Stamani mi sono svegliata con la voglia di scrivere questo raccontino. Già nel dormiveglia mattutino, la scena si presentava nitida dietro i miei occhi insonnoliti e forse quest'immagine dell'albero non è altro che una trasposizione di me stessa che ho fatto a livello inconscio. Boh!
Era nato lì, su quel bel poggio che tutti gli invidiavano. E con ragione. Era quello infatti un luogo ideale, unico, dal quale lo sguardo poteva girare a trecentosessanta gradi, per posarsi solo su cose belle. Questo era il motivo per cui tutti dissero che era fortunato e questa parola gli si appiccicò addosso durante tutti gli anni che seguirono. Lui era un albero fortunato.
Da un certo punto di vista era vero, come era vero che da lì godeva un'ottima vista, e che non era stato costretto a stare in fila come gli alberi dei viali, o pressato come quelli dei vivai , o tagliato come quelli dei boschi. Lui non aveva corso questo rischio, perché era diventato parte del paesaggio, qualcosa da proteggere per la sua bellezza. O almeno aveva creduto così per tanto tempo, fino al giorno in cui il vento gli aveva portato voci di uomini e queste voci dicevano senza pietà che il bellissimo poggio era una terra inutile, perché non ci nasceva niente di buono, in quanto l'acqua piovana inspiegabilmente defluiva subito a valle dove c'era il fiume e quindi era inutilizzabile per qualsiasi piantagione. Non riuscivano a spiegarsi, aggiungevano quelle voci, come quel grande albero avesse fatto a diventare così grande.
Ma lui se lo spiegava benissimo e ora improvvisamente capiva che tutta la fatica che aveva fatto per mandare sempre più in profondità le sue radici, era stato un impegno titanico, per quanto inconsapevole, perché nessuno gli aveva mai detto che in altre terre fertili è molto più semplice la sopravvivenza. Ci pensò sopra un attimo e poi scosse la chioma. Ormai la fatica era stata fatta e lui era diventato quello che era e in più aveva anche il privilegio di non essere disturbato da nessuno. Era felice? Non lo sapeva. Aveva passato il suo tempo per cercare di diventare ciò che era e non si era soffermato su altre cose che nel frattempo accadevano intorno a lui e tra i suoi rami. Decise che ciò gli bastava.
Fino al giorno del grande fulmine.
Arrivò così, all'improvviso, in un giorno qualsiasi della sua vita e gli entrò dentro, scaricando su di lui tutta la sua rabbia, la sua feroce aggressività, assolvendo il compito per cui era nato, prima di dissolversi nel nulla. Non arrivò a completare la sua missione completamente, e anche se le solite voci dissero che era stato un albero fortunato, in quanto si era seccato solo a metà, lui non si sentì fortunato per niente e quella fu la prima volta che fu veramente infelice. Non conosceva la felicità, ma l'infelicità la conobbe bene e per tanto tempo.
Tutto gli sembrò improvvisamente strano intorno a lui. Non riusciva a godere neanche del bel panorama di cui si era beato fino ad allora. Gli sembrò che la sua vita fosse diventata inutile e che di lui non fosse rimasto nient'altro che un inutile moncone che non poteva dare più niente, neanche quella bellezza che per anni e anni aveva distribuito con l'indifferenza di chi nel frattempo sta facendo altre cose. Il vento portava ancora le voci che salivano dal fiume e queste voci dicevano che probabilmente il grande albero sarebbe stato tagliato. Lui le ascoltava senza interesse. Non gli importava se la sua vita sarebbe finita, tagliata da una motosega.
I giorni passarono, venne l'inverno e poi passò e giunse la primavera. Un giorno l'albero fortunato sentì un pigolio tra le fronde che gli erano rimaste e che si erano già riempite di foglie e seppe di avere tra i suoi rami un grande nido di uccelli. Non sapeva che uccelli fossero, ma non gli importava. Però tutte le mattine si metteva in ascolto del pigolio che si svegliava con il sole e la sera cominciò a pensare che le sue grandi fronde, proteggevano il riposo dei suoi piccoli. I suoi piccoli? Ma che diceva? Era forse impazzito? Però da quel giorno cominciò a lavorare di nuovo con le sue radici, per imprimere loro più forza per andare più in fondo nella terra, dove si trovava l'humus della vita. Aveva bisogno che le sue foglie fossero grandi e fresche e garantissero l'ombra che richiedeva l'estate che stava avanzando. Ogni giorno si sentiva sempre più forte e il duro lavoro che l'attendeva non gli pesava più, perché aveva trovato un motivo per renderlo leggero. Aveva scoperto l'amore disinteressato, quello che da senza chiedere niente e anche se lui non sapeva di aver fatto questa scoperta, il risultato si vide ben presto, perché le sue foglie diventarono grandi, verdissime, lucide e fresche E' vero, c'era anche la parte di lui che ormai sarebbe stata inesorabilmente secca e il grande albero capì che non sarebbe stato mai più lo stesso, ma che importava ormai? Il passato era passato e lui era nuovamente proiettato verso la vita e forse per la prima volta riusciva veramente a capire cosa voleva dire vivere!
Giunsero nuovamente le voci dalla valle. Erano voci stupite che dicevano che il grande albero non sarebbe stato più tagliato, non perché fosse diventato più bello, ma perché tra le sue fronde si era annidiata una specie protetta di uccelli molto rari e in via di estinzione. E csì seppe che anche lui aveva contribuito a quella sopravvivenza..............
E per la prima volta l'albero fortunato seppe che cos'era la felicità.
"Questa parte della mia vita, questa piccola parte della mia vita si può chiamare Felicità!"
(frase tratta dal film La ricerca della felicità, diretto da Gabriele Muccino e interpretto da Will Smith)
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