mercoledì 9 gennaio 2013

l'uccelletto di Trilussa

Ieri, da una certa ora in poi la mia giornata è diventata NO. Un motivo vero e proprio non c'era, erano più che altro  sensazioni negative che mi attraversavano la testa a raffica a darmi uno stato d'animo triste e insoddisfatto, ma anche se era così, non era bello per niente. Sono andata a fare una passeggiata, ma al mio ritorno ero esattamente come quando sono uscita, anzi....forse un tantino più dark Mi sono messa a leggere, ma non sono riuscita a concentrarmi e ho desistito quasi subito. Intanto la brutta sensazione continuava e mi rendeva buia, scontrosa, pronta  a prendermela col mondo intero,che in quel momento era costituito da Ugo il mio gatto. Invece ho deciso di mettermelo sulle ginocchia, gatto o mondo che fosse, e ho cominciato a rileggere alcuni post sul blog, compreso quello che avevo scritto proprio la mattina stessa. Quando mi sono ritrovata davanti alla parola Ifigonia, sono rimasta non dico allibita, ma stupita sì ecco!Il fatto è che il più delle volte , scrivendo di getto, non rileggo neanche ciò che ho scritto, e infatti molti errori li correggo giorni dopo, quando vado a riguardare i miei post con la curiosità del novizio che scopre se stesso......e insomma non  mi ricordavo neanche di aver fatto un riferimento alla goliardia.......ma è proprio quel riferimento che ha salvato la mia serata. Infatti mi sono subito incuriosita e sono andata a ricercare le famigerate poesie goliardiche, e una volta trovatele, mi sono messa a rileggerle, prima con un approccio distaccato, poi con un coinvolgimento sempre maggiore, mentre sentivo che qualcosa si stava agitando dentro di me e alla fine è esploso in una bella, sana, liberatoria risata, alla quale ne sono seguite altre e altre ancora, mentre sentivo che dentro di me la tensione si scioglieva magicamente e io stavo nuovamente bene con me stessa. 
E' stato a quel punto che mi sono domandata con uno stupore che mi ha meravigliato: "Ma da quanto tempo era che non ridevo più così?" E non mi sono saputa rispondere, semplicemente perché non sono riuscita a ritrovare quel tempo. E subito mi sono detta che ciò, oltre a non essere giusto, non è neanche sano. Va bene avere pensieri seri, va bene cercare di imparare sempre qualcosa di nuovo dalla vita, va bene filosofeggiare, va bene preoccuparsi della situazione economica, va bene pensare con apprensione al domani, va bene scrivere poesie, che nascono in genere da momenti tristi .....ma tanto quelle sono tutte cose che vengono da sé, anche se non si vorrebbero e allora forse non dobbiamo a noi stessi qualcosa di più? Perché va bene, anzi benissimo cercare di tornare non a sorridere, ma a ridere e a ridere di gusto, proprio come ho fatto io ierisera, ce lo dobbiamo proprio, perché una sana risata allontana le nubi, anche se non risolve i problemi, ci rende più forti e nuovamente pronti ad affrontare la lotta di tutti i giorni con la vita.
 E poi  in un attimo, miracolo della risata, sono tornata ragazza in un ricordo bellissimo, quando arrivando improvvisamente in ufficio a trovare mio padre, lo vidi davanti alla macchina da scrivere, che scriveva e rideva in sordina, con una risata irrefrenabile che non riuscì a soffocare neanche quando si accorse di me.
"Che scrivi?"gli domandai incuriosita "Niente che ti riguarda!" mi rispose lui, ma io fui più veloce della sua mano che si allungava per togliere il foglio dalla macchina da scrivere e lessi le prime strofe del 'Processo di Sculacciabuchi', del quale non conoscevo assolutamente l'esistenza. Io avevo appena preso un brillante diploma in dattilografia, per cui guardai mio padre e gli dissi temerariamente: "Te lo batto tutto io se te me ne dai una copia!" Lui mi guardò e penso che in cuor suo decise che ero abbastanza grande per farmi due risate su  quelle letture (avevo ventun anni) "Affare fatto!" mi rispose.
Oggi, per questo mio ritrovato senso di appartenenza alla vecchia goliardia, non posso fare a meno di inserire qualcosa nel mio blog e ho pensato alla poesia di Trilussa. E' troppo bellina e fatta con arte sopraffina e delicata.





Era d'Agosto e il povero uccelletto
Ferito dallo sparo di un moschetto
Andò per riparare l'ala offesa,
a finire all'interno di una chiesa.

Dalla tendina del confessionale
Il parroco intravvide l'animale
Mentre i fedeli stavano a sedere
Recitando sommessi le preghiere.

Una donna che vide l'uccelletto
Lo prese e se lo mise dentro il petto.
Ad un tratto si sentì un pigolio
Pio pio, pio pio, pio pio.

Qualcuno rise a sto cantar d'uccelli
E il parroco, seccato urlò: "Fratelli!
Chi ha l'uccello mi faccia il favore
Di lasciare la casa del Signore!"

I maschi un po' sorpresi a tal parole
Lenti e perplessi alzarono le suole,
ma il parroco lasciò il confessionale
e: "Fermi - disse - mi sono espresso male!

Tornate indietro e statemi a sentire,
solo chi ha preso l'uccello deve uscire!"
a testa bassa e la corona in mano,
le donne tutte usciron pian piano.

Ma mentre andavan fuori gridò il prete:
"Ma dove andate, stolte che voi siete!
Restate qui, che ognuno ascolti e sieda,
io mi rivolgo a chi l'ha preso in chiesa!"

Ubbidienti in quello stesso istante
le monache si alzarono tutte quante
e con il volto invaso dal rossore
lasciarono la casa del Signore.

"Per tutti i santi - gridò il prete -
sorelle rientrate e state quiete.
Convien finire, fratelli peccatori,
l'equivoco e la serie degli errori:
esca solo chi è così villano
da stare in chiesa con l'uccello in mano.

Ben celata in un angolo appartato
Una ragazza col suo fidanzato,
in una cappelletta laterale,
ci mancò poco si sentisse male

e con il volto di un pallore smorto
disse: "Che ti dicevo? Se n'è accorto!" 
 

1 commento: