Quando scrivo un racconto, entro a fare parte della sua trama, non perché lo decido io, ma proprio perché mi ci ritrovo invischiata al di là della mia volontà e vengo coinvolta a tal punto da avere l'impressione di vivere veramente ciò che scrivo.
In questo racconto io sono Megrofina e potrei descrivere non solo lei, ma la sua casa fin nel minimo paticolare. Bella forza! dirà qualcuno......se è lei è logico che si conosce e conosce la sua casa,......il fatto è che Megrofina e la sua casa non somigliano per niente a me e alla Casa di Fuf!
Trepì non era un tipo comune, o meglio
non era un tipo come tutti gli altri, o meglio ancora, gli altri,
quando parlavano di lui dicevano tutti che era un pò 'a modo suo'.
Cosa volessero dire con quel 'a modo
suo' probabilmente neanche loro lo sapevano, ma istintivamente
sentivano che il modo di pensare di Trepì, il modo di fare di Trepì,
il modo di parlare di Trepì era proprio diverso da quello che invece
caratterizzava un pò tutti loro.
Il risultato era stato che comunque
sentivano che Trepì era qualcosa più di loro e per quello lo
rispettavano, qualcosa di diverso da loro e per quello lo temevano,
qualcosa di incomprensibile per loro e per quello lo sfottevano, ma
il risultato di tutto ciò è che comunque alla fine ciascuno era
orgoglioso di conoscerlo e di poter dire 'sono amico di Trepì', anche
se proprio amicizia non era, ma forse più lo sfoggio di qualcosa che
faceva dire 'ma guarda quello è amico di Trepì' e quindi un aumento
del prestigio personale.
Forse fu per questo e per altro ancora
che alla fine il suo nome diventò semplicemente Pì scritto però P e
più tardi, ma molto più tardi, dopo le vicissitudini che vi
racconterò, divenne 'Il P' assurgendo a quell'importanza e a quella
gloria imperitura che un articolo può dare a un nome. Ci possono
essere centomila P, ma solo uno diventa Il P, e non c'è niente da
fare.
Ma torniamo a noi!
P, come lo chiameremo noi da qui in
avanti, stava da una parte del mare, del grande mare, nessuno sa se
dalla parte est o dalla parte ovest, ma comunque quello che si sa era
che stava di là dal mare a seconda da quale parte si guarda. Della
sua vita sappiamo solo notizie frammentarie che giungono dai luoghi
più impensati. C'è chi lo descrive, chiamandolo Pì,come un
cavaliere, raffinato conoscitore dello scibile umano, dei megabyte e
dei giga, dei quali purtroppo oggi si è persa la conoscenza e se ne
parla solo grazie a pochi reperti che sono stati ritrovati da
archeologi lungimiranti che hanno capito che quei segni, quei
circuiti, erano qualcosa di più di semplici pezzetti di metallo.
Altri parlano di lui chiamandolo Pu, come grande curatore di cervelli
a dimostrazione del ritrovamento di crani aperti e ricuciti, nessuno
sa con quale tecnica, ma sicuramente le cicatrici parlano di grande
civiltà e di sopravvivenza all'operazione. Tutti i reperti ritrovati
hanno in comune una 'P' incisa vicino al lobo frontale. Molti invece
parlano di P come di una donna e l'appellano Pa, consolatrice di
tutti gli animali ai quali dedicava la sua vita la sua tecnica e le
sue conoscenze, fino a diventare per il grande bestiario della terra
una specie di dea, che veniva adorata, specialmente dai gatti.
Il mito ha fatto il resto e P è giunto
a noi Uno e Trino, Padre e Madre, Dio e Dea.........e tant'altro che
ora non sto a dire.
I fatti che vado a narrare accaddero
in tempi lontanissimi, dei quali solo da poco si è ritrovato il
ricordo, grazie a una tavoletta di materiale sconosciuto, rinvenuta
casualmente nell'orto di un contadino che zappava per piantare i
cavoli.Questo ritrovamento ha aperto le porte di un passato che
nessuno di noi immaginava e che .............
"Bertingause! Bertingause! La
zuppa è pronta...ti decidi a venire a mangiare prima che i tuoi
figli te la facciano fuori tutta?"
"Arrivo Malorna, arrivo e dì ai
ragazzi che se si azzardano a mangiare un mestolo della mia zuppa,
assaggeranno il bastone sulla schiena. Fammi finire di piantare
questi tre cavoli..........oh! Ma questo cos'è? Che strano
aggeggio..."
"Ma che dici Bertingause? Ti sei
messo anche a parlare da solo? Vieni sì o no?"
"Arrivo! Arrivo! Un
attimo......devo vedere che questo affare che sta sbucando da
sottoterra......" e si rimise a zappare finché non tirò fuori
una tavoletta che tanto 'etta' non era e aveva non solo la forma
strana di una barca senza sponde ma anche le dimensioni di quella
specie di zattera con la quale lui andava a pescare i salmoni solo
che questa era affusolata in cima e più piatta in fondo ed era fatta
di un materiale leggerissimo, tant'è che potè mettersela con un pò
di fatica sotto il braccio e trascinarla a casa, ma la cosa più
strana è che era tutta segnata da incomprensibili disegni e segni
per lui indecifrabili
Passarono gli anni e la strana barca un
giorno di circa seicento anni dopo capitò in mano a un giovane che
la scoprì nella cantina di suo nonno.
Farolfo era un ragazzo curioso e aveva
anche un certo grado di cultura, sapendo leggere e scrivere e far di
conto. Si mise a guardare la lunga e affusolata tavola e decise che
era una cosa piuttosto antica e seppe che avrebbe fatto bene a
portarla a Megrofina, una tizia strana, che raccontava cose
incredibili, di antiche civiltà, di regni splendidi, di paradisi
perduti. Tutti pensavano che fosse un pò tocca, ma non lui che fin
da quando era bambino si era appassionato a tutte le cose che lei
diceva. Ricordava ancora quando aveva parlato di strane torri alte
fino al cielo...
"E in queste torri abitavano
migliaia di persone e erano torri fatte di vetro e di ferro che
dondolavano al vento.....per arrivare in cima usavano dei congegni
che volano in alto e lasciano le persone davanti alla loro abitazione
e poi c'erano delle strane palle di luce che illuminavano la notte
fino a farla splendere come se ci fosse il sole ....e gli uomini
parlavano lingue diverse ed erano anche diversi tra loro,chi chiaro
di pelle, chi scuro, chi giallo........"
Quando Megrofina parlava tutti
l'ascoltavano affascinati loro malgrado, ma poi qualcuno scuoteva il
capo e si toccava la fronte facendo chiaramente capire che non aveva
tutti i lunedì a posto.
E a proposito di lunedì Megrofina
parlava sempre di un grande globo sospeso nel cielo, che con la sua
pallida luce illuminava le notti e si divertiva a cambiare forma e a
volte si faceva vedere solo sotto forma di esile falce, altre volte
scompariva per notti e notti, altre ancora sembrava quella palla con
cui da un pò di tempo a questa parte giocavano i ragazzi del
villaggio.
Ma quando Farolfo ascoltava questi
racconti, vedeva davanti a sé le grandi città con le torri
altissime e nel cielo il grande globo che doveva esserci stato una
volta. E ci credeva. E fu per quello che andò da lei una sera
sfidando il grande gelo che attanagliava perennemente la terra
"Mi caro ragazzo -gli disse
Megrofina dopo aver guardato tutti quei segni- non so dirti cosa può
esserci scritto sopra questa cosa strana, ma sono sicura che qualnque
cosa sia, viene da molto lontano. L'unica indicazione che ti posso
dare riguarda questi pochi segni, che ho già visto in altri
frammenti giunti fino a noi dal passato. Vedi? Sono questi qui – e
indicò con il dito rugoso e ricurvo pochi segni strani che a Farlofo
non dicevano proprio niente – Guarda, confrontali con
quest'altri....vedi? Sono gli stessi anche se qui sono più dritti e
in questa specie di barca pendono a destra.....ecco! Guarda per
bene!- e gli fece luce con una torcia più grande che aveva accesa al
fuoco – li vedi?
"Sì Megrofina li vedo, li vedo! -
rispose eccitato Farolfo – quindi vuol dire che questa è una
scrittura, un messaggio, qualcosa che chi l'ha scritto vuole fare
arrivare fino a noi...."
"Già – rispose tranquilla
Megrofina – questi sono i segni che sono scritti
così.....2012D.C........ma cosa vorranno dire?
Il tempo passò e passò ancora e le
costellazioni si spostarono nell'arco del cielo
Quando Radon si alzò quella mattina
non sapeva che avrebbe fatto la scoperta più importante di tutta la
sua vita.
Era giovane e pieno di belle speranze e
viveva in un periodo in cui, dopo il buio dei tempi oscuri la mente
si riapriva a nuove scoperte e a nuove invenzioni. Qualche tempo
indietro un certo Galino aveva fatto un'invenzione che aveva del
prodigioso. Aveva trionfato sulle tenebre della notte con una cosa di
sua invenzione che spandeva luce nel giro di tre o quattro metri e
questa luce non si consumava come il fuoco. La mente degli uomini era
in fermento da quando un altro giovane pensatore aveva teorizzato che
Ameropa, il luogo in cui vivevano non fosse altro che una gigantesca
palla sospesa nel vuoto.......Lui, intanto sognava sui reperti che
aveva trovato e su quelli che gli erano pervenuti dalla sua famiglia,
conservati gelosamente di generazione in generazione da quando la
sua antenata Megrofina li aveva definiti la chiave di volta della
storia dell'uomo. Primo tra tutti l'esile barca, leggera e
maneggevole fatta di un materiale resistente e incorruttibile. Ma il
cuore accelerò il battito quando pensò alla grande tavola di pietra
che gli era stata portata da Radico, un ragazzotto che pascolava il
suo gregge nella collina prospicente. Sin da quando l'aveva avuta
davanti a sé aveva intuito di essere davanti a qualcosa di
importante. La tavola era coperta di una scrittura fatta con segni
strani,ma la cosa più strabiliante era che c'erano almeno tre
scritture diverse tra loro e la cosa ancora più entusiasmante era
che uno di quelle scritture lui la conosceva.
Avrebbe dovuto ringraziare Megrofina
per il resto dei suoi giorni perché era proprio grazie a lei e alla
sua mania di raccogliere le cose del passato che era potuto venire in
contatto con quella scrittura e riuscire a comprenderla almeno in
parte.Non vedeva l'ora di mettersi all'opera e confrontare con il
nuovo reperto le cose misteriose che erano scritte su quella tavola
affusolata e leggera che veniva dalla notte dei tempi. L'unica cosa
che sapeva era che aveva un solo dato da cui partire.....2012D.C.
Doveva cercare, confrontare, senza stancarsi, senza perdersi
d'animo.......cosa che fece per circa trecento ombre lunghe, che era
sempre il modo più usuale di misurare il tempo,anche se nuovi
esperimenti parlavano di ipotesi ardite e meccaniche......... finché
un giorno chiese un colloquio con il Grande Maestro del Venerabile
Ordine degli Anziani e quando si tròvò al suo cospetto parlò con
voce emozionata:
"Grande Maestro ciò che sto per
dirti è talmente incredibile che io stesso fatico a dirlo , ma le
scritture parlano chiaro, per cui ti prego di ascoltarmi"
"Parla Radon...conosco la tua
prudenza e so che non faresti o diresti mai niente di avventato...Ti
ascolto"
"Allora ascolta o Grande Maestro!
Tu sai che da quando ho l'uso della ragione mi sono dedicato a
studiare la tavola misteriosa che è in possesso della mia famiglia
da tante di quelle generazioni che ho perso il conto......ecco, senza
fare tanti ed inutili preamboli ti posso dire che finalmente ho
decifrato i suoi segni e dunque so che cosa c'è scritto,.........ma
ciò che c'è scritto è talmente strano, talmente inaudito, talmente
stupendo che mi lascia attonito, mi rende euforico e timoroso allo
stesso tempo....."
"Bene Radon! Capisco la tua
eccitazione, ma non ti sembra che faresti bene a illuminare anche
me?"
"Hai ragione, scusami Grande
Maestro...dunque ecco ciò che c'è scritto sulla grande tavola:
"Questa è l'epopea di Trepì.
Ascoltate voi tutti che ancora potete ascoltare e tramandate ciò che
affido a questa tavola che una volta si chiamava surf. Al tempo in
cui accaddero questi fatti nuvole nere si stavano addossando
all'orizzonte, nuvole predette e non credute. L'anno vecchio se ne
era appena andato e il 2012 D.C già annunziava ciò che sarebbe
accaduto a breve. L'aria era sempre più carica di elettromagnetismo
e il timore incombente di una catastrofe cominciava a prendere forme
sempre più precise. Il mondo tutto sapeva che di lì a poco niente
sarebbe stato più come prima e che la civiltà splendente che l'uomo
viveva avrebbe avuto un duro colpo. Le distanze che ora erano
facilmente superabili, a breve sarebbero state insormontabili, la
conoscenza sarebbe caduta nell'oblio, il buio della notte non sarebbe
più stato vinto dalla luce conquistata dal genio dell'uomo.Fu allora
che Trepì decise o decisero di costruire il grande uccello di fuoco,
un uccello meccanico sulle indicazioni di un certo Da Vinci, un
grande uccello che nutrendosi proprio del nemico del mondo,
l'elettromagnetismo, avrebbe coperto le grandi distanze per portare
messaggi ai sopravvissuti e riceverne in cambio. Se fu Pi,o Pu, o Pa
o se furono tutti e tre insieme ciò non è noto neanche a me che
scrivo, io so che fu un tipo un pò a 'modo suo' a restituire la
speranza agli uomini e quel tipo si chiamava Trepì, ma più tardi
tutti lo chiamarono 'il P.'......Il grande uccello di fuoco volò nei
cieli da una sponda all'altra dell'oceano per lungo tempo, fino a che
ci fu qualcuno capace e in grado di ricaricarlo, tra lo stupore,
l'ammirazione e il terrore degli uomini, che ormai privi delle
conoscenze del passato pensarono che fosse un dio e lo mitizzarono
fino a farlo diventare un'unica leggenda con ' il P'.
Ciò che ho udito è giunto fino a me
di generazione in generazione ma ora sento il bisogno di scriverlo
anche su questa tavola che affiderò al mare. Chi lo troverà avrà
l'arduo compito di diffondere il messaggio che tramanda: Nessuno mai
sconfiggerà l'uomo.
Vengo in pace dal grande lago
ghiacciato e vado in pace verso Proto, la stella del mattino. Neber"
Il silenzio regnò totale per un lungo
momento poi il Grande Maestro si alzò, si avvicinò a Radon e
abbracciandolo gli disse:
"Tu oggi hai reso un grande
servizio all'umanità intera. Di qui in avanti questo giorno sarà
dedicato al ricordo del grande P e della sua epopea e il tuo nome non
sarà dimenticato".
E fu così che Trepì, quello un pò 'a
modo suo' , che un giorno decise che qualunque cosa avrebbe riservato
il 2012, sarebbe sempre rimasto in contatto con i suoi fratelli in
barba al mondo intero, troneggia in un colossale monumento alla cui
base si snoda un corso d'acqua di ampie dimensioni.
Uomo, Donna? Nessuno anche oggi sa
dirlo. Il suo volto che nessuno conosce è stato rappresentato sotto
le nobili sembianze di un cane il cui sguardo ardito si posa lontano
inseguendo un sogno che solo lui conosce mentre corre a perdifiato
per la valle e fa incredibili salti sulle rotoballe.
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