Il primo maratoneta, Filippide, giunto al traguardo, dopo la battaglia di Maratona, ebbe solo il tempo di dire due parole "abbiamo vinto" e poi morì stremato dalla fatica della corsa e forse anche della battaglia sostenuta fino ad allora.
Il vincitore della 'Maratona di Boston', non ha detto neanche queste parole perché si è ritrovato improvvisamente nel pieno di una guerra, 'la guerra del terrore', che gli ha portato via un figlio, e mutilato una figlia, nel momento in cui tagliava il traguardo.
Noi, siamo rimasti attoniti, senza parole, ormai tristemente abituati alla violenza che dilaga nel mondo intero e che ci viene somministrata in pillole tutti i giorni dall'informazione multimediale. Attoniti, senza parole, ma certamente non indifferenti e con tante domande che hanno bisogno di risposta. Chi è stato a progettare questo efferato atto di terrorismo? Perché di terrorismo si tratta, come ha detto Obama, chiunque ne sia l'autore.
Torno alla maratona, a quella di Boston e di tante altre città, dove la gente partecipa per divertirsi, per stare insieme, per festeggiare la primavera, per vivere una giornata che ha il sapore della comunità, dove la gara principale non è con gli altri partrecipanti, ma con se stessi, per vedere e riconoscere i propri limiti, le proprie capacità, le proprie resistenze.........e il vincitore non porta messaggi di guerra vinta, ma sempre comunque di guerra,.........ma solo della bellezza di una giornata trascorsa in libertà, quella libertà che si trova sempre nella corsa, sia essa veloce o di resistenza. C'è un messaggio di pace nelle maratone che vengono fatte nelle nostre grandi città. Un messaggio che attira la gente e la fa stringere sempre più numerosa intorno ai maratoneti. Un messaggio di pace che è stato brutalmente profanato...........ma che deve continuare a passare per le strade del mondo!
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