migliorava
ancora. Non si dispiacque per niente e anzi col pensiero riandò a un
paio di sandali della sua mamma che erano di camoscio nero col tacco
altissimo e come vezzo avevano solo la punta di serpente. Erano stati
comprati in un negozio di classe ed erano sempre stati
tenuti in grande considerazione da tutta la famiglia, perché
provenivano dal negozio più lussuoso di tutta la città. Gli passò
fuggevolmente per la testa anche l'immagine di un coccodrillo
tramutato in borsa rossa che il suo babbo gli aveva regalato per
festeggiare un momento importante, comprato nel negozio più chic di
allora. Il suo babbo pensando di fare cosa gradita l'aveva fatta
incartare ,e l'aveva riportata a
casa .(Ops! Scusate! Mi ero scordata di dire che Kuki era
una femmina di serpente)
Si guardò
attentamente allo specchio per capire qualcosa di più di sé .Ma
allora chi era in definitiva? Apparteneva alla specie umana o a
quella dei rettili?
Gli tornò alla
mente un documentario in cui si ipotizzava l'evoluzione dei rettili e
dei sauri in generale, se le glaciazioni, o qualche evento cosmico
non li avessero estinti. Il risultato finale li facevano vedere molto
simili a ciò che siamo oggi.
Lo specchio
infatti gli restituì l'immagine di sempre e cominciò a sentirsi un
po' rinfrancato. A questo punto permise che Maga Magò tornasse nei
suoi pensieri, e neanche a farlo apposta immediatamente a questa si
associò l'immagine di Bis, il serpente dormiglione di Robin Hood.
Quante risate si era fatto insieme ai suoi cuccioli a guardare quelle
immagini. Per simpatia pensò anche all'Anaconda che è un serpente
che si avvolge lentamente, e anche al serpente che vien giù dai
monti che fa la danza per ritrovare la sua coda. Da lì ad arrivare a
Kaa, non ci volle neanche una frazione di secondo, e anche lui quanti
ricordi meravigliosi gli fece rivivere!
La cosa stava
diventando interessante e Kuki capì, che il serpente era qualcosa
di più di quello che lui aveva immaginato quando si era sentito
atterrito solo all'idea di esserlo.
A quel punto la
curiosità e la voglia di sapere, così tipica di Kuki lo spinse a
fare ricerche più approfondite che si spinsero dal dollaro come
simbolo e come banconota al caduceo di Esculapio, dal segno del
potere dei Faraoni a quello dei Veda, dai miti delle religioni
antiche alle spirali delle galassie studiate dai telescopi e dalle
sonde spaziali, finché arrivò alla sua religione e alla scoperta
sensazionale che in alcuni casi Cristo è crocifisso sotto forma di
serpente e qui ci sarebbe tanto da parlare e da capire.
Cominciò a
sentire nascere in sé un senso di onnipotenza che rischiò di farlo
sentire un supereroe, finché non andò a sbattere in una frase che lo riportò immediatamente con i piedi per terra. 'Siate
candidi come le colombe e prudenti come i serpenti'.
E Kuki seppe di
voler essere così. Tenere insieme la sua duplice natura, proseguendo
il cammino che aveva cominciato a percorrere da diversi anni per
vivere la sua vita nel miglior modo possibile senza far del male agli
altri e con la prudenza di farsi una filosofia tutta sua che lo
salvaguardasse proprio dagli stessi altri ai quali non voleva fare
del male.
A quel punto e
solo a questo punto la sua giornata riprese i ritmi di sempre, con un
bel po' di esperienza in più e si disse che era giusto andarsi a
mangiar un bel bombolone per cominciare quella nuova giornata.
".....e su
questo argomento non ho altro da aggiungere!" Come disse Forrest Gump.
Il Bambino che parlava con i Tampis
Non finirò mai di ringraziare i bambini perché è grazie a loro che esiste il mondo delle favole.
I
bambini infatti danno la possibilità a noi adulti di scrivere cose che
non stanno né in cielo né in terra, senza farci sentire dei perfetti
idioti. E questo è molto bello!
Occhi azzurri, capelli rossi e
ricci….questo è Louis, un giovanotto di quattro anni e mezzo.
Con una personalità dirompente,
divertente e …inquietante. Così almeno mi viene descritto, perché
io non l’ho mai visto , anche se lo conosco molto bene…..
Louis che tutti chiamiamo Lu, è
arrivato in una fredda mattina di quattro anni e mezzo fa.
Sembra impossibile che ai nostri
giorni possano ancora accadere cose come queste, ma è proprio così
che è andata..........
Quella sera addormentare Asher era
stato più arduo del solito. Asher ora è un giovanottino di sei
anni, ma al tempo in cui accaddero queste cose di dormire non ne
voleva proprio sapere. Il mio piccolo tiranno allora aveva poco più
di due anni e già faceva chiaramente capire che in casa comandava
lui. E di dormire la notte non se ne parlava nemmeno. Di giorno era
come tutti gli altri bambini, mangiava, faceva i suoi sonnellini, ma
la notte, la notte no! Non c’era niente da fare. Era come se
aspettasse che dovesse accadere qualcosa, che invece non accadeva mai
e alla fine riuscivo ancora ad avere il sopravvento su di lui,
leggendogli pagine e pagine di interminabili racconti, con un tono di
voce monotono che faceva addormentare anche me.
Alla fine eravamo entrambi sfiniti e
il sonno scendeva sui nostri occhi senza che ce ne accorgessimo.
Quando mio marito Tim tornava a casa trovava invariabilmente la
stessa scena: Asher addormentato beatamente nel lettone, sorretto da
due guanciali e Joanna, che sono io, messa di traverso sullo stesso
letto, con le gambe che penzolavano fuori, un braccio a fare la
guardia di nostro figlio e un’espressione di stupito smarrimento
sul viso che non credeva ancora di aver vinto per l’ennesima volta
l’impari lotta. Una bella lotta, non c’è che dire.
Slim |
Poi un giorno entrò un palloncino
nella nostra vita. Era un palloncino rosso colorato a forma di cuore,
uno di quei palloncini gonfiato con l’elio , con un filo legato al
suo culetto rosso, un palloncino destinato a soggiornare sul soffitto
di casa, dove andò sin dal giorno dopo il suo arrivo, quando io,
stanca di andarci sempre a sbattere addosso lo slegai dalla maniglia
del cassetto della credenza.. Tim l’aveva comprato una sera
passando davanti a un camioncino dove un omino buffo con un grande
cappello a tese larghe, un giubbotto a righe rosse e nere e un
incredibile paio di calzoni alla zuava cercava di smerciare la sua
mercanzia mentre una scimmietta, di quelle dispettose, che saltano
sulle spalle di tutti, grattava un orecchio a mio marito nel
frattempo che i soldi passavano dalle sue mani in quelle dell’omino
e il palloncino nelle sue.
“Vedrà come sarà contento il suo
bambino signore! La sua scelta è stata proprio giusta!” gli disse
con un gran sorriso sdentato parlando in un dialetto che Tim non
riuscì a capire di che provenienza fosse, così mi disse appena
rientrato in casa
La nostra vita continuava con i soliti
ritmi e il palloncino ci guardava dall’alto, come un angelo
custode.
Asher un giorno cominciò a interagire
con lui. Quando lo scorgeva lassù, attaccato al soffitto, stendeva
le manine paffute e un po’ a gesti, un po’ col nuovo e
irripetibile linguaggio che aveva cominciato a usare mi faceva
chiaramente capire che avrebbe voluto averlo più vicino, ma non
c’era niente da fare. Anche se avevamo provato a raggiungere
l’estremità del filo che penzolava tristemente dal soffitto, non
c’era riuscito neanche con l’aiuto dello scaleo o di qualunque
mezzo che chiamavamo in nostro aiuto. Il palloncino era rimasto
caparbiamente attaccato al soffitto della nostra mansarda, proprio
nel punto più alto. Passarono parecchi giorni e stranamente non ci
domandammo mai come mai il bel palloncino fosse sempre gonfio come
il primo giorno che l’avevamo comprato. Eppure era una cosa strana
che avrebbe dovuto colpirci! Tutti i palloncini, dopo un po’ di
tempo si sgonfiano, avvizziscono e alla fine raggiungono il pavimento
con sconsolati atterraggi. Lui no!
Poi arrivò quel giorno.
La mattina Asher si svegliò piangendo
e lamentandosi e mi accorsi subito che aveva un bel febbrone. Fu
noioso per tutto il giorno e ogni volta che passavamo sotto il
palloncino, allungava le mani e piangeva. Lo voleva vicino a sé, ma
non sapevo come fare a far felice il mio bambino. Asher guardava il
palloncino e il suo pianto diventava sempre più disperato. La febbre
era alta. Fu allora che successe.
Ero andata a cambiare il mio piccolo e
poi ero tornata in salotto dove c’erano i suoi giocattoli
e….meraviglia. Il palloncino rosso era sceso fino a mezza altezza e
se allungavo una mano potevo tranquillamente prendere il suo filo e
tirarlo verso di me. Cosa che feci immediatamente. Asher allargò le
braccia e si strinse al petto il suo nuovo amico e cosa incredibile
si calmò del tutto.
“Hai visto amore che bella cosa?”
gli dissi tutta felice “Il tuo amico è venuto a trovarti e a
sentire come stai!”
Da quel momento diventarono
inseparabili. Per cui il palloncino divenne qualcosa di più di un
passatempo e gli mettemmo anche un nome: Slim.
Asher cominciò a camminare e Slim lo
seguiva come un cagnolino, saltellando silenziosamente nell’aria.
Riusciva persino a passare da una stanza all’altra abbassandosi
quel tanto che serviva per attraversare il vano della porta e poi si
fermava e sembrava che guardasse e seguisse con interesse i continui
progressi che mio figlio faceva giornalmente.
Cosa inspiegabile, ora cominciavamo a
chiederci come mai, non accennava a sgonfiarsi e quel cuore rosso
sembrava pulsare di affetto verso Asher, che lo ricambiava con tutto
se stesso.
Io ero contenta. Da quando Slim era
entrato nella nostra casa Asher si addormentava all’ora giusta e
faceva sonni profondi, mentre lui, il cuore rosso, lo guardava
dall’alto.
Sembrava che tra il bimbo e il
palloncino ci fosse una sorta di intesa dalla quale tutti gli altri
erano esclusi. Certo è che se c’era qualcuno che riusciva a
calmare le bizze di mio figlio quello era il grande cuore rosso che
aleggiava su di noi. Ci si può affezionare a un palloncino? Sembrerà
strano, ma io mi affezionai a Slim con estrema facilità, per cui
rimasi molto male una mattina quando, svegliatami, non lo trovai più.
Insieme a mio marito girammo tutta casa
e l’ispezionammo accuratamente. Guardammo anche sotto i letti e i
divani, pensando che potesse essersi sgonfiato improvvisamente e che
con una di quelle traiettorie impazzite che fanno i palloncini quando
perdono l’aria che li sostiene fosse andato a infilarsi in qualche
anfratto.
Provammo anche a chiamarlo. “Slim –
dicevo vergognandomi un po’ di chiamare un pallone – Slim ma dove
sei andato a ficcarti?”
Del resto sapevamo benissimo che doveva
essere in casa, perché le finestre erano tutte sigillate….ma per
quanto cercassimo, per quanto ci affannassimo a chiamarlo, Slim non
si vide più.
Per qualche tempo mi rimase un po’ di
amaro in bocca perché la presenza di quel grande cuore rosso che era
rimasto con noi per più di quattro mesi, mi metteva allegria e più
che altro perché c’era comunque sempre la domanda rimasta
sospesa:
”Ma dove è andato a finire?”
”Ma dove è andato a finire?”
Poi, come capita a tutti la vita
riprese il suo tran tran e Slim rimase un bel ricordo. Del resto
Asher era tranquillissimo, era rimasto tranquillo sin dal momento
della sua scomparsa, e al posto delle lacrime che io avevo paventato,
erano arrivati immediatamente nuovi interessi che mi affrettai ad
assecondare, anche se in cuor mio pensavo che mio figlio era un po’
insensibile. La perdita di Slim era dispiaciuta più a me che a lui.
O almeno allora io credetti così.
Il mio cucciolo, sempre più
autosufficiente ora si ingegnava molto a costruire. Naturalmente a
modo suo. Gli avevamo comprato i primi mattoncini per fare ardite
torri e case per i pupazzi, ma Asher ci fece da subito capire che
avrebbe preferito altro genere di materiale con cui interagire e dare
sfogo alla sua creatività.
Un giorno mi prese per una gamba e mi
trascinò verso la libreria, poi guardandomi con il suo solito
sguardo sorridente e birichino, puntò il ditino verso i libri e mi
disse:
“Chelli lì” lasciandomi libera di
scegliere i libri che volevo dargli.
Lo guardai con tenerezza. In quegli
ultimi giorni era molto cresciuto. Era diventato un ometto e il mio
sguardo corse sui suoi riccioli biondi che si inanellavano in teneri
boccoli, agli occhi intelligenti, neri come l’ebano, alla bocca ben
modellata che si allargava quasi sempre in sorrisi accattivanti e
bellissimi…come in quel momento!
Non sapevo resistere ai richiami di
Asher.
Ne tirai giù tre o quattro e lui
felicissimo li prese ad uno ad uno e andò a portarli in un angolo
della sua cameretta, poi li guardò, guardò nuovamente me e disse:
“’ncoa”
“Ma non posso darti tutti i libri
Asher via! Cerca di trovare qualche altra cosa per giocare!” cercai
di persuaderlo
“’ncoa mamma ‘ncoa…’ncoa…daiiii!”
Ne presi altri tre dicendomi che in fin
dei conti rimettere a posto sette libri non sarebbe stata poi una
gran fatica e li consegnai al mio piccolo despota che corse subito a
sistemarli con gli altri.
“Chissà che vuole fare!” pensavo
dentro di me
Fortunatamente in quel momento squillò
il telefono e corsi a rispondere.
“ Ciao Tim! Sei uscito prima stasera
e vuoi che andiamo al parco? Che bellezza! Hai sentitoAsher? Il
babbo ci viene a prendere e ci porta al parco…sei
contento?.........Benissimo tra cinque minuti siamo in strada”
E così almeno per quella sera Asher
dimenticò i suoi progetti architettonici.
Che ripresero ben presto e con lo
spirito complice di Tim.
Quel giorno Tim era libero e io ne
avrei approfittato per fare le centomila cose che rimandavo i attesa
di un po’ di tempo da dedicare a me stessa. Sarei stata fuori tutto
il pomeriggio e la cosa mi faceva veramente piacere. Erano mesi e
mesi che non avevo più un attimo per me!
Quando uscii mi portai dietro
l’immagine dei miei due uomini, seduti nel divano con un grande
libro di favole. Tim leggeva le incredibili avventure del mago
Piripiri con un tono di voce profondo e accattivante e Asher, ad
occhi spalancati, ma non tanto quanto la bocca, era completamente
entrato in quel mondo di favola. Un quadretto idilliaco e pieno di
pace. Sorrisi a entrambi e me ne andai.
Il mio pomeriggio trascorse veramente
bene. Feci tutti i giri che dovevo fare, compreso una scappatina in
pasticceria dove mi saziai oltre che con la bocca anche con gli occhi
, degli squisiti bon bon che Ettore preparava a meraviglia ogni
giorno, usando una fantasia sempre nuova e invitante. Pensai anche ai
miei uomini e feci incartare un vassoio di biscottini per Tim mentre
per Asher presi un leccalecca gigantesco a forma di fragola.
Con questo stato d’animo così
edulcorato feci il mio ingresso in casa e forse fu per quello che non
inorridii davanti allo spettacolo che si presentò ai miei occhi.
Libri sparsi ovunque, si rincorrevano
dalla libreria fino alla camera di Ashere, dalla quale mi giungevano
voci allegre e gridolini concitati di mio figlio.
Senza fare rumore mi avviai seguendo le
tracce lasciate con tanta abbondanza e arrivata alla porta della
camera mi sporsi un po’ in avanti per sbirciare e misi
immediatamente una mano davanti alla bocca per reprimere l’urlo di
raccapriccio che istintivamente mi era venuto in gola.
Libri su libri si ammucchiavano
nell’angolo della camera di Asher, formando una capanna con tanto
di porta d’ingresso. La prima impressione che ebbi fu quella di
trovarmi davanti a un trullo fatto con mezzi di fortuna.
Ma Asher era addirittura euforico.
Gattonando entrava e usciva dalla sua nuova casa, rischiando di
tirarsi addosso con un movimento un po’ più azzardato una valanga
di erudizione e di narrativa.
Tim lo guardava ridendo, seduto in
terra a gambe incrociate.
A quel punto ritenni opportuno
manifestare la mia presenza e con noncuranza dissi
“Buonasera a tutti!”
“Ciao Jo – Tim mi sorrise dalla sua
postazione di sorveglianza – com’è andata?”
“Benissimo. Ho passato proprio un bel
pomeriggio e mi sono abbastanza riposata, per cui sono pronta per
rimettere a posto la libreria!” dissi tranquillamente dando una
rapida occhiata circolare a tutto il disordine che vedevo, aspettando
la risposta che non si fece attendere e che aspettavo del tutto
diversa, come….aspetta! Ti aiutiamo noi! O meglio ancora…non ti
preoccupare oggi era il tuo pomeriggio libero, goditelo fino in
fondo. Qualche volta è bello anche sognare!
“Eh no! Ci abbiamo messo tutto il
pomeriggio per fare questo capolavoro. ….Almeno per due o tre
giorni Asher ci vorrà giocare immagino!” rispose Tim con uno
sguardo innocente
“E io dovrei tenere questo …questo
obbrobrio per due o tre giorni?” domandai incredula sentendo che
cominciavo ad alterarmi.
“Beh…sì! Che c’è di male? In
fin dei conti è la camera di Asher o mi sbaglio? Avrà pure il
diritto di fare quello che crede?” rispose candidamente mio marito.
“Come no! – sentivo che la mia voce
stava aumentando di tono – così se un giorno decide che camera sua
deve diventare una discarica, dobbiamo lasciarglielo fare no? In fin
dei conti è o non è camera sua?”
“Via Joanna, non essere sempre così
estremista!” Quando Tim mi chiama Joanna, è bene che mi dia una
calmata, perché vuol dire che comincia ad arrabbiarsi e Tim
arrabbiato non è davvero un bello spettacolo. La casa di ghiaccio a
suo confronto è una sauna. Ho sempre dovuto constatare che le gelide
ire di mio marito sono molto più pericolose delle mie scoppiettanti
eruzioni vulcaniche…e mi fanno andare terribilmente in tilt.
Stavo per ribattere all’ingiustificata
accusa di estremismo, quando Asher richiamò la nostra attenzione con
gridolini di gioia e una nuova parola dal significato inequivocabile,
dato che fu accompagnata da un dito che si sporgeva a indicare il
famigerato trullo.
“capannettì…..capannettì!”
E a quel punto mi sentii
come Napoleone a Waterloo: sconfitta su tutti i fronti ma con la
differenza che mi sentivo anche contenta di quella sconfitta. Mio
figlio aveva coniato una nuova parola, azzeccata, ma tutta sua e
dimostrava la sua soddisfazione continuando a
ripeterla….Capannettì..capannettì…capannettì!
Tim mi guardò mentre rideva di gusto
davanti all’enfasi di Asher e a quel punto non mi rimase altro da
fare che unirmi alla risata, scartare i biscotti, consegnare con
solennità il leccalecca e mettermi seduta a gambe incrociate davanti
a Capannettì.
Inutile dire che Capannettì entrò a
fare parte della nostra vita proprio come era successo con Slim.
Per Asher diventò il suo rifugio, per
noi il luogo dove lo mandavamo in castigo quando faceva qualcuna
delle sue birichinate.
Pensavamo che di lì a pochi giorni
anche questa infatuazione sarebbe passata come tante altre prima, ma
non fu così. Anzi! Ogni giorno Asher cercava qualcosa di nuovo per
abbellire la sua capannettì e più che altro cominciò a cercare
qualcosa di morbido e di caldo da mettere al suo interno. Me ne
accorsi un giorno in cui cercò di infilarci un guanciale del
lettone, facendo cadere gran parte dell’instabile pertugio che vi
era stato fatto. I pianti furono tanti, rumorosi ed efficaci, perché
pur di non sentirlo più urlare con voce stridula, Tim ed io ci
rassegnammo a passare un’altra serata per rimettere in sesto la
Capannettì che ora il nostro rampollo voleva anche arredata.
Il problema della stabilità della
nuova casa di Asher fu risolto tempestivamente da un fulmine.
Proprio così! Erano giorni e giorni
che l’aria era piena di elettricità, ma di piovere non se ne
parlava proprio. Poi un giovedì pomeriggio, mentre guardavo un
programma alla televisione vidi un bagliore fortissimo seguito dallo
schianto di un tuono e aihmè…..della nostra televisione!
Purtroppo non ci furono scelte.
Ordinammo una nuova televisione, di quelle che si appendono alla
parete come giganteschi quadri e già che c’eravamo prendemmo anche
un mobile da tenerle sotto.
Il tutto ci fu consegnato con una
rapidità che ci lasciò stupiti e allo stesso tempo contenti.
Eravamo impazienti di vedere come sarebbero stati in casa i nostri
nuovi acquisti.
Proprio bene, niente da dire. Ora
dovevo liberarmi del grande scatolone che aveva contenuto il grande
mobile modulare laccato che adornava il nostro salotto.
Ma Asher fu più svelto di me.
Mi prese per mano e mi trascinò
letteralmente davanti allo scatolone dicendomi tutto eccitato:
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.
”Vollo chetta capannettì….vollo chetta mamma….dai mamma!”.
Come si fa a dire di no a due occhi che
ti guardano supplichevoli e nello stesso tempo ti fanno capire che se
ti azzardi a fare un diniego, sarà guerra dichiarata?
Non dissi di no e dopo dieci minuti la
nuova capannettì riempiva gran parte della cameretta di mio figlio
ed era così brutta che mi sentii andare giù le spalle tutto di un
colpo, pensando a quanto ci eravamo dati da fare con Tim per
scegliere la cameretta di Asher, di colori delicati, di bella
fattura, di sobria eleganza. Tutto era sciupato da quell’orribile
scatolone color caffellatte.
“La potrai sempre dipingere e
abbellirla con qualche decorazione” cercò di consolarmi Tim, che
si era accorto del mio stato d’animo, ma Asher era al settimo
cielo.
Gli occhi gli brillavano di entusiasmo
e cominciò subito a fare il trasloco dalla vecchia alla nuova casa.
“Ti piace eh? Birbante che non sei
altro” gli disse mio marito ridendo e Asher guardandolo gli
rispose:
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
”Bella babbo…veo? La casina di Louis!” e il suo sorriso arrivò da un orecchio all’altro.
Quella fu la prima volta che Louis
entrò nella nostra vita.
“Chi è Louis” chiesi a Tim,
quando Asher finalmente si fu addormentato.
“Non ne ho la minima idea….forse
sarà un bambino che ha conosciuto ai giardinetti” rispose Tim
distrattamente mentre sfogliava il giornale.
Non so perché ma non riuscivo a
togliermi dalla testa l’espressione di mio figlio, risoluta,
tranquilla, ovvia “La casina di Louis!”.
Né del resto lui mi permise di
dimenticarmene. Tutti giorni aveva qualcosa da fare per rendere più
accogliente la casina di Louis, una volta era un coniglio di pezza,
un’altra una serie di cubi colorati, un’altra ancora un bibe
pieno d’acqua….ma la cosa che mi intenerì più di tutte fu
quando ci sistemò un grande cuscino rosso e una copertina.
“Il nanno di Lu!” mi disse tutto
orgoglioso.
Poi per un po’ di giorni sembrò che
anche questo nuovo gioco fosse superato, che l’interesse fosse
passato. Capannettì restava sola soletta in camera di Asher mentre
lui si divertiva con i nuovi giochi che ogni tanto apparivano
magicamente in casa, dono di nonni e di zie compiacenti.
Io cominciavo già a pensare che forse
avrei potuto liberarmi di quel cubo ingombrante dal colore orrendo e
la cosa mi dava una tacita soddisfazione che non osavo manifestare in
alcun modo. Una parte di me però al solito era delusa, da come
durassero poco gli affetti di mio figlio. Prima con Slim, ora con
Capannettì.
Quanto mi sbagliassi potei constatarlo
proprio il giorno dopo, quando nel pomeriggio, vidi Asher passare a
tutta velocità stringendo Potti tra le braccia e andare in camera
sua. Potti è il suo orsetto preferito, quello col quale si
addormenta e col quale si risveglia…il suo amico del cuore.
Dopo due minuti mi ripassò davanti, ma
di Potti neanche l’ombra.
Si fermò davanti a me, che sferruzzavo
un maglioncino con gli orsetti, tanto per cambiare, e guardandomi mi
disse risoluto e sorridendo:
“Potti è a nanna di Lu!” e con
queste parole mi fece chiaramente intendere che voleva che lo
seguissi e andassi a verificare. Cosa che feci subito.
In effetti Potti dormiva a pancia in
giù sul grande cuscino rosso e Asher mi guardava soddisfatto
“Appetta Lu!”
“Ah sì? E quando arriva Lu?” gli
domandai per dargli soddisfazione
“Tla poco….tla poco alliva” mi
rispose convintissimo incurante della mia risata. Sentirlo parlare
così era divertentissimo e non potevo fare a meno di ridere anche se
Tim mi brontolava perché secondo lui Asher avrebbe potuto sentirsi
offeso
“Ma chi è Louis?” domandai a mio
figlio
“Mio amico…Lu mio amico”.
“Ah!” non sapevo più che dire per
tenere viva quella conversazione che sembrava dovesse interessare
tanto a Asher
“Louis …..vediamo….Louis è alto
come te?” ecco avevo fatto una domanda intelligente. Dio com’è
difficile parlare con i bambini!
“ Lu …poco poco alto!” E Asher
chinandosi in terra mise il palmo della mano all’altezza di circa
cinque centimetri da terra “Ecco…Lu”.
Quindi il suo amico immaginario era
alto poco più di un soldo di cacio, per quello che Capannettì
andava bene come casa e il cuscino rosso come letto.
“Asher sei fantastico!” e schioccai
un bacio sulla gota paffuta di mio figlio “ e si può sapere quando
arriva di preciso questo Louis? Almeno gli facciamo trovare qualcosa
da mangiare dentro la capannettì!” continuavo a stare al gioco,
per vedere dove andava a parare la fantasia di Asher.
“Alliva domani mammina…..”
“Ma te l’ha detto lui?”
“No.” Rispose convinto scuotendo i
riccioli biondi
“E allora chi te l’ha detto?” gli
chiesi incuriosita dalla risposta che mi avrebbe dato
“Ad Asher l’ha
detto Slim!” rispose serio serio
“Slim?” ripetei aprendo la bocca
per la sorpresa “Stai parlando di Slim, proprio di lui? Del tuo
palloncino?”
In quel momento arrivò Tim.
“Ciao a tutti!” rumoreggiò secondo
il suo solito
“Babbo….babbino!” gli fece eco
Asher correndo da lui. Anch’io mi voltai per salutare mio marito ma
quello che riuscii a dirgli fu:
“Lo sai che domani arriva Louis ? E
sai chi gli ha detto di venire da noi? Non potresti mai
immaginarlo……Ti aiuto io vuoi? Slim! Ti ricordi di Slim vero ?”
“Certo che mi ricordo di Slim –
disse Tim come se fosse la cosa più ovvia del mondo – ma Louis chi
è?” stavolta la sua domanda era un tantino più curiosa.
“Luois è un nuovo amico di Asher
…….e ha deciso che verrà a stare un po’ da noi. !”
Asher ci guardava sorridendo, poi il
suo sguardo fu catturato dalla sciarpa rossa di Tim
“Vollo chella…voloo chella ….dai
babbo”
“Per farne che?” domandò Tim
sospettoso. L’ultima volta che Asher gli aveva chiesto la sciarpa
era per fare un guinzaglio a un cane randagio incontrato ai
giardinetti, con tutto quello che ne segue. Fortunatamente il padrone
di Fred, così si chiamava il cagnolino era stato ritrovato, e
l’episodio era finito nel giro di due o tre ore.
“Sciappa a Lu. Per nanno di Lu…..E’
feddo!”
In effetti l’inverno appena iniziato
non prometteva niente di buono e il vento che si sentiva sibilare
fuori dalle finestre, faceva rabbrividire anche se in casa c’era un
bel calduccio.
Il giorno dopo arrivò in un lampo e
con lui arrivò anche la neve. La mattina ci svegliò un’aria
luccicante come non mai e anche dalle tapparelle socchiuse si capiva
che non era un’aria normale. Era l’aria della neve, quella che
porta il gelido vento dell’est, il profumo di pulito, i lucciconi
agli occhi, e un’allegria irrefrenabile che ti spinge ad alzarti
subito, a vestirti senza ricordarti che prima ti devi lavare e uscire
in tutto il candore che ti avvolge di luce e di silenzio.
Non ci fu neanche bisogno di dircelo e
in cinque minuti eravamo pronti per uscire. Fu a quel punto che
successe…..e campassi cent’anni non riuscirò mai a capire come!
Proprio mentre stavamo aprendo la
porta, una delle finestre del salotto si spalancò, portando dentro
una corrente di aria gelida piena di farfalline e……rimanemmo
tutti a bocca aperta, cioè io e Tim rimanemmo a bocca aperta, ma non
Asher.
Asher staccò subito la sua mano dalla
mia e corse verso la finestra, corse verso l’aria gelida e verso
Slim, che, come se niente fosse, rientrava non dalla porta stavolta,
ma dalla finestra aperta sulla bufera e correva ad abbracciare Asher.
Possono i palloncini abbracciare una
persona? No davvero, lo so anch’io. Mica sono impazzita! Ma
evidentemente i palloncini possono abbracciare i bambini e averne un
abbraccio in cambio. E’ così diverso il mondo dei bimbi da quello
di noi adulti.
“Hai vitto mamma?....Slim è tonnato
e ha pottato Lu”
“Ha portato Lu? E dove è? Io non
vedo nessun Lu” disse Tim pragmatico come al suo solito
“Ma è qui babbo!” rispose
orgoglioso Asher mostrando il palmo della sua manina.
Da quel giorno noi sapemmo che Louis
viveva sul palmo della mano di Asher, e quando non era lì era sulla
sua spalla.
Noi non vedemmo mai Louis, ma
istintivamente sapevamo che nostro figlio ci diceva la verità, la
sua verità naturalmente e ci adattammo alla presenza di quel piccolo
bimbo che poi ci fu descritto fin nei minimi particolari.
Cominciò un bel periodo per noi. Asher
era sereno e cresceva in maniera stupenda. Era una fucina di idee e
di iniziative. La sua fantasia si sviluppò in maniera incredibile e
la sua creatività non finiva mai di stupirci. Quando gli chiedevamo
dove sognasse tutte le cose che decideva di fare, invariabilmente
rispondeva
“E’ Lu che me le insegna!”
La sera era bello mettere a letto Asher
e preparare anche il lettino per Louis nella Capannettì.
Slim vegliava il sonno di entrambi.
Il tempo volò e passarono gli anni.
E venne il giorno che Asher, ormai un
bel bambino di sei anni, mi disse senza tanti preamboli, come faceva
lui, che era giunto il momento di levare Capannettì dalla sua
camera.
Non mi dette spiegazioni, né io gliele
chiesi. Sapevo che non le avrei avute.
Dentro di me sentivo però che questa
cosa era legata a Louis.
Infatti la mattina seguente Asher mi
disse sorridendo:
“Oggi Louis parte”
“E tornerà?” provò a chiederegli
Tim
“Mi ha detto che quando sarà il
momento lo rivedrò. Ha detto che io ora non ho più bisogno di lui,
e che ci sono altri bambini dai quali deve andare”.
Tutto finì lì e al solito Asher non
dimostrò tristezza. Quel giorno cercai Slim per tutta la casa, ma
non lo trovai. Così compresi che Louis se ne era andato davvero, ma
era rimasta la speranza che lui aveva lasciato. Un giorno Asher
l’avrebbe rivisto.
Non volevo deludere la fiducia di mio
figlio. Del resto per lui Louis era stato un amico vero. Che
importava se era stato solo il frutto della sua vivida immaginazione?
Alla fine, mi dissi sorridendo tra me e me, anche se noi eravamo
perfettamente consapevoli che Louis esisteva solo nella fantasia di
nostro figlio, il piccolo bimbo invisibile che per anni era stato in
casa nostra, faceva parte della famiglia e, almeno nei nostri ricordi
non avremmo mai rinunciato a lui.
Grover incassò il capo tra le
spalle, mentre si avviava nella gelida nebbia che avvolgeva gli
alberi del viale. Anche stavolta era stata dura lasciare l’amico
che per anni aveva seguito con intelligenza e acume e al quale aveva
insegnato ad acuire due grandi doti che il destino gli aveva
regalato: la fantasia e la creatività. Era sicuro che Asher non
avrebbe sprecato quei doni e che nella sua vita l’avrebbero portato
a fare cose grandi.
Poi il suo pensiero andò alla sua
di vita! Quanti anni aveva lui, Grover Mc Cormich? Centocinquanta
forse?O centosettanta? Non lo ricordava più. Per farlo doveva
ripensare ai tanti bambini ai quali era rimasto accanto durante i
primi anni della loro vita, quando la personalità si forma. Erano
stati tanti…ma uno come Asher non l’aveva mai trovato.
Asher era stato il discepolo
prediletto, il migliore, quello che aveva imparato prima di tutti,
quello dotato di una sensibilità unica, gentile e allegra. Asher
sarebbe cresciuto, sarebbe diventato uomo e lui Grover sarebbe
rimasto sempre l’eterno bambino, quello che i poeti dotati di
sensibilità sanno che esiste senza averlo mai visto e che chiamano
il fanciullino, che rimane sempre tale, nonostante gli anni che
passano.
Era duro andarsene da quella casa
accogliente, ma il suo compito era stato svolto e la sua comunità lo
reclamava per altri incarichi.
I Tampis esistevano dalla notte dei
tempi e le loro origini si perdevano nelle pieghe del grande libro
eterno e da sempre svolgevano un ruolo primario nella formazione del
carattere dei pochi eletti che venivano loro assegnati. Vicini nella
scala gerarchica al grande Formatore, erano coloro che regolavano le
sorti delle civiltà, quelli che facevano uscire l’uomo dalle
barbarie per avviarlo sulla strada maestra della sapienza e della
fantasia.
Un uomo sapiente se non ha fantasia
è un pedante, mentre un uomo fantasioso se non ha sapienza è un
perdente.
Il compito importante ed esclusivo
del popolo dei Tampis era quello di saper miscelare nella giusta
misura queste doti così selettive, per renderle utili al progresso e
all’uomo come entità.
Compito dei Tapis era quello di
equilibrare questi meravigliosi doni per rendere gli uomini degni di
grandi cose.
Grover era soddisfatto del compito
svolto. Sapeva di aver fatto un bel lavoro e di avere trovato terreno
fertile e ben drenato. Ripensò anche a Joanna e a Tim.
Asher con due persone come loro
sarebbe cresciuto bene, con saldi principi, voglia di fare cose nuove
e ardite, ma giuste e per il bene di tutti.
Improvvisamente si sentì meglio.
Era quasi giunto in prossimità della porta temporale che a breve
l’avrebbe fatto entrare nel suo mondo. Si permise però il lusso di
voltarsi per un’ultima volta e agitare una manina verso la casa di
Asher che vedeva in lontananza. Era certissimo che l’avrebbe
rivisto e questa certezza d’un tratto scacciò il breve attimo di
tristezza e di rimpianto e gli fece spuntare un sorriso sulle labbra.
Venticinque anni dopo!
Il giovane uomo uscì dall’ufficio ed
entrò nella bellissima giornata di maggio che lo accolse con i suoi
colori e i suoi profumi.
Aveva fretta di tornare a casa per
portare un nuovo giocattolo a suo figlio. Sua moglie proprio mentre
usciva di casa gli aveva detto:
“Asher, potresti fermarti a quella
bancarella che è proprio vicina al tuo ufficio e comprare un
palloncino per Ted? Sai quella bancarella dove c’è quell’omino
con una giacca a righe e i calzoni alla zuava! Te lo ricorderai?”
“Tranquilla tesoro, appena esco mi
fermo e prendo il palloncino!”
Quanti ce n’erano! E di tutte le
forme e i colori. Stette un attimo a guardare e senza sapere neanche
lui perché, disse all’omino:
“Vorrei quel palloncino !” e indicò
con il dito un palloncino rosso a forma di cuore! E mentre così
faceva si domandava con un sorriso di divertimento se era proprio lui
Asher, che aveva deciso di comprare un palloncino a forma di cuore,
lui che di romantico non aveva proprio niente!
Eppure istintivamente seppe che voleva
proprio quello! Alzò le spalle pagò e si avviò verso casa seguito
dalle parole dell’omino che gli dicevano:
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”
”Vedrà come sarà contento il suo bambino signore. La sua scelta è stata proprio giusta!”
Profumo di vento
Questa storia
comincia in una bella baia, uno di quei posti prediletti dalla
natura, dove il mare è dell’azzurro più incredibile, gli alberi
del verde più acceso, il cielo costantemente sereno, i fiori
smaglianti e profumatissimi, insomma quasi il giardino dell’Eden.
Nessuno sa dove sia questa baia, si sa solamente il suo nome e anche
quello è bellissimo; infatti si chiama ‘Profumo di vento’.
Questo però non è sempre stato il suo appellativo, perché un tempo
molto lontano qualcuno l’aveva nominata ’Approdo sicuro’, poi
per le strane vicissitudini della vita a un certo punto invece
diventò ’l’Antro del drago’ e questo la dice lunga.
Il drago in
questione aveva un nome e un cognome. Si chiamava Ego Stormy. Non si
sapeva da dove venisse, ma alla fine da una voce che tira l’altra,
venne fuori che era ricchissimo, che aveva comprato quella baia, ci
si era costruito una casa fiabesca…..e non voleva essere disturbato
da nessuno. Il malcapitato che ignaro dei divieti di accesso a quel
luogo osava avventurarsi perdeva la voglia di ripetere l’esperimento,
perché veniva sempre scacciato in maniera poco ortodossa dalle
guardie del corpo di mr. Stormy, grosse bestie pelose, un po’
animali un po’ uomini, che somigliavano molto a certi personaggi
che di tanto in tanto si vedono in televisione e fanno il bello e il
brutto tempo finché arriva un’onda che li spazza via e li
rimpiazza con nuove leve più aggiornate sull’uso del ladrocinio,
del doppio gioco, della strafottenza e del malcostume.
Queste erano le
uniche persone che stavano vicine a Ego Stormy, del quale avevano un
timore riverenziale e verso il quale erano animati non da sentimenti
di affetto e neanche di stima ma solo di losca sudditanza e di odio
profondo. Potete quindi immaginare che se guardie del corpo di tale
calibro erano tenute in pugno da quest’uomo misterioso, quale
abisso insondabile e tortuoso dovesse essere la sua anima, la sua
personalità e la sua intelligenza.
Nessuno conosceva il
suo aspetto, solo qualcuno, da lontano aveva intravisto qualcosa e
l’aveva descritto, aggiungendo del suo alla paura deformandone
lentamente l’immagine,,,,,,,e così Mr. Stormy era diventato prima
alto, poi altissimo, poi di colore verdognolo, infine allungato su se
stesso che strisciava sulla sabbia bianca della spiaggia tirandosi
dietro una lunga coda, e infine l’avevano visto sputare fiamme e
fuoco dalla bocca, verso il mare, che sotto quella cascata ribolliva
come l’acqua che aspetta gli spaghetti. Così un po’ alla volta
la gente del posto perse l’abitudine di chiamarlo col suo vero nome
e gliene diede un altro, ancora più temibile: il Drago.
Quella mattina, Roy
chiese alla mamma di andare al mare. Fu proprio lui a domandarglielo,
ed era la prima volta da quando erano giunti in quel posto due mesi
prima. La mamma lo guardò stupita, piacevolmente stupita. Possibile
che finalmente in suo figlio si destasse l’interesse per il mare?
Fino a quel momento, da che erano arrivati, spinti dalla necessità
di aria salmastra, che il medico aveva detto sarebbe stata salutare
per Roy, per fortificarlo e prepararlo al meglio per il difficile
intervento chirurgico che avrebbe dovuto subire agli occhi per
permettergli di recuperare la vista, il bambino aveva dimostrato una
tranquilla indifferenza verso quei luoghi e verso quel mare che in
genere piace a tutti i bimbi del mondo.
Si affrettò dunque
ad esaudire il suo desiderio e si incamminarono verso la solita
spiaggetta dove andavano abitualmente. Ma Roy a un certo punto si
fermò e disse
“Non voglio andare
lì, voglio andare da quell’altra parte!”
“Perché? –gli
domandò la mamma un po’ perplessa – questa spiaggia ormai la
conosci come le tue tasche. Non ci sono più pericoli per te!”
“Ti prego mamma –
e Roy la guardò con i suoi bellissimi occhi azzurri che non vedevano
– voglio andare là!” E con il dito indicò un posto proprio
nella direzione opposta
“Ma perché?”
domandò ancora sua madre
“Perché da là
arriva il profumo del vento”.
La mamma lo guardò,
poi sospirò. Era abituata ormai da lungo tempo a considerare le
stranezze di suo figlio come qualcosa che lei non riusciva a capire,
ma che nascevano da una sensibilità maggiore che lui aveva a causa
della sua menomazione.
“Senti il profumo
di fiori?” gli chiese per potersi orientare e seguire una direzione
un po’ precisa
“No mamma. Il
vento non profuma di fiori…il vento profuma di vento” e Roy
sorrise
“Allora dovrai
guidarmi tu. Dimmi dove dobbiamo andare”
“Va bene
mamma…seguimi!”
Finalmente
arrivarono e davanti a loro si spalancò l’incredibile bellezza di
un paesaggio non contaminato.
“Ma è bellissimo
Roy” disse la mamma stupefatta
“Vero mamma? –
Roy era felice si vedeva – e lo senti che profumo di vento?”
La mamma non sentiva
niente, ma si fidava di suo figlio per cui con gli occhi lucidi
rispose dolcemente
“Sì Roy, lo
sento!”
“Andiamo dai
mamma! Voglio fare il bagno e giocare sulla riva….vieni?”
“Agli ordini” e
ridendo andarono a tuffarsi nelle onde appena increspate
Dopo due ore
pensarono che era il momento di fare una bella colazione e la mamma
si affrettò a tirare fuori dalla sua grande borsa tutto ciò che
poteva servire per sfamare il suo cucciolo finalmente ridente. Ma
dopo che ebbe apparecchiato per bene, rimettendo la mano dentro la
borsa per prendere per ultimo la bottiglia dell’acqua, si accorse
che non c’era più il portafoglio.
“Che c’è
mamma?” chiese Roy volgendo i suoi occhioni verso sua madre.
Riusciva sempre a intuire gli stati d’animo di sua madre e capiva
che c’era qualcosa che l’agitava.
“Non trovo più il
portafoglio! Forse mi è caduto quando abbiamo lasciato la strada per
entrare in spiaggia. Ricordi che ho tirato fuori dalla borsa il tuo
cappellino? Ecco penso che sia stato in quel momento…….”
“Vallo subito a
cercare mamma…..non ti preoccupare, io non mi muovo da qui, ci
vogliono solo pochi minuti!”le disse Roy con convinzione
“Me lo prometti?”
“Certo…e stai
tranquilla….lo sai che di me ti puoi sempre fidare!”
“Lo so amore
mio…allora vado e tu intanto fai la tua colazione!”
“OK!” e Roy
addentò con appetito il suo primo panino
La mamma si era
allontanata solo da due o tre minuti e Roy si stava gustando il suo
panino con le prelibatezze che ciascuno di voi vorrebbe avere nel
panino, in una bella mattinata d’estate in riva al mare, quando una
voce aspra lo apostrofò.
“E tu che ci fai
qui?”
Roy si girò verso
quella voce e rispose tranquillamente
“Aspetto che torni
la mia mamma che è andata a cercare il suo portafoglio?”
“Non è questa la
domanda che ti ho fatto… Perché sei qui? Non ti ci voglio….qui
non deve entrare nessuno, questa è la mia spiaggia”
“Mi scusi signore,
ma io non lo sapevo…..oggi ho convinto io la mamma a portarmi qui
perché volevo sentire da vicino il profumo del vento?” gli disse
sorridendo
“Il profumo del
vento?” tuono la voce
“Sì, proprio il
profumo del vento…lo sente anche lei signore?”
“Io non sento
proprio nessun profumo. Ma da quando il vento ha un profumo? Vorrai
dire profumo di fiori, o di altra roba portata dal vento,……. ma
chi vuoi prendere in giro giovanotto?”
“Non voglio
prendere in giro nessuno signore. Io sento il profumo del vento e
sento che viene da questa parte del mare, proprio da quella parte
là!” e col dito indicò una bellissima villa sopra un promontorio,
una villa che lui non vedeva , ma che il Drago perché era proprio
lui, vedeva benissimo, perché era casa sua
“Profumo di vento
– disse tra sé e sé l’uomo con cipiglio accentuato – profumo
di vento! ….Ora basta con queste sciocchezze. Vattene ragazzo e non
ti azzardare a tornare mai più qui!”
“Non posso!”
rispose piano Roy improvvisamente triste
“Ti ho detto
vattene subito…..non costringermi a chiamare le mie guardie!!!”
“Ho detto che non
posso!” disse ancora Roy con voce più sottile
“E di
grazia…perché non potresti? Parla su….non farmi arrabbiare di
più di quello che sono già!” disse il Drago con voce severa
“Ecco signore io
non posso, non posso proprio, primo perché ho promesso alla mamma
che non mi sarei mosso da qui………e poi- e qui i suoi occhi
divennero lucenti – poi……….”
“Allora?!
Poi?.....ti vuoi decidere?” tuonò la voce del Drago
“….poi perché
sono cieco!”
La corazza che un
uomo si è costruita intorno a sé in tutta la sua vita, può
crollare nel giro di un secondo? La risposta è sì, perché quella
del Drago, fatta di ghiaccio, si dissolse come la neve al sole
davanti agli occhi di un bambino, e il povero drago si ritrovò in un
attimo spoglio dai suoi aculei, dalla sua potente coda, dalla sua
bocca sputa fuoco, per essere solo e semplicemente un uomo che aveva
avuto paura di amare.
“Non piangere -
disse bruscamente a Roy mentre guardava le perle trasparenti che
scendevano silenziosamente dagli occhi del bambino – non piangere!
Perché non fai sentire anche a me il profumo del vento? – e cosa
inammissibile per lui, gli tese la sua grande mano, senza ricordarsi
che Roy non poteva vederla.
“Andiamo – gli
disse – camminiamo insieme sulla battigia…forse lì anch’io
sentirò quel profumo!”
“Non posso…ho
promesso alla mamma che non mi sarei mosso finché lei non fosse
tornata!” rispose Roy nuovamente tranquillo
“La mamma è qui
tesoro – disse la dolce e inconfondibile voce di sua madre,che
aveva assistito in silenzio e in disparte al miracolo che si stava
compiendo e del quale lei era inconsapevole.
“Signora – disse
– Mi chiamo Ego Stormy e vorrei chiederle il permesso di fare una
passeggiata con suo figlio”
“Ho sentito
parlare molto di lei mr. Stormy – rispose la giovane donna
guardandolo intensamente -………..permesso accordato, purché dopo
si fermi a fare colazione con noi!”
Anche l’uomo la
guardo con la stessa intensità. Poteva essere la figlia tanto amata
che non c’era più da troppo tempo ormai.
“Va bene!”
Nient’altro fu
detto e mentre Roy si allontanava con la sua manina nella mano di
quel grande uomo, la giovane madre seppe in cuor suo che
quell’incontro non sarebbe rimasto fino a se stesso.
E infatti così è
stato. Roy si è operato e oltre al viso dolce della sua mamma ha
potuto vedere anche quello di un uomo che ora chiama nonno, che un
giorno di qualche tempo non si sa quando ritrovò se stesso negli
occhi di un bambino, e alla fine arrivò anche per lui il momento di
sentire il profumo del vento.
Da quel momento
l’isola si chiamò ‘Profumo di vento’.
Perché ho
scritto una favola?
Proverò a
rispondere con sincerità
1 – Perché a
me le favole piacciono tanto anche ora, che il tempo delle favole per
me è passato da un pezzo.
2 - Perché mi
piace allentare la briglia alla mia fantasia. Ciascuno di noi ha
ricevuto i suoi doni dalla vita. A me è stato fatto questo.
3 - Perché
appena ho letto l’aforisma di Chesterton mi sono subito gasata e ho
capito che era lo spunto per farmi dire che è sempre bene uscire
fuori dai luoghi comuni e dalla manìa di etichettare le persone,
perché spesso proprio le stesse persone delle quali si dice tutto il
male del mondo sono invece le migliori.
4 - Perché i
draghi esistono veramente e i bambini lo sanno e siamo noi che
dobbiamo dare ai bambini la possibilità di sconfiggerli e più che
altro di far loro riconoscere quelli veri da quelli che invece la
vita ha provato con la sofferenza. Il problema è tutto nostro perché
quasi sempre siamo proni davanti ai draghi del potere e aiutiamo a
uccidere quelli che invece portano solo una maschera di difesa.
Facciamo uscire i nostri bambini da questa confusione. Come? Con
l’onestà.
5 -
perché…..forse anche io sono un drago?
L'epopea di Trepì
L'epopea di Trepì
Trepì non era un tipo comune, o meglio
non era un tipo come tutti gli altri, o meglio ancora, gli altri,
quando parlavano di lui dicevano tutti che era un pò 'a modo suo'.
Cosa volessero dire con quel 'a modo
suo' probabilmente neanche loro lo sapevano, ma istintivamente
sentivano che il modo di pensare di Trepì, il modo di fare di Trepì,
il modo di parlare di Trepì era proprio diverso da quello che invece
caratterizzava un pò tutti loro.
Il risultato era stato che comunque
sentivano che Trepì era qualcosa più di loro e per quello lo
rispettavano, qualcosa di diverso da loro e per quello lo temevano,
qualcosa di incomprensibile per loro e per quello lo sfottevano, ma
il risultato di tutto ciò è che comunque alla fine ciascuno era
orgoglioso di conoscerlo e di poter dire 'sono amico di Trepì', anche
se proprio amicizia non era, ma forse più lo sfoggio di qualcosa che
faceva dire 'ma guarda quello è amico di Trepì' e quindi un aumento
del prestigio personale.
Forse fu per questo e per altro ancora
che alla fine il suo nome diventò semplicemente Pì scritto però P e
più tardi, ma molto più tardi, dopo le vicissitudini che vi
racconterò, divenne 'Il P' assurgendo a quell'importanza e a quella
gloria imperitura che un articolo può dare a un nome. Ci possono
essere centomila P, ma solo uno diventa Il P, e non c'è niente da
fare.
Ma torniamo a noi!
P, come lo chiameremo noi da qui in
avanti, stava da una parte del mare, del grande mare, nessuno sa se
dalla parte est o dalla parte ovest, ma comunque quello che si sa era
che stava di là dal mare a seconda da quale parte si guarda. Della
sua vita sappiamo solo notizie frammentarie che giungono dai luoghi
più impensati. C'è chi lo descrive, chiamandolo Pì,come un
cavaliere, raffinato conoscitore dello scibile umano, dei megabyte e
dei giga, dei quali purtroppo oggi si è persa la conoscenza e se ne
parla solo grazie a pochi reperti che sono stati ritrovati da
archeologi lungimiranti che hanno capito che quei segni, quei
circuiti, erano qualcosa di più di semplici pezzetti di metallo.
Altri parlano di lui chiamandolo Pu, come grande curatore di cervelli
a dimostrazione del ritrovamento di crani aperti e ricuciti, nessuno
sa con quale tecnica, ma sicuramente le cicatrici parlano di grande
civiltà e di sopravvivenza all'operazione. Tutti i reperti ritrovati
hanno in comune una 'P' incisa vicino al lobo frontale. Molti invece
parlano di P come di una donna e l'appellano Pa, consolatrice di
tutti gli animali ai quali dedicava la sua vita la sua tecnica e le
sue conoscenze, fino a diventare per il grande bestiario della terra
una specie di dea, che veniva adorata, specialmente dai gatti.
Il mito ha fatto il resto e P è giunto
a noi Uno e Trino, Padre e Madre, Dio e Dea.........e tant'altro che
ora non sto a dire.
I fatti che vado a narrare accaddero
in tempi lontanissimi, dei quali solo da poco si è ritrovato il
ricordo, grazie a una tavoletta di materiale sconosciuto, rinvenuta
casualmente nell'orto di un contadino che zappava per piantare i
cavoli.Questo ritrovamento ha aperto le porte di un passato che
nessuno di noi immaginava e che .............
"Bertingause! Bertingause! La
zuppa è pronta...ti decidi a venire a mangiare prima che i tuoi
figli te la facciano fuori tutta?"
"Arrivo Malorna, arrivo e dì ai
ragazzi che se si azzardano a mangiare un mestolo della mia zuppa,
assaggeranno il bastone sulla schiena. Fammi finire di piantare
questi tre cavoli..........oh! Ma questo cos'è? Che strano
aggeggio..."
"Ma che dici Bertingause? Ti sei
messo anche a parlare da solo? Vieni sì o no?"
"Arrivo! Arrivo! Un
attimo......devo vedere che questo affare che sta sbucando da
sottoterra......" e si rimise a zappare finché non tirò fuori
una tavoletta che tanto 'etta' non era e aveva non solo la forma
strana di una barca senza sponde ma anche le dimensioni di quella
specie di zattera con la quale lui andava a pescare i salmoni solo
che questa era affusolata in cima e più piatta in fondo ed era fatta
di un materiale leggerissimo, tant'è che potè mettersela con un pò
di fatica sotto il braccio e trascinarla a casa, ma la cosa più
strana è che era tutta segnata da incomprensibili disegni e segni
per lui indecifrabili
Passarono gli anni e la strana barca un
giorno di circa seicento anni dopo capitò in mano a un giovane che
la scoprì nella cantina di suo nonno.
Farolfo era un ragazzo curioso e aveva
anche un certo grado di cultura, sapendo leggere e scrivere e far di
conto. Si mise a guardare la lunga e affusolata tavola e decise che
era una cosa piuttosto antica e seppe che avrebbe fatto bene a
portarla a Megrofina, una tizia strana, che raccontava cose
incredibili, di antiche civiltà, di regni splendidi, di paradisi
perduti. Tutti pensavano che fosse un pò tocca, ma non lui che fin
da quando era bambino si era appassionato a tutte le cose che lei
diceva. Ricordava ancora quando aveva parlato di strane torri alte
fino al cielo...
"E in queste torri abitavano
migliaia di persone e erano torri fatte di vetro e di ferro che
dondolavano al vento.....per arrivare in cima usavano dei congegni
che volano in alto e lasciano le persone davanti alla loro abitazione
e poi c'erano delle strane palle di luce che illuminavano la notte
fino a farla splendere come se ci fosse il sole ....e gli uomini
parlavano lingue diverse ed erano anche diversi tra loro,chi chiaro
di pelle, chi scuro, chi giallo........"
Quando Megrofina parlava tutti
l'ascoltavano affascinati loro malgrado, ma poi qualcuno scuoteva il
capo e si toccava la fronte facendo chiaramente capire che non aveva
tutti i lunedì a posto.
E a proposito di lunedì Megrofina
parlava sempre di un grande globo sospeso nel cielo, che con la sua
pallida luce illuminava le notti e si divertiva a cambiare forma e a
volte si faceva vedere solo sotto forma di esile falce, altre volte
scompariva per notti e notti, altre ancora sembrava quella palla con
cui da un pò di tempo a questa parte giocavano i ragazzi del
villaggio.
Ma quando Farolfo ascoltava questi
racconti, vedeva davanti a sé le grandi città con le torri
altissime e nel cielo il grande globo che doveva esserci stato una
volta. E ci credeva. E fu per quello che andò da lei una sera
sfidando il grande gelo che attanagliava perennemente la terra
"Mi caro ragazzo -gli disse
Megrofina dopo aver guardato tutti quei segni- non so dirti cosa può
esserci scritto sopra questa cosa strana, ma sono sicura che qualnque
cosa sia, viene da molto lontano. L'unica indicazione che ti posso
dare riguarda questi pochi segni, che ho già visto in altri
frammenti giunti fino a noi dal passato. Vedi? Sono questi qui – e
indicò con il dito rugoso e ricurvo pochi segni strani che a Farlofo
non dicevano proprio niente – Guarda, confrontali con
quest'altri....vedi? Sono gli stessi anche se qui sono più dritti e
in questa specie di barca pendono a destra.....ecco! Guarda per
bene!- e gli fece luce con una torcia più grande che aveva accesa al
fuoco – li vedi?
"Sì Megrofina li vedo, li vedo! -
rispose eccitato Farolfo – quindi vuol dire che questa è una
scrittura, un messaggio, qualcosa che chi l'ha scritto vuole fare
arrivare fino a noi...."
"Già – rispose tranquilla
Megrofina – questi sono i segni che sono scritti
così.....2012D.C........ma cosa vorranno dire?
Il tempo passò e passò ancora e le
costellazioni si spostarono nell'arco del cielo
Quando Radon si alzò quella mattina
non sapeva che avrebbe fatto la scoperta più importante di tutta la
sua vita.
Era giovane e pieno di belle speranze e
viveva in un periodo in cui, dopo il buio dei tempi oscuri la mente
si riapriva a nuove scoperte e a nuove invenzioni. Qualche tempo
indietro un certo Galino aveva fatto un'invenzione che aveva del
prodigioso. Aveva trionfato sulle tenebre della notte con una cosa di
sua invenzione che spandeva luce nel giro di tre o quattro metri e
questa luce non si consumava come il fuoco. La mente degli uomini era
in fermento da quando un altro giovane pensatore aveva teorizzato che
Ameropa, il luogo in cui vivevano non fosse altro che una gigantesca
palla sospesa nel vuoto.......Lui, intanto sognava sui reperti che
aveva trovato e su quelli che gli erano pervenuti dalla sua famiglia,
conservati gelosamente di generazione in generazione da quando la
sua antenata Megrofina li aveva definiti la chiave di volta della
storia dell'uomo. Primo tra tutti l'esile barca, leggera e
maneggevole fatta di un materiale resistente e incorruttibile. Ma il
cuore accelerò il battito quando pensò alla grande tavola di pietra
che gli era stata portata da Radico, un ragazzotto che pascolava il
suo gregge nella collina prospicente. Sin da quando l'aveva avuta
davanti a sé aveva intuito di essere davanti a qualcosa di
importante. La tavola era coperta di una scrittura fatta con segni
strani,ma la cosa più strabiliante era che c'erano almeno tre
scritture diverse tra loro e la cosa ancora più entusiasmante era
che uno di quelle scritture lui la conosceva.
Avrebbe dovuto ringraziare Megrofina
per il resto dei suoi giorni perché era proprio grazie a lei e alla
sua mania di raccogliere le cose del passato che era potuto venire in
contatto con quella scrittura e riuscire a comprenderla almeno in
parte.Non vedeva l'ora di mettersi all'opera e confrontare con il
nuovo reperto le cose misteriose che erano scritte su quella tavola
affusolata e leggera che veniva dalla notte dei tempi. L'unica cosa
che sapeva era che aveva un solo dato da cui partire.....2012D.C.
Doveva cercare, confrontare, senza stancarsi, senza perdersi
d'animo.......cosa che fece per circa trecento ombre lunghe, che era
sempre il modo più usuale di misurare il tempo,anche se nuovi
esperimenti parlavano di ipotesi ardite e meccaniche......... finché
un giorno chiese un colloquio con il Grande Maestro del Venerabile
Ordine degli Anziani e quando si tròvò al suo cospetto parlò con
voce emozionata:
"Grande Maestro ciò che sto per
dirti è talmente incredibile che io stesso fatico a dirlo , ma le
scritture parlano chiaro, per cui ti prego di ascoltarmi"
"Parla Radon...conosco la tua
prudenza e so che non faresti o diresti mai niente di avventato...Ti
ascolto"
"Allora ascolta o Grande Maestro!
Tu sai che da quando ho l'uso della ragione mi sono dedicato a
studiare la tavola misteriosa che è in possesso della mia famiglia
da tante di quelle generazioni che ho perso il conto......ecco, senza
fare tanti ed inutili preamboli ti posso dire che finalmente ho
decifrato i suoi segni e dunque so che cosa c'è scritto,.........ma
ciò che c'è scritto è talmente strano, talmente inaudito, talmente
stupendo che mi lascia attonito, mi rende euforico e timoroso allo
stesso tempo....."
"Bene Radon! Capisco la tua
eccitazione, ma non ti sembra che faresti bene a illuminare anche
me?"
"Hai ragione, scusami Grande
Maestro...dunque ecco ciò che c'è scritto sulla grande tavola:
"Questa è l'epopea di Trepì.
Ascoltate voi tutti che ancora potete ascoltare e tramandate ciò che
affido a questa tavola che una volta si chiamava surf. Al tempo in
cui accaddero questi fatti nuvole nere si stavano addossando
all'orizzonte, nuvole predette e non credute. L'anno vecchio se ne
era appena andato e il 2012 D.C già annunziava ciò che sarebbe
accaduto a breve. L'aria era sempre più carica di elettromagnetismo
e il timore incombente di una catastrofe cominciava a prendere forme
sempre più precise. Il mondo tutto sapeva che di lì a poco niente
sarebbe stato più come prima e che la civiltà splendente che l'uomo
viveva avrebbe avuto un duro colpo. Le distanze che ora erano
facilmente superabili, a breve sarebbero state insormontabili, la
conoscenza sarebbe caduta nell'oblio, il buio della notte non sarebbe
più stato vinto dalla luce conquistata dal genio dell'uomo.Fu allora
che Trepì decise o decisero di costruire il grande uccello di fuoco,
un uccello meccanico sulle indicazioni di un certo Da Vinci, un
grande uccello che nutrendosi proprio del nemico del mondo,
l'elettromagnetismo, avrebbe coperto le grandi distanze per portare
messaggi ai sopravvissuti e riceverne in cambio. Se fu Pi,o Pu, o Pa
o se furono tutti e tre insieme ciò non è noto neanche a me che
scrivo, io so che fu un tipo un pò a 'modo suo' a restituire la
speranza agli uomini e quel tipo si chiamava Trepì, ma più tardi
tutti lo chiamarono 'il P.'......Il grande uccello di fuoco volò nei
cieli da una sponda all'altra dell'oceano per lungo tempo, fino a che
ci fu qualcuno capace e in grado di ricaricarlo, tra lo stupore,
l'ammirazione e il terrore degli uomini, che ormai privi delle
conoscenze del passato pensarono che fosse un dio e lo mitizzarono
fino a farlo diventare un'unica leggenda con ' il P'.
Ciò che ho udito è giunto fino a me
di generazione in generazione ma ora sento il bisogno di scriverlo
anche su questa tavola che affiderò al mare. Chi lo troverà avrà
l'arduo compito di diffondere il messaggio che tramanda: Nessuno mai
sconfiggerà l'uomo.
Vengo in pace dal grande lago
ghiacciato e vado in pace verso Proto, la stella del mattino. Neber"
Il silenzio regnò totale per un lungo
momento poi il Grande Maestro si alzò, si avvicinò a Radon e
abbracciandolo gli disse:
"Tu oggi hai reso un grande
servizio all'umanità intera. Di qui in avanti questo giorno sarà
dedicato al ricordo del grande P e della sua epopea e il tuo nome non
sarà dimenticato".
E fu così che Trepì, quello un pò 'a
modo suo' , che un giorno decise che qualunque cosa avrebbe riservato
il 2012, sarebbe sempre rimasto in contatto con i suoi fratelli in
barba al mondo intero, troneggia in un colossale monumento alla cui
base si snoda un corso d'acqua di ampie dimensioni.
Uomo, Donna? Nessuno anche oggi sa
dirlo. Il suo volto che nessuno conosce è stato rappresentato sotto
le nobili sembianze di un cane il cui sguardo ardito si posa lontano
inseguendo un sogno che solo lui conosce mentre corre a perdifiato
per la valle e fa incredibili salti sulle rotoballe.
Stranger in paradise
Stranger in paradise
Una casa come questa mi sembra normale che si tinga di giallo!.......Almeno un pò.
Questo raccontino l'ho scritto qualche mese fa
Com’era bello stare a crogiolarsi al
sole alle cinque pomeridiane di quella splendida giornata di giugno!
Sdraiata in una comoda poltrona ricoperta di un telo di spugna
sgargiante, con le gambe rialzate, già abbronzata nel mio castigato
bikini nero, assaporavo il calore del sole, mitigato di tanto in
tanto dalla leggera brezza che smuoveva anche le frange di paglia
dell’ombrellone arancione, sotto il quale su un microscopico
tavolino, una granita alla menta si scioglieva lentamente.
Nel dormiveglia in cui ero piombata
riuscivo comunque a pregustare il felice momento in cui le mie
labbra riarse si sarebbero bagnate di quella frescura e tanto bastava
per farmi rimandare il momento del risveglio, quasi che il solo
pensiero del ghiaccio servisse a far calare la temperatura del mio
corpo che si stava surriscaldando.
Ma non volevo lasciare il rumore della
risacca del mare che sentivo in lontananza e mi cullava, né il
profumo di gelsomino che arrivava di tanto in tanto a portare una
nota di incantesimo orientale nell’aria, né quella musica che da
poco più di un minuto si era insinuata nel vento e con lui aveva
volteggiato intorno a me per pochi attimi….già perché con la
stessa sveltezza con cui era arrivata, se ne era già andata,
lasciandomi però le indimenticabili note di “Stranger in
Paradise” di Borodin.
Fu in quel momento che un
raccapricciante “Aaaaaaaaahhhhhhhhh!” mi fece uscire dal mio
sogno e con un attimo di sbigottimento mi ritrovai nella realtà
della mia terrazza, sprofondata nella sedia a sdraio che aveva visto
tempi migliori. Il mio sguardo trasognato corse a cercare
l’allettante granita della quale mi resi conto subito, non c’era
nemmeno l’ombra. Tutto questo in un secondo perché immediatamente
il mio sguardo fu catturato dalla signorina Adelaide che si
spenzolava dalla terrazza adiacente la mia e con quanto fiato aveva
in gola si esibiva in un altro “Aaaaaaaahhhhh!!” seguito
immediatamente da uno stridulo “Aiuto! Aiuto!”
Mi svegliai immediatamente, anche se mi
accorsi che continuavo a sentire il rumore del mare, cosa impossibile
perché da casa mia il mare è lontano almeno centocinquanta
chilometri.
“Altro che mare” mi dissi
rendendomi conto che il rumore dell’acqua veniva dall’appartamento
vicino e che avevo come al solito fatto solo un bel sogno….
Mi affacciai subito dall’unico
pertugio della grata piena di gelsomino che divideva la mia terrazza
da quella della mia vicina, una tranquilla e simpatica ragazza con la
quale avevo scambiato più che altro notizie sul tempo e sui fiori.
Rosa, così si chiamava la bella ragazza alta e bionda, era una
appassionata amante delle sue omonime e il suo terrazzo era pieno di
colore e di profumo, perché le sue rose non solo erano bellissime,
ma profumavano anche in maniera meravigliosa ed era un piacere
godersele, anche se solo dal buco che c’era nella grata di
divisione
“Signorina Adelaide! Signorina
Adelaide!” chiamai con voce preoccupata. Che poteva essere
successo? E che ci faceva la signorina Adelaide nella terrazza di
Rosa?
La signorina Adelaide, un’anziana e
candida insegnante di altri tempi era una persona tranquilla e
riservata e sentirla gridare in quel modo, mi fece subito capire che
doveva essere accaduto qualcosa di grosso.
“Oh Marilù! Meno male che sei in
casa. Corri per piacere, vieni subito…vieni ma prima chiama i
Carabinieri” mi disse stavolta piangendo come una fontana, mentre i
suoi piedi si muovevano cautamente sul pavimento della terrazza tutto
pieno d’acqua che sentivo, cominciava a colare sulla strada.
“I Carabinieri? Ma che c’entrano i
Carabinieri con un po’ d’acqua in terrazza?” domandai allibita
“Ma che acqua e acqua! Chiamali ti
dico! Qualcuno ha assassinato Rosa!”
Immediatamente tutto il caldo che avevo
fino a tre secondi prima si dissolse magicamente e senza quasi
rendermi conto mi trovai in casa di Rosa, in un mare d’acqua che
aveva invaso tutto l’appartamento, ed essendo uscito anche dalla
porta di ingresso scendeva in tranquille cascate per la rampa delle
scale.
La signorina Adelaide mi venne incontro
piangendo e additando la porta del bagno, dal quale mi resi conto,
veniva quel mare che si riversava dappertutto.
Quasi in trance mi avviai verso la
porta di quella che mi sembrò in quel momento l’antro
dell’inferno.
Rosa era all’interno della vasca da
bagno, in testa una civettuola fascia che le tratteneva i capelli e
vistosi segni violacei intorno al collo, a dimostrazione che la
poverina era stata decisamente strangolata. L’acqua continuava a
scendere indifferente dal rubinetto e a cadere dal bordo della vasca
facendo quel leggero sciabordio che io nel mio dormiveglia avevo
scambiato per il rumore del mare. Quasi senza rendermene conto mi
avvicinai al telefono e feci il numero dei Carabinieri.
“Come ha fatto ad accorgersi che la
signorina Rosa era morta?” domandò il Maresciallo alla signorina
Adelaide, che ora si era un po’ calmata, anche se continuava a
tirare su rumorosamente col naso.
“Stavo rientrando a casa dopo la mia
solita passeggiata e quando ho cominciato a salire le scale mi sono
accorta che erano bagnate. Arrivata nel pianerottolo ho visto che la
porta d’ingresso dell’appartamento di Rosa era aperta e che
l’acqua veniva da lì. Ho provato a chiamarla, ma non avendo avuto
risposta, sono entrata…e….l’ho vista…..poi ho chiamato Marilù
che era nella sua terrazza a prendere il sole!” e la signorina
Adelaide cominciò nuovamente a piangere.
“E lei signorina ha visto qualcuno o
sentito qualcosa?”
“No – risposi – io stavo dormendo
al sole e non mi sono accorta di niente”
“Sapete chi frequentava la signorina
Rosa?” domandò il Maresciallo rivolgendosi a entrambe”
“Era molto riservata e riceveva poche
visite. Però so che era fidanzata. Me l’aveva detto circa un mese
fa ed era molto contenta”
“E questo fidanzato lo conoscete?
Sapete dirmi come si chiama?”
“Io non l’ho mai visto, ma un
giorno parlando con Rosa mi disse che il suo fidanzato si chiamava
Rocco Spada e che era un disegnatore nella fabbrica di “Ceramica
Inn”, quella che è in fondo alla strada che porta all’aeroporto”
Mezz’ora dopo Rocco Spada era a casa
di Rosa, affranto e incredulo. Aveva risposto a tutto ciò che i
Carabinieri gli avevano domandato con voce rotta dall’emozione e
dal dolore.
“No in casa non manca niente…no
Rosa non aveva un cellulare, perché odiava i cellulari, sì Rosa era
una ragazza solare che non aveva nemici…no lui non la vedeva dalla
sera precedente, quando l’aveva riaccompagnata a casa. No..non
aveva la minima idea di chi potesse aver fatto una cosa simile né
tanto meno del perché!”
Fu in quel momento che il suo cellulare
squillò. Dapprima quasi in sordina, poi sempre più forte finché le
note di ‘Stranger in Paradise’ si riversarono nella stanza.
Ma sì! Quella era la musica del mio
sogno, quella che mi aveva accompagnato in uno splendido pomeriggio
al mare, quella che mi aveva rilassato e fatto desiderare di
continuare a sognare. Ora capivo, capivo tutto!
Alzai lo sguardo su Rocco Spada e lo
vidi impallidire. Si era accorto che io sapevo.
“Maresciallo – dissi con voce più
chiara e più forte di quella che sentivo dentro di me – io so chi
ha ucciso Rosa!”
Tutti si voltarono verso di me.
“Oggi io ho sentito questa musica
proprio mentre prendevo il sole in terrazza. Una musica che è durata
pochi secondi, ma che si è impressa indelebilmente nella mia mente.
Era la musica che è venuta ora dal cellulare del signor Rocco
Spada”.
Mentre Rocco Spada veniva portato via
in manette dai Carabinieri, ai quali avrebbe dovuto spiegare i tanti
perché che gli sarebbero stati chiesti, guardai la signorina
Adelaide che non riusciva a smettere di tremare. Provai tenerezza per
quella persona eterea e gentile avvolta dalla sua chioma argentea a
guisa di aureola. Sembrava un povero angelo ferito, come Rosa era
stata un angelo amante dei fiori, ed io stessa un piccolo angelo
sognatore.
Lo straniero che era venuto tra questi
angeli non era come quello di Borodin, ma ogni storia ha una fine
diversa dall’altra.
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