Ti voglio raccontare una favola, ma
una favola vera, una di quelle che si scrivono a nostra insaputa in
un giorno qualsiasi della nostra vita, magari mentre si va
frettolosamente a comprare qualcosa in un negozio....su in paese....
Correvo quella mattina d'inverno di
dodici anni fa, correvo per andare a comprare una cosa che mi era
assolutamente necessaria, e mentre andavo su per la salita col
fiatone, mi dicevo che dovevo fare in fretta, perché a quell'ora
avrei dovuto essere al lavoro, e terminare una serie di opuscoli che
dovevo inserire nel giornalino. Ti dico questo solo per farti capire
che quel giorno il mio tempo era molto limitato.
Alla fine sono arrivata e mi sono
catapultata dentro il negozio sperando di non trovare la fila. Sono
stata fortunata. Davanti a me c'era solo una persona e già veniva
servita.
"Buongiorno – ho detto con la
poca voce che mi era rimasta, rivolgendomi più che altro a Daisy (è
un nome fittizio) che mi guardava dall'altra parte del bancone.
Conoscevo abbastanza Daisy, perché sono stata catechista dei suoi
figli più grandi per un anno, ma non sono mai stata molto in
confidenza con lei, anche se di tanto in tanto abbiamo parlato del
più e del meno.
"Buongiorno!" mi avevano
salutato entrambe le persone e già dal tono di voce diversa con cui
mi era stato risposto avevo capito che Daisy aveva qualcosa che non
andava.
La danza della vita la immagino così |
E gli occhi di Daisy in quel momento
erano specchi di dolore, di rabbia, di sofferenza che aveva necessità
di urlare, di venire fuori, di esplodere e che invece restava lì,
dentro di loro, mente il viso si costringeva a sorridere al mondo.
Anch'io le sorrisi in risposta con la
testa da tutt'altra parte. Era arrivato il mio turno e chiesi
automaticamente ciò che mi occorreva, mentre continuavo a guardarla
sentendo crescere il disagio dentro di me.
"E' freddo oggi vero?" le
dissi tanto per dire qualcosa e rompere un silenzio che stava per
diventare imbarazzante
"Davvero è proprio freddo!"
rispose lei lentamente ma non aggiunse altro
Presi il mio pacchettino, presi il
resto, lo misi in borsa lentamente, come se cercassi di prendere
tempo, non non sapevo neanche io perché, poi :
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao, ci vediamo" e mi avviai alla porta.
"Ciao " rispose e io uscii.
Ero sulla strada, mi fermai un attimo
come se qualcosa mi trattenesse, poi mi avviai per ritornare al
lavoro, un passo dietro l'altro, sempre con quella consapevolezza che
dovevo fare in fretta perché di lì a poco sarebbero arrivate le
persone che dovevano ritirare il giornalino per portarlo a spedire, e
camminando cercai di alleggerire un pò la tensione della quale non
conoscevo il motivo, ma che non voleva sapere di lasciarmi, anche se
in mezzo ad altra gente cercavo di riappropriarmi della mia
quotidianità o almeno così mi sembrò per un attimo perché invece
pochi minuti dopo, un'agitazione non voluta, ma latente per tutto
quel tempo dentro di me, venne fuori in tutta la sua urgenza e mi
costrinse a fermarmi. Ero davanti al negozio del ciabattino, quando
avvertii dentro di me quell'impulso che non riuscii a reprimere, un
impulso che mi diceva di voltarmi e tornare sui miei passi. Fu il
sesto senso? Quel famoso sesto senso che certe volte io credo di
avere, ma del quale ho sempre parlato così, per gioco? Non lo so.
Campassi cent'anni non riuscirò mai a dare una spiegazione logica a
quel momento, anche se da allora in poi il suo ricordo è diventato
per me uno dei momenti più dolci della mia vita.
La ragione mi diceva di continuare la
mia strada, di non intromettermi, di lasciar perdere, ma il cuore mi
suggeriva tutt'altro e anche allora fu l'istinto che mi disse quale
voce dovevo ascoltare e senza pensarci due volte, senza sapere
perché, senza sapere cosa avrei fatto, mi girai e tornai sui miei
passi.
Questa volta affrontai la salita più
lentamente, non perché fossi stanca ma perché avevo bisogno di
riordinare le idee, di cercare di capire perché stavo tornando
indietro, di trovare una scusa plausibile per rientrare in quel
negozio e capire se la sensazione di sofferenza che avevo avvertito
così intensamente era stata solo frutto della mia fantasia o se
invece quel senso di allarme che continuavo a sentire dentro di me
era qualcosa di reale.
E se anche avessi visto che sì, c'era
veramente una sofferenza che aveva bisogno di aiuto, sarei stata
accettata? Che avrei detto per poter arrivare a ciò che avevo visto
dietro quegli occhi?
Non riuscivo a trovare una risposta.
"Ora entro – mi dicevo – e provo a dire che non era questo
il prodotto che volevo....no non funziona! E se c'è gente che
faccio? E se mi risponde male? E se....e se...?!"
Con tutti questi se irrisolti che
giravano per la mia testa alla fine mi ritrovai nuovamente davanti
alla porta del negozio.
Per un attimo, confesso, ebbi la voglia
di tornare immediatamente indietro. "Non sono affari miei!"
mi dissi....ma fu davvero solo un attimo perché la mia mano era già
sulla maniglia della porta e la stava abbassando per entrare.
Ho sempre ricordato quella maniglia e
la sensazione che mi dette ma che non so descrivere neanche oggi, se
non confusamente. Posso solo dire che fu la parte tangibile di
qualcosa che in una maniera o in un'altra avrebbe cambiato i miei
rapporti con la persona che stava dietro quella porta.
Entrai.
Fui fortunata. Non c'era nessuno,
neanche Daisy e quell'attimo sospeso mi permise di recuperare un pò
di calma. Poi dal retrobottega venne la sua voce: "Vengo
subito!" e infatti fu immediatamente lì, pallida in viso,
senza quel sorriso che aveva avuto prima e che ora non aveva fatto in
tempo a stampare in fretta sul suo viso.
Non parve stupita di vedermi nuovamente
lì e mi resi conto che forse non si ricordava neanche di aver
parlato con me pochi minuti prima.
E infatti mi disse "Buongiorno!
....dimmi....."
Io mi avvicinai di più al bancone e
dissi:
"Sono tornata indietro....Posso
fare qualcosa per te?" tutti i discorsi che avevo preparato
erano naufragati miseramente e mi erano venute fuori solo quelle
poche scarne parole. Ma furono sufficienti.
I suoi occhi si riempirono di lacrime
in maniera repentina, come se si fosse improvvisamente rotta la
barriera che le tratteneva e il torrente che c'era dietro venne fuori
con la forza dell'acqua che scende quando è nutrita da un temporale.
In quelle lacrime sentii tutta la disperata solitudine che mille
parole non avrebbero saputo dirmi.
Eravamo ancora sole e io rimasi in
silenzio per darle tempo di allentare la tensione che fortunatamente
con quel pianto cominciava ad alleggerirsi.
Fu lei la prima a parlare.
"Andiamo di là!" mi disse e
si avviò nel retrobottega. La seguii col cuore in gola sapendo che
avrei dovuto ascoltare qualcosa che senz'altro mi avrebbe coinvolto
nella sua situazione e per la quale magari non sarei stata
all'altezza di dare consigli, ma ero stata io a scegliere di tornare
indietro e facendo un grosso respiro, mi detti coraggio e mi
tranquillizzai un pò.
Non ci volle più di un minuto per
sapere quale era il problema di Daisy. Dopo il pianto liberatorio le
parole vennero fuori nitide, distaccate, implacabili.
"Sto per separarmi da mio marito e
aspetto un bambino. Ho deciso che questo bambino non lo posso
tenere,...non saprei come fare con il lavoro e tutto il resto. Ho già
preso appuntamento con l'ospedale per praticare l'aborto....e
dopodomani vado...." terminò con quella che mi sembrò una
lievissima esitazione.
Mi sentii gelare, più che per le
parole, per lo sguardo deciso, quasi cattivo....o forse solo molto
sofferente?
Mi attaccai a quella esitazione e senza
sapere neanche quello che sarei andata a dire cominciai a parlare,
con calma e tranquillità. Ricordo che non feci esclamazioni di
stupore, o di orrore, quando mi disse la decisione che aveva preso.
Non fui brava io, fu solo l'istinto che mi disse di comportarmi così
e da subito mi accorsi che era stato l'atteggiamento giusto, forse
perché da me era preparata ad avere un altro tipo di reazione, e
accorgersi che invece non mi ero turbata più di tanto per quello
che mi aveva detto (il mio cuore galoppava invece!), l'aveva
spiazzata e stupita, ma le aveva anche fatto abbassare la guardia.
"Ci possiamo mettere a sedere?"
le chiesi più per me che per lei. Sentivo di avere le gambe di
pappamolla!
Vagamente intuivo in che ginepraio mi
ero messa. In quel preciso istante mi ero fatta carico di una
responsabilità che dieci minuti prima neanche sognavo....ma la cosa
lì per lì mi sfiorò e poi non mi interessò più di tanto. In
quel momento avevo ben altro da pensare!
Per quanto tempo parlai? Per molto
credo e la cosa strana, che non mi colpì al momento, ma dopo, quando
ci ripensai, fu che in tutto quel tempo nessuno entrò nel negozio.
Eppure in genere era molto frequentato.
Delle cose che ci dicemmo trascrivo
solo l'inizio:
"Tu hai due problemi e sono grossi
entrambi, ma sono due problemi separati, che vanno affrontati uno per
uno. Prima pensa al bambino che porti in grembo e poi solo dopo,
affronta quello che riguarda tuo marito......" giusto,
sbagliato? Non lo so, ma in quel momento mi sembrò che il problema
più urgente fosse quello che riguardava la vita.
Cercavo dentro di me le parole più
giuste da dire a una donna che in quel momento era disperata, ma mi
sentivo la testa vuota, sopraffatta come ero da quel problema che mi
trovavo ad affrontare senza nessuna preparazione. Sudavo freddo!
Fortunatamente le parole venivano da sé, frutto di convinzioni in me
radicate da sempre....
Ma la cosa che mi colpiva di più in
quel momento era come ci si intendeva bene senza bisogno di grandi
discorsi, senza usare parole difficili. Erano gli occhi che
parlavano, i suoi e i miei, me ne rendevo conto e se ne rese subito
conto anche Daisy. Dietro i suoi occhi c'erano libri di parole non
scritte e io li stavo leggendo in tutta la loro drammaticità.
Lei mi caricò di tutte le sue paure,
anche sapendo che io non avrei potuto fare niente di più che darle
la mia solidarietà e starle vicino qualunque fosse stata la sua
scelta e io le regalai i miei dinieghi alla sua disperata decisione,
le mie osservazioni, le mie esperienze di donna e di madre.
Alla fine entrambe sentimmo che non
c'era più niente da aggiungere. Qualsiasi parola in più sarebbe
stata qualcosa di posticcio che quel momento non richiedeva.
Mi alzai, sentendomi stranamente calma
e vuota. Anche lei si alzò pallida in viso, stanca, come una che ha
combattuto una battaglia difficile e ha...perso!
Ma che cosa aveva perso? L'ultimo
fragile appiglio alla speranza di trattenere una vita che si stava
formando? O la sicurezza dei suoi propositi che fino a quel momento
l'avevano portata a prendere una decisione estrema? Non riuscii a
capirlo, neanche a intuirlo.
"Ti farò sapere qualcosa...però
non ti prometto niente!" e con queste parole ci lasciammo.
Il resto della mia mattinata, puoi
immaginare da te come passò. Tornata al lavoro,tutti si accorsero
subito che qualcosa non andava e non mi domandarono nemmeno il
perché del mio ritardo; si limitarono a guardarmi di sottecchi,
mentre cercavamo di portare a termine il lavoro lasciato indietro e
che fortunatamente loro, vista la mia assenza ingiustificata, si
erano affrettati a cominciare, rimandando a più tardi le
spiegazioni.
La mattinata si concluse così,
lavorando, mentre lentamente mi riappropriavo di me stessa e della
quotidianità impellente, che non ci permette mai assenze di lunga
durata.
Alle due tornai a casa come tutti i
giorni e le cose di ordinaria amministrazione mi ripresero nel loro
giro. Preparai, pensando sempre a Daisy, qualcosa da mangiare,
senz'altro poco impegnativo, questo anche a distanza di tanti anni,
te lo posso dire con sicurezza, perché in quel lungo periodo, le
mie entrate erano talmente scarse che si lesinava anche
sull'indispensabile. Ti dico questo solo per farti capire che neanche
per me quello era stato un periodo bello e forse la cosa mi aveva
reso particolarmente sensibile e intuitiva. La vita qualche anno
prima, mi aveva messo davanti a una dura prova, o meglio, senza
incolpare la vita, io stessa mi ero messa davanti a questa prova,
facendo un salto nel vuoto del quale ancora non stavo vedendo la
fine, ma il rispetto per la sacralità della vita in me era rimasto
intatto come ai bei tempi passati e anche se per un lungo periodo non
ho saputo più chi ero e dove stavo andando, istintivamente sentivo
che era valsa la pena aver cercato di combattere per quella nuova
esistenza.
Verso le quattro suonò il telefono.
Neanche per un attimo pensai che potesse essere Daisy. Non conosceva
il mio numero che nell'elenco non era intestato neanche a me. Però i
suo figli conoscevano i miei. A questo non avevo pensato.
Era lei invece e la sua voce venne
fuori sottile, ma diversa da come l'avevo sentita la mattina. Una
voce fragile, ma allo stesso tempo più serena e più sicura. Io non
riuscivo a parlare
"Ciao....ti volevo solo dire che
ho deciso di seguire il tuo consiglio..........Ho già telefonato per
annullare l'appuntamento. Lo so che sarà dura, ma stamani tu mi hai
ridato la forza di continuare. Il resto lo vedrò dopo.....ora voglio
pensare solo ai miei figli, a quelli che ci sono e a quello che
verrà!.......Grazie, grazie davvero!"
Io avevo un nodo in gola che non andava
né su né giù, e trovai a malapena la forza di dirle:
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Sono contenta, molto contenta!". Non sono mai stata di molte parole nei momenti di commozione, ma forse a onor di giustizia dovrei dire che sono proprio rude....un'istrice..ecco!
"Ti verrò a trovare......posso?"
aggiunse Daisy
"Ti aspetto".
Pochi giorni fa è passato davanti a me
un ragazzino . L' ho guardato sorridendo e anche lui mi ha guardato,
così come si guardano le cose che capitano sulla nostra strada in
quell'attimo per poi perdersi nel niente, ed è filato via come il
vento. Non mi conosce, non sa chi sono, ma in me, ogni volta che lo
vedo, nasce un senso di soddisfazione, perché lui è qui e gioca e
salta e corre e cresce e poi avrà come tutti noi i problemi della
vita e poi costruirà la sua vita e un giorno la sua mano adulta
stringerà una manina mentre lui ascolterà la voce di suo figlio che
gli dice: "Dai babbo...andiamo a giocare!".
E con questa fantasia dentro gli occhi
oggi mi sono seduta davanti al computer e invece di trattenere
questo attimo solo dentro di me, ho cominciato a scriverti.
Dimmi te se questa non è una favola! E
quante ce ne sono di favole come questa... e sai, sono proprio queste
favole vere che ci fanno dire che nonostante tutto la vita è bella!
Raramente passo di qui' e leggo , oggi l'ho fatto e sono entrata talmente in questo tuo racconto che mi son venuti i brividi . E' bellissimo ! Ciao Patrizia ( tua cugina )
RispondiEliminaCiao Patty e....grazie. Non so se il racconto sia bello, ma so che è vero e che ogni volta che ripenso a quel giorno, mi sento pervadere da una dolcezza infinita........
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