domenica 9 dicembre 2012

Il Natale del '96


Ricordo che quando scrissi questo racconto, per un attimo fu come se anch'io fossi un personaggio che  vicino a quella chiesina in campagna, a due passi dal mio paese, era muto testimone di un evento prodigioso. Ricordo che mentre scrivevo sentivo il silenzio della neve che cadeva leggera, mentre un senso di pace scendeva dentro di me lasciandomi un'emozione piccola, benefica, gradita, .....un bellissimo regalo gunto al momento giusto.....un regalo che parlava di speranza..........................



 


Eravamo di nuovo a Natale. Si vedeva già nelle strade piene di luci e di stelle comete, si vedeva nelle vetrine dei negozi, addobbati di rosso per l’occasione e pieni di attrattive che avrebbero solleticato la fantasia di tutti gli avventori. Si vedeva nelle case che cominciavano ad agghindarsi di alberelli luccicanti e di candele dalle più svariate fogge, e di Babbi Natale dai visi buoni e paciocconi. Si vedeva anche nelle chiese nelle quali erano stati allestiti i presepi più particolari, da quelli tradizionali a quelli avveniristici, ma tutti ugualmente tecnologici, belli e scintillanti. Tutti insomma si preparavano ogni giorno un po’ di più a festeggiare con impegno questa solenne festività. La gente si scambiava auguri e domande: Dove vai tu per il cenone di Natale?” oppure “Il pranzo di Natale lo fate al ristorante o partite subito per la montagna?”. “E tu cara cosa regali quest’anno a tuo figlio?” Un motorino?! Ma che brava! Io sono sempre stata per i regali utili!” Se poi chiedevi a qualsiasi bambino chi arrivava a Natale, invariabilmente ti sentivi rispondere: “Ma come non lo sai? Arriva Babbo Natale”.
E Gesù chi se lo ricordava più?Era venuto tanto tempo prima a salvare l’umanità? Bene! Ora l’umanità non aveva più bisogno di lui! C’era tutto quello che poteva servire. Lavoro, quel tanto che basta per fare la settimana bianca e quindici giorni al mare, pelliccia di visone, auto di media cilindrata, discoteca e tutto il resto.
Fu così che quando arrivò la mezzanotte del ventiquattro dicembre, non c’era proprio nessuno ad aspettarlo. E’ vero che in tutti quegli anni l’indifferenza della gente era sempre aumentata, ma c’era sempre stato qualcuno ad attenderlo con amore e con gioia.
Ogni volta, nascendo sperava di trovare l’uomo migliore e invece c’era sempre qualcosa di nuovo da redimere.
Quest’anno i bimbi nati e abbandonati nella spazzatura, vicino ai cassonetti, o ai margini di una strada erano stati veramente tanti, veramente troppi. E proprio per questo lui era dovuto nascere in un cassonetto della spazzatura, ed ora era lì, gemente e tremante dal freddo, chiedendosi dove erano i pastori, dove le pecore, dove la stalla umile ma calda che l’aveva accolto duemila anni prima. Neanche il bue e l’asinello che l’avevano scaldato con il loro fiato, erano più lì. Non c’era nessuno. Tutti si erano dimenticati di lui.

Faceva veramente freddo e i due barboni avanzavano con passo pesante, tenendosi stretti i laceri vestiti. Avevano freddo è vero, ma avevano anche fame e l’unica cosa rimasta era un tozzo di pane che avevano racimolato quella mattina. Lei era sfinita e non si reggeva più in piedi. Lui non diceva niente ma lo sconforto gli si leggeva negli occhi che guardavano un mondo lontano.
Non era sempre stato così. Si ricordava di una casa calda e accogliente piena di calore, e di ricordi. Rivedeva l’albero di Natale che tutti gli anni preparavano lui, Marika e il piccolo Emanuel, appendendo ai verdi rami, palle scintillanti, graziosi uccellini, e leggiadri angioletti. Ognuno di questi oggetti aveva una piccola storia, semplice, ma così piena di poesia. Ricordi; ricordi, ….e un pugno di cenere da stringere in mano! E la stringeva veramente in mano la cenere della sua casa, la cenere della sua vita,e di quella della sua donna.
Tutto era terminato così….in pochi minuti; il loro piccolo bimbo che ignaro dormiva nel suo candido lettino, la loro casa costruita con amore e speranza, la loro vita! Tutto offerto in olocausto a quell’unica terribile parola: guerra. Un attimo! Un rombo assordante e tutto era finito.
Ora erano lì con il vuoto dentro l’anima, davanti a un cassonetto della spazzatura, sperando di trovare qualcosa per fermare i crampi della loro fame e nello stesso tempo incuranti di trovarlo, per poter giungere alla fine di quel calvario. L’aria era diventata ancora più pungente e il cielo intorno si era ricoperto di un velo bianco e diafano. Lei si strinse addosso il misero scialle, mentre un brivido la scuoteva tutta. “Hai freddo?” chiese lui e le si avvicinò per sfregarle le mani screpolate. Ma..fatto un passo si fermò interdetto. Aveva sentito qualcosa, lì vicino, qualcosa di simile a un lamento flebile. Poi più niente. “Sarà un gatto!”pensò, ma già mentre si diceva queste parole, qualcosa lo spingeva a chinarsi e a cercare in quel bidone, tra i rifiuti, muovendosi freneticamente, mentre il vagito si faceva sentire sempre di più, sempre di più e finalmente dirompeva nel pianto di ogni uomo che viene al mondo.
“Marika! Marika! Vieni qui….presto! C’è un bambino! Aiutami per piacere”
Ed eccolo lì, roseo batuffolo nudo, intirizzito dal freddo, ma pronto a lottare per la vita. Non è ancora giunta la sua ora. Prima dovrà caricarsi di tutti i peccati del mondo!
“Presto dammelo!” incalza lei e improvvisamente incurante del freddo si toglie lo scialle e avvolte le piccole membra se lo stringe al cuore, cercando di riscaldarlo come meglio può.
“Bisogna cercare un riparo. Presto andiamo!” Lì intorno non c’è proprio niente se non un ponte e quella piccola chiesa laggiù, sola con se stessa e tutta buia.
“Proviamo ad andare là” dice Juspin e si avviano di buon passo senza nemmeno rendersi conto di non sentire più la stanchezza, di non sentire più la fame, ma qualcosa per cui lottare, per cui vivere.
La chiesina è proprio piccola e molto scalcinata, ma fortunatamente è provvista di una tettoia, sotto la quale trovano riparo.
Intanto è cominciato a nevicare e candide stelle scendono dal cielo e vengono a posarsi silenziosamente ai loro piedi. Si sono sistemati come meglio hanno potuto e Marik culla dolcemente il bambino cantandogli una ninna nanna mai dimenticata. Quante volte l’ha cantata per il suo piccolo! Il bimbo ha smesso di piangere e si è addormentato fiducioso tra quelle braccia accoglienti, ma Juspin non si sente tranquillo. Deve in qualche modo provvedere a quella vita che il destino gli ha mandato.
“Ma sì! Come ho fatto a non pensarci prima? Qualcuno la sentirà e verrà sicuramente”
La campana che è sul tettuccio della chiesa non è certo in condizioni ideali, ma suona, e ce la sta mettendo tutta, suona proprio a distesa e i suoi rintocchi si diffondono tra i fiocchi di neve che le svolazzano intorno.
Poi Juspin ritorna vicino a Marika e la cinge col proprio braccio, per dare maggior protezione a quel figlio appena ritrovato, e restano lì aspettando e dopo un po’ un rumore di passi, di voci smorzate e sorprese, fanno capire che sta arrivando qualcuno.
Sono uomini, donne, bambini e anche qualche cane. Qualcuno ha un lume in mano, qualcuno nella fretta è uscito in pantofole, ma sono lì, pastori di duemila anni dopo, sbigottiti e emozionati proprio come allora, nel guardare quel piccolo presepe vivente. Una stella intanto è uscita dalle nuvole, lucente, vivida, bianchissima. E finalmenteè Natale. Il Natale del ’96.




Nessun commento:

Posta un commento