mercoledì 7 agosto 2013

ancora compleanno

Ed eccomi nuovamente a un compleanno! Infatti  nella calura della canicola di  agosto e nel segno del Leone è nata proprio in questo giorno di trent'anni fa mia figlia.

In effetti io, novembrina, sono madre di tre figli estivi, venuti al mondo quando la terra è nel suo massimo splendore e nei miei ricordi questa cosa è molto bella........questa luce che filtra dalle persiane tenute accostate per fare penombra e dare sollievo alla mia fatica, mi ha sempre accompagnato in ogni nascita dei miei figlioli, ma anche quei profumi che solo l'estate ci da e che giungono improvvisi e inaspettati anche nelle stanze di un ospedale...........................





P.   nacque il sette di agosto, una calda domenica piena di sole e di colori. Avevo affrontato questa gravidanza con la consapevolezza e la maturità dei miei trentaquattro anni e con altrettanta serenità andai ad affrontare il parto, scegliendo la strada più lunga per arrivare all’ospedale, perché almeno avrei avuto la possibilità di vedere le aiuole fiorite, passando per Chianciano. P. ha rischiato così di nascere per la strada, perché una volta giunti all’ospedale ci ha messo solo tredici minuti per venire al mondo, ma sono stati tredici minuti di un’intensità tale che li ricorderò per tutta la vita. Finalmente avevo una bambina da vezzeggiare, da adornare di pizzi e fiocchi, cosa che lei mi ha consentito di fare fino a che non è stata in grado di parlare, cioè per poco tempo, dopo di che mi fece capire in maniera insindacabile che fiocchi e pizzi me li potevo mettere io, lei voleva i pantaloni, che le bambole potevo anche buttarle dalla finestra, lei voleva le costruzioni e le micromachines. Ah! Come la capivo! Essendo stata come lei mi affrettai a sostituire vestitini con tutine e finalmente mia figlia cominciò a ridere di gusto e a divertirsi. Non le mancava l’intraprendenza e una volta che volevo aiutarla dandole la mano per camminare in un terreno scosceso, lei la rifiutò con un gesto deciso.
“P guarda che cadi – le dissi per incoraggiarla a ridarmi la mano che ostinatamente si era infilata in tasca
“No!” e continuò a camminare
“Sei sicura?” la canzonai
Allora si voltò verso di me e con fare decisamente sornione e birichino alzando le spalle mi rispose
“Cuia cuia no! (sicura sicura no!)” e le brillarono gli occhi di birbanteria
Da allora è sempre stata così, per lo meno apparentemente. Forte, sicura di sé, menefreghista.
L’ arrivo di una sorellina portò gioia a tutti. Io mi sentivo completa come madre, un po’ meno come moglie, ma se guardavo a me come donna, come persona, allora decisamente era tutto uno sfacelo. Le mie giornate passavano tutte tra pannolini, giocattoli, quaderni di scuola e le varie attività che cominciava ad avere il mio figlio più grande. L’unico momento che avevo per me era la sera quando andavo a letto e leggevo, leggevo, e allora con la fantasia correvo lontano e diventavo le eroine dei miei libri, donne volitive che avevano saputo fare qualcosa nella vita, alla stregua degli uomini. Quando battezzai P., volli che il suo secondo nome fosse Rossella, la protagonista di “Via col vento”.
“Ti rendi conto che vuoi dare a tua figlia il nome di una donnaccia?” mi dicevamio marito
“Rossella non è una donnaccia, è una donna che è riuscita a non arrendersi!” ribattevo io
“Edificante, davvero edificante” mi rispondeva lui guardandomi come se fossi una demente
“E’ una questione di opinione! Tu hai scelto il nome di tutti i nostri figli, ma il secondo nome di mia figlia perbacco lo scelgo io”.
E quando il Prete mi domandò che nomi volevo dare a mia figlia risposi senza esitazione:”P., Rossella, Domenica”. Era nata di domenica come me, e speravo che fosse più fortunata di me, più decisa di me, più tutto di me.
L’arrivo di mia figlia mi portò tanta gioia e mi fece accettare la mia vita solitaria con più coraggio. La piccola mangiava, dormiva e cresceva con una tale gioia addosso che era un piacere guardarla. Fu all’incirca quando aveva undici mesi che ebbi uno degli spaventi più grossi della mia vita. Scorrazzava per casa con il girello e io facevo le faccende. Mio marito che era tornato la sera prima, aveva deciso di portare dal tecnico la televisione che non funzionava più. Mi salutò e uscì. Fu a quel punto che un presentimento, un sesto senso acuito dal silenzio che improvvisamente mi aveva avvolto mi mise in allarme. Lasciai tutto quello che stavo facendo e corsi in salotto, ma a metà strada mi fermai perché la porta di ingresso che dava sulle scale era spalancata. “Dio mio, no!” ebbi appena il tempo di gridare, ma P stava già ruzzolando tutti gli scalini, venti per l’esattezza. Senza pensarci mi tuffai dietro di lei sperando di poter fermare quel capitombolo rovinoso, ma non riuscii a fare niente di più che del male a me stessa. Quando andai a riprendere mia figlia in fondo alle scale, pensai che fosse morta, poi un pianto provvidenziale, mi rassicurò almeno su quello. Una corsa disperata in ambulanza fino all’ospedale pediatrico di Siena e lì consumai una delle due notti più terribili della mia vita. P.aveva riportato un trauma cranico e doveva rimanere in osservazione quarantotto ore. Ottenni di passare la notte con lei. Gentilmente mi offrirono una poltrona sdraio, dicendomi di mettermi in disparte per non intralciare il lavoro dell’infermiera che avrebbe fatto il turno di notte. Così mi sistemai in un angolino, che, dopo che ebbero spento le luci, lasciando solo quella blu notturna, mi mimetizzava quasi completamente. A un certo punto della notte entrarono due infermiere! La prima faceva il resoconto della giornata all’altra e passava le consegne. A un certo punto una frase mi colpì: “Oggi è arrivata una bambina che è caduta per le scale. Stacci molto attenta perché penso che sia piuttosto grave”. Rimasi impietrita al mio posto, senza riuscire a farmi avanti e chiedere una spiegazione. La disperazione si era impadronita di me e provai un dolore così lancinante, come mai avevo provato. Passai così diverso tempo, con le lacrime che mi scendevano dagli occhi, silenziose, brucianti, inesauribili. Poi qualcosa attirò il mio sguardo e lo catturò. Era l’immagine di una Madonnina, e a quell’immagine mi aggrappai con tutte le mie forze. “Madre santissima, aiuta la mia bambina, aiutala a vivere. Aiutami per piacere, non lasciarmi sola in questo momento”: Mi rasserenai e mi fidai ciecamente dell’aiuto della Madonna. Avevo affidato mia figlia a lei e ero più tranquilla. Il giorno dopo i medici sciolsero la prognosi e una volta riportata a casa mia figlia corsi a s. Agnese e feci accendere un cero alto come un grattacielo.
da -  Fiore di Cappero




















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