Poiché un sognatore
è
colui che vede la
sua
strada solo al
chiaro
di luna,
la
sua punizione è
vedere
l’alba prima
del
resto del mondo
Questa novella è dedicata a Bali, mio insostituibile amico, fiero, indipendente, fedele compagno delle mie avventure nella vita reale e onirica. Emulando l’imperatore Caligola, che nominò il suo cavallo Senatore nell’Impero Romano, io nomino il mio cane Senatore a vita nella Contea di
Valledoro
Cap.1
C’era una volta, tanto
tempo fa, ma così tanto che gli orologi non erano ancora stati
inventati e neanche le clessidre se per questo…..insomma quando
ancora il tempo si calcolava col sorgere e il tramontare del
sole…….c’era allora una terra beata, una vallata, circondata da
monti altissimi e pieni di neve.
Questa valle era tutta
verde, ma non di un verde come tutti gli altri perché la sua erba
era fatta di pura menta e i fiori che vi nascevano erano tutti
canditi, e a guardare proprio per bene la cima dei monti, si vedeva
che la neve non era proprio neve, ma una bellissima panna montata,
che le fate, quando volando, facevano ritorno a casa, assaggiavano,
prendendola con la punta della bacchetta magica che in cima aveva una
stellina che poteva a piacimento funzionare anche da cucchiaino
Bastava fare un volo un po’ più radente, abbassare la bacchetta
e…zac! La stellina si adornava di panna che poi le fate leccavano
golosamente e quando erano sazie, non facevano altro che scuotere le
loro bacchettine e la panna avanzata diventava delle bellissime
nuvole bianche che correvano nel cielo spinte dal vento che si alzava
dalla valle. Di notte le buone fate si riposavano nelle tende
vellutate e nascoste del cielo e le loro bacchette, poste una accanto
all’altra illuminavano la volta celeste, formando il firmamento.
Era uno spettacolo
bellissimo e la gente della valle si sentiva sicura e protetta da
quelle stelle che vegliavano su di loro.
Gli abitanti di quella
valle si chiamavano Valdorati, ma siccome il nome era troppo lungo,
per gente come loro che era alta si e no cinquanta centimetri, si
erano da soli abbreviati in Val. Il popolo dei Val non era come tutti
gli altri popoli. Oh sì! Anche loro avevano due gambe, due braccia,
un naso, una bocca e due occhi, ma i loro occhi avevano tutti il
colore della valle e la bocca era rossa come un lampone e come i
lamponi piena di puntolini.
Le loro casette erano
tutte bianche, traboccanti di fiori canditi e di gatti di pannolenci
con i baffi di saggina. I cani invece avevano un bel pelo come quello
dei tappeti persiani e le orecchie con le nappe. Tutti avevano cani e
gatti. Qualcuno aveva persino un cavallo e una mucca. E non crediate
che fossero come quelli che si vedono da noi, perché i cavalli erano
a dondolo e le mucche avevano i boccoli biondi o bruni….qualcuna
rossi, ma erano tutte delle vere signore.
In una delle ultime
casette, vicino al torrente di marmellata vivevano Samo e Var.
Nessuno sapeva da dove fossero giunti. Il giorno prima non c’erano
e il giorno dopo erano lì, molto diversi dagli abitanti di
Valledoro, ma molto disposti a fare amicizia con tutti loro. Samo era
un uomo di nobile aspetto e di bel portamento , mentre Var era
biondissima e leggiadra. Avevano una bellissima figlia che tutti i
valligiani guardavano affascinati, per via del colore dei suoi occhi
che era identico al colore del cielo in una calda giornata d’estate.
Nessuno di loro aveva mai visto occhi simili, ma lungi dall’esserne
invidiosi erano contenti di avere tra di loro una simile perla rara e
tutti volevano bene a quella fanciulla bella come il sole, ridente
come una giornata di primavera, candida come la neve dei monti, che
aveva un nome scintillante come una goccia d’acqua attraversata
dall’arcobaleno: Iris.
I genitori di Iris non
avevano mai detto a nessuno la loro storia, ma le brave persone di
Valledoro intuivano che non erano persone comuni e che solo per far
perdere le loro tracce erano venuti ad abitare in quel luogo, così
isolato dal resto del mondo, ma non avevano mai fatto domande e dopo
un po’ Samo, Var e Iris, erano diventati parte di loro. Avevano
una sala da the dove ogni sera si radunavano tutte le persone stanche
della lunga giornata di lavoro, per fare un bel bagno nel the
zuccherato. Non c’era niente di più tonificante di un bagno con
abbondante zucchero di canna….e il popolo dei Val lo sapeva ormai
da innumerevoli generazioni e sapeva anche che il bagno di the
zuccherato conservava la giovinezza per lunghissimo tempo. Infatti
non vedevi nessun abitante di Valledoro che avesse una ruga, neanche
a cercargliela col lanternino. Le giornate trascorrevano tranquille e
sempre uguali, ma un giorno…..
Cap. II
Un giorno il sole si
svegliò come tutte le mattine e corse affannosamente su nel cielo
per far luce agli abitanti di Valledoro che dovevano andare al
lavoro, e per poterlo fare il sole doveva essere puntuale e non
poteva fare neanche un po’ il suo comodo.
Perché, se ancora non lo
avete capito il sole illuminava il giorno e i centomila elfi che
tiravano il suo carro, al comando del mago Spacamalosse avevano un
bel da fare e le stelle delle bacchette delle fatine,schiarivano la
notte insieme alla luna che era la lanterna del mago Spiridone, ma
tolte queste cose non esisteva nessun altro tipo di illuminazione,
tranne il fuoco d’inverno, quando la gente si riuniva intorno al
suo calore per raccontarsi gli eventi della giornata e le antiche
storie del popolo dei Val, che venivano tramandate di generazione in
generazione. E anche il fuoco non era alla portata di tutti; ci
voleva il permesso del mago Similoro, per poterlo accendere e si
doveva sorvegliare continuamente perché non facesse danni che
avrebbero provocato l’ira del potente mago.
Il sole, dicevo, si
svegliò come tutte le mattine e la giornata cominciò. Le fate si
stiracchiarono nei loro letti celesti e sbadigliando si
riappropriarono delle bacchette magiche e battendosele leggermente in
testa, in un attimo furono tutte pronte e come ogni mattina andarono
a rapporto da fata Filigrana, che era la più importante di loro.
Questa era già in
perfetta tenuta da lavoro: Abito lungo e trasparente, cappello a
punta tempestato di fili d’argento e un velo talmente lungo che non
si riusciva mai a vedere dove finisse.
Anche quella mattina la
giovane fata Dollarina, che tutti chiamavano Dolly cercò di vedere
dove terminasse il velo della sua potente regina, senza riuscirci.
Con una mano si toccò il suo, molto ma molto corto e si domandò
quali imprese avrebbe dovuto compiere per riuscire ad avere un velo
lungo come quello di Filigrana. Sapeva che il velo rappresentava il
successo di una fata e che l’importanza di una fata si misurava
dalla lunghezza di quella nuvola diafana. “Un giorno ce l’avrò
anch’io!” sospirò con un’alzata di spalle. Poi non ci pensò
più e dopo aver ascoltato ciò che le diceva la bellissima fata, più
giudiziosa e più assennata di lei, con un leggero colpo di tacchi si
alzò in volo, per dirigersi a fare il suo lavoro quotidiano. Non
doveva andare molto lontano.
Tutti i giorni
raggiungeva una gola, formata da due monti dirimpettai che non
facevano altro che farsi i dispetti. Il monte Star era proprio di
fronte al monte Nuto e non facevano altro che soffiarsi
vicendevolmente addosso tutti i venti che le loro cime riuscivano a
catturare, formando sempre un tale groviglio di nuvole, che se non
ci fossero state le buone fate, su Valledoro sarebbe sempre piovuto.
Invece le Fate, raccoglievano con le loro bacchette le nuvole e le
giravano intorno a queste, quasi come se fossero state zucchero
filato e poi volando le andavano a buttare in un lago che era poco
lontano. E così il popolo dei Val poteva lavorare tranquillamente
nei campi e nei boschi, facendo dei bellissimi raccolti.
Quel giorno però la
Fata Dollarina era più distratta del solito. Il velo lunghissimo di
fata Filigrana le era rimasto in testa e non riusciva a dimenticarlo.
Era così bello! Muoveva distrattamente la sua bacchetta, agitandola
con leggerezza e non si accorse della grossa nuvola nera, che,
minacciosa, si dirigeva a grande velocità verso di lei. Quando la
vide era troppo tardi. La nuvola l’avvolse in tutte le sue spirali
e cominciando un girotondo turbinoso la vece volare da una parte
all’altra, finché in un sussulto più forte, la bacchetta magica
sfuggì di mano alla giovane fata, che inorridita la vide precipitare
giù, più giù, sempre più giù, sempre più giù, fino a che sparì
in una nera e profonda voragine, che faceva paura solo a guardarla.
La giovane fata, riuscì
a malapena ad aggrapparsi al ramo di un albero, e a sottrarsi così
all’ira della nuvola nera, e piangendo diceva: “Come posso
continuare ad essere una fata, se non ho più la mia bacchetta
magica?”.
Si sdraiò sul prato
pieno di fiori, che si spostarono per farle posto e poi le dettero il
loro profumo più dolce per rincuorarla, ma la piccola Dolly non
riusciva a fermare le sue lacrime.
Dopo un po’, sentì una
voce rauca che le diceva: “Perché piangi piccola fata?”
“Piango perché ho
perso la mia bacchetta magica e se non riuscirò a riaverla, non sarò
più una fata e non avrò mai il velo bellissimo che ha fata
Filigrana!”
“Su piccola, non fare
così – le rispose la voce rincuorandola gentilmente – il velo
lungo di fata Filigrana non si può avere dall’oggi al domani. A
lei sono occorsi più di cento anni per riuscire ad avere il suo….e
tu da quanto è che sei fata? Non da molto suppongo, da quello che
vedo!”
“Mi sono diplomata
l’anno scorso e ora sto facendo il tirocinio!” rispose la piccola
fata, che ora sembrava ancora più piccola.
“Lo supponevo –
rispose sospirando la voce – e presumo vorrai riavere la tua
bacchetta magica…ma per fare ciò avrai bisogno di aiuto”.
“ E chi mi può
aiutare?”
“Ti aiuterò io! Ma
nemmeno io posso scendere in quella voragine. Nessuno può scendere
in quella voragine…….se non due persone speciali, così almeno
narra da sempre la leggenda, un principe e una principessa dal cuore
puro e intrepido. Laggiù – continuò la voce – abita il mago più
potente di tutta la terra. Si chiama Avidus ed è il mago di Ego. Ego
è un regno potentissimo e per ora inespugnabile e tutto ciò che
viene catturato, non è mai più ridato. Ma la leggenda degli antichi
Val parla appunto di un giovane principe e di una bella principessa,
che se si incontreranno, riusciranno a sconfiggere il potente mago:”
“Ma io devo riavere la
mia bacchetta al più presto, perché la stella che ha in cima, è
una stella importante, anche se non è luminosa come quelle delle
altre fate. E se non ho la mia bacchetta, di notte una stella
mancherà in cielo….come posso fare?” singhiozzò rumorosamente
la fata
“Che stella è?”
chiese la voce incuriosita
“Si chiama Stella
Polare” rispose fata Dollarina con un ultimo singhiozzo
“Cosa? La stella
polare? Ma stai scherzando? O mi stai prendendo in giro?”
“No, ti assicuro,si
chiama proprio stella polare. Perché è una stella che tu conosci?”
“E chi non conosce la
stella polare? E’ la stella che indica la via a tutti…e proprio a
te l’hanno data! Che incoscienti! Ma non si sono accorti che sei
troppo giovane per una simile responsabilità?......Suvvia ora non
ricominciare a piangere e lasciami pensare.”
“Va bene – sospirò
la fata – ma almeno potresti farti vedere? Sto parlando con te da
mezz’ora e non so neanche chi sei!”
“Scusami, non ci avevo
pensato. Arrivo subito” E quasi all’istante Fata Dollarina vide
smuoversi la terra avanti ai suoi occhi e dopo un po’ uscì un
lunghissimo lombrico con un paio di occhiali dalle spesse lenti e un
berretto scozzese in testa.
“E tu chi saresti? –
chiese la fata arricciando la bocca
“Ciao mi presento. Io
sono l’amico Lombricone e vivo in quel canneto laggiù. Lo so che
non sono troppo bello. Ma madre natura mi ha fatto così, che ci
posso fare?”
“Piacere io sono Fata
Dollarina, ma se vuoi puoi chiamarmi Dolly”
“Bene Dolly, diamoci da
fare. Io non so chi può essere il principe che ci può aiutare, ma
credo di non sbagliarmi se dico che conosco la principessa…….”
“Davvero? E chi è”
“Tutto a suo tempo……….e
tu mi dovrai aiutare……”
Cap- III
Era quasi sera quando
arrivarono in paese. La piccola fata, senza la sua bacchetta magica
sembrava aver perso tutta la sua leggerezza e la sua velocità e il
vecchio Lombricone, anche se faceva del suo meglio, era poco più
veloce di una lumaca. Però alla fine giunsero alle prime case e
Lombricone si diresse senza esitazioni verso la sala da thè, che
brillava poco più in là.
A quell’ora si
sentivano già voci allegre che parlavano tra di loro della giornata
che stava languendo dietro i monti, anche se l’aria ancora era
chiara e tiepida.
“Ma non ho voglia di
andare a prendere il thè” si lagnò la piccola fata con un filo di
voce.
“Stai zitta e seguimi
senza fare troppe domande!” rispose l’affannato Lombricone,
mentre arrancava su per il primo scalino “ E per piacere….lascia
parlare me, hai capito?”
“Va bene” rispose
docile Dollarina e abbassò mestamente gli occhi……..per rialzarli
quasi subito perché in quel momento una voce dolcissima e gentile
giunse sino a lei con una melodia, talmente bella, ma talmente bella,
che faceva venire i brividi
“Chi è che canta?”
chiese incuriosita
“Come,….non conosci
Iris, la figlia di Samo e di Var?”
“No…sai non mi ero
mai spinta fin qui e non so chi sia Iris”
“Iris è la bellissima
figlia di un re, che tempo fa dovette lasciare il suo paese e
nascondersi qui, sotto mentite spoglie, perché il suo regno era
finito nelle mani di un usurpatore che voleva disfarsi di lui, della
sua bella moglie e della sua bellissima figlia. Iris non sa di essere
una principessa, e pensa soltanto di essere una ragazza qualunque che
vive in un paese nel quale le persone sono molto diverse da lei……ma
non conoscendone altre non se ne fa un problema ed è una fanciulla
serena e felice, non lo senti dalla sua voce?”
“Oh sì! E mi
piacerebbe conoscerla e parlare con lei” disse subito Dollarina,
che essendo giovane, sentiva il desiderio di stare con giovani come
lei.
“La conoscerai
prestissimo, anche perché ritrovare la tua bacchetta di pende da lei
per il cinquanta per cento……”
“E per l’altro
cinquanta per cento, come si fa?” chiese allarmata la fata
“Non ne ho la minima
idea, ma occupiamoci di una cosa alla volta. Intanto pensiamo alla
principessa, poi penseremo al principe”
“Ma dobbiamo fare
presto, lo capisci questo? Se verrà la notte spunteranno le stelle
in cielo e tutti, dico tutti, fate comprese e per prima Fata
Filigrana – e qui la giovane fata fece un sospirone da commuovere
anche un elefante – si accorgeranno che la stella polare non è al
suo posto….”
“Ho capito, ho capito”
e l’amico Lombricone guardò fissamente la fata da dietro le spesse
lenti che coprivano i suoi occhi miopi, domandando in cuor suo perché
si era impicciato di cose che in fin dei conti non lo riguardavano.
Ma gli amici Lombriconi, suoi parenti e antenati, da che mondo è
mondo, erano sempre stati sensibili e generosi e si erano sempre
ritrovati in un mare di guai e lui non poteva fare diversamente.
Alzò le spalle,
(sinceramente non so come, perché non ho mai visto un lombrico
alzare le spalle, ma giuro che lui lo fece) e con voce più gentile
disse:
“Allora non perdiamo
tempo in inutili discorsi e diamoci da fare” e con nuovo vigore si
diresse verso Samo, che in quel momento era apparso sulla soglia.
“Buon pomeriggio Maestà
– disse Lombricone facendo un inchino sperticato (non so come fece
a farlo, ma vi garantisco che gli riuscì benissimo)
“Buon pomeriggio a te
amico carissimo – rispose Samo guardandosi repentinamente intorno –
ma mi raccomando – sussurrò pianissimo- non mi chiamare Maestà.
Qui nessuno sa niente di noi, a parte te, che sei mio amico da
sempre”
“Scusami Samo, è vero,
ma mi viene istintivo rivolgermi a te dandoti l’appellativo che ti
meriti, e spero che un giorno tu possa tornare a rivestire gli abiti
che ti spettano di diritto”
“Lo spero anch’io!
Chissà? Ma intanto dimmi….Cosa ha potuto smuoverti dal tuo
canneto, se non qualcosa di estremamente importante?”
“Come mi conosci bene
Samo – ridacchiò Lombricone – in effetti è una cosa di estrema
importanza e di estrema urgenza. In due parole: il Mago di Ego,
Avidus, ha rubato la Stella Polare”
“Cosa mi dici!”
esclamò Samo “E io come posso aiutarti?”
“Tu direttamente non
puoi fare niente, ma Iris sì” disse lentamente Lombricone, sapendo
che quanto stava per dire e chiedere a Samo era molto difficile da
fare e soprattutto da accettare.
Samo infatti impallidì
visibilmente e dopo aver ascoltato tutto il discorso di come si
erano svolte le cose il suo viso rimase turbato per almeno cinque
minuti. Poi, solo come i veri Re sanno fare, si ricompose e un
sorriso spianò la sua bocca e illuminò i suoi occhi
Tese la mano a Lombricone
che la strinse fra le sue (non so dove le avesse tenute fino ad
allora, ma Lombricone aveva proprio due mani…ed erano anche belle)
e disse con voce un po’ commossa:
“Te l’affido mio caro
amico. Veglia su di Lei” poi volgendosi indietro chiamò a gran
voce:
“Iris?”
Cap. IV
Quando Iris arrivò,
tutti si girarono a guardarla e rimasero ammutoliti per
l’ammirazione. La fanciulla quel giorno indossava un diafano
vestito color del cielo e tra i biondi capelli sciolti sulle spalle
alcuni fiori color pervinca esaltavano la sua bellezza in modo
incantevole. Aveva ancora negli occhi la gioia che il canto appena
eseguito le aveva procurato ed era……bellissima!
“Mi hai chiamato
babbo?” chiese con voce gentile
“Sì figlia
mia….siediti e ascolta questi amici che devono parlare con te di
una cosa della massima urgenza”
Iris fece come il padre
le aveva chiesto e ben presto Lombricone la mise al corrente di tutta
la storia, non senza scuotere il capo ogni volta che si riferiva alla
fata Dollarina. Quando ebbe finito, le fece un profondo inchino, come
solo il Lombriconi di alto lignaggio sanno fare e aggiunse con un
lungo sospiro:
“Vedi bene principessa,
che il tuo aiuto ci è indispensabile, perché solo grazie a te e a
un’altra persona che ancora non conosciamo, potremo salvare non
solo la bacchetta magica di fata Dollarina, ma l’intero genere
umano. Si è mai visto il cielo senza la stella polare? Immagini che
confusione ci sarebbe nelle rotte dei naviganti e nel cammino
solitario dei viandanti che cercano il nord per orientarsi? Senza la
stella Polare, tutto il mondo dovrebbe trovare un altro punto celeste
verso cui indirizzarsi, ma passerebbero secoli prima che ciò possa
accadere. …….Capisco che ti chiedo tanto, ma ti prego dacci una
mano,”
“Caro signor
Lombricone, certo che vi aiuterò, anche se ancora non so come. Cosa
dovrò fare me lo dovrete dire voi. Penso che abbiate già studiato
un piano…io mi atterrò esattamente a quello, sperando di esservi
utile!” rispose Iris con un sorriso
“Un piano???!!!”
rispose Lombricone sconcertato
“Ma sì, un piano! Non
verrete a dirmi che non sapete che cosa dobbiamo fare!” La voce di
Iris era sempre gentile, ma un tantino stupita
“Certo che sappiamo che
fare. Dobbiamo andare sul monte, scendere nella gola profonda,
prendere la bacchetta magica, tornare su il più presto possibile per
rimettere la Stella polare al suo posto, prima che si noti la sua
mancanza…….vero Dollarina?” chiese conferma Lombricone,
cominciando ad accorgersi che il suo programma faceva acqua da tutte
le parti
“E tutto questo in
quanto tempo dovrebbe essere fatto?” chiese nuovamente Iris,
stavolta veramente stupita
“Beh! Diciamo che ora
sono le cinque e comincia appena ad imbrunire, quindi…..calcolando
che fa buio alle otto, diciamo che abbiamo tre ore di tempo per
andarci a riprendere la stella polare” concluse sottovoce,
consapevole per la prima volta che il tempo lo aveva superato e aveva
deciso per lui che quella sera non sarebbe stato più possibile fare
niente
“Io direi di partire
domattina appena albeggia. Se tutto va bene abbiamo una giornata
intera per rimettere al suo posto la stella polare” Samo parò per
la prima volta, ma le sue parole avevano tutte l’autorità che solo
un re può imprimere e nessuno osò contraddirlo.
Solo la fata Dollarina,
che temeva più di Samo la sua fata Filigrana si azzardò a dire:
“E come si fa stanotte
senza Stella polare? Per di più è tutto sereno e non c’è una
nuvola neanche cercandola con il caleidoscopio!”
“Già…la Stella
polare” rispose pensieroso Lombricone “Non possiamo creare il
panico tra la gente! E’ proprio quello che vuole Avidus e se ciò
succedesse, diventerebbe padrone incontrastato di questa valle libera
e felice, perché dovremo rivolgerci a lui per riavere la stella che
ci indica da sempre la via….E lui non esiterebbe un attimo a
ricattarci per aumentare il suo potere!
“Fata Dollarina –
disse Iris dolcemente pensosa – i tuoi poteri magici sono tutti
esauriti senza la tua bacchetta, o continui ancora ad averne un po’?”
La fatina chinò il capo,
quasi vergognandosi di quello che stava per dire ma poi lo rialzò
velocemente e disse;
“Posso ancora volare,
posso rimpicciolire i cavalli e ingrandire i topini, posso far
sognare i bambini, posso preparare delle torte squisite e far cantare
gli uccellini,,,,posso..”
“Hai detto che puoi
volare vero? E che puoi ingrandire le cose….per caso puoi anche
tenerle sospese?” la voce di Iris era elettrizzata e tutti
l’ascoltavano senza sapere dove volesse andare a parare
“Sì, Certo…….tenere
sospese le cose è uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto. Lo
sanno fare anche le fate apprendiste. E’ una cosa da niente”
concluse sorridendo Dollarina
“No che non è una cosa
da niente. E’ semplicemente la cosa che ci risolverà il problema
della stella polare…almeno per stanotte”
“Ma come?” chiese
Lombricone allungandosi in maniera sperticata, come del resto fanno
tutti gli amici Lombriconi quando sono molto curiosi.
“Aspettate e vedrete.
Torno subito” e Iris sparì in un attimo all’interno della casa
Dopo neanche un minuto
era di ritorno tenendo in mano un pennello da pittore e una stellina
rossa, che consegnò alla fata Dollarina
“Tieni – le disse
allegramente – questa è la tua bacchetta magica e questa è la
stella polare. Vai, corri su nel cielo, dipingi questa stellina con
il colore delle stelle e poi ingrandiscila come sai fare tu. Quindi
fai in modo che stia sospesa lassù insieme a tutte le altre”
Dollarina guardò l’esile
pennello e la stellina rossa, chiedendosi come mai avrebbe fatto a
farla diventare una stella polare, ma dopo un po’ un grande sorriso
le spianò la bocca e disse con quanto fiato aveva in gola:
“Ci sono, ci sono!”
“Come farai? Insomma
dite qualcosa anche a noi!” si stizzì Lombricone che non stava più
nella pelle e si era allungato a tal punto che sembrava si dovesse
dividere in due
“Avete ragione.
Scusate. Bene, prenderò un po’ del mio velo che è del colore
delle stelle e lo scioglierò con le gocce di rugiada che si formano
nel cielo prima di cadere sulla terra…e con questo dipingerò una
Stella Polare, come non se ne sono mai viste” concluse Dollarina
che aveva ritrovato tutta la sua sicurezza di neo fata appena
diplomata e che non vedeva l’ora di dimostrare a se stessa prima
che a tutti, che non era poi così sprovveduta come forse gli altri
avevano pensato.
“Quanto tempo pensi che
ci vorrà?” domandò Iris accorgendosi che stava ormai diventando
notte
“Oh! Fare questa cosa
sarà una sciocchezza credetemi! Importante era pensarla” e sorrise
a Iris
“Allora vai!” le
disse Samo “Noi staremo qui finché vedremo la stella brillare nel
cielo e poi andremo a riposare perché domani ci attende una lunga
giornata. Ci vediamo qui domattina alle cinque in punto. Va bene?”
“Va bene” risposero
in coro gli altri, mentre Dollarina con un guizzo improvviso spariva
su nel cielo
“Speriamo bene” disse
Lombricone scuotendo il grosso berretto scozzese “mi sembra così
giovane e sprovveduta”.
Ma dovette rimangiarsi le
parole e lo fece ben volentieri, perché dieci minuti dopo una bella
stella, la copia esatta della Stella Polare brillava alta nel cielo.
Cap. V
Si ritrovarono la
mattina seguente davanti alla sala da the, tutti molto insonnoliti,
ma decisi a fare del loro meglio perché l’impresa riuscisse.
Samo con la solita calma
autorevolezza che lo distingueva parlò per primo:
“Amici miei, state
partendo per un’impresa molto difficile, ma io credo in voi e so
che ce la metterete tutta per portarla a buon fine. Purtroppo non
abbiamo avuto tempo per poter fare un piano che permetta di agire con
una certa coerenza. Dobbiamo affidarci alla sensibilità di ciascuno
di noi e pensar che agiamo non soltanto per il bene nostro, o per
restituire la bacchetta magica a fata Dollarina, ma più che altro
per il bene e la serenità di tutta Valledoro.
Questo mi ha convinto a
darvi il tesoro più grande che possiedo, mia figlia, e la regina Var
si unisce a me in questo sacrificio. Vi prego di proteggerla e di
vegliare su di lei, che è la luce dei nostri occhi. Io da parte mia,
comincerò a fare preparativi nel caso vi occorresse aiuto”. E qui
Samo si interruppe perché l’emozione rischiava di spezzargli la
voce
“Stai tranquillo Samo.
Iris è in buone mani, parola di Lombricone. Non permetterò che le
succeda niente di male. Stai tranquillo. Diglielo anche tu Dolly…”
“I poteri che mi sono
rimasti saranno tutti a disposizione di Iris e serviranno per
proteggerla…non preoccupatevi maestà….ce la metterò tutta e non
mi dimenticherò mai di voi” rispose la fatina rizzandosi sulla
punta dei suoi piedini per far vedere che tutto sommato, qualcosa
contava anche lei.
“Bene…ora partite
perché non c’è tempo da perdere…….La strada è lunga per
arrivare nel regno di Ego ed è bene cercare di essere lì prima che
Avidus si svegli”
Si misero dunque in
cammino e attraversarono la fiorente vallata, mentre il sole
lentamente saliva su nel cielo cancellando le tremule stelle. Per un
giorno intero il segreto della Stella Polare sarebbe stato salvo, ma
poi?
Intanto avevano lasciato
il borgo e la campagna si allargava davanti a loro in morbide colline
di pannolenci dai colori smaglianti, piene di alberi da frutto, che
lasciavano pendere i loro rami carichi delle più deliziose
confetture di marmellata, mentre più in basso si stendevano ettari
di vigne, i cui grappoli a forma di bottiglia si riempivano via via
che la stagione si inoltrava e giungeva il momento della vendemmia.
Allora bastava staccare la bottiglia dalla vite e tapparla, perché
il pregiato nettare era già pronto per essere consumato.
Nel cielo cominciavano a
volare i primi uccellini con la carica a molla e qualche volta, si
vedeva passare anche il cucù, che di tanto in tanto si appoggiava
sul ramo di qualche albero per riposarsi un po’, non mancando mai
di ricordare l’ora.
Già si vedevano nei
campi appena illuminati dal sole nascente, i fornai che, girando tra
le spighe di grano, staccavano dal loro fusto i panini che di lì a
poco avrebbero venduto nella panetteria del borgo.
Insomma tutta Valledoro
si risvegliava e cominciava a lavorare di buona lena.
Iris si guardava intorno
felice! Amava molto la sua terra e sentiva di appartenerle anche se
sapeva di essere molto diversa dagli abitanti di Valledoro.
Intanto, si erano
lasciati dietro le spalle anche i fertili campi e ora cominciavano ad
addentrarsi nel bosco che era ai piedi del monte , regno del potente
Avidus.
Lombricone, si fermò e
rivolgendosi a Dolly e a Iris chiese gentilmente:
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
”Siete stanche? Vi volete fermare per riposarvi un po’?”
“No caro Lombricone,
non siamo stanche- rispose Dolly per entrambe – però vorremmo
tanto sapere cosa faremo una volta che siamo arrivati nel regno di
Ego.”
“Vorrei sapervi
rispondere, ma non lo so….proprio non lo so. L’unica cosa di cui
sono certo è che Avidus sarà sconfitto solo dall’amore……..ma
non chiedetemi come perché io dell’amore non ne so proprio
niente!!”
“Allora cosa
facciamo?”chiese Dollarina che aveva bisogno più di fatti che di
parole
“Toc toc toc!”
“Avete sentito anche
voi?” chiese Iris
“Toc toc toc”
“Ma non sentite anche
voi questo toc toc toc?” ripetè nuovamente Iris
“Certo che lo sentiamo
- rispose sottovoce Lombricone – ma non sappiamo da dove
venga”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
”Toc toc toc…di qua …ehi…mi sentite?”
Alzarono gli occhi sulla
grande querce che era proprio davanti a loro e Iris vide un
bellissimo picchio che col becco batteva sulla ruvida scorza della
pianta
“Ma….sei tu che hai
parlato?” domandò allibita
“Certo, e chi sennò?”
rispose il picchio continuando a battere il becco. “Buongiorno
principessa Iris”
“Mi conosci?”
“Sicuro che ti conosco.
Qui tutti ti conoscono e ti vogliono bene e tutti sono pronti ad
aiutarti a ritrovare la stella polare”
“Ma che dobbiamo fare?”
si intromise Dollarina che aveva voglia di recuperare quanto prima la
sua bacchetta
“Toc toc toc….è
inutile che vi fermiate all’imbocco dell’antro di mago Avidus. Da
soli non riuscireste mai a recuperare la bacchetta magica.”
“E allora signor
picchio cosa dobbiamo fare?” chiese gentilmente Iris
“Toc toc toc…. Io non
sono il signor picchio, per te sono soltanto Berto! Toc.toc toc…che
dicevo? Ah! Sì! Lombricone e Dollarina dovranno fermarsi lì, perché
a loro non è concesso andare oltre, ma tu Iris, dovrai proseguire
fino alla vetta della montagna”
“E poi?” chiesero
tutti e tre all’unisono
“E poi dovrai aspettare
gli eventi…..l’unica cosa che so con certezza è che Avidus è
molto curioso e gli piacciono gli indovinelli. Purtroppo conosce la
soluzione di quasi tutti gli indovinelli che gli sono stati proposti,
per cui è difficile tenere la sua mente occupata per più di un
minuto, ma se tu sapessi qualcosa che lui non sa, allora sarebbe
tutto più semplice, perché la sua attenzione sarebbe tutta rivolta
a risolvere l’enigma e per te sarebbe facile riprendere la stella
polare,………comunque vai, non perdere tempo, tutto si compirà
secondo quanto è stato scritto nell’alba dei tempi”
“Grazie amico Picchio”
disse Lombricone avviandosi
“Non c’è di che”
rispose il Picchio “ e state tranquilli! Noi animali della foresta
vi seguiremo e se sarà necessario faremo la nostra parte, ma
confidiamo che l’amore vinca ogni cosa”
“Arrivederci signor
Picchio….cioè Berto!” Iris sorrise all’impettito uccello
“Toc toc
toc…arrivederci principessina e non aver paura di smarrire la
strada. Mentre cammini ogni tanto guarda il cielo e lassù vedrai
Agora, la regina delle aquile che ti indicherà la strada. Con lei
non potrai sbagliare”
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
”Come siete tutti gentili con me!”Disse stupita Iris
“E’ perché te lo
meriti mia cara…..e ora non indugiare ….vai..vai”
Dopo un’ora arrivarono
all’imbocco dell’antro del regno di Ego, ed era cos’ buio, ma
così buio, che non si riusciva di vedere a un passo di distanza.
“Noi ci fermeremo qui
allora e cercheremo di fare buona guardia e tu mia cara Iris, dovrai
proseguire da sola fino lassù- e con il dito della mano sinistra
Lombricone indicò un punto in alto “Te la senti di arrivarci?
Guarda, che se vuoi sei sempre in tempo a dire di no….”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
”Non ci penso nemmeno. Non ho paura, e poi guarda – gridò Iris – è già arrivata Agora che mi accompagnerà lungo il cammino. State tranquilli amici miei e cercate di tenere a bada Avidus, nel caso decidesse di uscire proprio ora”
E la fanciulla con passo
deciso e leggero si incamminò per il viottolo che portava in cima
alla montagna.
Non sapeva perché
dovesse andare proprio fino lassù, ma era certa che il Picchio le
aveva detto cose giuste e sagge, e decise di seguire alla lettera ciò
che le era stato detto. Con Agora vicina poi si sentiva sicura.
L’aquila bianca come la neve, volteggiava nel cielo lasciando scie
colorate di arcobaleno e le indicava la strada che doveva percorrere.
Ma nonostante la sua
agilità e la sua sveltezza, la strada non finiva mai e Iris si
lasciò dietro i boschi di querce e anche quelli degli altissimi
faggi e quando arrivò in vista della vetta era stremata, e con
orrore si accorse che il sole cominciava già a calare e le ombre
diventavano più lunghe.
“Ancora pochi passi e
potrò vedere cosa c’è di là del monte. Immagino che ci sarà
un’altra vallata! Ma a che mi serve? Come mai sono dovuta venire
sino qui se poi non c’è niente e nessuno che mi possa aiutare?”
Mentre così pensava il sentiero ebbe una brusca svolta e…..rimase
a bocca aperta.
Sotto di lei si stendeva
un mare di luci, ancora non molto forti, ma stabili…che anzi
aumentavano sempre di più, come se se ne accendesse una dietro
l’altra. Non aveva mai visto luci così, e rimase affascinata a
guardare quella distesa di puntolini luminosi, che sembravano tante
stelle in terra.
“Cosa saranno?” si chiese a voce
alta incuriosita e impaurita allo stesso tempo?”
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
”Sono lampadine – rispose una voce sottile vicino a lei e voltandosi Iris vide una piccola lucertola adagiata sopra una pietra.
“Lampadine? Cosa sono
le lampadine?” chiese sconcertata
“Mah! Non ti so proprio rispondere!
So solo che servono a fare luce”
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
”E…….- ma non riuscì a continuare perché in quel momento si accorse che una di quelle luci veniva verso di lei a grande velocità, tonda tonda e luminosissima…….e mentre si avvicinava cominciò a sentire un rumore, un brontolio sommesso, che diventava sempre più forte via via che la strana luce si avvicinava. Poi con stupore si accorse che la luce proveniva da uno strano animale che si muoveva velocemente verso di lei e su questo animale c’era una figura indistinta con il viso celato dietro un grande occhio opaco.
“Sembra un cavallo con
il suo cavaliere – bisbigliò alla lucertola- ma io non ho mai
visto cavalli con zampe in quella maniera , né che nitrissero in
quel modo!...........e non ho mai visto cavalieri che indossassero
simili elmi………..o mamma mia….mi gira la testa, mi gira la
testa” e la poverina svenne mentre la piccola lucertola
preoccupatissima gridava “Aiuto la Principessa Iris sta
male….presto correte ad aiutarmi” e con un rombo più forte di
tutti gli altri la lucente motocicletta si fermava davanti a lei.
Brando scese agilmente
dal sellino e senza perdere tempo si inginocchiò davanti a Iris,
dandole piccoli colpi leggeri sulle guance per farla riprendere.
“Chissà perché si è
impaurita tanto!” si chiese sorpreso “Non andavo neanche tanto
veloce!”
“Ma che bella ragazza!
Che capelli stupendi! Chissà chi sarà? Non l’ho mai vista da
queste parti. Che strano abbigliamento ! Non ho mai visto nessuna
delle nostre ragazze vestita in questo modo! Ma è proprio bella,
anzi bellissima!”.
Andò a prendere la
piccola borraccia che teneva sempre nella sua moto e le spruzzò
qualche goccia d’acqua sul viso. Immediatamente gli occhi di Iris
si aprirono e si rivelarono in tutto il loro splendore a Brando che
con sollecitudine la guardava e cercava di tenerle sollevata la
testa.
“Va meglio?” chiese
con un sorriso
“Oh! Sì! Molto meglio
grazie! Mi scusi tanto del disturbo che le sto arrecando, ma
sinceramente mi sono proprio impaurita. Sa…non avevo mai visto un
cavallo come il suo, né tantomeno un cavallo che avesse il fuoco
negli occhi” si scusò Iris additando la motocicletta di Brando.
“Un cavallo?” rise il
giovanotto sgranando gli occhi con stupore!” Possibile che lo
svenimento avesse procurato alla ragazza un piccolo choc? Decise di
prendere tempo e di assecondarla
“Più che un cavallo,
questa è una mandria di cavalli. Per l’esattezza cinquecento! E
comunque dammi del tu.” e sorrise nuovamente
Iris lo guardò stupita.
Possibile che quel bel ragazzo non avesse tutti i venerdì a posto?
Come faceva a vedere cinquecento cavalli, quando lei ne vedeva solo
uno ….e di una razza sconosciuta, con bruttissime zampe tonde, una
testa piccola e tonda che era ancora illuminata e due orecchie che
avevano la forma di due tubi, neanche tanto dritti? Decise comunque
di non dire niente, anche perché quel giovane era gentile e parlare
con lui le piaceva e la incuriosiva.
“Senti” le disse
Brando dopo aver pensato un attimo “che ne diresti di arrivare in
quel prato verde pieno di fiori?? Fare due passi ti farà bene e da
lì pare che si goda un’ottima vista perché siamo proprio in cima
al monte e si vedono le valli sottostanti. Che ne dici?”
“Mi sembra una buona
idea” rispose contenta Iris, che aveva ancora un po’ di
tremarella alle gambe e pensava in tal modo di poter riacquistare il
suo abituale equilibrio “andiamo” e si incamminò con passo
veloce verso il praticello verde che cominciava proprio a due passi
da lei, seguita da Brando, che ogni tanto le gettava un’occhiata
colma di ammirazione. Quella ragazza le sembrava più bella ogni
istante di più!
Arrivarono in cima al
monte dopo cinque minuti e veramente da lì lo sguardo spaziava da
tutte le parti e si perdeva lontano
“E’ bellissimo”
disse Iris commossa
“Sì! Vedi tutte quelle
luci laggiù?”
“Vuoi dire quelle
lampadine?” domandò Subito Iris, contenta di far vedere che anche
lei conosceva qualcosa
“Beh! Lampadine e altro
ancora!” Brando era sempre più stupito dell’ingenuità di quella
ragazza. Sembrava uscita da un altro tempo “E’ la mia città,
Geapolis! Si chiama Geapolis! La conosci?”
“No rispose piano Iris
“Non sono mai uscita da Valledoro e non immaginavo neppure che
dietro il monte ci sarebbe stata una città di simili proporzioni e
così diversa da dove vivo io!”
“Come hai detto che si
chiama la tua città?”
“Valledoro…e non è
una città, è più un borgo, un bel borgo tranquillo e sereno”
“E hai detto che è…….?”
“Proprio dalla parte
opposta della tua città. Ecco se ti giri e guardi là in fondo, là
c’è Valledoro e la mia casa”
“In effetti è una
valle bellissima. Sembra quasi incontaminata, mentre invece di qua è
tutto rumore e agitazione. Certe volte non ne posso più di tutto il
baccano che sento e della vita frenetica che sono costretto a
vivere………Ma tu che ci fai qui invece di essere nella tua bella
valle?
“E’ una storia lunga.
Sappi solo che devo andare nell’antro del mago Avidus a riprendere
la bacchetta magica di fata Dollarina, perché nella punta di questa
bacchetta c’è la stella polare”
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
”Che? Cosa? La fata? La stella polare? ….Non ci sto capendo niente di tutta questa storia! Me la vuoi raccontare per piacere con un po’ di tranquillità?” supplicò Brando che cominciava a intuire che dietro a quella bella ragazza c’era un fitto mistero
“Va bene” acconsentì
Iris e cominciò a narrare tutto per filo e per segno concludendo
“Sicché come vedi se riuscissi a trovare un indovinello difficile
e a proporlo ad Avidus, forse riuscirei nel mio intento e……..”
“Ma questa è una cosa
semplicissima. Te lo do io l’indovinello. L’ho proprio letto
stamani in internet….”
“Internet?....che
cos’è? Non ho mai sentito questo nome” disse Iris
“Te lo spiego più
tardi! Ora non c’è tempo, però mi ci vuole qualcosa per scrivere,
perché non lo ricordo benissimo. Accidenti, non ho niente con me per
scrivere! Brontolò Brando tastandosi il giubbotto che aveva addosso
“Non ti preoccupare. Ho
io quanto ti serve” e dalla sua microscopica borsetta che portava a
tracolla Iris tirò fuori un foglietto di carta leggerissimo, quasi
diafano,una penna con un pennino a punta e una piccolissima boccetta
di inchiostro.
Brando guardò stupito il
tutto ma preferì non fare domande e si limitò a scrivere sul
foglietto queste parole:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Cap. VI
“Sator, arepo
tenet,opera?.........che vuol dire?” domandò Iris allibita
“E’ un’iscrizione
antichissima scoperta in tanti reperti archeologici. In molti hanno
cercato di interpretarla e di darle un senso logico, ma fin’ora
nessuno con certezza sa che cosa vogliono dire queste parole……..però
ora non perdiamo tempo e andiamo a cercare il posto dove è caduta la
bacchetta magica di Dollarina.”
“Questo è
semplicissimo, proprio come per te è stato semplice trovare
l’indovinello. Dolly e Lombricone sono proprio davanti all’antro
che porta al regno di Ego e stanno facendo la guardia sperando che
Avidus non decida di uscire con la bacchetta magica per distruggere
la mia valle.”
“Allora andiamo subito
da loro. Guidami da loro”e presala per mano si incamminarono verso
la terribile porta di Ego.
Intanto il sole
cominciava a scendere e Iris guardò allarmata il cielo, che era
ancora chiaro, ma non aveva più la lucente vividezza di poco prima.
“Bisogna fare in
fretta. Se sorgono le stelle, stavolta sarà difficilissimo che
Avidus non si accorga che la Stella Polare che è in cielo è falsa
come l’oro d’oria che quando passò dal ponte vecchio scappò
via” disse in fretta iris cominciando a correre
“Che dici?” chiese
Brando stupito. Quella frase la conosceva anche lui. Gliela diceva
sempre la sua bisnonna, ma non si ricordava più a che cosa si
riferisse. Ma anche lui cominciò a correre. Fortunatamente la
discesa aiutava molto i loro sforzi e dopo poco tempo arrivarono
trafelati davanti all’antro.
“Fermi tutti. Non
muovetevi e alzate le mani” si sentirono apostrofare all’improvviso
e i due giovani si trovarono davanti un cespuglio che camminava
velocemente verso di loro.
“Ah! Iris, sei tu…..che
spavento mi hai fatto prendere” e Lombricone si materializzò
davanti alla ragazza, liberandosi di tutte le fronde con cui si era
mimetizzato.
“E Dollarina
dov’è?”chiese Iris preoccupata
“Sono qui, sono qui!”
rispose un altro cespuglio addossato a un albero.”Che sollievo
rivederti Iris…..e questo giovane chi è?” disse guardando Brando
“Scusate! Questo è
Brando e si è offerto di aiutarci a recuperare la bacchetta magica.
Ha un indovinello da proporre ad Avidus e ora proverà ad entrare”.
Intanto che loro
parlavano Brando si guardava intorno con aria perplessa. Il suo
sguardo era stato catturato da un suono che proveniva dalla cima di
un poggio.
Lombricone se ne accorse e subito gli
andò vicino e con voce preoccupata gli disse:
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
”Ti sei subito accorto di quei grossi tentacoli che sono lassù vero? E del sibilo continuo che emettono. Devono appartenere a un mostro terribile. Come faremo a distruggerlo?”
“Non lo so” rispose
Brando pensieroso “ma so che a casa mia questi tentacoli, come dici
tu, si chiamano antenne e il sibilo, elettromagnetismo”.
“Lombricone guardò il
giovane non riuscendo a capire neanche una parola di quello che gli
diceva, ma Iris lo tranquillizzò
“Non ti preoccupare
amico Lombricone. Brando sa quello che dice. La valle da dove
proviene lui è molto diversa dalla nostra,. Un giorno ti spiegherò
tutto, ma non ora! Ora non c’è tempo. Fidati di lui. Vuoi?”
Lombricone, allungò il
collo fino all’inverosimile e guardò Brando da dietro le sue
spesse lenti, mentre a poco a poco un sorriso gli spianava la bocca
grinzosa.
“Mi fido!” disse
semplicemente
“E allora che facciamo
ora ?” chiese Dollarina che vedeva avanzare la sera e le si
ripresentava davanti l’immagine di fata Filigrana.
“Voi per ora niente….
O meglio no! Riuscite in qualche modo a mettervi in contatto con
Samo? Forse sarebbe meglio se mandasse qualche rinforzo, nel caso ce
ne fosse bisogno”
“Ci penso io- e
Lombricone si diresse immediatamente verso una querce che era poco
distante- Squirrol !Squirrol! –intimò con voce autoritaria
“Sergente Squirrol a
rapporto signore!” E un impettito scoiattolo si presentò
sull’attenti davanti a lui.
“Squirrol, ho bisogno
di affidarti un incarico della massima urgenza, della massima
rapidità, della massima efficienza”
“Conti su di me
Signore! Che devo fare Signore?”
“Metti in moto la tua
staffetta e il più velocemente possibile consegna questo dispaccio a
Samo. Gli devi dire di venire con tutto l’aiuto possibile
all’ingresso del regno di Ego. Pensi di potercela fare nel giro di
venti minuti?”
“Credo che un quarto
d’ora sia più che sufficiente per far giungere l’ultimo della
staffetta fino da Samo. Tu sai che tutti noi Squirrol siamo bene
addestrati. Non per niente siamo considerati un corpo speciale
conosciuto in tutto il mondo, anche se in pochi sanno che la nostra
base è a Valledoro”
“Benissimo sergente.
Parti subito. Noi aspettiamo il tuo ritorno”
“Da questo punto di
vista siamo a posto- disse Lombricone soddisfatto della disponibilità
degli Squirrol. Del resto non ne aveva mai dubitato. Se non fossero
stati ciò che erano non avrebbero mai avuto l’onore di montare la
guardia al Sacrario di Lincoln, né di diventare due personaggi
celebri nelle avventure di un altrettanto celebre papero, né …………
“Lombricone, ehi! Torna
tra noi” Brando lo scosse leggermente con la mano
“Eh!........a sì”
“Allora ascoltatemi
bene. Voi ora restate qui e tenete gli occhi bene aperti. Io provo a
entrare ….e vedrò che posso fare. Del resto ancora non ho ben
capito che cosa troverò là dentro.”disse Brando più a sé che
agli altri
“Io vengo con te” e
Iris mosse un passo verso di lui
“No, tu resti qui!
Potrebbe anche essere pericoloso” le rispose Brando
“No! Iris deve venire
con te. Lo deve proprio, perché sennò l’antica profezia non si
realizzerà. Lei deve venire con te” Lombricone era molto solenne
mentre diceva queste parole.
“Di che profezia
parla?” chiese sottovoce brando a Iris. Decisamente gli amici di
quella ragazza erano tipi strani…….però simpatici ecco! Questo
doveva proprio ammetterlo.
“Non c’è tempo ora
per nessuna spiegazione” continuò Lombricone con aria autoritaria.
– Dovete andare e quindi andate….però siate prudenti mi
raccomando!”
“Sei pronta?” domandò
Brando a Iris
“Prontissima” rispose
lei
“Allora andiamo” e
senza più dire niente si incamminò verso l’entrata scura della
grotta, di fianco alla quale un minaccioso cartello giallo minacciava
con due sole parole: LIMITE INVALICABILE.
Si trovarono davanti una
porta chiusa, che non riuscirono ad aprire.
“Si comincia bene!”
disse Brando
“Bisogna chiamare
Dollarina” disse Iris
“Questa è una porta
blindata che si apre solo con la parola chiave” ribattè Brando
“Io chiamo Dollarina,
vedrai che lei una chiave la troverà!” e Iris tornò indietro per
riapparire dopo due minuti con una Fata un po’ impaurita della
porta, ma molto meno che di Fata Filigrana.
“Ce la fai ad aprire
questa porta?” le chiese Brando dubbioso
“Beh! Posso provarci!”
e tirato fuori da una tasca un libricino, cominciò a sfogliarlo
cercando le parole magiche che avrebbero dovuto aprire la pesante
porta
“Ala cabana sala
gomò…si apra la porta almeno un po’…” Ma la porta non si
aprì
“Provane un’altra”
la supplicò Iris
“Ora ci
provo….Aspettate….ecco! Meca mecone, taca tacone, si vuole aprire
questo portone?”. Ma non c’era niente da fare. La porta non
voleva saperne di aprirsi. Dollarina aveva quasi le lacrime agli
occhi, ma caparbiamente continuò a sfogliare il suo libercolo
“Ecco…questa è una
delle più potenti……Abra cadabra mumina zagabra gugù..apriti
tu!” Ma non ci fu niente da fare.
“Possibile che in
questo libro non ci sia niente di decente? Ma che ci insegnano ai
corsi che facciamo? E pensare che ci fanno studiare ore e ore su
queste parole!” Dollarina si era arrabbiata e gettato il libretto
in terra ci saltò sopra con tutte le forze. “E poi ci dicono che
siamo progrediti! Che questi sono i programmi nuovi.! Per quello che
servono tanto valeva che ci fossimo fermati ad ..apriti sesamo”
In quel momento si udi un
clac metallico e tutti e tre allibiti videro la porta aprirsi
lentamente.
“Brava Dolly” rise
Brando che fu il primo a riaversi dallo stupore “ci sei riuscita.
Brava!”
“Bravissima” Iris
l’abbracciò contenta e senza indugiare oltre entrò con Brando
dentro la porta, lasciando una fata stupefatta e incredula che a un
certo punto disse
“Già…ci sono
riuscita” e si chinò a raccattare il suo libretto
Si appiattirono contro la
parete buia di quella che sembrava un’enorme caverna. Tutto era
silenzio lì dentro e loro potevano sentire benissimo il loro respiro
e i battiti dei loro cuori-
Poi improvvisamente una
luce rossa si materializzò davanti ai loro occhi, che non ancora
abituati al buio, non si erano accorti che il buio non era
propriamente tale, perché una nubilescenza verdastra permetteva di
andare avanti anche se continuava ad avvolgere nel mistero tutto
quello che li circondava. Tutto fuorché la luce rossa che proveniva
da un unico gigantesco occhio, laggiù in fondo, davanti a loro.
Cap VII
Fecero appena in tempo ad
appiattirsi dietro a una colonna, che un rumore inconfondibile di
passi giunse fino a loro. Trattennero il respiro, mentre i passi si
avvicinavano sempre di più e poco dopo ombre lunghe si proiettarono
davanti ai loro occhi. Poco dopo tre uomini, vestiti con camici verdi
si fermarono davanti all’occhio rosso e cominciarono ad armeggiare
con qualcosa che era più in basso
“Ecco fatto- disse uno
di loro- anche per stasera Mister Chip è a posto. Domattina chi deve
tornare per togliere l’allarme?”
“Domani tocca a me –
rispose la voce di una donna- e guardando meglio Brando e Iris si
accorsero che effettivamente uno dei tre era una ragazza poco più
grande di loro
“Bene, allora possiamo
andare. Domani ci aspetta una giornatina niente male, per cui
cerchiamo di riposarci stasera”
“Ok capo!” risposero
gli altri due e si incamminarono verso l’uscita
Quando il rumore dei loro
passi si fu dissolto nell’oscurità Iris disse piano a Brando :
“Come mai non avevano
paura di quel mostro e del suo terribile occhio? E poi chi è questo
mister Chip?”
“Iris, bisogna che ti
dica qualcosa, ma non c’è molto tempo per cui mi auguro che tu ti
fidi di me! Dimmi! Hai fiducia in me? Guardami per piacere e dimmi se
hai fiducia in me!”
Iris si voltò
leggermente e guardò Brando negli occhi.
“Certo che ho fiducia
in te. Se non l’avessi avuta non ti avrei detto tutto ciò che ti
ho detto!”
“Allora ascoltami.
Quello che sto per dirti forse ti sembrerà assurdo, perché bene o
male ho capito che tu fin’ora hai vissuto in un posto diverso dal
mio, ma ti garantisco che tutto ciò che sentirai è la verità”
“Vai avanti…ti
ascolto” rispose Iris impaziente
“Quello che tu chiami
un mago terribile, noi lo chiamiamo computer. Noi siamo appena
penetrati in un laboratorio informatico, dove vengono elaborati
progetti di sicurezza, che nessuno deve conoscere e infatti
l’ingresso era vietato….ricordi?”
“Certo che mi
ricordo,….ma questo marchingegno che tu chiami computer, perché
vuole fare del male alla mia gente?”
“Questo è quello che
crede la tua gente. Io non penso che voglia farvi nessun male, se non
quello di portarvi un progresso, che molte volte distrugge la
bellezza di tanti posti incontaminati…..ma questo è un altro
discorso”
“E tu vivi in un mondo
così?” chiese Iris incuriosita nonostante ci fossero ben altre
cose a cui pensare.
“Sì, io vivo in un
mondo dove tutto è meccanizzato, computerizzato, programmato. Nel
mio mondo la gente si sposta con le automobili o con le moto, come
quella che hai visto quando sono arrivato…
“Nel mio mondo andiamo
a piedi o con i cavalli a dondolo …..
“Nel mio mondo abbiamo
la luce elettrica…
“e noi le candele e la
luce delle stelle delle fate…
“nel mio mondo
guardiamo la televisione e ascoltiamo la musica stereo….
“ e noi guardiamo i
tramonti e raccontiamo le favole e suoniamo i pifferi e le cetre…
“nel mio mondo…..ma
ora basta! Ce lo diremo dopo che cosa facciamo nel nostro mondo, ora
abbiamo cose più importanti da fare. La vuoi riprendere sì o no la
bacchetta magica di Dollarina?”
“Certo….e allora che
facciamo?”
“Vieni con me e non
avere paura! Il terribile occhio rosso, come lo chiami tu non è
altro che una spia luminosa che dice che il computer è acceso”
“Posso continuare a
chiamarlo Avidus?” disse Iris”Chiamalo come vuoi” e presola per
mano si incamminarono verso la grande consolle piena di tasti e di
pulsanti.
Iris guardava affascinata
tutte quelle cose che non aveva mai visto in vita sua, ma Brando
conosceva bene le tastiere dei computer e anche quella, anche se
molto sofisticata, non lo impressionò più di tanto.Premette un
tasto e improvvisamente non uno ma dieci, venti, cento schermi si
accesero in tutta la stanza, lasciandoli per un momento esterrefatti.
“Ora non bisogna
perdere tempo. Hanno innescato il sistema di allarme e appena Avidus
riuscirà a risolvere l’indovinello che ora gli proporrò, tutti i
campanelli di questo antro suoneranno e noi saremo perduti.”
“Pensi che riuscirà a
risolverlo?” chiese Iris
“Credo proprio di sì.
Bisogna vedere quanto tempo ci mette. Quindi faremo così! Io ora
scrivo le parole dell’indovinello e nel frattempo tu guardati
intorno per vedere se riesci a trovare la bacchetta magica con la
stella polare. Appena ce l’hai in mano avvertimi che scappiamo…..e
speriamo bene. Sei pronta?”
“Prontissima”la voce
di Iris tremava un po’, ma non si sapeva se era per la paura o per
l’eccitazione di quell’avventura così strana
Brando si chinò sulla
tastiera e cominciò a scrivere: sator, arepo, tenet, opera, rotas.
“invio!” disse tra i denti e immediatamente sugli schermi
apparvero schermate di parole, che si cancellavano e si riscrivevano
con una velocità impressionante.
“Non ce la faremo mai.
E’ velocissimo! Sta già dando tantissime probabili soluzioni.
Cerca più in fretta Iris, cerca più in fretta!”
La ragazza correva
intanto di qua e di là, guardando in ogni pertugio, in ogni più
piccolo anfratto, sotto i tavoli e sotto le sedie, ma non riusciva a
vedere niente.
“Non c’è, non c’è”
gridava disperata mentre Brando, seguiva con occhi affascinati il
lavoro di Avidus, che tra poco avrebbe risolto l’arcano che nessuno
fino a quel momento era riuscito a districare. Eppure erano passati
millenni da quando quelle parole avevano fatto impazzire migliaia di
generazioni di uomini!
All’improvviso in un
angolo Iris vide qualcosa che brillava fiocamente. Si avvicinò col
cuore in tumulto ed era là la piccola bacchetta magica, con la sua
stellina in cima, quella stellina tanto importante, e della quale
ancora nessuno aveva notato l’assenza.
“L’ho trovata, l’ho
trovata” disse Iris raccattando la bacchetta e stringendola in mano
“E ‘ tardi Iris è
tardi….Non ce la faremo a fuggire. Guarda manca solo una parola e
l’indovinello sarà risolto!” disse Brando afferrando Iris per
una mano e cercando di spingerla verso l’uscita mentre lui avrebbe
cercato di ostacolare come poteva la soluzione del rebus. Ma Iris si
fermò interdetta. Qualcosa, una forza più grande di lei, la
spingeva a restare in quel posto, mentre davanti ai suoi occhi
appariva un viso dolcissimo avvolto in un velo trasparente di stelle
e una voce dolce e gentile le diceva”Fermati Iris e fai quello che
ti dirò. Io sono fata Filigrana. Hai mai sentito parlare di me? Sì?
Lo vedo dai tuoi occhi. Allora ascoltami. Punta la bacchetta verso
l’occhio di Avidus e recita a voce alta queste parole: “Velo di
fata, del grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi
tarocchi” presto cara, non perdere tempo e fai esattamente quello
che ti ho detto.
“Scappa Iris, scappa!”
Brando la sollecitava ad andarsene, ma inutilmente. I piedi della
fanciulla erano incollati al pavimento.
Quasi come una sonnambula
si voltò verso il grande occhio e, puntando la bacchetta magica
proprio al centro di quella luce, a voce alta recitò quello che
fata Filigrana le aveva suggerito
“Velo di fata, del
grande mago scenda sugli occhi e gli scompigli i suoi tarocchi”
Immediatamente accadde
qualcosa che Brando e Iris guardarono affascinati e increduli. Una
ridda di parole senza senso apparve in tutti gli schermi, rimbalzando
da uno all’altro in un carosello infinito, e con una velocità che
aumentava ad ogni secondo.
“Ecco miei cari, questo
è il momento di andarsene. Non tentiamo troppo la fortuna. Avidus ha
delle risorse inaspettate anche per una fata potente come me. E’
meglio non indugiare”.
“Andiamo, andiamo”
disse Iris a Brando, che continuava a guardare affascinato tutto ciò
che stava accadendo. Una parte di lui era estremamente interessata a
quello che si stava svolgendo in quella lotta tra tecnologia e magia,
ma il buon senso di Iris ebbe la meglio e i due giovani riuscirono in
breve tempo a riguadagnare l’uscita.
Cap. VIII
Giunsero all’aria
aperta nell’arco di due minuti e con stupore si accorsero di essere
rimasti dentro l’antro solo per pochi attimi, anche se a loro erano
sembrati lunghissimi.
Il sole era ancora in
cielo, anche se ormai cominciava a cambiare colore e guardando verso
Valledoro si potevano vedere i primi picchi che si levavano in volo
per andare a riporlo dietro la montagna. Era una cosa bellissima
vedere il tramonto del sole a Valledoro. I picchi si mettevano tutti
intorno al disco dorato e al comando del loro generale il picchio
Picone,( pluridecorato per il compito importantissimo che aveva
assolto per tanti anni, talmente decorato che ormai non poteva più
volare da quanto pesavano le medaglie appuntate alle sue piume),
afferravano un lembo dell’infuocato disco e all’unisono con volo
circolare, facendo ampie evoluzioni lo andavano a riporre nella
vaschetta dietro il monte Poitorno, dove sarebbe rimasto fino al
mattino successivo quando la staffetta delle civette diurne, al grido
di tuttomio-tuttomio, l’avrebbero riportato sul suo trono nel
cielo, dove gli elfi l’avrebbero preso e, caricato sul carro d’oro
l’avrebbero portato in giro per tutto il giorno. Era così da tempo
immemorabile e nessuno aveva ricordo di ritardi o di incidenti di
percorso. Ma non fu quello che fece rimanere a bocca aperta i due
giovani, appena giunti fuori, anche perché da quella parte il sole
tramontava come tramonta sempre il sole e solo Iris sapeva che invece
c’era tutto un lavoro di alta responsabilità e di grande
affiatamento. No! Non fu quello!
Ma lo spettacolo che si
presentò ai loro occhi! Un esercito era schierato davanti al
temibile antro del regno di Ego, e altri soldati stavano arrivando da
tutte le parti:
A Iris si inumidirono gli
occhi dall’emozione, mentre Brando non riusciva a riaversi dalla
sorpresa che tale visione gli aveva procurato. Era talmente sorpreso,
che non riusciva neanche a ridere, anche se dentro di sé, cominciava
a sentire un pizzicorino che partiva dalla punta dei piedi e che
irrefrenabilmente si allungava su per le gambe, fino ad arrivargli
allo stomaco. Tra un po’ sarebbe giunto alla bocca e allora……..
Poi guardò Iris e
immediatamente seppe che mettersi a ridere sarebbe stato l’errore
più grande della sua vita. Quello che vedeva, non era uno scherzo,
ma una cosa estremamente seria che aveva una dignità, che solo ora
vedeva in tutta la sua grandezza. In piedi, proprio di fronte a lui,
un uomo e una donna, come lui, gli fecero inequivocabilmente capire
che si trattava di Samo e di Var, che erano i genitori di Iris e
l’esercito che si snodava dietro di loro ad un tratto diventò
qualcosa di così dignitoso, che cominciò a guardare tutti con
rispetto.
C’erano tartarughe,
supercorazzate, sopra le quali, piccoli cannoni muniti di turaccioli
pieni di polvere pizzicorina, puntavano contro l’ingresso
dell’antro dal quale cominciavano a uscire suoni strani.
Evidentemente le immagini che rimbalzavano l’una sull’altra,
avevano messo in moto altri meccanismi, per cui si sentivano
chiaramente dei bip-bip senza alcun senso, che cominciavano a
diffondersi nell’aria circostante con una frequenza sempre
maggiore. Dietro lo squadrone delle tartarughe, un altro imponente
esercito di castori aveva le forti code già armate di palle di fango
impastato con l’ortica, da catapultare contro i nemici, che di lì
a poco sarebbero senz’altro apparsi a difendere il loro regno, e
interi stormi degli uccelli più diversi, volavano ad ali spiegate,
primi tra tutti i pellicani, che con volo planato, avrebbero
scaricato dai loro capienti becchi milioni di pulci, di cimici, di
pidocchi, di formiche,ciascuno dei quali era stato dotato di una
bomboletta del temibile liquido pruriginoso, (il terribile
grattachecca b2) contro il quale neanche le più sofisticate corazze
avrebbero potuto resistere! Poco distanti un esercito infinito di
zanzare ballerine e di api industriose, dal volo leggero e silenzioso
stavano affilando i loro pungiglioni. Anche i pipistrelli, il
temibile squadrone dei Pip, celebri per i loro voli notturni nonché
per le loro divise nere, avevano accettato di fare un raid diurno,
per essere più che altro elemento di disturbo e di scompiglio. E che
dire delle ranocchie saltatrici, pronte a fare le loro acrobazie
all’interno delle camicie dei nemici? Un po’ in disparte uno
squadrone di topolini a molla, si era attaccato con i loro fili già
tesi e fissati alla base di un albero, Ciascuno di loro aveva in
dotazione una formica con le pinze, che avrebbe al momento opportuno
tagliato il filo e fatto partire il proprio topolino, che
coraggiosamente avrebbe avanzato finché la sua molla lo avrebbe
permesso, dando così modo a chi veniva dopo di loro di avere più
tempo per preparare una tattica. Piccoli eroi di Valledoro!
Intanto un esercito
infinito di ragni di tutti i tipi e di tutte le dimensioni si dava da
fare a tessere tele, con le quali avrebbero imprigionato il nemico.
Nessuno doveva essere ucciso a Valledoro e i nemici sarebbero stati
debellati dal gran ridere che avrebbero provocato tutte le armi
dell’esercito dei Val.
Intanto il bip-bip
cresceva sempre di più di intensità e un rumore concitato di passi
si faceva sentire sempre più vicino. Tra pochi secondi l’esercito
di Ego, sarebbe stato lì e dunque non c’era tempo da perdere. Fata
Dollarina infatti, che fino a quel momento era rimasta vicino
all’amico Lombricone, con un leggero volo arrivò da Iris, che
senza parole, le consegnò la bacchetta magica, mentre Samo la
incitava: “Presto Dolly, riporta la stella polare al suo posto,
prima che gli uomini dei Val se ne accorgano!”.
Anche Lombricone andò
verso i due giovani che lo guardarono entrambi con un misto di
rispetto e di deferenza. Lombricone infatti aveva ritrovato tutta la
sua dignità, che gli proveniva da intere generazioni di Lombriconi
Generali, Guardiamarina, Commodori, Ammiragli. Qualcuno aveva detto
una volta che uno dei suoi bis,bis,bis,bisavoli, aveva eroicamente
combattuto con l’Ammiraglio Nelson, uscendo dalla battaglia con una
gamba in meno (anche se questa forse era una leggenda, perché da
quando mai gli amici Lombriconi avevano le gambe?) e una medaglia in
più.
Quella medaglia comunque
ora era appuntata al petto di Lombricone, che per l’occasione aveva
ritirato fuori il suo cappello da guardiamarina, anche se non aveva
mai confessato a nessuno che non sapeva nuotare.
“Ora che succederà?”
gli domandò Iris con apprensione
“Guardiamo e lo sapremo
subito! Stanno arrivando!” rispose trai denti, che si rivelarono
una sorpresa, perché fino a quel momento non si era accorto di
averli.
Di lì a poco, una decina
di uomini, in tute mimetiche, con l’elmetto in testa, fecero la
loro apparizione all’ingresso dell’antro. Tenevano tra le mani
temibili fucili e qualcuno aveva persino dei mitragliatori. In un
attimo li caricarono e puntandoli contro il piccolo esercito dissero
con voce minacciosa: “Alto là o facciamo fuoco!”
Intanto il bip-bip era
dapprima diventato un biiip-biiip fino a trasformarsi in
biiiiip-biiiip, per poi diventare
biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip-biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip,
fino a non far capire più niente a nessuno.
Tutti dovettero mettersi
le mani o le zampe alle orecchi per resistere a quel rumore
infernale, tutti tranne i soldati che dovendo imbracciare i fucili,
non potevano tapparsi le orecchie, perché avevano due mani sole e
con i piedi non riuscivano né a tenere i fucili, né a tapparsi le
orecchie, per cui rimasero stoicamente in quella posizione, e mentre
il cervello gli andava in pappa riuscirono ancora a pensare; “Ma
guarda che bisogna fare per guadagnarsi un po’ di pane!”.
Poi successe una cosa
stranissima. I fucili, che nel frattempo erano rimasti impassibili
tra le mani dei loro soldati, si resero improvvisamente conto che a
loro nessuno avrebbe tappato le orecchie, per cui pensarono bene di
farlo da soli e siccome le orecchie dei fucili, per chi non lo
sapesse, sono vicine all’otturatore,( perché se non si sentissero
quando sparano, come farebbero poi a mandare il rinculo a chi ha
premuto il grilletto, per avvertirlo che ha sparato?) e si possono
tappare solo se l’otturatore è su, pensarono bene di alzarlo per
trovare un po’ di pace.
Vedendo questo, le
tartarughe, i castori, i pellicani e tutti gli altri, ebbero un
sospiro di sollievo, perché avrebbero potuto continuare a tenersi le
orecchie tappate, e così tutti aspettarono gli eventi, cioè che
quel rumore infernale avesse termine. Per fare la guerra ci sarebbe
stato tempo dopo.
Ma quel rumore non passò,
anzi, se possibile divenne ancora più intenso, mentre ormai le ombre
della sera cominciavano a distendersi su tutte le valli, Valledoro
compresa, E’ a quel punto che Brando, togliendo per un attimo una
mano dal suo orecchio, ma solo per un attimo, puntò l’indice verso
i cielo dicendo: “Ecco! Guardate! La Stella Polare è tornata al
suo posto” E infatti la stellina era lì, circondata da tutte le
fate, che l’avvolgevano con i loro veli, facendola a tratti sparire
e poi riapparire, prima tra tutte Fata Filigrana, che con i suoi
lunghissimi capelli neri, portava le ombre sulla terra.
Tutti guardarono il cielo
e per un attimo non ci furono più nemici, persi come erano
nell’immensità della volta che si tingeva del blu della notte,
nella quale cominciavano ad apparire tante stelle lucenti.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Fu allora che accadde un
altro evento prodigioso. All’ingresso dell’antro si materializzò
un omino con un camice bianco, di due taglie più grandi di lui.
Aveva spessi occhiali, e una testa di capelli arruffati.
“Ma….Ma…..”
cominciò interdetta Iris guardandolo
“Ma…Brando. Guardalo
ti prego. Non ti sembra che somigli tutto a Lombricone?”
“E’ vero” rispose
Brando guardando prima l’omino e poi Lombricone. Anche Samo e Var
guardavano stupiti l’omino e Lombricone, finché quest’ultimo
spezzò il silenzio dicendo
“Perbacco che ci
trovate di tanto strano se anche un verme come me può avere un uomo
che gli somiglia? Io non ne sono offeso”
Intanto l’omino aveva
fatto qualche passo. In mano teneva alcuni fogli e mentre avanzava
con lo sguardo rivolto al cielo diceva:
“Hanno risposto! Hanno
risposto!”
Cap. IX
Stranamente non fu Brando
e neppure Samo a ritrovare per primo la parola e nemmeno Lombricone,
nonostante la sua distinta figura che incuteva rispetto, perché
tutti si fermarono interdetti guardando Var, che alzando il viso in
tutta la sua fierezza si rivolse all’uomo, che appariva ancora
stralunato, dicendogli con la sua dolcissima voce che aveva una
leggera calata , dalla quale tutti riconobbero immediatamente, la
provenienza della gentildonna;
“Vussiete uno
scienziato signore? Ditecelo, dè, sennò ci viene l’affanno se
dobbiamo indovinare. Suvvia dèè!”
A tale gentile invito,
l’uomo riacquistò immediatamente la sua dignità e prontamente
rispose:
“Sissignora! Sono il
professor Von Rintronaten Zaccheus……premio nobel per i tanti, no,
per i troppi, uffa, volevo dire per i quanti, scoperti davvero in
quantità incredibile e……”
“Ebbene professore Von
Rintronaten…….intervenne Samo
“Vi prego chiamatemi
semplicemente Zac!”sorrise timidamente il professore
“Mi sembra un’ottima
idea- sospirò sollevato Samo – Ebbene Zac, cosa volevi dire quando
hai urlato ‘Hanno risposto?’
Lo sguardo dello strano
uomo si perse nuovamente dietro le spesse lenti in un mondo tutto suo
e disse a voce più contenuta:
“Hanno risposto! Sì
hanno risposto! Ed è per questo che sono uscito immediatamente per
sapere chi è il genio che ha impostato il computer sulla frequenza
che da ormai cinque lustri cercavo, senza mai riuscirci!”
“Sono io” rispose
Brando”Ma mi creda professore, è stato un caso fortuito. Ma cosa è
successo di tanto importante?” domandò incuriosito Brando mentre
anche Iris si faceva più attenta, le tartarughe allungavano il
collo, i pellicani cominciavano ad atterrare, e tutto il resto
dell’esercito di Valledoro si avvicinava per udire, ciò che
l’incredibile personaggio uscito dall’antro di Ego si apprestava
a dire.
“Ecco! Scusate se sono
un po’ confusionario, ma l’emozione, capirete è tanta! Non
capita tutti i giorni di ricevere una risposta a messaggi che
mandiamo ormai da oltre vent’anni nello spazio, senza avere mai
risposta. Oggi è arrivata….chiarissima, grazie alla frequenza che
questo giovanotto è riuscito a impostare sul computer. Abbiamo
trovato la chiave di volta…..e ora possiamo parlare con loro!”
disse il professore passandosi una mano tra i folti capelli, che si
arruffarono ancora di più se possibile.
“Ma con loro ….chi?”
azzardò Lombricone che pensava di aver capito e temeva la conferma
del professore.
“Con gli abitanti di
Nefele,…….quella stella lassù…..”
“Con gli alieni?
Incalzò Lombricone
“Non sappiamo ancora
quale sia il loro aspetto, ma il messaggio che ci hanno mandato è
inequivocabilmente un messaggio di pace e di amicizia”
“Meno male” bisbiglio
Lombricone a Samo e si rilassò in tutta la sua lunghezza, perché se
c’è una cosa che gli amici lombriconi hanno, questa è il
coraggio, ma se c’è una cosa che hanno ancora di più è la fifa e
per non farla vedere in genere si sdraiano per terra, prendendo la
posizione pensosa e riflessiva, di chi medita su grandi tematiche,
cosa che Lombricone fece immediatamente, attirando su di sé lo
sguardo del Professore che identificò subito in lui il Capo di tutta
quell’incredibile esercito che aveva visto davanti a sé.
Quindi dirigendosi verso
di lui, gli tese la mano e afferrando quella di Lombricone, la
strinse calorosamente dicendogli in maniera solenne:
“La patria le sarà
riconoscente di tutto quello che lei con i suoi uomini, ha fatto per
l’umanità. Solo un comandante come lei poteva portare a buon fine
una ricerca così importante come questa e le garantisco che avrà il
premio che si merita.”L’amico Lombricone ritrovò immediatamente
tutta la sua dignità, contento in cuor suo che nessuno si fosse
accorto di quel piccolissimo attimo di panico, e il professor
Rintronaten ignaro di quanto il suo nobile cognome si adattasse alla
perfezione alla sua figura, si diresse davanti a Samo e a Var
continuando:
“Naturalmente anche voi
siete invitati al Palazzo dei Congressi, dove riferirò
immediatamente l’accaduto. “E s’intende che anche tu giovanotto
verrai con la tua splendida fidanzata a ricevere la ricompensa che
meriti” aggiunse mentre Iris diventava rossa come una ciliegia a
sentire quell’affermazione e Brando non sapeva più dove guardare,
ma a forza di non saper più dove guardare si trovò proprio a
guardare negli occhi di Iris e lì ci si perse per sempre.
Samo scosse il capo e
disse tranquillamente “Caro professore, siamo contenti se siamo
potuti essere utili alla sua scoperta e il fatto che nelle stelle ci
siano altre presenze ci riempie di gioia, anche se a Valledoro lo
abbiamo sempre saputo, perché le buone fate che ci onorano della
loro amicizia ce l’hanno sempre detto. Ma era giusto che anche le
altre genti che popolano la terra fuori da Valledoro sapessero che ci
possono essere altre intelligenze che vogliono vivere in pace e
portare messaggi di amicizia………Ma io non verrò con te, perché
il mio posto è a Valledoro, con la mia gente e la semplicità della
mia vita….e credo che per Var sia la stessa cosa”
“Gliè così dèè”
annui sorridendo Var, già pensando alla sua sala da the e a tutto
quello che avrebbe dovuto fare per preparare una bella festa per
tutti gli abitanti di Valledoro, per festeggiare il ritrovamento
della Stella Polare. Altro che stella di Nefele! A lei interessava
solo la sua vita, i suoi affetti, il torrente che scorreva
dolcemente, tanto da leccarsi le dita, le sue tazze da the, dai
languidi occhi neri e le boccucce rosse e i pasticcini alla crema
serafina, fatta con le uova degli angioletti, che le fate le
portavano tutti i giorni freschi freschi, dai più reconditi nidi nel
cielo.
“E voi?” Von
Rintronaten si rivolse a Brando e Iris
“Io non lascerò mai
Valledoro. Anche se so di essere diversa dai suoi abitanti, sento che
loro sono la mia gente e in qualsiasi posto del mondo potessi andare,
so che non troverei mai la dolcezza della mia valle.”rispose piano
Iris, guardando sotto sotto Brando.
Brando era serio.
Guardava Valledoro che si stagliava in lontananza e poi la sua terra,
nell’altra valle, bella anche lei, anche se così diversa!
“Brando?” chiese il
professore
“No Zac! Neanche io
verrò.”Poi prendendo per mano Iris le disse “Mi prometti che di
tanto in tanto verremo anche nella mia valle e che ai nostri figli
insegneremo le cose buone di entrambe?
“Te lo prometto!”
rispose in un sussurro Iris e così si scambiarono la loro promessa
di amore.
“Ma tu devi andare
Lombricone! Devi andare e poi devi tornare a raccontarci tutto quello
ve vedrai e che farai!” disse Samo all’amico “Del resto chi più
di te merita una ricompensa? Se non ci fosse stato il tuo
interessamento, la tua amicizia, la tua costanza, forse oggi
Valledoro non sarebbe più così. Vai amico mio e grazie per tutto
quello che hai fatto per noi” E Samo abbracciò l’amico
Lombricone con una tenerezza che solo i lombriconi possono capire e
ricambiare. Poi si girò e rivolto al suo esercito, a Var, a Iris e
Brando disse semplicemente:
“Torniamo a Valledoro”
E così finisce questa
novella, che come tutte le novelle, non ha mai una vera fine, perché
continua a vivere nell’immaginario di ciascuno di noi. Sappiamo
però che Iris e Brando si sono sposati e Samo ha preparato una festa
per loro alla quale hanno partecipato tutti gli abitanti di Valledoro
e tutte le fate. Per l’occasione a Dollarina, Fata Filigrana ha
regalato un nuovo velo, lungo dieci metri in più di quello
precedente e la fatina non finisce mai di guardarlo e di farlo volare
nel vento. Anche il temibile Avidus, mago di Ego ha lasciato per
l’occasione il suo antro e alla fine si è scoperto che non era
nient’altro che il professore Von Rintronaten, che davvero non fa
paura a nessuno. E’ arrivata anche una missiva entusiasta da
Lombricone, ops, scusate da Sir Lombricone, Baronetto dei Canneti, al
quale sono state conferite onorificenze in tutto il mondo, ma lui più
che altro parla della prima…”e mi hanno portato in una grande
casa, tutta bianca, dove un uomo nero, mi si è avvicinato e
semplicemente mi ha sorriso e stretto la mano dicendomi: “La prego
di farsi portavoce verso tutti i Lombriconi del mondo per
ringraziarli del contributo che portano alla causa mondiale della
pace…….”. Che dire ancora? Forse è meglio ascoltare le parole
che Brando e Iris si sono scambiate e che le fate portano ancora sui
loro veli per affidarle al vento, che le trasporti in tutto il cielo
“Io Brando, prendo te………..” “Io Iris prendo te…………..”
Per tutta la vita, per tutta la vita, per tutta la vita per
tuttaaaaaaaaaaaalaaaaaaaaaviiiiiiiitaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Per piacere non lo
dite al Professor Von Rintronaten, perché questo non è un messaggio
che viene da lontano. Questo è solo un messaggio d’amore!
Siccome
usa così, anch’io proverò a ringraziare qualcuno.
Ma
chi ringraziare? No! Non è difficile, me ne accorgo immediatamente,
perché sono qui intorno a me, tutte le persone alle quali voglio
bene.
Se
penso a questa novella la prima persona che devo ringraziare è
senz’altro il mio babbo, perché i maghi Spiridone e Spacamalosse
sono personaggi delle favole inventate da lui per me, quando ero
piccina. Anche Lombricone è un personaggio inventato da una giovane
mamma che passava le serate a narrare ai suoi bambini le imprese di
questo strano personaggio che vive in Canneto. Dunque il mio grazie
va anche a lei.
Ma
più di tutti devo ringraziare i miei figli, la mia mamma e i miei
amici, perché mi accettano per quello che sono, senza cercare di
cambiarmi e senza farmi notare troppo che il mondo delle favole per
me ormai dovrebbe essere finito.
E
di più, molto di più, il mio grazie va ai miei nipotini che mi
hanno ispirato questa novella, perché è grazie a loro che ho
ritrovato in me la fantasia e le ho dato le ali.
finalmente conosco la fine di questa magica avventura ( ne avevo solo i primi tre capitoli ). Ora la leggerò a Marco ghiotto come te di mondi fantastici: io vi guarderò sorridere!
RispondiEliminaun bacio al mio caro amico Balilla il quale andandosene mi ha lasciato in ricordo l'allegriae la ... passione.
uno con lo schocco anche a te mia amatissima amica :))