lunedì 10 marzo 2014

Tra le righe

"Il mio pensiero corre al mio trisavolo, per me quasi un illustre sconosciuto. L’ho sentito nominare qualche volta, ma di lui so pochissimo. Mio padre parlava qualche volta di quel bisnonno che amava tantissimo la pittura, i cani, le lunghe passeggiate, la pipa e la musica. Diceva che era uno tra gli ultimi rappresentanti di quei signorotti di campagna che vivevano di rendita e finivano poi per mangiarsi tutto il capitale inseguendo i sogni di una vita che stava trasformandosi. Penso che alla fine successe proprio così, perché non ho mai avuto ricordo che la mia famiglia abbia passato periodi di benessere e ricchezza e l’unica cosa che ci è rimasta di allora è proprio la casa in campagna, che è a metà tra una villa e una casa padronale, circondata da un grande parco che sicuramente ha visto tempi molto migliori. Le poche fotografie che sono rimaste di lui, lo vedono vestito come un gentiluomo, in posa con cappello bastone e guanti, un paio di baffetti e due occhi sognatori, che pare io abbia ereditato da lui, almeno da quanto mi è sempre stato detto"
Tratto da : Una moglie per Dedo 




E' proprio vero che quando si scrive, lasciamo molto del nostro vissuto tra le righe.
Riguardando questo breve pezzo preso da "Una moglie per Dedo", mi sto accorgendo di aver presentato la mia famiglia, anche se sicuramente in termini più enfatizzati. I miei nonni non erano proprio signorotti, ma comunque per quei tempi sicuramente persone agiate, e la casa pur essendo una grande casa non è propriamente una villa, ma una casa padronale senz'altro, e il parco non è veramente un grande parco, ma ci sono cinque tigli meravigliosi e ormai secolari.
Anche a me la casa è l'unica cosa che  è rimasta e oggi è più che altro una fonte di guai e di preoccupazioni, dalle quali non riesco a distaccarmi.
Chissà da dove viene questo attacamento per una casa nella quale sono stata solo poche volte. Non riesco a spiegarmelo se non con l'affetto che ho sempre provato verso mio padre e i suoi racconti di vita vissuta.

Mi ha sempre detto che quando, finita la guerra, tornò al suo paese un pò a piedi, un pò con mezzi di fortuna,  dalla Germania, dove era stato internato in un campo di concentramento per quasi tre anni,e dopo aver temuto il non ritorno, quando per qualche mese fu internato a Dacau,  la molla che lo sostenne in tutto quel tempo fu l'immagine della sua casa. Quando finalmente arrivò a Marradi e si rese conto che tutto era stato distrutto, temette di non trovare neanche più casa sua e invece, dopo aver girato l'angolo dopo il ponte sul fiume si accorse che era ancora in piedi........... "Allora mi nacosi dietro un muro crollato e ....piansi!" Queste parole sono restate per sempre dentro di me e forse il mio affetto per quella casa deriva da quelle lacrime.

No so! Ma so che ho sempre accettato tutto della mia vita, anche le cose che non riesco a comprendere, ma sento fortemente che sono parte di me......anzi! Soprattutto quelle.

 
 

Nessun commento:

Posta un commento