martedì 22 maggio 2012

Valledoro






Poiché un sognatore
è colui che vede la
sua strada solo al
chiaro di luna,
la sua punizione è
vedere l’alba prima
del resto del mondo




 
Questa novella è dedicata a Bali, mio insostituibile amico, fiero, indipendente, fedele compagno delle mie avventure nella vita reale e onirica. Emulando l’imperatore Caligola, che nominò il suo cavallo Senatore nell’Impero Romano, io nomino il mio cane Senatore a vita nella Contea di 
 Valledoro



 Cap.1
C’era una volta, tanto tempo fa, ma così tanto che gli orologi non erano ancora stati inventati e neanche le clessidre se per questo…..insomma quando ancora il tempo si calcolava col sorgere e il tramontare del sole…….c’era allora una terra beata, una vallata, circondata da monti altissimi e pieni di neve.
Questa valle era tutta verde, ma non di un verde come tutti gli altri perché la sua erba era fatta di pura menta e i fiori che vi nascevano erano tutti canditi, e a guardare proprio per bene la cima dei monti, si vedeva che la neve non era proprio neve, ma una bellissima panna montata, che le fate, quando volando, facevano ritorno a casa, assaggiavano, prendendola con la punta della bacchetta magica che in cima aveva una stellina che poteva a piacimento funzionare anche da cucchiaino Bastava fare un volo un po’ più radente, abbassare la bacchetta e…zac! La stellina si adornava di panna che poi le fate leccavano golosamente e quando erano sazie, non facevano altro che scuotere le loro bacchettine e la panna avanzata diventava delle bellissime nuvole bianche che correvano nel cielo spinte dal vento che si alzava dalla valle. Di notte le buone fate si riposavano nelle tende vellutate e nascoste del cielo e le loro bacchette, poste una accanto all’altra illuminavano la volta celeste, formando il firmamento.
Era uno spettacolo bellissimo e la gente della valle si sentiva sicura e protetta da quelle stelle che vegliavano su di loro.
Gli abitanti di quella valle si chiamavano Valdorati, ma siccome il nome era troppo lungo, per gente come loro che era alta si e no cinquanta centimetri, si erano da soli abbreviati in Val. Il popolo dei Val non era come tutti gli altri popoli. Oh sì! Anche loro avevano due gambe, due braccia, un naso, una bocca e due occhi, ma i loro occhi avevano tutti il colore della valle e la bocca era rossa come un lampone e come i lamponi piena di puntolini.
Le loro casette erano tutte bianche, traboccanti di fiori canditi e di gatti di pannolenci con i baffi di saggina. I cani invece avevano un bel pelo come quello dei tappeti persiani e le orecchie con le nappe. Tutti avevano cani e gatti. Qualcuno aveva persino un cavallo e una mucca. E non crediate che fossero come quelli che si vedono da noi, perché i cavalli erano a dondolo e le mucche avevano i boccoli biondi o bruni….qualcuna rossi, ma erano tutte delle vere signore.
In una delle ultime casette, vicino al torrente di marmellata vivevano Samo e Var. Nessuno sapeva da dove fossero giunti. Il giorno prima non c’erano e il giorno dopo erano lì, molto diversi dagli abitanti di Valledoro, ma molto disposti a fare amicizia con tutti loro. Samo era un uomo di nobile aspetto e di bel portamento , mentre Var era biondissima e leggiadra. Avevano una bellissima figlia che tutti i valligiani guardavano affascinati, per via del colore dei suoi occhi che era identico al colore del cielo in una calda giornata d’estate. Nessuno di loro aveva mai visto occhi simili, ma lungi dall’esserne invidiosi erano contenti di avere tra di loro una simile perla rara e tutti volevano bene a quella fanciulla bella come il sole, ridente come una giornata di primavera, candida come la neve dei monti, che aveva un nome scintillante come una goccia d’acqua attraversata dall’arcobaleno: Iris.
I genitori di Iris non avevano mai detto a nessuno la loro storia, ma le brave persone di Valledoro intuivano che non erano persone comuni e che solo per far perdere le loro tracce erano venuti ad abitare in quel luogo, così isolato dal resto del mondo, ma non avevano mai fatto domande e dopo un po’ Samo, Var e Iris, erano diventati parte di loro. Avevano una sala da the dove ogni sera si radunavano tutte le persone stanche della lunga giornata di lavoro, per fare un bel bagno nel the zuccherato. Non c’era niente di più tonificante di un bagno con abbondante zucchero di canna….e il popolo dei Val lo sapeva ormai da innumerevoli generazioni e sapeva anche che il bagno di the zuccherato conservava la giovinezza per lunghissimo tempo. Infatti non vedevi nessun abitante di Valledoro che avesse una ruga, neanche a cercargliela col lanternino. Le giornate trascorrevano tranquille e sempre uguali, ma un giorno…..
Cap. II
Un giorno il sole si svegliò come tutte le mattine e corse affannosamente su nel cielo per far luce agli abitanti di Valledoro che dovevano andare al lavoro, e per poterlo fare il sole doveva essere puntuale e non poteva fare neanche un po’ il suo comodo.
Perché, se ancora non lo avete capito il sole illuminava il giorno e i centomila elfi che tiravano il suo carro, al comando del mago Spacamalosse avevano un bel da fare e le stelle delle bacchette delle fatine,schiarivano la notte insieme alla luna che era la lanterna del mago Spiridone, ma tolte queste cose non esisteva nessun altro tipo di illuminazione, tranne il fuoco d’inverno, quando la gente si riuniva intorno al suo calore per raccontarsi gli eventi della giornata e le antiche storie del popolo dei Val, che venivano tramandate di generazione in generazione. E anche il fuoco non era alla portata di tutti; ci voleva il permesso del mago Similoro, per poterlo accendere e si doveva sorvegliare continuamente perché non facesse danni che avrebbero provocato l’ira del potente mago.
Il sole, dicevo, si svegliò come tutte le mattine e la giornata cominciò. Le fate si stiracchiarono nei loro letti celesti e sbadigliando si riappropriarono delle bacchette magiche e battendosele leggermente in testa, in un attimo furono tutte pronte e come ogni mattina andarono a rapporto da fata Filigrana, che era la più importante di loro.
Questa era già in perfetta tenuta da lavoro: Abito lungo e trasparente, cappello a punta tempestato di fili d’argento e un velo talmente lungo che non si riusciva mai a vedere dove finisse.
Anche quella mattina la giovane fata Dollarina, che tutti chiamavano Dolly cercò di vedere dove terminasse il velo della sua potente regina, senza riuscirci. Con una mano si toccò il suo, molto ma molto corto e si domandò quali imprese avrebbe dovuto compiere per riuscire ad avere un velo lungo come quello di Filigrana. Sapeva che il velo rappresentava il successo di una fata e che l’importanza di una fata si misurava dalla lunghezza di quella nuvola diafana. “Un giorno ce l’avrò anch’io!” sospirò con un’alzata di spalle. Poi non ci pensò più e dopo aver ascoltato ciò che le diceva la bellissima fata, più giudiziosa e più assennata di lei, con un leggero colpo di tacchi si alzò in volo, per dirigersi a fare il suo lavoro quotidiano. Non doveva andare molto lontano.
Tutti i giorni raggiungeva una gola, formata da due monti dirimpettai che non facevano altro che farsi i dispetti. Il monte Star era proprio di fronte al monte Nuto e non facevano altro che soffiarsi vicendevolmente addosso tutti i venti che le loro cime riuscivano a catturare, formando sempre un tale groviglio di nuvole, che se non ci fossero state le buone fate, su Valledoro sarebbe sempre piovuto. Invece le Fate, raccoglievano con le loro bacchette le nuvole e le giravano intorno a queste, quasi come se fossero state zucchero filato e poi volando le andavano a buttare in un lago che era poco lontano. E così il popolo dei Val poteva lavorare tranquillamente nei campi e nei boschi, facendo dei bellissimi raccolti.
Quel giorno però la Fata Dollarina era più distratta del solito. Il velo lunghissimo di fata Filigrana le era rimasto in testa e non riusciva a dimenticarlo. Era così bello! Muoveva distrattamente la sua bacchetta, agitandola con leggerezza e non si accorse della grossa nuvola nera, che, minacciosa, si dirigeva a grande velocità verso di lei. Quando la vide era troppo tardi. La nuvola l’avvolse in tutte le sue spirali e cominciando un girotondo turbinoso la vece volare da una parte all’altra, finché in un sussulto più forte, la bacchetta magica sfuggì di mano alla giovane fata, che inorridita la vide precipitare giù, più giù, sempre più giù, sempre più giù, fino a che sparì in una nera e profonda voragine, che faceva paura solo a guardarla.
La giovane fata, riuscì a malapena ad aggrapparsi al ramo di un albero, e a sottrarsi così all’ira della nuvola nera, e piangendo diceva: “Come posso continuare ad essere una fata, se non ho più la mia bacchetta magica?”.
Si sdraiò sul prato pieno di fiori, che si spostarono per farle posto e poi le dettero il loro profumo più dolce per rincuorarla, ma la piccola Dolly non riusciva a fermare le sue lacrime.
Dopo un po’, sentì una voce rauca che le diceva: “Perché piangi piccola fata?”
“Piango perché ho perso la mia bacchetta magica e se non riuscirò a riaverla, non sarò più una fata e non avrò mai il velo bellissimo che ha fata Filigrana!”
“Su piccola, non fare così – le rispose la voce rincuorandola gentilmente – il velo lungo di fata Filigrana non si può avere dall’oggi al domani. A lei sono occorsi più di cento anni per riuscire ad avere il suo….e tu da quanto è che sei fata? Non da molto suppongo, da quello che vedo!”
“Mi sono diplomata l’anno scorso e ora sto facendo il tirocinio!” rispose la piccola fata, che ora sembrava ancora più piccola.
“Lo supponevo – rispose sospirando la voce – e presumo vorrai riavere la tua bacchetta magica…ma per fare ciò avrai bisogno di aiuto”.
“ E chi mi può aiutare?”
“Ti aiuterò io! Ma nemmeno io posso scendere in quella voragine. Nessuno può scendere in quella voragine…….se non due persone speciali, così almeno narra da sempre la leggenda, un principe e una principessa dal cuore puro e intrepido. Laggiù – continuò la voce – abita il mago più potente di tutta la terra. Si chiama Avidus ed è il mago di Ego. Ego è un regno potentissimo e per ora inespugnabile e tutto ciò che viene catturato, non è mai più ridato. Ma la leggenda degli antichi Val parla appunto di un giovane principe e di una bella principessa, che se si incontreranno, riusciranno a sconfiggere il potente mago:”
“Ma io devo riavere la mia bacchetta al più presto, perché la stella che ha in cima, è una stella importante, anche se non è luminosa come quelle delle altre fate. E se non ho la mia bacchetta, di notte una stella mancherà in cielo….come posso fare?” singhiozzò rumorosamente la fata
“Che stella è?” chiese la voce incuriosita
“Si chiama Stella Polare” rispose fata Dollarina con un ultimo singhiozzo
“Cosa? La stella polare? Ma stai scherzando? O mi stai prendendo in giro?”
“No, ti assicuro,si chiama proprio stella polare. Perché è una stella che tu conosci?”
“E chi non conosce la stella polare? E’ la stella che indica la via a tutti…e proprio a te l’hanno data! Che incoscienti! Ma non si sono accorti che sei troppo giovane per una simile responsabilità?......Suvvia ora non ricominciare a piangere e lasciami pensare.”
“Va bene – sospirò la fata – ma almeno potresti farti vedere? Sto parlando con te da mezz’ora e non so neanche chi sei!”
“Scusami, non ci avevo pensato. Arrivo subito” E quasi all’istante Fata Dollarina vide smuoversi la terra avanti ai suoi occhi e dopo un po’ uscì un lunghissimo lombrico con un paio di occhiali dalle spesse lenti e un berretto scozzese in testa.
“E tu chi saresti? – chiese la fata arricciando la bocca
“Ciao mi presento. Io sono l’amico Lombricone e vivo in quel canneto laggiù. Lo so che non sono troppo bello. Ma madre natura mi ha fatto così, che ci posso fare?”
“Piacere io sono Fata Dollarina, ma se vuoi puoi chiamarmi Dolly”
“Bene Dolly, diamoci da fare. Io non so chi può essere il principe che ci può aiutare, ma credo di non sbagliarmi se dico che conosco la principessa…….”
“Davvero? E chi è”
“Tutto a suo tempo……….e tu mi dovrai aiutare……”
Cap- III
Era quasi sera quando arrivarono in paese. La piccola fata, senza la sua bacchetta magica sembrava aver perso tutta la sua leggerezza e la sua velocità e il vecchio Lombricone, anche se faceva del suo meglio, era poco più veloce di una lumaca. Però alla fine giunsero alle prime case e Lombricone si diresse senza esitazioni verso la sala da thè, che brillava poco più in là.
A quell’ora si sentivano già voci allegre che parlavano tra di loro della giornata che stava languendo dietro i monti, anche se l’aria ancora era chiara e tiepida.
“Ma non ho voglia di andare a prendere il thè” si lagnò la piccola fata con un filo di voce.
“Stai zitta e seguimi senza fare troppe domande!” rispose l’affannato Lombricone, mentre arrancava su per il primo scalino “ E per piacere….lascia parlare me, hai capito?”
“Va bene” rispose docile Dollarina e abbassò mestamente gli occhi……..per rialzarli quasi subito perché in quel momento una voce dolcissima e gentile giunse sino a lei con una melodia, talmente bella, ma talmente bella, che faceva venire i brividi
“Chi è che canta?” chiese incuriosita
“Come,….non conosci Iris, la figlia di Samo e di Var?”
“No…sai non mi ero mai spinta fin qui e non so chi sia Iris”
“Iris è la bellissima figlia di un re, che tempo fa dovette lasciare il suo paese e nascondersi qui, sotto mentite spoglie, perché il suo regno era finito nelle mani di un usurpatore che voleva disfarsi di lui, della sua bella moglie e della sua bellissima figlia. Iris non sa di essere una principessa, e pensa soltanto di essere una ragazza qualunque che vive in un paese nel quale le persone sono molto diverse da lei……ma non conoscendone altre non se ne fa un problema ed è una fanciulla serena e felice, non lo senti dalla sua voce?”
“Oh sì! E mi piacerebbe conoscerla e parlare con lei” disse subito Dollarina, che essendo giovane, sentiva il desiderio di stare con giovani come lei.
“La conoscerai prestissimo, anche perché ritrovare la tua bacchetta di pende da lei per il cinquanta per cento……”
“E per l’altro cinquanta per cento, come si fa?” chiese allarmata la fata
“Non ne ho la minima idea, ma occupiamoci di una cosa alla volta. Intanto pensiamo alla principessa, poi penseremo al principe”
“Ma dobbiamo fare presto, lo capisci questo? Se verrà la notte spunteranno le stelle in cielo e tutti, dico tutti, fate comprese e per prima Fata Filigrana – e qui la giovane fata fece un sospirone da commuovere anche un elefante – si accorgeranno che la stella polare non è al suo posto….”
“Ho capito, ho capito” e l’amico Lombricone guardò fissamente la fata da dietro le spesse lenti che coprivano i suoi occhi miopi, domandando in cuor suo perché si era impicciato di cose che in fin dei conti non lo riguardavano. Ma gli amici Lombriconi, suoi parenti e antenati, da che mondo è mondo, erano sempre stati sensibili e generosi e si erano sempre ritrovati in un mare di guai e lui non poteva fare diversamente.
Alzò le spalle, (sinceramente non so come, perché non ho mai visto un lombrico alzare le spalle, ma giuro che lui lo fece) e con voce più gentile disse:
“Allora non perdiamo tempo in inutili discorsi e diamoci da fare” e con nuovo vigore si diresse verso Samo, che in quel momento era apparso sulla soglia.
“Buon pomeriggio Maestà – disse Lombricone facendo un inchino sperticato (non so come fece a farlo, ma vi garantisco che gli riuscì benissimo)
“Buon pomeriggio a te amico carissimo – rispose Samo guardandosi repentinamente intorno – ma mi raccomando – sussurrò pianissimo- non mi chiamare Maestà. Qui nessuno sa niente di noi, a parte te, che sei mio amico da sempre”
“Scusami Samo, è vero, ma mi viene istintivo rivolgermi a te dandoti l’appellativo che ti meriti, e spero che un giorno tu possa tornare a rivestire gli abiti che ti spettano di diritto”
“Lo spero anch’io! Chissà? Ma intanto dimmi….Cosa ha potuto smuoverti dal tuo canneto, se non qualcosa di estremamente importante?”
“Come mi conosci bene Samo – ridacchiò Lombricone – in effetti è una cosa di estrema importanza e di estrema urgenza. In due parole: il Mago di Ego, Avidus, ha rubato la Stella Polare”
“Cosa mi dici!” esclamò Samo “E io come posso aiutarti?”
“Tu direttamente non puoi fare niente, ma Iris sì” disse lentamente Lombricone, sapendo che quanto stava per dire e chiedere a Samo era molto difficile da fare e soprattutto da accettare.
Samo infatti impallidì visibilmente e dopo aver ascoltato tutto il discorso di come si erano svolte le cose il suo viso rimase turbato per almeno cinque minuti. Poi, solo come i veri Re sanno fare, si ricompose e un sorriso spianò la sua bocca e illuminò i suoi occhi
Tese la mano a Lombricone che la strinse fra le sue (non so dove le avesse tenute fino ad allora, ma Lombricone aveva proprio due mani…ed erano anche belle) e disse con voce un po’ commossa:
“Te l’affido mio caro amico. Veglia su di Lei” poi volgendosi indietro chiamò a gran voce:
“Iris?”
Cap. IV
Quando Iris arrivò, tutti si girarono a guardarla e rimasero ammutoliti per l’ammirazione. La fanciulla quel giorno indossava un diafano vestito color del cielo e tra i biondi capelli sciolti sulle spalle alcuni fiori color pervinca esaltavano la sua bellezza in modo incantevole. Aveva ancora negli occhi la gioia che il canto appena eseguito le aveva procurato ed era……bellissima!
“Mi hai chiamato babbo?” chiese con voce gentile
“Sì figlia mia….siediti e ascolta questi amici che devono parlare con te di una cosa della massima urgenza”
Iris fece come il padre le aveva chiesto e ben presto Lombricone la mise al corrente di tutta la storia, non senza scuotere il capo ogni volta che si riferiva alla fata Dollarina. Quando ebbe finito, le fece un profondo inchino, come solo il Lombriconi di alto lignaggio sanno fare e aggiunse con un lungo sospiro:
“Vedi bene principessa, che il tuo aiuto ci è indispensabile, perché solo grazie a te e a un’altra persona che ancora non conosciamo, potremo salvare non solo la bacchetta magica di fata Dollarina, ma l’intero genere umano. Si è mai visto il cielo senza la stella polare? Immagini che confusione ci sarebbe nelle rotte dei naviganti e nel cammino solitario dei viandanti che cercano il nord per orientarsi? Senza la stella Polare, tutto il mondo dovrebbe trovare un altro punto celeste verso cui indirizzarsi, ma passerebbero secoli prima che ciò possa accadere. …….Capisco che ti chiedo tanto, ma ti prego dacci una mano,”
“Caro signor Lombricone, certo che vi aiuterò, anche se ancora non so come. Cosa dovrò fare me lo dovrete dire voi. Penso che abbiate già studiato un piano…io mi atterrò esattamente a quello, sperando di esservi utile!” rispose Iris con un sorriso
“Un piano???!!!” rispose Lombricone sconcertato
“Ma sì, un piano! Non verrete a dirmi che non sapete che cosa dobbiamo fare!” La voce di Iris era sempre gentile, ma un tantino stupita
“Certo che sappiamo che fare. Dobbiamo andare sul monte, scendere nella gola profonda, prendere la bacchetta magica, tornare su il più presto possibile per rimettere la Stella polare al suo posto, prima che si noti la sua mancanza…….vero Dollarina?” chiese conferma Lombricone, cominciando ad accorgersi che il suo programma faceva acqua da tutte le parti
“E tutto questo in quanto tempo dovrebbe essere fatto?” chiese nuovamente Iris, stavolta veramente stupita
“Beh! Diciamo che ora sono le cinque e comincia appena ad imbrunire, quindi…..calcolando che fa buio alle otto, diciamo che abbiamo tre ore di tempo per andarci a riprendere la stella polare” concluse sottovoce, consapevole per la prima volta che il tempo lo aveva superato e aveva deciso per lui che quella sera non sarebbe stato più possibile fare niente
“Io direi di partire domattina appena albeggia. Se tutto va bene abbiamo una giornata intera per rimettere al suo posto la stella polare” Samo parò per la prima volta, ma le sue parole avevano tutte l’autorità che solo un re può imprimere e nessuno osò contraddirlo.
Solo la fata Dollarina, che temeva più di Samo la sua fata Filigrana si azzardò a dire:
“E come si fa stanotte senza Stella polare? Per di più è tutto sereno e non c’è una nuvola neanche cercandola con il caleidoscopio!”
“Già…la Stella polare” rispose pensieroso Lombricone “Non possiamo creare il panico tra la gente! E’ proprio quello che vuole Avidus e se ciò succedesse, diventerebbe padrone incontrastato di questa valle libera e felice, perché dovremo rivolgerci a lui per riavere la stella che ci indica da sempre la via….E lui non esiterebbe un attimo a ricattarci per aumentare il suo potere!
“Fata Dollarina – disse Iris dolcemente pensosa – i tuoi poteri magici sono tutti esauriti senza la tua bacchetta, o continui ancora ad averne un po’?”
La fatina chinò il capo, quasi vergognandosi di quello che stava per dire ma poi lo rialzò velocemente e disse;
“Posso ancora volare, posso rimpicciolire i cavalli e ingrandire i topini, posso far sognare i bambini, posso preparare delle torte squisite e far cantare gli uccellini,,,,posso..”
“Hai detto che puoi volare vero? E che puoi ingrandire le cose….per caso puoi anche tenerle sospese?” la voce di Iris era elettrizzata e tutti l’ascoltavano senza sapere dove volesse andare a parare
“Sì, Certo…….tenere sospese le cose è uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto. Lo sanno fare anche le fate apprendiste. E’ una cosa da niente” concluse sorridendo Dollarina
“No che non è una cosa da niente. E’ semplicemente la cosa che ci risolverà il problema della stella polare…almeno per stanotte”
“Ma come?” chiese Lombricone allungandosi in maniera sperticata, come del resto fanno tutti gli amici Lombriconi quando sono molto curiosi.
“Aspettate e vedrete. Torno subito” e Iris sparì in un attimo all’interno della casa
Dopo neanche un minuto era di ritorno tenendo in mano un pennello da pittore e una stellina rossa, che consegnò alla fata Dollarina
“Tieni – le disse allegramente – questa è la tua bacchetta magica e questa è la stella polare. Vai, corri su nel cielo, dipingi questa stellina con il colore delle stelle e poi ingrandiscila come sai fare tu. Quindi fai in modo che stia sospesa lassù insieme a tutte le altre”
Dollarina guardò l’esile pennello e la stellina rossa, chiedendosi come mai avrebbe fatto a farla diventare una stella polare, ma dopo un po’ un grande sorriso le spianò la bocca e disse con quanto fiato aveva in gola:
“Ci sono, ci sono!”
“Come farai? Insomma dite qualcosa anche a noi!” si stizzì Lombricone che non stava più nella pelle e si era allungato a tal punto che sembrava si dovesse dividere in due
“Avete ragione. Scusate. Bene, prenderò un po’ del mio velo che è del colore delle stelle e lo scioglierò con le gocce di rugiada che si formano nel cielo prima di cadere sulla terra…e con questo dipingerò una Stella Polare, come non se ne sono mai viste” concluse Dollarina che aveva ritrovato tutta la sua sicurezza di neo fata appena diplomata e che non vedeva l’ora di dimostrare a se stessa prima che a tutti, che non era poi così sprovveduta come forse gli altri avevano pensato.
“Quanto tempo pensi che ci vorrà?” domandò Iris accorgendosi che stava ormai diventando notte
“Oh! Fare questa cosa sarà una sciocchezza credetemi! Importante era pensarla” e sorrise a Iris
“Allora vai!” le disse Samo “Noi staremo qui finché vedremo la stella brillare nel cielo e poi andremo a riposare perché domani ci attende una lunga giornata. Ci vediamo qui domattina alle cinque in punto. Va bene?”
“Va bene” risposero in coro gli altri, mentre Dollarina con un guizzo improvviso spariva su nel cielo
“Speriamo bene” disse Lombricone scuotendo il grosso berretto scozzese “mi sembra così giovane e sprovveduta”.
Ma dovette rimangiarsi le parole e lo fece ben volentieri, perché dieci minuti dopo una bella stella, la copia esatta della Stella Polare brillava alta nel cielo.
Cap. V
Si ritrovarono la mattina seguente davanti alla sala da the, tutti molto insonnoliti, ma decisi a fare del loro meglio perché l’impresa riuscisse.
Samo con la solita calma autorevolezza che lo distingueva parlò per primo:
“Amici miei, state partendo per un’impresa molto difficile, ma io credo in voi e so che ce la metterete tutta per portarla a buon fine. Purtroppo non abbiamo avuto tempo per poter fare un piano che permetta di agire con una certa coerenza. Dobbiamo affidarci alla sensibilità di ciascuno di noi e pensar che agiamo non soltanto per il bene nostro, o per restituire la bacchetta magica a fata Dollarina, ma più che altro per il bene e la serenità di tutta Valledoro.
Questo mi ha convinto a darvi il tesoro più grande che possiedo, mia figlia, e la regina Var si unisce a me in questo sacrificio. Vi prego di proteggerla e di vegliare su di lei, che è la luce dei nostri occhi. Io da parte mia, comincerò a fare preparativi nel caso vi occorresse aiuto”. E qui Samo si interruppe perché l’emozione rischiava di spezzargli la voce
“Stai tranquillo Samo. Iris è in buone mani, parola di Lombricone. Non permetterò che le succeda niente di male. Stai tranquillo. Diglielo anche tu Dolly…”
“I poteri che mi sono rimasti saranno tutti a disposizione di Iris e serviranno per proteggerla…non preoccupatevi maestà….ce la metterò tutta e non mi dimenticherò mai di voi” rispose la fatina rizzandosi sulla punta dei suoi piedini per far vedere che tutto sommato, qualcosa contava anche lei.
“Bene…ora partite perché non c’è tempo da perdere…….La strada è lunga per arrivare nel regno di Ego ed è bene cercare di essere lì prima che Avidus si svegli”
Si misero dunque in cammino e attraversarono la fiorente vallata, mentre il sole lentamente saliva su nel cielo cancellando le tremule stelle. Per un giorno intero il segreto della Stella Polare sarebbe stato salvo, ma poi?
Intanto avevano lasciato il borgo e la campagna si allargava davanti a loro in morbide colline di pannolenci dai colori smaglianti, piene di alberi da frutto, che lasciavano pendere i loro rami carichi delle più deliziose confetture di marmellata, mentre più in basso si stendevano ettari di vigne, i cui grappoli a forma di bottiglia si riempivano via via che la stagione si inoltrava e giungeva il momento della vendemmia. Allora bastava staccare la bottiglia dalla vite e tapparla, perché il pregiato nettare era già pronto per essere consumato.
Nel cielo cominciavano a volare i primi uccellini con la carica a molla e qualche volta, si vedeva passare anche il cucù, che di tanto in tanto si appoggiava sul ramo di qualche albero per riposarsi un po’, non mancando mai di ricordare l’ora.
Già si vedevano nei campi appena illuminati dal sole nascente, i fornai che, girando tra le spighe di grano, staccavano dal loro fusto i panini che di lì a poco avrebbero venduto nella panetteria del borgo.
Insomma tutta Valledoro si risvegliava e cominciava a lavorare di buona lena.
Iris si guardava intorno felice! Amava molto la sua terra e sentiva di appartenerle anche se sapeva di essere molto diversa dagli abitanti di Valledoro.
Intanto, si erano lasciati dietro le spalle anche i fertili campi e ora cominciavano ad addentrarsi nel bosco che era ai piedi del monte , regno del potente Avidus.
Lombricone, si fermò e rivolgendosi a Dolly e a Iris chiese gentilmente:
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
“No caro Lombricone, non siamo stanche- rispose Dolly per entrambe – però vorremmo tanto sapere cosa faremo una volta che siamo arrivati nel regno di Ego.”
“Vorrei sapervi rispondere, ma non lo so….proprio non lo so. L’unica cosa di cui sono certo è che Avidus sarà sconfitto solo dall’amore……..ma non chiedetemi come perché io dell’amore non ne so proprio niente!!”
“Allora cosa facciamo?”chiese Dollarina che aveva bisogno più di fatti che di parole
“Toc toc toc!”
“Avete sentito anche voi?” chiese Iris
“Toc toc toc”
“Ma non sentite anche voi questo toc toc toc?” ripetè nuovamente Iris
“Certo che lo sentiamo - rispose sottovoce Lombricone – ma non sappiamo da dove venga”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
Alzarono gli occhi sulla grande querce che era proprio davanti a loro e Iris vide un bellissimo picchio che col becco batteva sulla ruvida scorza della pianta
“Ma….sei tu che hai parlato?” domandò allibita
“Certo, e chi sennò?” rispose il picchio continuando a battere il becco. “Buongiorno principessa Iris”
“Mi conosci?”
“Sicuro che ti conosco. Qui tutti ti conoscono e ti vogliono bene e tutti sono pronti ad aiutarti a ritrovare la stella polare”
“Ma che dobbiamo fare?” si intromise Dollarina che aveva voglia di recuperare quanto prima la sua bacchetta
“Toc toc toc….è inutile che vi fermiate all’imbocco dell’antro di mago Avidus. Da soli non riuscireste mai a recuperare la bacchetta magica.”
“E allora signor picchio cosa dobbiamo fare?” chiese gentilmente Iris
“Toc toc toc…. Io non sono il signor picchio, per te sono soltanto Berto! Toc.toc toc…che dicevo? Ah! Sì! Lombricone e Dollarina dovranno fermarsi lì, perché a loro non è concesso andare oltre, ma tu Iris, dovrai proseguire fino alla vetta della montagna”
“E poi?” chiesero tutti e tre all’unisono
“E poi dovrai aspettare gli eventi…..l’unica cosa che so con certezza è che Avidus è molto curioso e gli piacciono gli indovinelli. Purtroppo conosce la soluzione di quasi tutti gli indovinelli che gli sono stati proposti, per cui è difficile tenere la sua mente occupata per più di un minuto, ma se tu sapessi qualcosa che lui non sa, allora sarebbe tutto più semplice, perché la sua attenzione sarebbe tutta rivolta a risolvere l’enigma e per te sarebbe facile riprendere la stella polare,………comunque vai, non perdere tempo, tutto si compirà secondo quanto è stato scritto nell’alba dei tempi”
“Grazie amico Picchio” disse Lombricone avviandosi
“Non c’è di che” rispose il Picchio “ e state tranquilli! Noi animali della foresta vi seguiremo e se sarà necessario faremo la nostra parte, ma confidiamo che l’amore vinca ogni cosa”
“Arrivederci signor Picchio….cioè Berto!” Iris sorrise all’impettito uccello
“Toc toc toc…arrivederci principessina e non aver paura di smarrire la strada. Mentre cammini ogni tanto guarda il cielo e lassù vedrai Agora, la regina delle aquile che ti indicherà la strada. Con lei non potrai sbagliare”
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
“E’ perché te lo meriti mia cara…..e ora non indugiare ….vai..vai”
Dopo un’ora arrivarono all’imbocco dell’antro del regno di Ego, ed era cos’ buio, ma così buio, che non si riusciva di vedere a un passo di distanza.
“Noi ci fermeremo qui allora e cercheremo di fare buona guardia e tu mia cara Iris, dovrai proseguire da sola fino lassù- e con il dito della mano sinistra Lombricone indicò un punto in alto “Te la senti di arrivarci? Guarda, che se vuoi sei sempre in tempo a dire di no….”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
E la fanciulla con passo deciso e leggero si incamminò per il viottolo che portava in cima alla montagna.
Non sapeva perché dovesse andare proprio fino lassù, ma era certa che il Picchio le aveva detto cose giuste e sagge, e decise di seguire alla lettera ciò che le era stato detto. Con Agora vicina poi si sentiva sicura. L’aquila bianca come la neve, volteggiava nel cielo lasciando scie colorate di arcobaleno e le indicava la strada che doveva percorrere.
Ma nonostante la sua agilità e la sua sveltezza, la strada non finiva mai e Iris si lasciò dietro i boschi di querce e anche quelli degli altissimi faggi e quando arrivò in vista della vetta era stremata, e con orrore si accorse che il sole cominciava già a calare e le ombre diventavano più lunghe.
“Ancora pochi passi e potrò vedere cosa c’è di là del monte. Immagino che ci sarà un’altra vallata! Ma a che mi serve? Come mai sono dovuta venire sino qui se poi non c’è niente e nessuno che mi possa aiutare?” Mentre così pensava il sentiero ebbe una brusca svolta e…..rimase a bocca aperta.
Sotto di lei si stendeva un mare di luci, ancora non molto forti, ma stabili…che anzi aumentavano sempre di più, come se se ne accendesse una dietro l’altra. Non aveva mai visto luci così, e rimase affascinata a guardare quella distesa di puntolini luminosi, che sembravano tante stelle in terra.
“Cosa saranno?” si chiese a voce alta incuriosita e impaurita allo stesso tempo?”
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
“Lampadine? Cosa sono le lampadine?” chiese sconcertata
“Mah! Non ti so proprio rispondere! So solo che servono a fare luce”
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
“Sembra un cavallo con il suo cavaliere – bisbigliò alla lucertola- ma io non ho mai visto cavalli con zampe in quella maniera , né che nitrissero in quel modo!...........e non ho mai visto cavalieri che indossassero simili elmi………..o mamma mia….mi gira la testa, mi gira la testa” e la poverina svenne mentre la piccola lucertola preoccupatissima gridava “Aiuto la Principessa Iris sta male….presto correte ad aiutarmi” e con un rombo più forte di tutti gli altri la lucente motocicletta si fermava davanti a lei.
Brando scese agilmente dal sellino e senza perdere tempo si inginocchiò davanti a Iris, dandole piccoli colpi leggeri sulle guance per farla riprendere.
“Chissà perché si è impaurita tanto!” si chiese sorpreso “Non andavo neanche tanto veloce!”
“Ma che bella ragazza! Che capelli stupendi! Chissà chi sarà? Non l’ho mai vista da queste parti. Che strano abbigliamento ! Non ho mai visto nessuna delle nostre ragazze vestita in questo modo! Ma è proprio bella, anzi bellissima!”.
Andò a prendere la piccola borraccia che teneva sempre nella sua moto e le spruzzò qualche goccia d’acqua sul viso. Immediatamente gli occhi di Iris si aprirono e si rivelarono in tutto il loro splendore a Brando che con sollecitudine la guardava e cercava di tenerle sollevata la testa.
“Va meglio?” chiese con un sorriso
“Oh! Sì! Molto meglio grazie! Mi scusi tanto del disturbo che le sto arrecando, ma sinceramente mi sono proprio impaurita. Sa…non avevo mai visto un cavallo come il suo, né tantomeno un cavallo che avesse il fuoco negli occhi” si scusò Iris additando la motocicletta di Brando.
“Un cavallo?” rise il giovanotto sgranando gli occhi con stupore!” Possibile che lo svenimento avesse procurato alla ragazza un piccolo choc? Decise di prendere tempo e di assecondarla
“Più che un cavallo, questa è una mandria di cavalli. Per l’esattezza cinquecento! E comunque dammi del tu.” e sorrise nuovamente
Iris lo guardò stupita. Possibile che quel bel ragazzo non avesse tutti i venerdì a posto? Come faceva a vedere cinquecento cavalli, quando lei ne vedeva solo uno ….e di una razza sconosciuta, con bruttissime zampe tonde, una testa piccola e tonda che era ancora illuminata e due orecchie che avevano la forma di due tubi, neanche tanto dritti? Decise comunque di non dire niente, anche perché quel giovane era gentile e parlare con lui le piaceva e la incuriosiva.
“Senti” le disse Brando dopo aver pensato un attimo “che ne diresti di arrivare in quel prato verde pieno di fiori?? Fare due passi ti farà bene e da lì pare che si goda un’ottima vista perché siamo proprio in cima al monte e si vedono le valli sottostanti. Che ne dici?”
“Mi sembra una buona idea” rispose contenta Iris, che aveva ancora un po’ di tremarella alle gambe e pensava in tal modo di poter riacquistare il suo abituale equilibrio “andiamo” e si incamminò con passo veloce verso il praticello verde che cominciava proprio a due passi da lei, seguita da Brando, che ogni tanto le gettava un’occhiata colma di ammirazione. Quella ragazza le sembrava più bella ogni istante di più!
Arrivarono in cima al monte dopo cinque minuti e veramente da lì lo sguardo spaziava da tutte le parti e si perdeva lontano
“E’ bellissimo” disse Iris commossa
“Sì! Vedi tutte quelle luci laggiù?”
“Vuoi dire quelle lampadine?” domandò Subito Iris, contenta di far vedere che anche lei conosceva qualcosa
“Beh! Lampadine e altro ancora!” Brando era sempre più stupito dell’ingenuità di quella ragazza. Sembrava uscita da un altro tempo “E’ la mia città, Geapolis! Si chiama Geapolis! La conosci?”
“No rispose piano Iris “Non sono mai uscita da Valledoro e non immaginavo neppure che dietro il monte ci sarebbe stata una città di simili proporzioni e così diversa da dove vivo io!”
“Come hai detto che si chiama la tua città?”
“Valledoro…e non è una città, è più un borgo, un bel borgo tranquillo e sereno”
“E hai detto che è…….?”
“Proprio dalla parte opposta della tua città. Ecco se ti giri e guardi là in fondo, là c’è Valledoro e la mia casa”
“In effetti è una valle bellissima. Sembra quasi incontaminata, mentre invece di qua è tutto rumore e agitazione. Certe volte non ne posso più di tutto il baccano che sento e della vita frenetica che sono costretto a vivere………Ma tu che ci fai qui invece di essere nella tua bella valle?
“E’ una storia lunga. Sappi solo che devo andare nell’antro del mago Avidus a riprendere la bacchetta magica di fata Dollarina, perché nella punta di questa bacchetta c’è la stella polare”
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
“Va bene” acconsentì Iris e cominciò a narrare tutto per filo e per segno concludendo “Sicché come vedi se riuscissi a trovare un indovinello difficile e a proporlo ad Avidus, forse riuscirei nel mio intento e……..”
“Ma questa è una cosa semplicissima. Te lo do io l’indovinello. L’ho proprio letto stamani in internet….”
“Internet?....che cos’è? Non ho mai sentito questo nome” disse Iris
“Te lo spiego più tardi! Ora non c’è tempo, però mi ci vuole qualcosa per scrivere, perché non lo ricordo benissimo. Accidenti, non ho niente con me per scrivere! Brontolò Brando tastandosi il giubbotto che aveva addosso
“Non ti preoccupare. Ho io quanto ti serve” e dalla sua microscopica borsetta che portava a tracolla Iris tirò fuori un foglietto di carta leggerissimo, quasi diafano,una penna con un pennino a punta e una piccolissima boccetta di inchiostro.
Brando guardò stupito il tutto ma preferì non fare domande e si limitò a scrivere sul foglietto queste parole:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Cap. VI
“Sator, arepo tenet,opera?.........che vuol dire?” domandò Iris allibita
“E’ un’iscrizione antichissima scoperta in tanti reperti archeologici. In molti hanno cercato di interpretarla e di darle un senso logico, ma fin’ora nessuno con certezza sa che cosa vogliono dire queste parole……..però ora non perdiamo tempo e andiamo a cercare il posto dove è caduta la bacchetta magica di Dollarina.”
“Questo è semplicissimo, proprio come per te è stato semplice trovare l’indovinello. Dolly e Lombricone sono proprio davanti all’antro che porta al regno di Ego e stanno facendo la guardia sperando che Avidus non decida di uscire con la bacchetta magica per distruggere la mia valle.”
“Allora andiamo subito da loro. Guidami da loro”e presala per mano si incamminarono verso la terribile porta di Ego.
Intanto il sole cominciava a scendere e Iris guardò allarmata il cielo, che era ancora chiaro, ma non aveva più la lucente vividezza di poco prima.
“Bisogna fare in fretta. Se sorgono le stelle, stavolta sarà difficilissimo che Avidus non si accorga che la Stella Polare che è in cielo è falsa come l’oro d’oria che quando passò dal ponte vecchio scappò via” disse in fretta iris cominciando a correre
“Che dici?” chiese Brando stupito. Quella frase la conosceva anche lui. Gliela diceva sempre la sua bisnonna, ma non si ricordava più a che cosa si riferisse. Ma anche lui cominciò a correre. Fortunatamente la discesa aiutava molto i loro sforzi e dopo poco tempo arrivarono trafelati davanti all’antro.
“Fermi tutti. Non muovetevi e alzate le mani” si sentirono apostrofare all’improvviso e i due giovani si trovarono davanti un cespuglio che camminava velocemente verso di loro.
“Ah! Iris, sei tu…..che spavento mi hai fatto prendere” e Lombricone si materializzò davanti alla ragazza, liberandosi di tutte le fronde con cui si era mimetizzato.
“E Dollarina dov’è?”chiese Iris preoccupata
“Sono qui, sono qui!” rispose un altro cespuglio addossato a un albero.”Che sollievo rivederti Iris…..e questo giovane chi è?” disse guardando Brando
“Scusate! Questo è Brando e si è offerto di aiutarci a recuperare la bacchetta magica. Ha un indovinello da proporre ad Avidus e ora proverà ad entrare”.
Intanto che loro parlavano Brando si guardava intorno con aria perplessa. Il suo sguardo era stato catturato da un suono che proveniva dalla cima di un poggio.
Lombricone se ne accorse e subito gli andò vicino e con voce preoccupata gli disse:
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
“Non lo so” rispose Brando pensieroso “ma so che a casa mia questi tentacoli, come dici tu, si chiamano antenne e il sibilo, elettromagnetismo”.
“Lombricone guardò il giovane non riuscendo a capire neanche una parola di quello che gli diceva, ma Iris lo tranquillizzò
“Non ti preoccupare amico Lombricone. Brando sa quello che dice. La valle da dove proviene lui è molto diversa dalla nostra,. Un giorno ti spiegherò tutto, ma non ora! Ora non c’è tempo. Fidati di lui. Vuoi?”
Lombricone, allungò il collo fino all’inverosimile e guardò Brando da dietro le sue spesse lenti, mentre a poco a poco un sorriso gli spianava la bocca grinzosa.
“Mi fido!” disse semplicemente
“E allora che facciamo ora ?” chiese Dollarina che vedeva avanzare la sera e le si ripresentava davanti l’immagine di fata Filigrana.
“Voi per ora niente…. O meglio no! Riuscite in qualche modo a mettervi in contatto con Samo? Forse sarebbe meglio se mandasse qualche rinforzo, nel caso ce ne fosse bisogno”
“Ci penso io- e Lombricone si diresse immediatamente verso una querce che era poco distante- Squirrol !Squirrol! –intimò con voce autoritaria
“Sergente Squirrol a rapporto signore!” E un impettito scoiattolo si presentò sull’attenti davanti a lui.
“Squirrol, ho bisogno di affidarti un incarico della massima urgenza, della massima rapidità, della massima efficienza”
“Conti su di me Signore! Che devo fare Signore?”
“Metti in moto la tua staffetta e il più velocemente possibile consegna questo dispaccio a Samo. Gli devi dire di venire con tutto l’aiuto possibile all’ingresso del regno di Ego. Pensi di potercela fare nel giro di venti minuti?”
“Credo che un quarto d’ora sia più che sufficiente per far giungere l’ultimo della staffetta fino da Samo. Tu sai che tutti noi Squirrol siamo bene addestrati. Non per niente siamo considerati un corpo speciale conosciuto in tutto il mondo, anche se in pochi sanno che la nostra base è a Valledoro”
“Benissimo sergente. Parti subito. Noi aspettiamo il tuo ritorno”
“Da questo punto di vista siamo a posto- disse Lombricone soddisfatto della disponibilità degli Squirrol. Del resto non ne aveva mai dubitato. Se non fossero stati ciò che erano non avrebbero mai avuto l’onore di montare la guardia al Sacrario di Lincoln, né di diventare due personaggi celebri nelle avventure di un altrettanto celebre papero, né …………
“Lombricone, ehi! Torna tra noi” Brando lo scosse leggermente con la mano
“Eh!........a sì”
“Allora ascoltatemi bene. Voi ora restate qui e tenete gli occhi bene aperti. Io provo a entrare ….e vedrò che posso fare. Del resto ancora non ho ben capito che cosa troverò là dentro.”disse Brando più a sé che agli altri
“Io vengo con te” e Iris mosse un passo verso di lui
“No, tu resti qui! Potrebbe anche essere pericoloso” le rispose Brando
“No! Iris deve venire con te. Lo deve proprio, perché sennò l’antica profezia non si realizzerà. Lei deve venire con te” Lombricone era molto solenne mentre diceva queste parole.
“Di che profezia parla?” chiese sottovoce brando a Iris. Decisamente gli amici di quella ragazza erano tipi strani…….però simpatici ecco! Questo doveva proprio ammetterlo.
“Non c’è tempo ora per nessuna spiegazione” continuò Lombricone con aria autoritaria. – Dovete andare e quindi andate….però siate prudenti mi raccomando!”
“Sei pronta?” domandò Brando a Iris
“Prontissima” rispose lei
“Allora andiamo” e senza più dire niente si incamminò verso l’entrata scura della grotta, di fianco alla quale un minaccioso cartello giallo minacciava con due sole parole: LIMITE INVALICABILE.
Si trovarono davanti una porta chiusa, che non riuscirono ad aprire.
“Si comincia bene!” disse Brando
“Bisogna chiamare Dollarina” disse Iris
“Questa è una porta blindata che si apre solo con la parola chiave” ribattè Brando
“Io chiamo Dollarina, vedrai che lei una chiave la troverà!” e Iris tornò indietro per riapparire dopo due minuti con una Fata un po’ impaurita della porta, ma molto meno che di Fata Filigrana.
“Ce la fai ad aprire questa porta?” le chiese Brando dubbioso
“Beh! Posso provarci!” e tirato fuori da una tasca un libricino, cominciò a sfogliarlo cercando le parole magiche che avrebbero dovuto aprire la pesante porta
“Ala cabana sala gomò…si apra la porta almeno un po’…” Ma la porta non si aprì
“Provane un’altra” la supplicò Iris
“Ora ci provo….Aspettate….ecco! Meca mecone, taca tacone, si vuole aprire questo portone?”. Ma non c’era niente da fare. La porta non voleva saperne di aprirsi. Dollarina aveva quasi le lacrime agli occhi, ma caparbiamente continuò a sfogliare il suo libercolo
“Ecco…questa è una delle più potenti……Abra cadabra mumina zagabra gugù..apriti tu!” Ma non ci fu niente da fare.
“Possibile che in questo libro non ci sia niente di decente? Ma che ci insegnano ai corsi che facciamo? E pensare che ci fanno studiare ore e ore su queste parole!” Dollarina si era arrabbiata e gettato il libretto in terra ci saltò sopra con tutte le forze. “E poi ci dicono che siamo progrediti! Che questi sono i programmi nuovi.! Per quello che servono tanto valeva che ci fossimo fermati ad ..apriti sesamo”
In quel momento si udi un clac metallico e tutti e tre allibiti videro la porta aprirsi lentamente.
“Brava Dolly” rise Brando che fu il primo a riaversi dallo stupore “ci sei riuscita. Brava!”
“Bravissima” Iris l’abbracciò contenta e senza indugiare oltre entrò con Brando dentro la porta, lasciando una fata stupefatta e incredula che a un certo punto disse
“Già…ci sono riuscita” e si chinò a raccattare il suo libretto
Si appiattirono contro la parete buia di quella che sembrava un’enorme caverna. Tutto era silenzio lì dentro e loro potevano sentire benissimo il loro respiro e i battiti dei loro cuori-
Poi improvvisamente una luce rossa si materializzò davanti ai loro occhi, che non ancora abituati al buio, non si erano accorti che il buio non era propriamente tale, perché una nubilescenza verdastra permetteva di andare avanti anche se continuava ad avvolgere nel mistero tutto quello che li circondava. Tutto fuorché la luce rossa che proveniva da un unico gigantesco occhio, laggiù in fondo, davanti a loro.
Cap VII
Fecero appena in tempo ad appiattirsi dietro a una colonna, che un rumore inconfondibile di passi giunse fino a loro. Trattennero il respiro, mentre i passi si avvicinavano sempre di più e poco dopo ombre lunghe si proiettarono davanti ai loro occhi. Poco dopo tre uomini, vestiti con camici verdi si fermarono davanti all’occhio rosso e cominciarono ad armeggiare con qualcosa che era più in basso
“Ecco fatto- disse uno di loro- anche per stasera Mister Chip è a posto. Domattina chi deve tornare per togliere l’allarme?”
“Domani tocca a me – rispose la voce di una donna- e guardando meglio Brando e Iris si accorsero che effettivamente uno dei tre era una ragazza poco più grande di loro
“Bene, allora possiamo andare. Domani ci aspetta una giornatina niente male, per cui cerchiamo di riposarci stasera”
“Ok capo!” risposero gli altri due e si incamminarono verso l’uscita
Quando il rumore dei loro passi si fu dissolto nell’oscurità Iris disse piano a Brando :
“Come mai non avevano paura di quel mostro e del suo terribile occhio? E poi chi è questo mister Chip?”
“Iris, bisogna che ti dica qualcosa, ma non c’è molto tempo per cui mi auguro che tu ti fidi di me! Dimmi! Hai fiducia in me? Guardami per piacere e dimmi se hai fiducia in me!”
Iris si voltò leggermente e guardò Brando negli occhi.
“Certo che ho fiducia in te. Se non l’avessi avuta non ti avrei detto tutto ciò che ti ho detto!”
“Allora ascoltami. Quello che sto per dirti forse ti sembrerà assurdo, perché bene o male ho capito che tu fin’ora hai vissuto in un posto diverso dal mio, ma ti garantisco che tutto ciò che sentirai è la verità”
“Vai avanti…ti ascolto” rispose Iris impaziente
“Quello che tu chiami un mago terribile, noi lo chiamiamo computer. Noi siamo appena penetrati in un laboratorio informatico, dove vengono elaborati progetti di sicurezza, che nessuno deve conoscere e infatti l’ingresso era vietato….ricordi?”
“Certo che mi ricordo,….ma questo marchingegno che tu chiami computer, perché vuole fare del male alla mia gente?”
“Questo è quello che crede la tua gente. Io non penso che voglia farvi nessun male, se non quello di portarvi un progresso, che molte volte distrugge la bellezza di tanti posti incontaminati…..ma questo è un altro discorso”
“E tu vivi in un mondo così?” chiese Iris incuriosita nonostante ci fossero ben altre cose a cui pensare.
“Sì, io vivo in un mondo dove tutto è meccanizzato, computerizzato, programmato. Nel mio mondo la gente si sposta con le automobili o con le moto, come quella che hai visto quando sono arrivato…
“Nel mio mondo andiamo a piedi o con i cavalli a dondolo …..
“Nel mio mondo abbiamo la luce elettrica…
“e noi le candele e la luce delle stelle delle fate…
“nel mio mondo guardiamo la televisione e ascoltiamo la musica stereo….
“ e noi guardiamo i tramonti e raccontiamo le favole e suoniamo i pifferi e le cetre…
“nel mio mondo…..ma ora basta! Ce lo diremo dopo che cosa facciamo nel nostro mondo, ora abbiamo cose più importanti da fare. La vuoi riprendere sì o no la bacchetta magica di Dollarina?”
“Certo….e allora che facciamo?”
“Vieni con me e non avere paura! Il terribile occhio rosso, come lo chiami tu non è altro che una spia luminosa che dice che il computer è acceso”
“Posso continuare a chiamarlo Avidus?” disse Iris”Chiamalo come vuoi” e presola per mano si incamminarono verso la grande consolle piena di tasti e di pulsanti.
Iris guardava affascinata tutte quelle cose che non aveva mai visto in vita sua, ma Brando conosceva bene le tastiere dei computer e anche quella, anche se molto sofisticata, non lo impressionò più di tanto.Premette un tasto e improvvisamente non uno ma dieci, venti, cento schermi si accesero in tutta la stanza, lasciandoli per un momento esterrefatti.
“Ora non bisogna perdere tempo. Hanno innescato il sistema di allarme e appena Avidus riuscirà a risolvere l’indovinello che ora gli proporrò, tutti i campanelli di questo antro suoneranno e noi saremo perduti.”
“Pensi che riuscirà a risolverlo?” chiese Iris
“Credo proprio di sì. Bisogna vedere quanto tempo ci mette. Quindi faremo così! Io ora scrivo le parole dell’indovinello e nel frattempo tu guardati intorno per vedere se riesci a trovare la bacchetta magica con la stella polare. Appena ce l’hai in mano avvertimi che scappiamo…..e speriamo bene. Sei pronta?”
“Prontissima”la voce di Iris tremava un po’, ma non si sapeva se era per la paura o per l’eccitazione di quell’avventura così strana
Brando si chinò sulla tastiera e cominciò a scrivere: sator, arepo, tenet, opera, rotas. “invio!” disse tra i denti e immediatamente sugli schermi apparvero schermate di parole, che si cancellavano e si riscrivevano con una velocità impressionante.
“Non ce la faremo mai. E’ velocissimo! Sta già dando tantissime probabili soluzioni. Cerca più in fretta Iris, cerca più in fretta!”
La ragazza correva intanto di qua e di là, guardando in ogni pertugio, in ogni più piccolo anfratto, sotto i tavoli e sotto le sedie, ma non riusciva a vedere niente.
“Non c’è, non c’è” gridava disperata mentre Brando, seguiva con occhi affascinati il lavoro di Avidus, che tra poco avrebbe risolto l’arcano che nessuno fino a quel momento era riuscito a districare. Eppure erano passati millenni da quando quelle parole avevano fatto impazzire migliaia di generazioni di uomini!
All’improvviso in un angolo Iris vide qualcosa che brillava fiocamente. Si avvicinò col cuore in tumulto ed era là la piccola bacchetta magica, con la sua stellina in cima, quella stellina tanto importante, e della quale ancora nessuno aveva notato l’assenza.
“L’ho trovata, l’ho trovata” disse Iris raccattando la bacchetta e stringendola in mano
“E ‘ tardi Iris è tardi….Non ce la faremo a fuggire. Guarda manca solo una parola e l’indovinello sarà risolto!” disse Brando afferrando Iris per una mano e cercando di spingerla verso l’uscita mentre lui avrebbe cercato di ostacolare come poteva la soluzione del rebus. Ma Iris si fermò interdetta. Qualcosa, una forza più grande di lei, la spingeva a restare in quel posto, mentre davanti ai suoi occhi appariva un viso dolcissimo avvolto in un velo trasparente di stelle e una voce dolce e gentile le diceva”Fermati Iris e fai quello che ti dirò. Io sono fata Filigrana. Hai mai sentito parlare di me? Sì? Lo vedo dai tuoi occhi. Allora ascoltami. Punta la bacchetta verso l’occhio di Avidus e recita a voce alta queste parole: “Velo di fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi” presto cara, non perdere tempo e fai esattamente quello che ti ho detto.
“Scappa Iris, scappa!” Brando la sollecitava ad andarsene, ma inutilmente. I piedi della fanciulla erano incollati al pavimento.
Quasi come una sonnambula si voltò verso il grande occhio e, puntando la bacchetta magica proprio al centro di quella luce, a voce alta recitò quello che fata Filigrana le aveva suggerito
“Velo di fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi”
Immediatamente accadde qualcosa che Brando e Iris guardarono affascinati e increduli. Una ridda di parole senza senso apparve in tutti gli schermi, rimbalzando da uno all’altro in un carosello infinito, e con una velocità che aumentava ad ogni secondo.
“Ecco miei cari, questo è il momento di andarsene. Non tentiamo troppo la fortuna. Avidus ha delle risorse inaspettate anche per una fata potente come me. E’ meglio non indugiare”.
“Andiamo, andiamo” disse Iris a Brando, che continuava a guardare affascinato tutto ciò che stava accadendo. Una parte di lui era estremamente interessata a quello che si stava svolgendo in quella lotta tra tecnologia e magia, ma il buon senso di Iris ebbe la meglio e i due giovani riuscirono in breve tempo a riguadagnare l’uscita.
Cap. VIII
Giunsero all’aria aperta nell’arco di due minuti e con stupore si accorsero di essere rimasti dentro l’antro solo per pochi attimi, anche se a loro erano sembrati lunghissimi.
Il sole era ancora in cielo, anche se ormai cominciava a cambiare colore e guardando verso Valledoro si potevano vedere i primi picchi che si levavano in volo per andare a riporlo dietro la montagna. Era una cosa bellissima vedere il tramonto del sole a Valledoro. I picchi si mettevano tutti intorno al disco dorato e al comando del loro generale il picchio Picone,( pluridecorato per il compito importantissimo che aveva assolto per tanti anni, talmente decorato che ormai non poteva più volare da quanto pesavano le medaglie appuntate alle sue piume), afferravano un lembo dell’infuocato disco e all’unisono con volo circolare, facendo ampie evoluzioni lo andavano a riporre nella vaschetta dietro il monte Poitorno, dove sarebbe rimasto fino al mattino successivo quando la staffetta delle civette diurne, al grido di tuttomio-tuttomio, l’avrebbero riportato sul suo trono nel cielo, dove gli elfi l’avrebbero preso e, caricato sul carro d’oro l’avrebbero portato in giro per tutto il giorno. Era così da tempo immemorabile e nessuno aveva ricordo di ritardi o di incidenti di percorso. Ma non fu quello che fece rimanere a bocca aperta i due giovani, appena giunti fuori, anche perché da quella parte il sole tramontava come tramonta sempre il sole e solo Iris sapeva che invece c’era tutto un lavoro di alta responsabilità e di grande affiatamento. No! Non fu quello!
Ma lo spettacolo che si presentò ai loro occhi! Un esercito era schierato davanti al temibile antro del regno di Ego, e altri soldati stavano arrivando da tutte le parti:
A Iris si inumidirono gli occhi dall’emozione, mentre Brando non riusciva a riaversi dalla sorpresa che tale visione gli aveva procurato. Era talmente sorpreso, che non riusciva neanche a ridere, anche se dentro di sé, cominciava a sentire un pizzicorino che partiva dalla punta dei piedi e che irrefrenabilmente si allungava su per le gambe, fino ad arrivargli allo stomaco. Tra un po’ sarebbe giunto alla bocca e allora……..
Poi guardò Iris e immediatamente seppe che mettersi a ridere sarebbe stato l’errore più grande della sua vita. Quello che vedeva, non era uno scherzo, ma una cosa estremamente seria che aveva una dignità, che solo ora vedeva in tutta la sua grandezza. In piedi, proprio di fronte a lui, un uomo e una donna, come lui, gli fecero inequivocabilmente capire che si trattava di Samo e di Var, che erano i genitori di Iris e l’esercito che si snodava dietro di loro ad un tratto diventò qualcosa di così dignitoso, che cominciò a guardare tutti con rispetto.
C’erano tartarughe, supercorazzate, sopra le quali, piccoli cannoni muniti di turaccioli pieni di polvere pizzicorina, puntavano contro l’ingresso dell’antro dal quale cominciavano a uscire suoni strani. Evidentemente le immagini che rimbalzavano l’una sull’altra, avevano messo in moto altri meccanismi, per cui si sentivano chiaramente dei bip-bip senza alcun senso, che cominciavano a diffondersi nell’aria circostante con una frequenza sempre maggiore. Dietro lo squadrone delle tartarughe, un altro imponente esercito di castori aveva le forti code già armate di palle di fango impastato con l’ortica, da catapultare contro i nemici, che di lì a poco sarebbero senz’altro apparsi a difendere il loro regno, e interi stormi degli uccelli più diversi, volavano ad ali spiegate, primi tra tutti i pellicani, che con volo planato, avrebbero scaricato dai loro capienti becchi milioni di pulci, di cimici, di pidocchi, di formiche,ciascuno dei quali era stato dotato di una bomboletta del temibile liquido pruriginoso, (il terribile grattachecca b2) contro il quale neanche le più sofisticate corazze avrebbero potuto resistere! Poco distanti un esercito infinito di zanzare ballerine e di api industriose, dal volo leggero e silenzioso stavano affilando i loro pungiglioni. Anche i pipistrelli, il temibile squadrone dei Pip, celebri per i loro voli notturni nonché per le loro divise nere, avevano accettato di fare un raid diurno, per essere più che altro elemento di disturbo e di scompiglio. E che dire delle ranocchie saltatrici, pronte a fare le loro acrobazie all’interno delle camicie dei nemici? Un po’ in disparte uno squadrone di topolini a molla, si era attaccato con i loro fili già tesi e fissati alla base di un albero, Ciascuno di loro aveva in dotazione una formica con le pinze, che avrebbe al momento opportuno tagliato il filo e fatto partire il proprio topolino, che coraggiosamente avrebbe avanzato finché la sua molla lo avrebbe permesso, dando così modo a chi veniva dopo di loro di avere più tempo per preparare una tattica. Piccoli eroi di Valledoro!
Intanto un esercito infinito di ragni di tutti i tipi e di tutte le dimensioni si dava da fare a tessere tele, con le quali avrebbero imprigionato il nemico. Nessuno doveva essere ucciso a Valledoro e i nemici sarebbero stati debellati dal gran ridere che avrebbero provocato tutte le armi dell’esercito dei Val.
Intanto il bip-bip cresceva sempre di più di intensità e un rumore concitato di passi si faceva sentire sempre più vicino. Tra pochi secondi l’esercito di Ego, sarebbe stato lì e dunque non c’era tempo da perdere. Fata Dollarina infatti, che fino a quel momento era rimasta vicino all’amico Lombricone, con un leggero volo arrivò da Iris, che senza parole, le consegnò la bacchetta magica, mentre Samo la incitava: “Presto Dolly, riporta la stella polare al suo posto, prima che gli uomini dei Val se ne accorgano!”.
Anche Lombricone andò verso i due giovani che lo guardarono entrambi con un misto di rispetto e di deferenza. Lombricone infatti aveva ritrovato tutta la sua dignità, che gli proveniva da intere generazioni di Lombriconi Generali, Guardiamarina, Commodori, Ammiragli. Qualcuno aveva detto una volta che uno dei suoi bis,bis,bis,bisavoli, aveva eroicamente combattuto con l’Ammiraglio Nelson, uscendo dalla battaglia con una gamba in meno (anche se questa forse era una leggenda, perché da quando mai gli amici Lombriconi avevano le gambe?) e una medaglia in più.
Quella medaglia comunque ora era appuntata al petto di Lombricone, che per l’occasione aveva ritirato fuori il suo cappello da guardiamarina, anche se non aveva mai confessato a nessuno che non sapeva nuotare.
“Ora che succederà?” gli domandò Iris con apprensione
“Guardiamo e lo sapremo subito! Stanno arrivando!” rispose trai denti, che si rivelarono una sorpresa, perché fino a quel momento non si era accorto di averli.
Di lì a poco, una decina di uomini, in tute mimetiche, con l’elmetto in testa, fecero la loro apparizione all’ingresso dell’antro. Tenevano tra le mani temibili fucili e qualcuno aveva persino dei mitragliatori. In un attimo li caricarono e puntandoli contro il piccolo esercito dissero con voce minacciosa: “Alto là o facciamo fuoco!”
Intanto il bip-bip era dapprima diventato un biiip-biiip fino a trasformarsi in biiiiip-biiiip, per poi diventare biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip-biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip, fino a non far capire più niente a nessuno.
Tutti dovettero mettersi le mani o le zampe alle orecchi per resistere a quel rumore infernale, tutti tranne i soldati che dovendo imbracciare i fucili, non potevano tapparsi le orecchie, perché avevano due mani sole e con i piedi non riuscivano né a tenere i fucili, né a tapparsi le orecchie, per cui rimasero stoicamente in quella posizione, e mentre il cervello gli andava in pappa riuscirono ancora a pensare; “Ma guarda che bisogna fare per guadagnarsi un po’ di pane!”.
Poi successe una cosa stranissima. I fucili, che nel frattempo erano rimasti impassibili tra le mani dei loro soldati, si resero improvvisamente conto che a loro nessuno avrebbe tappato le orecchie, per cui pensarono bene di farlo da soli e siccome le orecchie dei fucili, per chi non lo sapesse, sono vicine all’otturatore,( perché se non si sentissero quando sparano, come farebbero poi a mandare il rinculo a chi ha premuto il grilletto, per avvertirlo che ha sparato?) e si possono tappare solo se l’otturatore è su, pensarono bene di alzarlo per trovare un po’ di pace.
Vedendo questo, le tartarughe, i castori, i pellicani e tutti gli altri, ebbero un sospiro di sollievo, perché avrebbero potuto continuare a tenersi le orecchie tappate, e così tutti aspettarono gli eventi, cioè che quel rumore infernale avesse termine. Per fare la guerra ci sarebbe stato tempo dopo.
Ma quel rumore non passò, anzi, se possibile divenne ancora più intenso, mentre ormai le ombre della sera cominciavano a distendersi su tutte le valli, Valledoro compresa, E’ a quel punto che Brando, togliendo per un attimo una mano dal suo orecchio, ma solo per un attimo, puntò l’indice verso i cielo dicendo: “Ecco! Guardate! La Stella Polare è tornata al suo posto” E infatti la stellina era lì, circondata da tutte le fate, che l’avvolgevano con i loro veli, facendola a tratti sparire e poi riapparire, prima tra tutte Fata Filigrana, che con i suoi lunghissimi capelli neri, portava le ombre sulla terra.
Tutti guardarono il cielo e per un attimo non ci furono più nemici, persi come erano nell’immensità della volta che si tingeva del blu della notte, nella quale cominciavano ad apparire tante stelle lucenti.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Fu allora che accadde un altro evento prodigioso. All’ingresso dell’antro si materializzò un omino con un camice bianco, di due taglie più grandi di lui. Aveva spessi occhiali, e una testa di capelli arruffati.
“Ma….Ma…..” cominciò interdetta Iris guardandolo
“Ma…Brando. Guardalo ti prego. Non ti sembra che somigli tutto a Lombricone?”
“E’ vero” rispose Brando guardando prima l’omino e poi Lombricone. Anche Samo e Var guardavano stupiti l’omino e Lombricone, finché quest’ultimo spezzò il silenzio dicendo
“Perbacco che ci trovate di tanto strano se anche un verme come me può avere un uomo che gli somiglia? Io non ne sono offeso”
Intanto l’omino aveva fatto qualche passo. In mano teneva alcuni fogli e mentre avanzava con lo sguardo rivolto al cielo diceva:
“Hanno risposto! Hanno risposto!”
Cap. IX
Stranamente non fu Brando e neppure Samo a ritrovare per primo la parola e nemmeno Lombricone, nonostante la sua distinta figura che incuteva rispetto, perché tutti si fermarono interdetti guardando Var, che alzando il viso in tutta la sua fierezza si rivolse all’uomo, che appariva ancora stralunato, dicendogli con la sua dolcissima voce che aveva una leggera calata , dalla quale tutti riconobbero immediatamente, la provenienza della gentildonna;
“Vussiete uno scienziato signore? Ditecelo, dè, sennò ci viene l’affanno se dobbiamo indovinare. Suvvia dèè!”
A tale gentile invito, l’uomo riacquistò immediatamente la sua dignità e prontamente rispose:
“Sissignora! Sono il professor Von Rintronaten Zaccheus……premio nobel per i tanti, no, per i troppi, uffa, volevo dire per i quanti, scoperti davvero in quantità incredibile e……”
“Ebbene professore Von Rintronaten…….intervenne Samo
“Vi prego chiamatemi semplicemente Zac!”sorrise timidamente il professore
“Mi sembra un’ottima idea- sospirò sollevato Samo – Ebbene Zac, cosa volevi dire quando hai urlato ‘Hanno risposto?’
Lo sguardo dello strano uomo si perse nuovamente dietro le spesse lenti in un mondo tutto suo e disse a voce più contenuta:
“Hanno risposto! Sì hanno risposto! Ed è per questo che sono uscito immediatamente per sapere chi è il genio che ha impostato il computer sulla frequenza che da ormai cinque lustri cercavo, senza mai riuscirci!”
“Sono io” rispose Brando”Ma mi creda professore, è stato un caso fortuito. Ma cosa è successo di tanto importante?” domandò incuriosito Brando mentre anche Iris si faceva più attenta, le tartarughe allungavano il collo, i pellicani cominciavano ad atterrare, e tutto il resto dell’esercito di Valledoro si avvicinava per udire, ciò che l’incredibile personaggio uscito dall’antro di Ego si apprestava a dire.
“Ecco! Scusate se sono un po’ confusionario, ma l’emozione, capirete è tanta! Non capita tutti i giorni di ricevere una risposta a messaggi che mandiamo ormai da oltre vent’anni nello spazio, senza avere mai risposta. Oggi è arrivata….chiarissima, grazie alla frequenza che questo giovanotto è riuscito a impostare sul computer. Abbiamo trovato la chiave di volta…..e ora possiamo parlare con loro!” disse il professore passandosi una mano tra i folti capelli, che si arruffarono ancora di più se possibile.
“Ma con loro ….chi?” azzardò Lombricone che pensava di aver capito e temeva la conferma del professore.
“Con gli abitanti di Nefele,…….quella stella lassù…..”
“Con gli alieni? Incalzò Lombricone
“Non sappiamo ancora quale sia il loro aspetto, ma il messaggio che ci hanno mandato è inequivocabilmente un messaggio di pace e di amicizia”
“Meno male” bisbiglio Lombricone a Samo e si rilassò in tutta la sua lunghezza, perché se c’è una cosa che gli amici lombriconi hanno, questa è il coraggio, ma se c’è una cosa che hanno ancora di più è la fifa e per non farla vedere in genere si sdraiano per terra, prendendo la posizione pensosa e riflessiva, di chi medita su grandi tematiche, cosa che Lombricone fece immediatamente, attirando su di sé lo sguardo del Professore che identificò subito in lui il Capo di tutta quell’incredibile esercito che aveva visto davanti a sé.
Quindi dirigendosi verso di lui, gli tese la mano e afferrando quella di Lombricone, la strinse calorosamente dicendogli in maniera solenne:
“La patria le sarà riconoscente di tutto quello che lei con i suoi uomini, ha fatto per l’umanità. Solo un comandante come lei poteva portare a buon fine una ricerca così importante come questa e le garantisco che avrà il premio che si merita.”L’amico Lombricone ritrovò immediatamente tutta la sua dignità, contento in cuor suo che nessuno si fosse accorto di quel piccolissimo attimo di panico, e il professor Rintronaten ignaro di quanto il suo nobile cognome si adattasse alla perfezione alla sua figura, si diresse davanti a Samo e a Var continuando:
“Naturalmente anche voi siete invitati al Palazzo dei Congressi, dove riferirò immediatamente l’accaduto. “E s’intende che anche tu giovanotto verrai con la tua splendida fidanzata a ricevere la ricompensa che meriti” aggiunse mentre Iris diventava rossa come una ciliegia a sentire quell’affermazione e Brando non sapeva più dove guardare, ma a forza di non saper più dove guardare si trovò proprio a guardare negli occhi di Iris e lì ci si perse per sempre.
Samo scosse il capo e disse tranquillamente “Caro professore, siamo contenti se siamo potuti essere utili alla sua scoperta e il fatto che nelle stelle ci siano altre presenze ci riempie di gioia, anche se a Valledoro lo abbiamo sempre saputo, perché le buone fate che ci onorano della loro amicizia ce l’hanno sempre detto. Ma era giusto che anche le altre genti che popolano la terra fuori da Valledoro sapessero che ci possono essere altre intelligenze che vogliono vivere in pace e portare messaggi di amicizia………Ma io non verrò con te, perché il mio posto è a Valledoro, con la mia gente e la semplicità della mia vita….e credo che per Var sia la stessa cosa”
“Gliè così dèè” annui sorridendo Var, già pensando alla sua sala da the e a tutto quello che avrebbe dovuto fare per preparare una bella festa per tutti gli abitanti di Valledoro, per festeggiare il ritrovamento della Stella Polare. Altro che stella di Nefele! A lei interessava solo la sua vita, i suoi affetti, il torrente che scorreva dolcemente, tanto da leccarsi le dita, le sue tazze da the, dai languidi occhi neri e le boccucce rosse e i pasticcini alla crema serafina, fatta con le uova degli angioletti, che le fate le portavano tutti i giorni freschi freschi, dai più reconditi nidi nel cielo.
“E voi?” Von Rintronaten si rivolse a Brando e Iris
“Io non lascerò mai Valledoro. Anche se so di essere diversa dai suoi abitanti, sento che loro sono la mia gente e in qualsiasi posto del mondo potessi andare, so che non troverei mai la dolcezza della mia valle.”rispose piano Iris, guardando sotto sotto Brando.
Brando era serio. Guardava Valledoro che si stagliava in lontananza e poi la sua terra, nell’altra valle, bella anche lei, anche se così diversa!
“Brando?” chiese il professore
“No Zac! Neanche io verrò.”Poi prendendo per mano Iris le disse “Mi prometti che di tanto in tanto verremo anche nella mia valle e che ai nostri figli insegneremo le cose buone di entrambe?
“Te lo prometto!” rispose in un sussurro Iris e così si scambiarono la loro promessa di amore.
“Ma tu devi andare Lombricone! Devi andare e poi devi tornare a raccontarci tutto quello ve vedrai e che farai!” disse Samo all’amico “Del resto chi più di te merita una ricompensa? Se non ci fosse stato il tuo interessamento, la tua amicizia, la tua costanza, forse oggi Valledoro non sarebbe più così. Vai amico mio e grazie per tutto quello che hai fatto per noi” E Samo abbracciò l’amico Lombricone con una tenerezza che solo i lombriconi possono capire e ricambiare. Poi si girò e rivolto al suo esercito, a Var, a Iris e Brando disse semplicemente:
“Torniamo a Valledoro”
E così finisce questa novella, che come tutte le novelle, non ha mai una vera fine, perché continua a vivere nell’immaginario di ciascuno di noi. Sappiamo però che Iris e Brando si sono sposati e Samo ha preparato una festa per loro alla quale hanno partecipato tutti gli abitanti di Valledoro e tutte le fate. Per l’occasione a Dollarina, Fata Filigrana ha regalato un nuovo velo, lungo dieci metri in più di quello precedente e la fatina non finisce mai di guardarlo e di farlo volare nel vento. Anche il temibile Avidus, mago di Ego ha lasciato per l’occasione il suo antro e alla fine si è scoperto che non era nient’altro che il professore Von Rintronaten, che davvero non fa paura a nessuno. E’ arrivata anche una missiva entusiasta da Lombricone, ops, scusate da Sir Lombricone, Baronetto dei Canneti, al quale sono state conferite onorificenze in tutto il mondo, ma lui più che altro parla della prima…”e mi hanno portato in una grande casa, tutta bianca, dove un uomo nero, mi si è avvicinato e semplicemente mi ha sorriso e stretto la mano dicendomi: “La prego di farsi portavoce verso tutti i Lombriconi del mondo per ringraziarli del contributo che portano alla causa mondiale della pace…….”. Che dire ancora? Forse è meglio ascoltare le parole che Brando e Iris si sono scambiate e che le fate portano ancora sui loro veli per affidarle al vento, che le trasporti in tutto il cielo “Io Brando, prendo te………..” “Io Iris prendo te…………..” Per tutta la vita, per tutta la vita, per tutta la vita per tuttaaaaaaaaaaaalaaaaaaaaaviiiiiiiitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Per piacere non lo dite al Professor Von Rintronaten, perché questo non è un messaggio che viene da lontano. Questo è solo un messaggio d’amore!
Siccome usa così, anch’io proverò a ringraziare qualcuno.
Ma chi ringraziare? No! Non è difficile, me ne accorgo immediatamente, perché sono qui intorno a me, tutte le persone alle quali voglio bene.
Se penso a questa novella la prima persona che devo ringraziare è senz’altro il mio babbo, perché i maghi Spiridone e Spacamalosse sono personaggi delle favole inventate da lui per me, quando ero piccina. Anche Lombricone è un personaggio inventato da una giovane mamma che passava le serate a narrare ai suoi bambini le imprese di questo strano personaggio che vive in Canneto. Dunque il mio grazie va anche a lei.
Ma più di tutti devo ringraziare i miei figli, la mia mamma e i miei amici, perché mi accettano per quello che sono, senza cercare di cambiarmi e senza farmi notare troppo che il mondo delle favole per me ormai dovrebbe essere finito.
E di più, molto di più, il mio grazie va ai miei nipotini che mi hanno ispirato questa novella, perché è grazie a loro che ho ritrovato in me la fantasia e le ho dato le ali.








1 commento:

  1. finalmente conosco la fine di questa magica avventura ( ne avevo solo i primi tre capitoli ). Ora la leggerò a Marco ghiotto come te di mondi fantastici: io vi guarderò sorridere!

    un bacio al mio caro amico Balilla il quale andandosene mi ha lasciato in ricordo l'allegriae la ... passione.

    uno con lo schocco anche a te mia amatissima amica :))

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