Il Signore dell’Anello
Là dove si parla delle gesta del prode Boia d’
Bastird che non esitò a sacrificare anche il suo bene più prezioso,
Artemisinina, per la salvezza del mondo intero
Boia d’Bastird non era una persona comune, nel senso che le sue
caratteristiche erano troppo peculiari per poterlo fare appartenere a
qualsiasi categoria.
Figlio
di antica casata, nelle sue vene scorreva sangue romagnolo, ma non di
quella Romagna godereccia e molle che si trova nella piana, bensì di
quel robusto popolo montanaro che da sempre si nutre di castagne, di
castrato, di salsiccia matta e di quella buona piadina, che però non
è come quella più celebre che si mangia con lo squacquerone e col
prosciutto, ma è fatta di acqua e farina e condita con olio, sale e
ramerino e cotta nel forno a legna, perché qualsiasi altro forno non
le renderebbe giustizia. E’ quella piada che si può chiamare anche
ciaccia alla toscana, perché il borgo dove era nato Boia, è stato
svezzato da due nutrici, la Romagna e la Toscana; e da quel latte
aveva preso il meglio e il peggio delle loro usanze che aveva date
tutte equamente ai suoi abitanti.
Boia
era cresciuto così, lungo gli argini del fiume ricco di trote che il
suo bisnonno pescava con le cicche delle sigarette sax e che il suo
trisavolo diceva essere di gran lunga più bello del suo più
conosciuto cugino di nome Arno nel quale aveva abbandonato un
ombrello che non riusciva a chiudere. Anche la sua nonna aveva avuto
un’avventura nelle acque tranquille di quel torrente dove per poco non
era salita a cavallo di una bomba inesplosa che gli americani avevano
lanciato durante l’ultima guerra e solo per puro caso la storia era
potuta continuare, visto che non era saltata in aria, e suo padre e i
suoi zii, Cinna compreso anche se lui era stato adottato, erano
potuti venire al mondo, fare pazze scorribande in trial, saziare il
loro robusto appetito con raveggiolo adagiato su foglie di felci e
con fette di brasadela, in toscano ciambella, che come la fanno lì
non si è più mangiata da nessun altra parte, ed avere per di più
le amorevoli cure della loro nonna materna, che fino ad età adulta
li rincorse con matterello, battipanni e frutti vari, e siccome in
lei scorreva più sangue romagnolo che toscano, con un nutrito numero
di improperi detti un po’ in dialetto e un po’ in italiano , nel
quale però la esse rimase sempre esce.
Gli
anni erano passati in fretta e Boia era cresciuto e diventato grande
si rese subito conto che nel suo paese non avrebbe trovato da fare
niente, se non giocare a briscola con le carte romagnole e prendere
una bella sbornia una volta alla settimana, per cui anche lui un bel
giorno fece le valigie e , come avevano fatto altri prima di lui se ne
andò in cerca di fortuna. Il suo treno si fermò per un guasto a
Gambettola, ridente cittadina della bassa romagna, dove d’estate si
muore dal caldo e d’inverno dalla nebbia, ma lui sentì che la
stazione dove doveva scendere era quella e lì cominciò il suo
avvenire e nel giro di due anni era un dei più grandi impresari del
ferro. Aveva cominciato a raccogliere ferro per la strada dove si
chinava a raccogliere anche i bulloni dei pattini a rotelle quasi
dovesse nutrirsene e lì capì che la sua era un’autentica passione
e nel giro di poco tempo si ritrovò sommerso da quel metallo nero e
rugginoso e quando la mattina entrava nella sua ditta intorno a sé e
vedeva colline e colline nere e bitorzolute che avevano cambiato la
morfologia di quel paesaggio di sconvolgente piattezza, si sentiva
felice e rinvigorito.
Insomma
aveva fatto fortuna, e dopo si comprò una macchina che sembrava un
transatlantico e vestiti di pregio con la camicia aperta sul petto
robusto e abbronzato. L’unica cosa che rifiutò sempre di fare fu
quella di mettersi la catena d’oro al collo con quella grossa
patacca , che per i romagnoli è un segno di distinzione. In questo
caso il sangue fiorentino che in parte scorreva nelle sue vene prese
il sopravvento…e meno male!
Boia
era contento di sé e a quel punto cominciò a pensare che era giunto
il momento di trovare una ragazza adatta a lui. Fu pensando a questo
che un giorno il suo sguardo si posò su una fanciulla che
passeggiava tranquillamente sulle sponde di uno stagno infestato da
zanzare grasse come vitelle. La cosa che lo colpì di più fu che la
fanciulla non sembrava per niente infastidita dalle petulanti zanzi,
e che anzi queste appena le si avvicinavano cadevano morte stecchite.
Fu così che Artemisinina entrò nella vita di Boia.
Artemisinina
aveva anche lei nobili ascendenti avendo come genitrice una
gentildonna di nome Artemisia che purtroppo in gioventù commise
l’errore di innamorarsi di un chimico squattrinato che non avendo
materiale primo per i suoi esperimenti la usò come moglie e come
cavia.
Artemisinina
fu il frutto di quegli esperimenti e di quell’amore.
Crebbe
rapidamente e da subito le sue doti si manifestarono in tutta la loro
potenza. Le zanzare cercavano di fuggire appena la vedevano, ma non
riuscivano a sottrarsi al suo magnetismo. Fu così che nella bassa si
sparse la sua fama e la fanciulla fu usata per disinfestare più di
uno stagno e, visti i risultati qualcuno pensò bene di sottoporle
anche qualche persona affetta da malaria….che guarì
prodigiosamente. Da allora l’immagine della fanciulla diventò
veramente importante e qualcuno cominciò a chiamarla guaritrice e da
lì cominciarono a fioccare fior di quattrini che andavano tutti a
finire nella tasche del genitore che non smetteva di ripeterle. “Lo
sapevo io di aver creato qualcosa di eccezionale!”
Artemisinina
era ben contenta di contribuire con le sue virtù al menage
familiare, ma coltivava un sogno. Voleva volare. Forse dentro il suo
animo gentile invidiava il volo elegante e leggero delle zanzare che
cadevano stecchite ai suoi piedi e forse quel volo le aveva fatto
sognare orizzonti più vasti di quelli di uno stagno. Davanti a sé
vedeva infatti le grandi paludi del Vietnam così care a Forrest
Gamp ,sulle quali sognava di passeggiare.
Aveva visto l’oggetto dei suoi desideri proprio in cima a una delle
colline che Boia continuava a far crescere ogni giorno di più. In
cima a una di quelle montagnette c’era un aereo con l’elica e la
fanciulla desiderava ardentemente possederlo, per cui quando pensò
di avere abbastanza denaro per fare la sua offerta si presentò alla
ditta di Boia d’Bastird e di Boia d’n Mond Ladeer, che poi non
era nient’altro che suo fratello minore, senz’altro carente di
esperienza, ma molto volonteroso.
“Vorrei
comprare quell’aeroplanino lassù – disse a Boia che la guardava
affascinato – però prima vorrei vedere le sue condizioni…”
chiese timidamente
“Ma
certo bella burdela, ora glielo fo tirare giù in un attimo e può
guardarlo quanto vuole lei, anche tutto il giorno però guardi che
questo aereo ha la struttura in ferro e non in alluminio come quelli
di ora, per cui è un modello sorpassato” il tutto detto con quella
calata romagnola che nessuno riesce mai ad imitare
“Dai
Boietto – disse al fratello facendo un po’ lo sbruffone perché
davanti a lui c’era la ragazza dei suoi desideri – vammi un po’
a prendere quella patacca lassù che la signorina la vuole vedere”.
Due
minuti dopo l’aeroplano di ferro tutto arrugginito era davanti ad
Artemisinina.
“C’è
un po’ da lavorarci ma la struttura è solida, molto solida….provi
a sentire un po’ qua e anche qua” diceva Boia indicando i punti
più solidi dell’aereo
“Potrei
salirci?” osò dire Artemisinina
“Facci
tutto quello che crede, tocchi tutto quello che crede…..facci conto
che sia il suo!” disse Boia galantemente
“Eh!
Chissà quanto costa!” rispose con un sospiro la ragazza
“Guardi
che ci accomodiamo…non si preoccupi”
“Allora
ci penso un giorno e poi ritorno” rispose Artemisinina che non
vedeva l’ora di arrivare a casa per contare tutti i suoi soldi e
vedere se gliene avanzavano anche per aggiustarlo
“Benissimo,
a domani allora, l’aspetto impazientemente”buttò là Boia
aiutando la ragazza a scendere dalla carlinga e gettando intanto uno
sguardo di sfuggita alla carcassa dell’aereo che chissà perché
improvvisamente gli sembrò molto più fragile di come la ricordava.
Per
tutto il giorno Boia fu contento. Aveva avuto modo di conoscere la
ragazza dei suoi sogni e domani sarebbe ritornata. Fischiettò tutto
il giorno mentre lavorava, dimenticandosi completamente dell’aereo
..e quale fu il suo stupore quando nel tardo pomeriggio, gli passò
davanti vide che non era rimasto nient’altro che un patetico
groviglio di sottili strisce di ferro che sembravano essersi sciolte
al sole. Lo guardò allibito e pensò d’essere ammattito, ma lo
stupore ebbe la meglio e senza dire nient’altro che “C’at
venia….” Tirò dritto pensando che era meglio mettere un po’ di
tempo di mezzo tra la realtà e quello che aveva immaginato.
Così
un po’ rinfrancato preferì entrare in ufficio dove c’era l’aria
condizionata, convinto di aver preso un'insolazione e si mise a fare
i conti della giornata, che lo rimisero di buon umore. Quando si
accorse che era ora di andare a cena, era completamente sicuro del
fatto suo e convinto di aver avuto un colpo di sole per cui si avviò
tranquillamente verso l’uscita.
Sapeva
di dover passare davanti all’aeroplano prima di uscire ma si avviò
serenamente verso quell’incontro, ormai rassicurato dal fatto che
il sole aveva picchiato veramente troppo quel giorno e gli aveva
annebbiato le idee a tal punto da fargli prendere lucciole per
lanterne.
Però
già da lontano gli sembrò di non scorgere più la figura imponente
dell’aereo, ma si disse che forse Boietto l’aveva spostato perché
non ingombrasse il passaggio, ma quando arrivò a due passi da dove
doveva essere l’aeroplano, si fermò interdetto a guardare una
miserevole pozzanghera stesa davanti ai suoi piedi. L’aereo si era
come liquefatto, sembrava un disegno fatto sull’asfalto catramoso
del piazzale.
“C’at
venia….ma l’è mica posibile! Ma io sogno o so advanté embesill
!?”
“Ma
l’è la stessa roba che ho detto io” rispose con un filo di voce
Boia d’n Mond Ladeer
Fu
così che Boia d’Bastird si rese conto che la sua amata aveva uno
strano potere: quello di sciogliere il ferro e di cambiarlo in
qualche altra cosa.
Ci
pensò su un po’ e poi si rispose forte: “A vodrà dir che non
metterà piede qua dentro. Io però .. non rinuncio ad Artemisinina.
Si farà una casa dove non ci sarà neanche un filo di ferro …e
poi, boia, non si vedrà neanche una zanzara in giro e sì che a me
mi pizzicano…..quindi dov’è il problema?” e si addormentò del
sonno dei giusti.
Fu i
giorno dopo che il mondo ebbe una brusca svolta. Già nella nottata
la notizia era corsa sul web e la mattina tutti i giornali la
strombazzarono a caratteri cubitali.
Una
minaccia terribile incombeva sul mondo intero. Qualcuno stava per
impossessarsene, quasi senza colpo ferire, anche perché pareva che
le difese attuate fino a quel momento non avessero dato che blandi
risultati. Si parlava di una misteriosa persona della quale il volto
era sconosciuto un po’ perché coperto costantemente da una
maschera come quella di Dart Fener, un po’ perché, meraviglie
delle meraviglie, era un mutante che come l’araba fenice, fino a
quel momento era riuscito sempre a risorgere dalle proprie ceneri.
Anche lui pareva avesse origini antichissime e nessuno sapeva dire
con precisione da dove venisse, la cosa che comunque era ormai nota
era che stava impossessandosi del mondo intero, del quale era
riuscito a colpire ormai i punti nevralgici preposti al comando di
quella meravigliosa macchina che era il mondo.
Nei
giornali veniva ossequiosamente chiamato Sir Cancer, Cancelliere di
ferro, per quella sua smania di accumulare ferro, sempre più ferro,
di cui aveva bisogno per la sua sopravvivenza e per la sua espansione
nel mondo.
Per
un momento Boia d’Bastird quasi lo ammirò. Lui riusciva a capire
cosa volesse dire avere dentro di sé la bramosia del ferro e si
ricordava di tutto quello che aveva fatto per averne sempre di più,
anche cercando di sottrarlo di nascosto a chi ne aveva una scorta.
Ma
insomma! Un conto era volere vedere intorno a sé montagne di
ferro,un conto era volersi impossessare del mondo intero e
distruggerlo. E poi chi era questo Sir Cancer dei suoi stivali? Non
proprio uno sconosciuto, perché si ricordava di averlo sentito
nominare con nomi meno altisonanti già altre volte. La prima volta
l’aveva sentito dire a Peppone che rivolendosi al suo eterno
nemicoamico don Camillo gli aveva detto affettuosamente: “C’at
venia en cancher!” Poi l’aveva sentito spesso in bocca agli
intellettuali toscani che lo usavano in segno dispregiativo verso
quelli che consideravano insulsi e fastidiosi. Quando dicevano a
qualcuno ‘quel canchero là’ quello era un qualcuno finito.
Possibile
che improvvisamente il suo potere fosse talmente ingigantito da
ribaltare completamente la situazione fino a divenire Sir Cancer
Cancelliere di ferro?
Di
Boia tutto si poteva dire tranne che fosse un pusillanime e dentro di
sé sentì subito nascere quel fuoco che conoscono solo gli antichi
cavalieri e i paladini. Sapeva che voleva fare qualcosa per aiutare
il mondo dentro il quale poi c’era anche lui e non era una cosa di
scarsa importanza, per cui senza porre il minimo indugio chiamò Boia
d’n Mond Ladeer e gli disse:
“pensa
tu qui che me am veg a ciacolare co e mi bab!”.
Il
babbo di Boia non era proprio un tipo comune e del resto nessuno si
sarebbe aspettato altro. Non era neanche un tipo di molte parole
Infatti lasciò parlare Boia non dando neanche l’impressione di
seguire il suo discorso più di tanto. L’unica cosa che faceva
capire la sua concentrazione era la grande mano che si infilava
delicatamente nei capelli, staccando le leggere crosticine di forfora
che da sempre vi si accumulavano . Boia d’n Bastird conosceva
questi rituali e quando vide che il suo babbo, accavallata una gamba,
cominciava con l’altra mano a ispezionare le dita del piede a una a
una, fermandosi sovente sull’unghia del lunghissimo alluce e
cercando di spezzettarla in minutissimi frammenti, allora seppe che
l’acme della concentrazione era stato raggiunto e reputò giusto
interrompere qualsiasi altra spiegazione, sapendo in cuor suo che i
neuroni del suo machiavellico genitore erano tutti in ebollizione.
Passarono
così due ore nelle quali Boia si ingozzò di noccioline salate
mentre aspettava che suo padre si risvegliasse dal trance nel quale
sembrava essere precipitato portandosi dietro un chilo di forfora e
una quantità industriale di prodotto corneo.
Poi
alla fine si riscosse, guardò quel prodotto dei suoi sforzi che era
suo figlio e con molta calma disse:
“L’anello
debole della catena è il ferro”.
Boia
d’Bastird sgranò gli occhi e pensò che il suo augusto genitore
avesse preso una tramvata, ma si accorse subito che invece così non
era perché suo padre mettendosi tutte e due le mani in testa, cosa
che accadeva solo nei momenti di massima importanza continuò a dire:
“Sì!!
Sono sicuro, anzi sicurissimo che l’anello debole è il ferro.
Avevo già cominciato a studiare su questo caso appena la notizia si
è diffusa sul web e io credo che questo Sir Coso o come cavolo lo
chiamano, si debba combattere con le sue stesse armi. Vuole ferro? Ha
bisogno di ferro? Vuole il ferro di tutto il mondo? Benissimo! E noi
glielo daremo!....Basta trovare il modo…Ascolta Boia, hai mai
sentito parlare di quel partito che è nato pochi anni orsono proprio
in relazione di questo Sir Cancer? Noo?! Si sono chiamati radicali e
inseguono un sogno di libertà e proprio andando dietro questo sogno
da poco tempo si sono costituiti come ‘Partito dei Radicali
Liberi’….. Bene io invece sì e mi chiedevo cosa volessero questi
quattro gatti che vanno a manifestare nelle piazze, si fanno legare,
digiunano pur di sottrarsi alla schiavitù del potere……ti dice
niente tutto questo?”
“No,
francamente an so mica nient di sti Radicali”
“Allora
ascoltami figliolo! Io credo che tu possa fare un lavoro
importantissimo per l’umanità. Tu hai tanto ferro, talmente tanto
ferro che potrebbe essere l’arma giusta per sconfiggere questo
canchero dei miei stivali. Bisogna trovare il modo per cui tu possa
passare la frontiera della fortezza dove attualmente si è arroccato
questo signore….e poi bisogna che tu glielo regali”
“Mo
non sce ne parla nemmeno! Io che do via il mio ferro! Ma per chi mi
hai preso..per un imbesill?” si ribellò Boia d’n Bastird
“Non
ti scaldare figliolo e cerca di ragionare perché la testa te l’ho
fatta per quello!...Diciamo che è…solo un prestito, che poi ti
tornerà indietro. Ma quando Cancer avrà tutto il tuo ferro sarà
come se avesse preso una solenne indigestione, si agiterà, farà
cose assurde e ciò provocherà lo scontento di questi signori
Radicali che diventeranno talmente tanti da trovare il coraggio di
dargli addosso e di sottrargli ciò che anche a loro è dovuto….c’è
un grosso rischio però”
“E
sarebbe? “ chiese Boia che non riusciva a riaversi dalla sorpresa
dell’intelligenza de su bab.
“Che
il Partito dei Radicali Liberi diventi tanto forte e potente da
dettare egemonia nel mondo fino a portarlo a sua volta alla
distruzione”
“E
allora che si deve fare?” Boia ora era veramente incuriosito
“Bisogna
intervenire quando l’esercito dei Radicali non è ancora arrivato
alla metà del suo lavoro e mandare in incognito qualcuno che cominci
ad agire per conto suo sul ferro di Cancer, che non se ne accorgerà,
impegnato come sarà a difendersi dagli insorti…….solo che non
riesco a trovare chi possa fare questa operazione” E ricominciò a
pensare
“
Mo lo so io chi è che la può fare!” e Boia fece un gran sorriso
“E
chi sarebbe?”
“Ma
Artemisinina naturalmente! In dieci minuti mi ha fatto fuori un
aeroplano!” e in quattro balletti spiegò tutta la situazione e a
piani fatti mancava solo il titolo da dare all’operazione.
Come
si chiamerà?” domandò Boia d’n Bastird
“Si
chiamerà Il Signore dell’Anello, perché tu sei l’unico che può
neutralizzare l’anello debole di quella catena”.
E
che l’operazione riuscì si evince dal fatto che in ogni parte del
mondo ‘IL Signore dell’Anello' è conosciuto anche se molte volte viene confuso con quello che poi diventò
‘Il Signore degli Anelli’.
Nessun commento:
Posta un commento