martedì 16 aprile 2013

Boia d'Bastird

Ho detto tante volte che mi piace leggere e mi piace scrivere. La lettura e la scrittura mi scaricano la negatività che riesco con molto successo ad accumulare nella mia vita. Non fa una piega.  Mentre però non ho responsabilità leggendo ciò che scrivono gli altri, ne ho per quello che scrivo io. Ma le cose serie, quelle della mia vita, quelle che quando le rileggo mi fanno pensare che chi le ha scritte non sono io, quelle che quando ne estrapolo un brano, mi fanno dire immodestamente che potrebbero essere scritture d'autore.........quelle, dicevo, non le pubblico mai, primo perché sono molto personali, secondo perché  non credo che riuscirei a trovare chi me le pubblica.  Ma in genere, scrivendo per mio piacere e per la mia sopravvivenza mentale, cose che non stanno né in cielo  né in terra, credo che la responsabilità più grossa sia quella verso me stessa e del concetto che ho del 'sembrare' e dell' 'essere',  perché in certi miei racconti 'sembro' proprio fuori dal mondo. Invece nella realtà purtroppo 'sono' molto con i piedi per terra, semplicemente perché non posso farne a meno. Da qui nasce, il bisogno urgente alcune volte, di entrare nel mio mondo onirico, per vivere situazioni paradossali attraverso personaggi strani, che nel caso di questo racconto è un piccolo virus che in romagnolo maccheronico (non sono mai riuscita a imparare quello verace)  si chiama......... Boia d'bastird! 


 









Il Signore dell’Anello

Là dove si parla delle gesta del prode Boia d’ Bastird che non esitò a sacrificare anche il suo bene più prezioso, Artemisinina, per la salvezza del mondo intero



Boia d’Bastird non era una persona comune, nel senso che le sue caratteristiche erano troppo peculiari per poterlo fare appartenere a qualsiasi categoria.
Figlio di antica casata, nelle sue vene scorreva sangue romagnolo, ma non di quella Romagna godereccia e molle che si trova nella piana, bensì di quel robusto popolo montanaro che da sempre si nutre di castagne, di castrato, di salsiccia matta e di quella buona piadina, che però non è come quella più celebre che si mangia con lo squacquerone e col prosciutto, ma è fatta di acqua e farina e condita con olio, sale e ramerino e cotta nel forno a legna, perché qualsiasi altro forno non le renderebbe giustizia. E’ quella piada che si può chiamare anche ciaccia alla toscana, perché il borgo dove era nato Boia, è stato svezzato da due nutrici, la Romagna e la Toscana; e da quel latte aveva preso il meglio e il peggio delle loro usanze che aveva date tutte equamente ai suoi abitanti.
Boia era cresciuto così, lungo gli argini del fiume ricco di trote che il suo bisnonno pescava con le cicche delle sigarette sax e che il suo trisavolo diceva essere di gran lunga più bello del suo più conosciuto cugino di nome Arno nel quale aveva abbandonato un ombrello che non riusciva a chiudere. Anche la sua nonna aveva avuto un’avventura nelle acque tranquille di quel torrente dove per poco non era salita a cavallo di una bomba inesplosa che gli americani avevano lanciato durante l’ultima guerra e solo per puro caso la storia era potuta continuare, visto che non era saltata in aria, e suo padre e i suoi zii, Cinna compreso anche se lui era stato adottato, erano potuti venire al mondo, fare pazze scorribande in trial, saziare il loro robusto appetito con raveggiolo adagiato su foglie di felci e con fette di brasadela, in toscano ciambella, che come la fanno lì non si è più mangiata da nessun altra parte, ed avere per di più le amorevoli cure della loro nonna materna, che fino ad età adulta li rincorse con matterello, battipanni e frutti vari, e siccome in lei scorreva più sangue romagnolo che toscano, con un nutrito numero di improperi detti un po’ in dialetto e un po’ in italiano , nel quale però la esse rimase sempre esce.
Gli anni erano passati in fretta e Boia era cresciuto e diventato grande si rese subito conto che nel suo paese non avrebbe trovato da fare niente, se non giocare a briscola con le carte romagnole e prendere una bella sbornia una volta alla settimana, per cui anche lui un bel giorno fece le valigie e , come avevano fatto altri prima di lui se ne andò in cerca di fortuna. Il suo treno si fermò per un guasto a Gambettola, ridente cittadina della bassa romagna, dove d’estate si muore dal caldo e d’inverno dalla nebbia, ma lui sentì che la stazione dove doveva scendere era quella e lì cominciò il suo avvenire e nel giro di due anni era un dei più grandi impresari del ferro. Aveva cominciato a raccogliere ferro per la strada dove si chinava a raccogliere anche i bulloni dei pattini a rotelle quasi dovesse nutrirsene e lì capì che la sua era un’autentica passione e nel giro di poco tempo si ritrovò sommerso da quel metallo nero e rugginoso e quando la mattina entrava nella sua ditta intorno a sé e vedeva colline e colline nere e bitorzolute che avevano cambiato la morfologia di quel paesaggio di sconvolgente piattezza, si sentiva felice e rinvigorito.
Insomma aveva fatto fortuna, e dopo si comprò una macchina che sembrava un transatlantico e vestiti di pregio con la camicia aperta sul petto robusto e abbronzato. L’unica cosa che rifiutò sempre di fare fu quella di mettersi la catena d’oro al collo con quella grossa patacca , che per i romagnoli è un segno di distinzione. In questo caso il sangue fiorentino che in parte scorreva nelle sue vene prese il sopravvento…e meno male!
Boia era contento di sé e a quel punto cominciò a pensare che era giunto il momento di trovare una ragazza adatta a lui. Fu pensando a questo che un giorno il suo sguardo si posò su una fanciulla che passeggiava tranquillamente sulle sponde di uno stagno infestato da zanzare grasse come vitelle. La cosa che lo colpì di più fu che la fanciulla non sembrava per niente infastidita dalle petulanti zanzi, e che anzi queste appena le si avvicinavano cadevano morte stecchite. Fu così che Artemisinina entrò nella vita di Boia.


Artemisinina aveva anche lei nobili ascendenti avendo come genitrice una gentildonna di nome Artemisia che purtroppo in gioventù commise l’errore di innamorarsi di un chimico squattrinato che non avendo materiale primo per i suoi esperimenti la usò come moglie e come cavia.
Artemisinina fu il frutto di quegli esperimenti e di quell’amore.
Crebbe rapidamente e da subito le sue doti si manifestarono in tutta la loro potenza. Le zanzare cercavano di fuggire appena la vedevano, ma non riuscivano a sottrarsi al suo magnetismo. Fu così che nella bassa si sparse la sua fama e la fanciulla fu usata per disinfestare più di uno stagno e, visti i risultati qualcuno pensò bene di sottoporle anche qualche persona affetta da malaria….che guarì prodigiosamente. Da allora l’immagine della fanciulla diventò veramente importante e qualcuno cominciò a chiamarla guaritrice e da lì cominciarono a fioccare fior di quattrini che andavano tutti a finire nella tasche del genitore che non smetteva di ripeterle. “Lo sapevo io di aver creato qualcosa di eccezionale!”
Artemisinina era ben contenta di contribuire con le sue virtù al menage familiare, ma coltivava un sogno. Voleva volare. Forse dentro il suo animo gentile invidiava il volo elegante e leggero delle zanzare che cadevano stecchite ai suoi piedi e forse quel volo le aveva fatto sognare orizzonti più vasti di quelli di uno stagno. Davanti a sé vedeva infatti le grandi paludi del Vietnam così care a Forrest Gamp ,sulle quali sognava di passeggiare.
Aveva visto l’oggetto dei suoi desideri proprio in cima a una delle colline che Boia continuava a far crescere ogni giorno di più. In cima a una di quelle montagnette c’era un aereo con l’elica e la fanciulla desiderava ardentemente possederlo, per cui quando pensò di avere abbastanza denaro per fare la sua offerta si presentò alla ditta di Boia d’Bastird e di Boia d’n Mond Ladeer, che poi non era nient’altro che suo fratello minore, senz’altro carente di esperienza, ma molto volonteroso.
“Vorrei comprare quell’aeroplanino lassù – disse a Boia che la guardava affascinato – però prima vorrei vedere le sue condizioni…” chiese timidamente
“Ma certo bella burdela, ora glielo fo tirare giù in un attimo e può guardarlo quanto vuole lei, anche tutto il giorno però guardi che questo aereo ha la struttura in ferro e non in alluminio come quelli di ora, per cui è un modello sorpassato” il tutto detto con quella calata romagnola che nessuno riesce mai ad imitare
“Dai Boietto – disse al fratello facendo un po’ lo sbruffone perché davanti a lui c’era la ragazza dei suoi desideri – vammi un po’ a prendere quella patacca lassù che la signorina la vuole vedere”.
Due minuti dopo l’aeroplano di ferro tutto arrugginito era davanti ad Artemisinina.
“C’è un po’ da lavorarci ma la struttura è solida, molto solida….provi a sentire un po’ qua e anche qua” diceva Boia indicando i punti più solidi dell’aereo
“Potrei salirci?” osò dire Artemisinina
“Facci tutto quello che crede, tocchi tutto quello che crede…..facci conto che sia il suo!” disse Boia galantemente
“Eh! Chissà quanto costa!” rispose con un sospiro la ragazza
“Guardi che ci accomodiamo…non si preoccupi”
“Allora ci penso un giorno e poi ritorno” rispose Artemisinina che non vedeva l’ora di arrivare a casa per contare tutti i suoi soldi e vedere se gliene avanzavano anche per aggiustarlo
“Benissimo, a domani allora, l’aspetto impazientemente”buttò là Boia aiutando la ragazza a scendere dalla carlinga e gettando intanto uno sguardo di sfuggita alla carcassa dell’aereo che chissà perché improvvisamente gli sembrò molto più fragile di come la ricordava.
Per tutto il giorno Boia fu contento. Aveva avuto modo di conoscere la ragazza dei suoi sogni e domani sarebbe ritornata. Fischiettò tutto il giorno mentre lavorava, dimenticandosi completamente dell’aereo ..e quale fu il suo stupore quando nel tardo pomeriggio, gli passò davanti vide che non era rimasto nient’altro che un patetico groviglio di sottili strisce di ferro che sembravano essersi sciolte al sole. Lo guardò allibito e pensò d’essere ammattito, ma lo stupore ebbe la meglio e senza dire nient’altro che “C’at venia….” Tirò dritto pensando che era meglio mettere un po’ di tempo di mezzo tra la realtà e quello che aveva immaginato.
Così un po’ rinfrancato preferì entrare in ufficio dove c’era l’aria condizionata, convinto di aver preso un'insolazione e si mise a fare i conti della giornata, che lo rimisero di buon umore. Quando si accorse che era ora di andare a cena, era completamente sicuro del fatto suo e convinto di aver avuto un colpo di sole per cui si avviò tranquillamente verso l’uscita.
Sapeva di dover passare davanti all’aeroplano prima di uscire ma si avviò serenamente verso quell’incontro, ormai rassicurato dal fatto che il sole aveva picchiato veramente troppo quel giorno e gli aveva annebbiato le idee a tal punto da fargli prendere lucciole per lanterne.
Però già da lontano gli sembrò di non scorgere più la figura imponente dell’aereo, ma si disse che forse Boietto l’aveva spostato perché non ingombrasse il passaggio, ma quando arrivò a due passi da dove doveva essere l’aeroplano, si fermò interdetto a guardare una miserevole pozzanghera stesa davanti ai suoi piedi. L’aereo si era come liquefatto, sembrava un disegno fatto sull’asfalto catramoso del piazzale.
“C’at venia….ma l’è mica posibile! Ma io sogno o so advanté embesill !?”
“Ma l’è la stessa roba che ho detto io” rispose con un filo di voce Boia d’n Mond Ladeer

Fu così che Boia d’Bastird si rese conto che la sua amata aveva uno strano potere: quello di sciogliere il ferro e di cambiarlo in qualche altra cosa.
Ci pensò su un po’ e poi si rispose forte: “A vodrà dir che non metterà piede qua dentro. Io però .. non rinuncio ad Artemisinina. Si farà una casa dove non ci sarà neanche un filo di ferro …e poi, boia, non si vedrà neanche una zanzara in giro e sì che a me mi pizzicano…..quindi dov’è il problema?” e si addormentò del sonno dei giusti.


Fu i giorno dopo che il mondo ebbe una brusca svolta. Già nella nottata la notizia era corsa sul web e la mattina tutti i giornali la strombazzarono a caratteri cubitali.
Una minaccia terribile incombeva sul mondo intero. Qualcuno stava per impossessarsene, quasi senza colpo ferire, anche perché pareva che le difese attuate fino a quel momento non avessero dato che blandi risultati. Si parlava di una misteriosa persona della quale il volto era sconosciuto un po’ perché coperto costantemente da una maschera come quella di Dart Fener, un po’ perché, meraviglie delle meraviglie, era un mutante che come l’araba fenice, fino a quel momento era riuscito sempre a risorgere dalle proprie ceneri. Anche lui pareva avesse origini antichissime e nessuno sapeva dire con precisione da dove venisse, la cosa che comunque era ormai nota era che stava impossessandosi del mondo intero, del quale era riuscito a colpire ormai i punti nevralgici preposti al comando di quella meravigliosa macchina che era il mondo.
Nei giornali veniva ossequiosamente chiamato Sir Cancer, Cancelliere di ferro, per quella sua smania di accumulare ferro, sempre più ferro, di cui aveva bisogno per la sua sopravvivenza e per la sua espansione nel mondo.
Per un momento Boia d’Bastird quasi lo ammirò. Lui riusciva a capire cosa volesse dire avere dentro di sé la bramosia del ferro e si ricordava di tutto quello che aveva fatto per averne sempre di più, anche cercando di sottrarlo di nascosto a chi ne aveva una scorta.
Ma insomma! Un conto era volere vedere intorno a sé montagne di ferro,un conto era volersi impossessare del mondo intero e distruggerlo. E poi chi era questo Sir Cancer dei suoi stivali? Non proprio uno sconosciuto, perché si ricordava di averlo sentito nominare con nomi meno altisonanti già altre volte. La prima volta l’aveva sentito dire a Peppone che rivolendosi al suo eterno nemicoamico don Camillo gli aveva detto affettuosamente: “C’at venia en cancher!” Poi l’aveva sentito spesso in bocca agli intellettuali toscani che lo usavano in segno dispregiativo verso quelli che consideravano insulsi e fastidiosi. Quando dicevano a qualcuno ‘quel canchero là’ quello era un qualcuno finito.
Possibile che improvvisamente il suo potere fosse talmente ingigantito da ribaltare completamente la situazione fino a divenire Sir Cancer Cancelliere di ferro?
Di Boia tutto si poteva dire tranne che fosse un pusillanime e dentro di sé sentì subito nascere quel fuoco che conoscono solo gli antichi cavalieri e i paladini. Sapeva che voleva fare qualcosa per aiutare il mondo dentro il quale poi c’era anche lui e non era una cosa di scarsa importanza, per cui senza porre il minimo indugio chiamò Boia d’n Mond Ladeer e gli disse:
“pensa tu qui che me am veg a ciacolare co e mi bab!”.

Il babbo di Boia non era proprio un tipo comune e del resto nessuno si sarebbe aspettato altro. Non era neanche un tipo di molte parole Infatti lasciò parlare Boia non dando neanche l’impressione di seguire il suo discorso più di tanto. L’unica cosa che faceva capire la sua concentrazione era la grande mano che si infilava delicatamente nei capelli, staccando le leggere crosticine di forfora che da sempre vi si accumulavano . Boia d’n Bastird conosceva questi rituali e quando vide che il suo babbo, accavallata una gamba, cominciava con l’altra mano a ispezionare le dita del piede a una a una, fermandosi sovente sull’unghia del lunghissimo alluce e cercando di spezzettarla in minutissimi frammenti, allora seppe che l’acme della concentrazione era stato raggiunto e reputò giusto interrompere qualsiasi altra spiegazione, sapendo in cuor suo che i neuroni del suo machiavellico genitore erano tutti in ebollizione.
Passarono così due ore nelle quali Boia si ingozzò di noccioline salate mentre aspettava che suo padre si risvegliasse dal trance nel quale sembrava essere precipitato portandosi dietro un chilo di forfora e una quantità industriale di prodotto corneo.
Poi alla fine si riscosse, guardò quel prodotto dei suoi sforzi che era suo figlio e con molta calma disse:
“L’anello debole della catena è il ferro”.
Boia d’Bastird sgranò gli occhi e pensò che il suo augusto genitore avesse preso una tramvata, ma si accorse subito che invece così non era perché suo padre mettendosi tutte e due le mani in testa, cosa che accadeva solo nei momenti di massima importanza continuò a dire:
“Sì!! Sono sicuro, anzi sicurissimo che l’anello debole è il ferro. Avevo già cominciato a studiare su questo caso appena la notizia si è diffusa sul web e io credo che questo Sir Coso o come cavolo lo chiamano, si debba combattere con le sue stesse armi. Vuole ferro? Ha bisogno di ferro? Vuole il ferro di tutto il mondo? Benissimo! E noi glielo daremo!....Basta trovare il modo…Ascolta Boia, hai mai sentito parlare di quel partito che è nato pochi anni orsono proprio in relazione di questo Sir Cancer? Noo?! Si sono chiamati radicali e inseguono un sogno di libertà e proprio andando dietro questo sogno da poco tempo si sono costituiti come ‘Partito dei Radicali Liberi’….. Bene io invece sì e mi chiedevo cosa volessero questi quattro gatti che vanno a manifestare nelle piazze, si fanno legare, digiunano pur di sottrarsi alla schiavitù del potere……ti dice niente tutto questo?”
“No, francamente an so mica nient di sti Radicali”
“Allora ascoltami figliolo! Io credo che tu possa fare un lavoro importantissimo per l’umanità. Tu hai tanto ferro, talmente tanto ferro che potrebbe essere l’arma giusta per sconfiggere questo canchero dei miei stivali. Bisogna trovare il modo per cui tu possa passare la frontiera della fortezza dove attualmente si è arroccato questo signore….e poi bisogna che tu glielo regali”
“Mo non sce ne parla nemmeno! Io che do via il mio ferro! Ma per chi mi hai preso..per un imbesill?” si ribellò Boia d’n Bastird
“Non ti scaldare figliolo e cerca di ragionare perché la testa te l’ho fatta per quello!...Diciamo che è…solo un prestito, che poi ti tornerà indietro. Ma quando Cancer avrà tutto il tuo ferro sarà come se avesse preso una solenne indigestione, si agiterà, farà cose assurde e ciò provocherà lo scontento di questi signori Radicali che diventeranno talmente tanti da trovare il coraggio di dargli addosso e di sottrargli ciò che anche a loro è dovuto….c’è un grosso rischio però”
“E sarebbe? “ chiese Boia che non riusciva a riaversi dalla sorpresa dell’intelligenza de su bab.
“Che il Partito dei Radicali Liberi diventi tanto forte e potente da dettare egemonia nel mondo fino a portarlo a sua volta alla distruzione”
“E allora che si deve fare?” Boia ora era veramente incuriosito
“Bisogna intervenire quando l’esercito dei Radicali non è ancora arrivato alla metà del suo lavoro e mandare in incognito qualcuno che cominci ad agire per conto suo sul ferro di Cancer, che non se ne accorgerà, impegnato come sarà a difendersi dagli insorti…….solo che non riesco a trovare chi possa fare questa operazione” E ricominciò a pensare
“ Mo lo so io chi è che la può fare!” e Boia fece un gran sorriso
“E chi sarebbe?”
“Ma Artemisinina naturalmente! In dieci minuti mi ha fatto fuori un aeroplano!” e in quattro balletti spiegò tutta la situazione e a piani fatti mancava solo il titolo da dare all’operazione.
Come si chiamerà?” domandò Boia d’n Bastird
“Si chiamerà Il Signore dell’Anello, perché tu sei l’unico che può neutralizzare l’anello debole di quella catena”.




E che l’operazione riuscì si evince dal fatto che in ogni parte del mondo ‘IL Signore dell’Anello è conosciuto anche se molte volte viene confuso con quello che poi diventò ‘Il Signore degli Anelli’.




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