Ricordo che quando scrissi questo racconto, per un attimo fu come se anch'io fossi un personaggio che vicino a quella chiesina in campagna, a due passi dal mio paese, era muto testimone di un evento prodigioso. Ricordo che mentre scrivevo sentivo il silenzio della neve che cadeva leggera, mentre un senso di pace scendeva dentro di me lasciandomi un'emozione piccola, benefica, gradita, .....un bellissimo regalo gunto al momento giusto.....un regalo che parlava di speranza..........................
Eravamo di nuovo a Natale.
Si vedeva già nelle strade piene di luci e di stelle comete, si
vedeva nelle vetrine dei negozi, addobbati di rosso per l’occasione
e pieni di attrattive che avrebbero solleticato la fantasia di tutti
gli avventori. Si vedeva nelle case che cominciavano ad agghindarsi
di alberelli luccicanti e di candele dalle più svariate fogge, e di
Babbi Natale dai visi buoni e paciocconi. Si vedeva anche nelle
chiese nelle quali erano stati allestiti i presepi più particolari,
da quelli tradizionali a quelli avveniristici, ma tutti ugualmente
tecnologici, belli e scintillanti. Tutti insomma si preparavano ogni
giorno un po’ di più a festeggiare con impegno questa solenne
festività. La gente si scambiava auguri e domande: Dove vai tu per
il cenone di Natale?” oppure “Il pranzo di Natale lo fate al
ristorante o partite subito per la montagna?”. “E tu cara cosa
regali quest’anno a tuo figlio?” Un motorino?! Ma che brava! Io
sono sempre stata per i regali utili!” Se poi chiedevi a qualsiasi
bambino chi arrivava a Natale, invariabilmente ti sentivi rispondere:
“Ma come non lo sai? Arriva Babbo Natale”.
E Gesù chi se lo ricordava
più?Era venuto tanto tempo prima a salvare l’umanità? Bene! Ora
l’umanità non aveva più bisogno di lui! C’era tutto quello che
poteva servire. Lavoro, quel tanto che basta per fare la settimana
bianca e quindici giorni al mare, pelliccia di visone, auto di media
cilindrata, discoteca e tutto il resto.
Fu così che quando arrivò
la mezzanotte del ventiquattro dicembre, non c’era proprio nessuno
ad aspettarlo. E’ vero che in tutti quegli anni l’indifferenza
della gente era sempre aumentata, ma c’era sempre stato qualcuno ad
attenderlo con amore e con gioia.
Ogni volta, nascendo sperava
di trovare l’uomo migliore e invece c’era sempre qualcosa di
nuovo da redimere.
Quest’anno i bimbi nati e
abbandonati nella spazzatura, vicino ai cassonetti, o ai margini di
una strada erano stati veramente tanti, veramente troppi. E proprio
per questo lui era dovuto nascere in un cassonetto della spazzatura,
ed ora era lì, gemente e tremante dal freddo, chiedendosi dove erano
i pastori, dove le pecore, dove la stalla umile ma calda che l’aveva
accolto duemila anni prima. Neanche il bue e l’asinello che
l’avevano scaldato con il loro fiato, erano più lì. Non c’era
nessuno. Tutti si erano dimenticati di lui.
Faceva veramente freddo e i
due barboni avanzavano con passo pesante, tenendosi stretti i laceri
vestiti. Avevano freddo è vero, ma avevano anche fame e l’unica
cosa rimasta era un tozzo di pane che avevano racimolato quella
mattina. Lei era sfinita e non si reggeva più in piedi. Lui non
diceva niente ma lo sconforto gli si leggeva negli occhi che
guardavano un mondo lontano.
Non era sempre stato così.
Si ricordava di una casa calda e accogliente piena di calore, e di
ricordi. Rivedeva l’albero di Natale che tutti gli anni preparavano
lui, Marika e il piccolo Emanuel, appendendo ai verdi rami, palle
scintillanti, graziosi uccellini, e leggiadri angioletti. Ognuno di
questi oggetti aveva una piccola storia, semplice, ma così piena di
poesia. Ricordi; ricordi, ….e un pugno di cenere da stringere in
mano! E la stringeva veramente in mano la cenere della sua casa, la
cenere della sua vita,e di quella della sua donna.
Tutto era terminato così….in
pochi minuti; il loro piccolo bimbo che ignaro dormiva nel suo
candido lettino, la loro casa costruita con amore e speranza, la loro
vita! Tutto offerto in olocausto a quell’unica terribile parola:
guerra. Un attimo! Un rombo assordante e tutto era finito.
Ora erano lì con il vuoto
dentro l’anima, davanti a un cassonetto della spazzatura, sperando
di trovare qualcosa per fermare i crampi della loro fame e nello
stesso tempo incuranti di trovarlo, per poter giungere alla fine di
quel calvario. L’aria era diventata ancora più pungente e il cielo
intorno si era ricoperto di un velo bianco e diafano. Lei si strinse
addosso il misero scialle, mentre un brivido la scuoteva tutta. “Hai
freddo?” chiese lui e le si avvicinò per sfregarle le mani
screpolate. Ma..fatto un passo si fermò interdetto. Aveva sentito
qualcosa, lì vicino, qualcosa di simile a un lamento flebile. Poi
più niente. “Sarà un gatto!”pensò, ma già mentre si diceva
queste parole, qualcosa lo spingeva a chinarsi e a cercare in quel
bidone, tra i rifiuti, muovendosi freneticamente, mentre il vagito si
faceva sentire sempre di più, sempre di più e finalmente dirompeva
nel pianto di ogni uomo che viene al mondo.
“Marika! Marika! Vieni
qui….presto! C’è un bambino! Aiutami per piacere”
Ed eccolo lì, roseo
batuffolo nudo, intirizzito dal freddo, ma pronto a lottare per la
vita. Non è ancora giunta la sua ora. Prima dovrà caricarsi di
tutti i peccati del mondo!
“Presto dammelo!”
incalza lei e improvvisamente incurante del freddo si toglie lo
scialle e avvolte le piccole membra se lo stringe al cuore, cercando
di riscaldarlo come meglio può.
“Bisogna cercare un
riparo. Presto andiamo!” Lì intorno non c’è proprio niente se
non un ponte e quella piccola chiesa laggiù, sola con se stessa e
tutta buia.
“Proviamo ad andare là”
dice Juspin e si avviano di buon passo senza nemmeno rendersi conto
di non sentire più la stanchezza, di non sentire più la fame, ma
qualcosa per cui lottare, per cui vivere.
La chiesina è proprio
piccola e molto scalcinata, ma fortunatamente è provvista di una
tettoia, sotto la quale trovano riparo.
Intanto è cominciato a
nevicare e candide stelle scendono dal cielo e vengono a posarsi
silenziosamente ai loro piedi. Si sono sistemati come meglio hanno
potuto e Marik culla dolcemente il bambino cantandogli una ninna
nanna mai dimenticata. Quante volte l’ha cantata per il suo
piccolo! Il bimbo ha smesso di piangere e si è addormentato
fiducioso tra quelle braccia accoglienti, ma Juspin non si sente
tranquillo. Deve in qualche modo provvedere a quella vita che il
destino gli ha mandato.
“Ma sì! Come ho fatto a
non pensarci prima? Qualcuno la sentirà e verrà sicuramente”
La campana che è sul
tettuccio della chiesa non è certo in condizioni ideali, ma suona, e
ce la sta mettendo tutta, suona proprio a distesa e i suoi rintocchi
si diffondono tra i fiocchi di neve che le svolazzano intorno.
Poi Juspin ritorna vicino a
Marika e la cinge col proprio braccio, per dare maggior protezione a
quel figlio appena ritrovato, e restano lì aspettando e dopo un po’
un rumore di passi, di voci smorzate e sorprese, fanno capire che sta
arrivando qualcuno.
Sono uomini, donne, bambini
e anche qualche cane. Qualcuno ha un lume in mano, qualcuno nella
fretta è uscito in pantofole, ma sono lì, pastori di duemila anni
dopo, sbigottiti e emozionati proprio come allora, nel guardare quel
piccolo presepe vivente. Una stella intanto è uscita dalle nuvole,
lucente, vivida, bianchissima. E finalmenteè Natale. Il Natale del
’96.
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