giovedì 21 marzo 2013

Dentro un baule

Quante cose ci possono essere dentro un baule! Quante cose che neanche ci si ricorda di avere più e invece sono lì con la loro storia sempre intatta e stratificata. La storia della vita. In questo caso la storia della mia vita.

Non ricordo neanche più qual'è stato il motivo per cui ho aperto il vecchio baule di legno di ciliegio che mio nonno, ha costruito con le sue mani e i suoi attrezzi di falegname improvvisato. Un baule nel quale tutti i pezzi sono incastrati mi pare che si dica a 'coda di rondine'. In un attimo mi torna in mente la stanza da lavoro del nonno, col suo bancone con la morsa e tutte le pialle, le seghe, i punteruoli, le lime e tanti altri piccoli attrezzi dei quali neanche oggi conosco il nome. E più in là, in un armadietto con uno sportello davanti al quale c'era solo una rete fitta che non facesse passare nessun tipo di animale, ma che permettesse all'aria di circolare, c'erano i formaggi e più che altro c'era il prosciutto, quel prosciutto che all'ora di merenda veniva affettato religiosamente e religiosamente adagiato sul bianco piatto che io gli porgevo e che poi avrei mangiato insieme al pane che intanto la nonna aveva preparato sul tavolo di pietra che era nel prato di fianco alla casa.....un prato che si confondeva con le vette dei monti che gli giravano intorno come una corolla.

"E ricorda mia cara – mi diceva il nonno – che del prosciutto si mangia il magro e il grasso, non si butta via niente, perché tutto è grazia di Dio!".

Aprendo un baule, tornano in mente anche i profumi di allora, che escono fuori non più trattenuti e si spandono per la stanza, improvvisamente diventata un prato, dove c'è un ciliegio. A quel ciliegio era attaccata un'altalena fatta con la corda, dove il nonno aveva  inserito una tavoletta di legno per farne un comodo sedile.....e c'era una bambina con le trecce al vento che volava nel cielo azzurro, con la sensazione di andare a toccare con i piedi le cime delle montagne verdi. Poi il fischio della littorima che passa poco lontano e che si infila veloce nella galleria in discesa, era come un richiamo per la nonna che mi spingeva. " E' l'ora di andare a chiudere i polli!" e il vento che accarezzava le gote, finiva, e l'illusione di volare anche. Si rientrava in casa, dove luci e ombre del giorno che se ne andava, si rincorrevano creando strani effetti, che ai miei occhi di bambina parlavano di favole. E io mi nutrivo di questi e dei gesti ancestrali dei miei nonni, che pacati, mi insegnavano la vita. E crescevo. Forse è per questo che amo il Drudolo, così si chiama la casina dei nonni, un nome antico che significa anche 'innamorato', forse è per questo che è sempre nel mio cuore e ha trovato posto nel vecchio baule dei ricordi più cari.










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