Mi chiedo Perché!!!!
Ma perché la notizia di un allagamento, invece di costernarmi ha riportato in me una sorta di euforica primavera?
Forse perché ho ripensato al non cercato buco in una parete che si stava aggiustando per poi prendere le pentole che c'erano dietro visto che ne avevamo bisogno?
Forse perché mi è tornato in mente il pavimento di cotto, rovinato dallo scoppio dell' aglio che friggeva in padella e poi tornato splendido grazie all'untata generale che è stata fatta?
Forse perché ho ricordato il pesce d'aprile fatto a una famosa chiesa della nostra città?
Forse perché mi è venuto in mente un pezzo del motore del pulman, che fu aggiustato dai nostri eroi, e che ci rimase in mano a imperitura gloria?
Forse perché non ho potuto fare a meno di sorridere del rosario guidato da uno dei nostri, che riuscì a far sbagliare anche il prete?
Forse per la sbobba mangiata una sera in allegria, che poi ci fece inginocchiare tutti, ma non a pregare, bensì sul water?
Forse perché dai recessi più reconditi ho rivisto i petardi che scoppiavano sotto un lampione che ha lasciato tutto il quartiere al buio per diverse ore?
Forse perché è carnevale e il pensiero va a una grata scavalcata per farsi una bevuta gratis, ma non senza conseguenze?
Forse, forse, forse....quanti forse ci sarebbero se solo mi andasse di scriverli tutti.
E mi chiedo ancora Perché?
Perché questo senso di euforia non se ne vuole proprio andare e mi sembra un vento fresco che viene ad agitare piacevolmente una giornata afosa?
Ma perché anche questi sono episodi nostri e fanno parte dei trent'anni delnostro essere insieme, mentre camminiamo sulla strada della vita, cercando di diventare seri, senza mai riuscirci fino in fondo, col convincimento mai venuto meno, che la nostra unione è anche la nostra forza, e come ieri ci ha fatto affrontare gli imprevisti voluti e non voluti, con un leggero sorriso dentro gli occhi, anche oggi ci farà fare la stessa cosa.
"Dai ragazzi, guardiamo anche la cosa positiva! Cercavamo una targa commemorativa per i nostri trent'anni? Ebbene che cosa c'è di meglio del bollettino dell'acqua che pagheremo? Messo in cornice naturalmente"
martedì 26 gennaio 2016
domenica 24 gennaio 2016
Perdonare non è come prendere un caffè
Passeggiando di domenica mattina, possono accadere strane cose. Sarà perché oggi era una giornata magnifica, piena di sole e di luce, una di quelle mattine rare, che quando abbiamo la fortuna di incontrare è bene godersele; sarà perché da qualche giorno sono più portata a fare riflessioni serie; sarà perché doveva essere così e in nessun altro modo, fatto sta che mi sono ritrovata a passare nuovamente davanti alla cattedrale e la porta santa mi ha nuovamente attratto, per cui senza opporre la minima resistenza, sono entrata e mi sono messa in un angolino in silenzio, come faccio sempre. Sono rimasta lì per dieci minuti e sono nuovamente uscita.
Ed è stato allora che un pensiero mi ha attraversato la mente, proprio nella maniera in cui il vento leggero attraversava il cielo.
"Ma io, che voglio e chiedo misericordia e perdono a Dio, e penso che me li debba dare poiché è un buon padre, con che coraggio vado a chiedere di perdonare i miei peccati, se poi io non riesco a perdonare niente, di fare un'opera di misericordia se non farlocca?" A che mi serve venire qui a domandare perdono se poi non sono capace di ridare perdono?" E con questo pensiero mi sono incamminata per la strada che mi ripotava a casa, attraverso i cipressi e gli sterpi dell'inverno, che tra qualche mese torneranno a essere piante rigogliose. E non senza moti di ribellione. "Facile a dirsi eh! Ma perdonare mica è come andare a prendere un caffè al bar e se non è buono , te lo fai rifare. Perdonare vuol dire rinunciare a farselo rifare quel caffè e magari pagare anche quello schifoso che ti sei bevuto!" Ma le mie ribellioni erano solo fuffa, quei piccoli bioccoletti che si formano sulla stoffa e sulla lana e che sono così brutti e che cerchiamo sempre di togliere. Io non avevo bisogno neanche di fare questo, perché capivo che le mie difese erano altrettante idiozie. Ma come era difficile. Perché il perdono deve essere così faticoso? Forse perché sembra di rinunciare a se stessi? Eh! mi sa di sì! E mentre pensavo capivo che stavo cercando di mettere a mia volta la fuffa sulla verità e che il perdono, questa famosa misericordia che non è solo una parola, ma qualcosa di attivo che deve mettere in movimento il nostro essere e il nostro sentire era principalmente una cura per noi stessi, prima che per coloro ai quali era rivolta. Una cura per la nostra pace, per la nostra libertà. Libertà! Questa parola che ritorna sempre nei mie discorsi e più che altro nei miei pensieri e che mi sfugge sempre, come qualcosa che non riesco mai a capire appieno. Avere il cuore libero, o forse la mente libera, ma non voglio stare a sindacare se il bene e il male siano prerogativa del cuore o della mente, perché non vedevo né l'uno né l'altro davanti a me, mentre pensavo a queste cose, ma solo l'uomo nella sua interezza, solo me stessa come mondo che posso costruire in un modo o nell'altro, a seconda di dove mi voglio dirigere. Libertà, altro concetto di felicità! Perdonare, avere misericordia dunque è felicità! E mentre camminavo a passo spedito per andare a impastate il mio pane della domenica mi tornavano in mente in maniera discontinua ma sempre più intensamente le parole di quella parabola....
21 Allora Pietro gli
si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se
pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti
dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
19 1 Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano.
23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
19 1 Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano.
Che volete, qualche volta sono anche questa persona, non spesso, non nel migliore dei modi, ma insomma riesco anche a pensare per cercare di migliorarmi! Ma che bella trovata quella di Francesco di aprire le Porte Sante anche nei nostri habitat. Così vicine a noi, al nostro vissuto, ai nostri disagi e ai nostri bisogni! Questa è davvero una Porta che funziona bene, diciamolo via! Quasi una porta che si apre su uno spazio temporale del nostro essere, dove non è possibile trovare scuse con se stessi e dove tutto appare così semplice, così facile, così ovvio che basta volerlo.....E volere è la cosa più difficile! Più difficile che fare il pane, che stavolta non mi è venuto neanche tanto bene. E menomale che c'è questa Porta che è aperta per tutti, ma proprio per tutti, specialmente ora che sembra vogliano chiudere anche la porta delle frontiere. Schengen docet alla faccia......
sabato 23 gennaio 2016
Non saprei rispondere
Si svegliò, non so quando, una mattina, col peso della storia sulle spalle. E come pesava quella storia sulle sue spalle esili, non avezze a portar simili pesi. Si guardò intorno e tutto sembrava come prima e così seppe che solo lei era diversa, lei che non riusciva più a ignorare l'ingiustizia, che non sopportava più la prevaricazione, che non accettava ormai di essere occhi che guardano soffrire e morire e passare oltre. Guardò dietro di sé e vide tutti gli uomini che avevano dato la loro vita per la libertà, e vide tutti gli uomini ai quali era stata tolta anche la possibilità di una morte dignitosa e vide tutti gli uomini che non sarebbero mai cresciuti. Quanti uomini vide quel giorno, in quel mattino che le mise sulle spalle un fardello tanto pesante. E così capì che alla fine il suo destino le aveva spalancato le porte e dietro quelle porte c'era una strada............portava a Calcutta e lei si chiamava Teresa.
Non chiedetemi perché ho scritto queste parole, e perché le ho scritte proprio stasera, non saprei rispondere!
venerdì 22 gennaio 2016
Ed ora era lì, a sorseggiare un caffè
Era una stanza strana. Lo diceva lei per prima. Ma del resto tutta la casa era strana, ma solo così la sentiva sua. L'aveva detto pochi giorni prima a suo figlio.
"Se non posso avere una casa bella, voglio almeno avere una casa strana" e guardandosi intorno poteva dire tranquillamente di esserci riuscita.
La stanza a cui si riferiva prima era la cucina. Nata come una tranquilla cucina all'americana, una di quelle che si usavano quarant'anni fa, fredda e anonima, dagli oggi, dagli domani, aveva finalmente perso tutta la sua geometrica compostezza per diventare una frivola raccolta di suppellettili di ogni genere. Ma niente era stato lasciato al caso e ogni oggetto aveva la sua storia e un motivo per essere lì. E così sulla lunga fila di pensili si rincorrevano vasi di ceramica e brocche che avevano versato acqua o che erano state in un'altra vita sopra una stufa di terracotta, per rilasciare umidità. E c'erano due grandi piatti, uno dei quali proveniente dal Marocco, ricordava una gita fatta da suo figlio tanti anni prima, l'altra dono di una amica di sua figlia, della migliore amica, e fiaschi di vino impagliati, di quelli toscani veraci. Sul tavolo immediatamente sotto, una macchinetta per l'espresso e tante tazzine scompagnate, ciascuna con il suo vissuto e poi un grande vassoio di legno, scolorito, vecchio e pieno di acciacchi, ma ancora funzionante. E scatole di latta e di legno e thermos, di quelli americani di scintillante rosso. Il forno a microonde e vicino il grande orologio a pendolo, che invece di essere attaccato al muro era stato appoggiato su una base, come un comune elettrodomestico. Non si era offeso l'elegante orologio dentro il suo pregiato mobiletto di mogano e aveva continuato allegramente a battere le ore. E poi cesti di paglia di tutti i colori e un grande quadro a olio con un paesaggio surreale e vicino un altro quadretto con un piccolo gufo, che aveva dipinto sua figlia in uno dei rari momenti di relax. Sull'altra parete, la scrivania di quando era ragazza, Traballava un pò, la scrivania di tek, peraltro uguale identica ai mobili di cucina, ma sopra c'era il barattolo dei pennelli e quello delle spatole che la rendevano bella e interessante e non importava se poco più in là erano appesi ramaioli, mattarelli, forchettoni e taglieri, perché quando lei si sedeva a quella scrivania, il mondo spariva e spariva il tempo e magicamente si ritrovava l'adolescente di allora, di tanto tempo fa, che scriveva il suo diario e faceva finta di studiare.Quasi nascosta, la piccola seggiolina di legno, pieghevole e sopra appoggiata con garbo una borsa di paglia di Firenze con ricami floreali, raccolta su un cumolo di macerie nella vecchia scuola dei suoi figli. Più in là su altre basi era appoggiato un mobiletto colorato con tanti cassettini e una piccola serra di vetro e di legno che invece di accogliere fiori, ospitava sacchetti di farina e il lievito madre. E sul mobiletto, l'ultimo arrivato, nato a natale, un bonsai, accudito come un bambino, che aveva trovato lì la sua nursery e provava a crescere. E un pò più in là, attaccato alla base della piattaia un burattino, Pinocchio, che l'aveva seguita in tutte le vicissitudini della vita...con le sue frasi, e il suo lessico. "O babbo!" C'è forse una parola altrettanto affettuosa per rivolgersi al padre? "Ho conosciuto un'intera famiglia di Pinocchi......" con tutto quel che segue! E poi il frigorifero con le foto attaccate e l'immagine di Bali, l'amico cane della sua vita, mescolate con quelle dei nipotini e dei figli. Poche fotografie, perché lei non amava scorgere il tempo che passava su quei volti. In un angolo, la timida cucina a gas, comprata tanti anni prima dal suo figliolo con uno dei suoi primi stipendi. Piccola, essenziale e coriacea. Doveva trovare il tempo di appenderle una medaglia, per ripagarla del servizio che aveva reso e che continuava a rendere. Le veniva da ridere, mentre il suo sguardo si posava dapprima distratto e poi sempre più partecipe su quel piccolo mondo, perché più che una cucina sembrava un emporio pieno di oggetti, ma quanta vita in quelle cose, quanti ricordi, quanta dolcezza in tutto quello che la circondava. Ed ora era lì, a sorseggiare un caffé, mentre il suo sguardo correva su tutte le cose e si perdeva fino all'ingresso che sembrava essere il proseguimento naturale della cucina diventato improvvisamente una galleria d'arte per tutti i quadri che vi erano attaccati. Solo che erano tutti quadri suoi, momenti della sua vita, episodi non solo dipinti, ma catalogati in un angolo della mente e del cuore. Pensava anche alla poltrona a dondolo, che un giorno era dovuta tornare repentinamente in casa insieme a un armadio e a un cassettone, che dovevano essere portati via dal magazzino in cui erano stati sistemati per tanti anni. L'alternativa era quella di doversene disfare. Ma lei non l'avrebbe mai fatto e alla fine aveva trovato un posto anche per questi amici silenziosi che avevano accompagnato la sua vita e i suoi traslochi. E la poltrona a dondolo era andata a finire in bagno, e con sorpresa si era accorta che ci stava anche bene. Ed ora era giunto il momento di andare a letto, glielo ricordava con i suoi don don, l'orologio che aveva battuto dodici rintoccho, l'ora di spengere la luce sugli oggetti confortanti della sua esistenza. Chissà! Forse anche loro avrebbero dormito, o forse , come nelle favole, si sarebbero animati e avrebbero improvvisato una festa. Chissà!
"Se non posso avere una casa bella, voglio almeno avere una casa strana" e guardandosi intorno poteva dire tranquillamente di esserci riuscita.
La stanza a cui si riferiva prima era la cucina. Nata come una tranquilla cucina all'americana, una di quelle che si usavano quarant'anni fa, fredda e anonima, dagli oggi, dagli domani, aveva finalmente perso tutta la sua geometrica compostezza per diventare una frivola raccolta di suppellettili di ogni genere. Ma niente era stato lasciato al caso e ogni oggetto aveva la sua storia e un motivo per essere lì. E così sulla lunga fila di pensili si rincorrevano vasi di ceramica e brocche che avevano versato acqua o che erano state in un'altra vita sopra una stufa di terracotta, per rilasciare umidità. E c'erano due grandi piatti, uno dei quali proveniente dal Marocco, ricordava una gita fatta da suo figlio tanti anni prima, l'altra dono di una amica di sua figlia, della migliore amica, e fiaschi di vino impagliati, di quelli toscani veraci. Sul tavolo immediatamente sotto, una macchinetta per l'espresso e tante tazzine scompagnate, ciascuna con il suo vissuto e poi un grande vassoio di legno, scolorito, vecchio e pieno di acciacchi, ma ancora funzionante. E scatole di latta e di legno e thermos, di quelli americani di scintillante rosso. Il forno a microonde e vicino il grande orologio a pendolo, che invece di essere attaccato al muro era stato appoggiato su una base, come un comune elettrodomestico. Non si era offeso l'elegante orologio dentro il suo pregiato mobiletto di mogano e aveva continuato allegramente a battere le ore. E poi cesti di paglia di tutti i colori e un grande quadro a olio con un paesaggio surreale e vicino un altro quadretto con un piccolo gufo, che aveva dipinto sua figlia in uno dei rari momenti di relax. Sull'altra parete, la scrivania di quando era ragazza, Traballava un pò, la scrivania di tek, peraltro uguale identica ai mobili di cucina, ma sopra c'era il barattolo dei pennelli e quello delle spatole che la rendevano bella e interessante e non importava se poco più in là erano appesi ramaioli, mattarelli, forchettoni e taglieri, perché quando lei si sedeva a quella scrivania, il mondo spariva e spariva il tempo e magicamente si ritrovava l'adolescente di allora, di tanto tempo fa, che scriveva il suo diario e faceva finta di studiare.Quasi nascosta, la piccola seggiolina di legno, pieghevole e sopra appoggiata con garbo una borsa di paglia di Firenze con ricami floreali, raccolta su un cumolo di macerie nella vecchia scuola dei suoi figli. Più in là su altre basi era appoggiato un mobiletto colorato con tanti cassettini e una piccola serra di vetro e di legno che invece di accogliere fiori, ospitava sacchetti di farina e il lievito madre. E sul mobiletto, l'ultimo arrivato, nato a natale, un bonsai, accudito come un bambino, che aveva trovato lì la sua nursery e provava a crescere. E un pò più in là, attaccato alla base della piattaia un burattino, Pinocchio, che l'aveva seguita in tutte le vicissitudini della vita...con le sue frasi, e il suo lessico. "O babbo!" C'è forse una parola altrettanto affettuosa per rivolgersi al padre? "Ho conosciuto un'intera famiglia di Pinocchi......" con tutto quel che segue! E poi il frigorifero con le foto attaccate e l'immagine di Bali, l'amico cane della sua vita, mescolate con quelle dei nipotini e dei figli. Poche fotografie, perché lei non amava scorgere il tempo che passava su quei volti. In un angolo, la timida cucina a gas, comprata tanti anni prima dal suo figliolo con uno dei suoi primi stipendi. Piccola, essenziale e coriacea. Doveva trovare il tempo di appenderle una medaglia, per ripagarla del servizio che aveva reso e che continuava a rendere. Le veniva da ridere, mentre il suo sguardo si posava dapprima distratto e poi sempre più partecipe su quel piccolo mondo, perché più che una cucina sembrava un emporio pieno di oggetti, ma quanta vita in quelle cose, quanti ricordi, quanta dolcezza in tutto quello che la circondava. Ed ora era lì, a sorseggiare un caffé, mentre il suo sguardo correva su tutte le cose e si perdeva fino all'ingresso che sembrava essere il proseguimento naturale della cucina diventato improvvisamente una galleria d'arte per tutti i quadri che vi erano attaccati. Solo che erano tutti quadri suoi, momenti della sua vita, episodi non solo dipinti, ma catalogati in un angolo della mente e del cuore. Pensava anche alla poltrona a dondolo, che un giorno era dovuta tornare repentinamente in casa insieme a un armadio e a un cassettone, che dovevano essere portati via dal magazzino in cui erano stati sistemati per tanti anni. L'alternativa era quella di doversene disfare. Ma lei non l'avrebbe mai fatto e alla fine aveva trovato un posto anche per questi amici silenziosi che avevano accompagnato la sua vita e i suoi traslochi. E la poltrona a dondolo era andata a finire in bagno, e con sorpresa si era accorta che ci stava anche bene. Ed ora era giunto il momento di andare a letto, glielo ricordava con i suoi don don, l'orologio che aveva battuto dodici rintoccho, l'ora di spengere la luce sugli oggetti confortanti della sua esistenza. Chissà! Forse anche loro avrebbero dormito, o forse , come nelle favole, si sarebbero animati e avrebbero improvvisato una festa. Chissà!
Passeggiate campestri
Ho comiciato a fare gli acquarelli che dovranno andare ad altrettante mamme per la loro festa. E' vero la festa della mamma è a maggio, ma quest'anno ho deciso di iniziare già da ora per prendere le cose con un pò più di calma e anche per godermi i piccoli paesaggi che vado a dipingere. Vi ricordate il film Mary Poppins? Bert disegnava sulla strada paesaggi inglesi e Mary riusciva a farci un salto dentro per ritrovarsi proprio in quelle stupende campagne. Beh! Se è per quello Mary riusciva anche ad andare a prendere il tè su nel soffitto e io quello non lo so proprio fare, però riesco a meraviglia a entrare nelle cose che dipingo e addirittura a sentirne anche i profumi, e se proprio mi impegno riesco ad andare con la testa tra le nuvole anche lì.. Ancora non so quanti ne dovrò fare, ma spero che siano tanti, perché così ogni giorno andrò a fare una passeggiata in un posto diverso, sapendo che solo poche altre persone potrannno andarci...giusto quelle che lo riceveranno in regalo, se avranno una bella dose di fantasia e se ameranno la campagna. Quello che so è che dovrò sempre avere un ombrello con me, perché i cieli che dipingo non sono mai del tutto sereni. C'è sempre qualche nuvola più scura e presaga di pioggia. Tutto non si può avere!
Ps - ho riguardato il post e so già che non sopporterò di vedere quell'immagine in movimento per più di un minuto. Mi mette addosso una strana agitazione e mi fa venire voglia di prendere l'ombrello e spaccarlo in testa a Mary, però l'idea è così carina che ce la lascerò per un pò.
Ps - ho riguardato il post e so già che non sopporterò di vedere quell'immagine in movimento per più di un minuto. Mi mette addosso una strana agitazione e mi fa venire voglia di prendere l'ombrello e spaccarlo in testa a Mary, però l'idea è così carina che ce la lascerò per un pò.
giovedì 21 gennaio 2016
A me mi...
"A me mi" non si dice. Lo so, ma lo dico lo stesso perché rende di più l'idea. "A me mi", ti riempie la bocca mentre dici qualcosa, è un rafforzativo, è un qualcosa che fa capire che la cosa che andrai a dire, per te è proprio importante. E così io dico che a me mi piace scrivere. Ma tanto anche! Però non sono un'ingenua e neanche un'illusa e so benissimo che quello che scrivo lo scrivo per me e basta, anche se poi spudoratamente lo mando a una Casa Editrice. Perché lo faccio? La risposta è così semplice e banale che quasi quasi non sembra neanche una risposta.
Io scrivo perché mi piace raccontarmi e raccontare, perché l'ho fatto fin da quando ero bambina che cambiavo la fine dei riassunti che la maestra mi dava a fare, se questi avevano una fine triste o che non mi piaceva affatto. Ricordo di quando scrissi di un uccellino, che lasciato senza cure da quel bastardo di bambino che doveva accudirlo, morì dentro la gabbietta. Ebbene quando arrivai alla fine proprio non ebbi cuore di far morire quel povero pennuto e così scrissi che il bambino aprì la gabbia e l'uccellino volò felice nel cielo, tra le nuvole. La maestra invece di lodarmi per la sensibilità che dimostravo, ritenne più opportuno scrivere ai miei genitori che la loro figlia aveva davvero troppa fantasia e che forse era il caso di correggermi. Fortuna volle che avessi un babbo che di fantasia ne aveva anche più di me, per cui non ebbi neanche una ramanzina, ma non mi sono mai dimenticata né del brutto voto che presi, nè della voglia che ebbi fin da allora di infilare un dito in un occhio alla maestra , e in seguito a tutte le persone che non mi andavano a genio. Sì, ma perché mi piace raccontarmi? Semplice, perché quando mi racconto, mentre scrivo, dentro la mia testa si forma la mia immagine a colori nelle varie tappe della mia vita, e questa immagine si muove, ride, piange, fa gli sberleffi, si commuove, per cui anche se ora ho la mia veneranda età, in certi momenti sono proprio una quindicenne, o una trentenne, o una bambina piccolissima o, meraviglia delle meraviglie, una persona di novant'anni, età che forse non toccherò mai, ma che ho la facoltà di vivere dentro me stessa. Insomma è come se andassi a teatro dove io recito in prima persona, ma intorno a me ci sono tutte le persone che mi hanno accompagnato nell'arco fatto dai miei anni, nel quale io sono la corda tesa che fa scoccare la freccia. Dove andrà a colpire la freccia domani? E chi lo sa! Ma quello che so è che ovunque andrà lo scriverò.
Per me scrivere vuol dire non ritrovarmi a rispondere come ho sentito dire da una persona tra l'altro molto più giovane di me e molto cara, di stare aspettando che il tempo passi e se ne vada. E che passi col vuoto che scorre davanti agli occhi, che non vogliono vedere più niente! Ieri, qando ho sentito queste parole mi sono sentita scorrere un lungo brivido lungo la schiena e ho desiderato comunicare a chi mi stava difronte con lo sguardo assente, che basta poco per vivere, per riempire una giornata, per sentire che stai ancora bene con te stesso....ma non ci sono riuscita. E per tutto il giorno sono stata a domandarmi in che modo avrei potuto aiutarla e alla fine ho pensato che lo farò con l'unico mezzo che ho. Le scriverò, scriverò a lei e di lei, la farò tornare col pensiero alle cose belle che anche lei ha vissuto, e anche a quelle meno belle, perché no! Non è fatta forse di entrambe le cose la vita? E la costringerò a pensare, ad arrabbiarsi, a ridere, a mandarmi al diavolo se serve, ma lo farò.
E per finire non è lecito porsi la fatidica domanda: " Ma se sai che scrivi abbastanza bene, ma non sei certo all'altezza di essere presa in considerazione da un Editore, perché mandi i tuoi manoscritti?".
Anche qui la risposta è molto semplice e banale: "Ma per sognare no? Che altro?" Io con i soldi che con la fantasia avrò dal mio editore farò un sacco di cose belle. In poche parole li ho già spesi tutti.
Io scrivo perché mi piace raccontarmi e raccontare, perché l'ho fatto fin da quando ero bambina che cambiavo la fine dei riassunti che la maestra mi dava a fare, se questi avevano una fine triste o che non mi piaceva affatto. Ricordo di quando scrissi di un uccellino, che lasciato senza cure da quel bastardo di bambino che doveva accudirlo, morì dentro la gabbietta. Ebbene quando arrivai alla fine proprio non ebbi cuore di far morire quel povero pennuto e così scrissi che il bambino aprì la gabbia e l'uccellino volò felice nel cielo, tra le nuvole. La maestra invece di lodarmi per la sensibilità che dimostravo, ritenne più opportuno scrivere ai miei genitori che la loro figlia aveva davvero troppa fantasia e che forse era il caso di correggermi. Fortuna volle che avessi un babbo che di fantasia ne aveva anche più di me, per cui non ebbi neanche una ramanzina, ma non mi sono mai dimenticata né del brutto voto che presi, nè della voglia che ebbi fin da allora di infilare un dito in un occhio alla maestra , e in seguito a tutte le persone che non mi andavano a genio. Sì, ma perché mi piace raccontarmi? Semplice, perché quando mi racconto, mentre scrivo, dentro la mia testa si forma la mia immagine a colori nelle varie tappe della mia vita, e questa immagine si muove, ride, piange, fa gli sberleffi, si commuove, per cui anche se ora ho la mia veneranda età, in certi momenti sono proprio una quindicenne, o una trentenne, o una bambina piccolissima o, meraviglia delle meraviglie, una persona di novant'anni, età che forse non toccherò mai, ma che ho la facoltà di vivere dentro me stessa. Insomma è come se andassi a teatro dove io recito in prima persona, ma intorno a me ci sono tutte le persone che mi hanno accompagnato nell'arco fatto dai miei anni, nel quale io sono la corda tesa che fa scoccare la freccia. Dove andrà a colpire la freccia domani? E chi lo sa! Ma quello che so è che ovunque andrà lo scriverò.
Per me scrivere vuol dire non ritrovarmi a rispondere come ho sentito dire da una persona tra l'altro molto più giovane di me e molto cara, di stare aspettando che il tempo passi e se ne vada. E che passi col vuoto che scorre davanti agli occhi, che non vogliono vedere più niente! Ieri, qando ho sentito queste parole mi sono sentita scorrere un lungo brivido lungo la schiena e ho desiderato comunicare a chi mi stava difronte con lo sguardo assente, che basta poco per vivere, per riempire una giornata, per sentire che stai ancora bene con te stesso....ma non ci sono riuscita. E per tutto il giorno sono stata a domandarmi in che modo avrei potuto aiutarla e alla fine ho pensato che lo farò con l'unico mezzo che ho. Le scriverò, scriverò a lei e di lei, la farò tornare col pensiero alle cose belle che anche lei ha vissuto, e anche a quelle meno belle, perché no! Non è fatta forse di entrambe le cose la vita? E la costringerò a pensare, ad arrabbiarsi, a ridere, a mandarmi al diavolo se serve, ma lo farò.
E per finire non è lecito porsi la fatidica domanda: " Ma se sai che scrivi abbastanza bene, ma non sei certo all'altezza di essere presa in considerazione da un Editore, perché mandi i tuoi manoscritti?".
Anche qui la risposta è molto semplice e banale: "Ma per sognare no? Che altro?" Io con i soldi che con la fantasia avrò dal mio editore farò un sacco di cose belle. In poche parole li ho già spesi tutti.
martedì 19 gennaio 2016
Felici e contenti
Meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti.
Epicuro
Belle parole vero? E ciascuno direbbe che sono proprio quelle giuste, quelle che ciascuno avrebbe voluto saper dire per primo, quelle che danno il 'la' della vita.
Ma è proprio vero?
Io personalmente, ho trascorso fino a questo momento la mia vita cercando di diventare saggia, cospargendomi il capo di cenere per punire gli sbagli imputabili alla mia dose di stoltezza, perché sono cresciuta nella cultura del peccato, dove era giusto mettersi a bagno nel pentimento, proprio come si fa con le mele quando si caramellano! Senza mai raggiungere la loro brillantezza! Non so la loro bontà, perché non ne ho mai assaggiato una, ma gli occhi me li sono sempre riempiti con la loro sfacciata bellezza.
Ma evidentemente la saggezza non fa parte di me, proprio allo stesso modo in cui non ne fa parte la fortuna. E allora? Per la proprietà transitiva non mi rimarrebbe altro che diventare stolta, per vedere se almeno in questo modo un pò di fortuna viene a bussare alla mia porta. Ma non è mica facile! Abituata ormai a un'impostazione mentale che sicuramente cerco di scrollarmi da dosso, almeno quel tanto che mi permetta di guardare con occhi nuovi, le aperture che oggi vengono ad arricchire la nostra società e il nostro essere uomini, non riesco a godere la vita che qualche volta per essere veramente tale ha bisogno anche di qualche trasgressione che venga a dare una nuova sferzata di energiae di divertimento. Ma che è sto peccato del cavolo? Se non uno di quei mostri sul tipo dell'uomo nero, della marroca, del babau, che una volta venivano tanto in aiuto ai genitori per farsi obbedire dai figlioletti? Che è questo peccato, quando vediamo che il più delle volte rimane impunito e anzi, viene ammirato ed emulato?Magari proprio da chi lo condanna? Rimango sull'esempio della mela. Se ne rubo una con la saggezza di chi ha fame posso andare anche a finire in galera, ma se rubo un miliardo, in galera non ci vado sicuramente, perché prima scappo in un paradiso fiscale dove vivo da stolto tranquillo e felice ....e pure pieno di fortuna.
Dopo ciò non rimane altro che Paperino, che oltre che a essere stolto è anche sfortunato...e non è detto che questo ameno modo di essere sia limitato solo a lui. Già mentre lo scrivo mi scorre un brivido lungo la schiena. Ah! Pensate che mi riferisca a me stessa? Eh no! No davvero. Magari anch'io sono una Paperina, ma in questo caso il mio pensiero esulava dalla mia nobile capoccia, perché ne ha viste davanti a sé almeno una dozzina molto più papabili di lei.
E allora caro Epicuro, non sarebbe stato meglio se tu avessi scritto che è mooolto meglio 'vivere saggi e fortunati'? Perché la fortuna, che ha in sé un pizzico di follia avrebbe compensato molto bene la saggezza e la sua noia e saremmo stati tutti più felici e contenti
domenica 17 gennaio 2016
Il Grande Fornaio
Stamani mi sono alzata presto per fare il pane. Mi è sempre piaciuto il profumo del pane fatto in casa, ma stamani e tutta un'altra cosa, me ne sto accorgendo, perché il semplice impastare evoca gesti e pensieri di sacralità, non cercata, non voluta, ma giunta così, dai recessi dei tempi in cui l'uomo cominciò a impastare quell'elemento vivo che è il lievito madre. L'hanno definito 'eterno' e già quattordici giorni fa, quando ho cominciato a mischiare un cucchiaino di miele con un pò d'acqua e un pò di farina, mi sono resa conto che impastavo la vita.
Ierisera, prima di andare a letto, ho 'rinfrescato ' il mio lievito madre, con acqua e farina e l'ho lasciato a lievitare tutta la notte. Stamani era turgido pieno di fermento, pronto da usare. Ho cominciato il mio lavoro e lì, nel silenzio della casa, che ancora dormiva tutta, mentre lavoravo, pensavo e quella parola 'eterno', che avevo letto mentre cercavo il modo di fare il mio lievito, mi tornava in mente e mi richiamava per causa di forza maggiore alla 'Creazione' e mi sono ritrovata a pensare a Dio che prepara il suo lievito madre, con il quale poi darà vita, sapore, profumo, aggiungendo altri ingredienti, a tutto ciò che vediamo intorno a noi e sopra e sotto di noi. Mi è venuto da sorridere, perché mi sono ritrovata a umanizzare Dio e ho provato a vederlo in veste di fornaio, intento a preparare quel lievito che poi avrebbe dovuto far scoccare la scintilla del 'Fiat Lux'. Un pò di fantasia non guasta alle sei di una domenica mattina! E così, seguendo questo pensiero, mi è venuto naturale pensare che se il lievito madre è denominato 'eterno', è solo perché va curato ogni giorno, seguito, aiutato nella sua crescita. Se si abbandona a se stesso, dopo un breve periodo, il lievito muore. E allora mi sono detta che Dio deve avere un gran daffare per curare, rinfrescare, aiutare ogni giorno il suo lievito a rimanere vivo, se vuole che tutto ciò che ha fatto continui ad esistere e mi sono ritrovata a capire questo Dio sconosciuto che ogni mattina prende il suo lievito, lo guarda, se lo rigira tra le mani e poi aggiunge acqua e un pò di farina per dargli nuova forza, prima di rimetterlo nel suo posto dove resterà per tutto un giorno. E ho provato tenerezza per questo Dio, perché queste cose si possono fare solo con la curiosità del ricercatore che vuole capire e l'amore del padre che vuole sfamare i suoi figli. Perché sono queste le sensazioni che ho provato e sto provando io, mentre continuo nella lunga opera di fare un buon pane. Chissà se i fornai, quando vanno alle quattro di notte nel loro laboratorio per cominciare il rituale della panificazione, fanno le stesse riflessioni che sto facendo io? Non so ancora se il mio pane verrà buono, e sono sicura per esperienza che è molto più semplice farlo con un cubetto di lievito di birra, ma so anche che in un angolino vicino alla farina, è rimasta una parte di lievito madre che aspetta cure e attenzioni da me, proprio nella stessa maniera in cui noi le aspettiamo da Dio.
Ierisera, prima di andare a letto, ho 'rinfrescato ' il mio lievito madre, con acqua e farina e l'ho lasciato a lievitare tutta la notte. Stamani era turgido pieno di fermento, pronto da usare. Ho cominciato il mio lavoro e lì, nel silenzio della casa, che ancora dormiva tutta, mentre lavoravo, pensavo e quella parola 'eterno', che avevo letto mentre cercavo il modo di fare il mio lievito, mi tornava in mente e mi richiamava per causa di forza maggiore alla 'Creazione' e mi sono ritrovata a pensare a Dio che prepara il suo lievito madre, con il quale poi darà vita, sapore, profumo, aggiungendo altri ingredienti, a tutto ciò che vediamo intorno a noi e sopra e sotto di noi. Mi è venuto da sorridere, perché mi sono ritrovata a umanizzare Dio e ho provato a vederlo in veste di fornaio, intento a preparare quel lievito che poi avrebbe dovuto far scoccare la scintilla del 'Fiat Lux'. Un pò di fantasia non guasta alle sei di una domenica mattina! E così, seguendo questo pensiero, mi è venuto naturale pensare che se il lievito madre è denominato 'eterno', è solo perché va curato ogni giorno, seguito, aiutato nella sua crescita. Se si abbandona a se stesso, dopo un breve periodo, il lievito muore. E allora mi sono detta che Dio deve avere un gran daffare per curare, rinfrescare, aiutare ogni giorno il suo lievito a rimanere vivo, se vuole che tutto ciò che ha fatto continui ad esistere e mi sono ritrovata a capire questo Dio sconosciuto che ogni mattina prende il suo lievito, lo guarda, se lo rigira tra le mani e poi aggiunge acqua e un pò di farina per dargli nuova forza, prima di rimetterlo nel suo posto dove resterà per tutto un giorno. E ho provato tenerezza per questo Dio, perché queste cose si possono fare solo con la curiosità del ricercatore che vuole capire e l'amore del padre che vuole sfamare i suoi figli. Perché sono queste le sensazioni che ho provato e sto provando io, mentre continuo nella lunga opera di fare un buon pane. Chissà se i fornai, quando vanno alle quattro di notte nel loro laboratorio per cominciare il rituale della panificazione, fanno le stesse riflessioni che sto facendo io? Non so ancora se il mio pane verrà buono, e sono sicura per esperienza che è molto più semplice farlo con un cubetto di lievito di birra, ma so anche che in un angolino vicino alla farina, è rimasta una parte di lievito madre che aspetta cure e attenzioni da me, proprio nella stessa maniera in cui noi le aspettiamo da Dio.
lunedì 11 gennaio 2016
Una siepe di ghiande
Oltre la siepe non c'è solo il buio, c'è anche il mondo.
Jack ha sempre pensato che non valesse la pena di andare oltre la siepe. Il suo mondo siamo stati noi, e non ha domandato mai nient'altro. Se non forse tre o quattro ghiande che si è sempre divertito a rincorrere per tutta la casa, e che sono state la sua siepe. Non so se la sua filosofia di vita sia stata giusta o sbagliata, ma è stata la sua e noi l'abbiamo rispettata.Questo è l'importante.
Jack ha sempre pensato che non valesse la pena di andare oltre la siepe. Il suo mondo siamo stati noi, e non ha domandato mai nient'altro. Se non forse tre o quattro ghiande che si è sempre divertito a rincorrere per tutta la casa, e che sono state la sua siepe. Non so se la sua filosofia di vita sia stata giusta o sbagliata, ma è stata la sua e noi l'abbiamo rispettata.Questo è l'importante.
Seconda stella a destra
Sapevo che sarebbe venuto il momento di fare il bilancio dell'anno appena trascorso, ma sinceramente speravo che ciò sarebbe avvenuto un pò più in là, magari non quando il sonno ormai incombe da padrone sulla giornata appena trascorsa, magari...............Macché! Inutile trovare delle scuse per non voler fare mente locale su un anno che decisamente non è stato bello, anche se a cercare bene ha avuto i suoi momenti carini, alcuni addirittura magici. Ma nell'insieme è un anno da dimenticare! O forse, col senno di poi, da ricordare per farne tesoro.
Una vita nuova dunque, anche se la vita nuova non sempre ha solo risvolti positivi. Una vita nuova che è nata da un intenso anno di introspezione, di riflessione, un anno in cui mi sono leccata le ferite che avevano bisogno di guarire. Tanto c'è voluto per tornare alla normalità e impostare le mie giornate in una maniera che ora finalmente mi è diventata naturale. Non auguro a nessuno di passare periodi come quello che ho passato io, ma se ciò dovesse accadere perché le vicissitudini della vita sono tante, l'augurio che faccio è quello di trovare sempre dentro di sé la forza per ricominciare....e non importa se si ricomincia da soli, di avere sempre la forza di essere ancora se stessi e di non cedere a quello stato d'animo così invitante che è l'autocompassione. La vita è fatta per essere vissuta fino in fondo, per risalire a cavallo del proprio Ronzinante e andare a spada tratta contro i mulini a vento. E se qualcuno mi dice che allora vita è utopia, io rispondo che può anche essere, ma io continuerò ugualmente a cercare, anche da sola, l'isola che non c'è.
giovedì 7 gennaio 2016
L'anno bisestile
Ma chi crede ancora che l'anno bisestile sia un anno funesto? Accidenti alla superstizione! Che giorno è oggi? Mi pare il sette gennaio. Ebbene dal primo di gennaio ad oggi mi si è rotto nell'ordine: il computer, la televisione, il forno della stufa e un gatto. Può bastare? Spero di sì, se non altro pensando che ci sono ancora trecentocinquantanove giorni, prima di rientrare in un anno normale e tirare un sospiro di sollievo. Eppure, nonostante tutte queste strane aversità, a me l'anno bisestile piace e in particolar modo mi piace il ventinove di febbraio, che una volta ho chiamato "Il giorno che non c'è".
Mi sembra che si incastri benissimo nella mia ricerca del significato del Tempo, in quanto non ci accorgiamo neppure di questo giorno in più e lo viviamo esattamente come tutti gli altri giorni, non pensando mai che per altri tre anni poi non avremo più il piacere di imbatterci in lui. Che fascino ha il ventinove di febbrario e come invidio chi nasce in quel giorno! Secondo me chi nasce nel giorno che non c'è, entra nel nostro mondo e nella nostra vita attraverso una porta temporale che si apre solo per un giorno, per poi richiudersi per altri tre anni. E' un neonato diverso, un neonato che non appartiene al nostro tempo e che pure sarà costretto a crescere e vivere con i nostri ritmi, tornando al suo Tempo solo una volta ogni quattro anni. Ma a lui sarà dato conoscere cose, in quel breve giorno, che noi ignoreremo sempre. Naturalmente questo lo penso quando lascio le briglie della mia fantasia e questa galoppa verso mondi sconosciuti, perché invece il poverino si ritroverà a non godere di alcun privilegio e dovrà pagare le tasse proprio come noi, subire suprusi proprio come noi, sognare mondi migliori proprio come noi.
Nel frattempo io, anche se non cerdo che l'anno bisestile porti sfortuna, visto come stanno andando le cose, incrocio le dita e mi peparo a togliermi il malocchio ....sapete, con la scodella dell'acqua e le gocce d'olio, che pare sia un sistema infallibile, così almeno diceva il mio nonno, quando toglieva la sfortuna al suo cane e al suo fucile da caccia, usando proprio questo sistema. Hai visto mai! E comunque per quelli che proprio ci credono, c'è una notizia confortante. Il 2016 è stato chiamato anche l'anno dei ponti, proprio perché si creeranno strane combinazioni festive che permetteranno di fare ponti luuuuuuuuuuunghissimiiiiiiiiiii!
Mi sembra che si incastri benissimo nella mia ricerca del significato del Tempo, in quanto non ci accorgiamo neppure di questo giorno in più e lo viviamo esattamente come tutti gli altri giorni, non pensando mai che per altri tre anni poi non avremo più il piacere di imbatterci in lui. Che fascino ha il ventinove di febbrario e come invidio chi nasce in quel giorno! Secondo me chi nasce nel giorno che non c'è, entra nel nostro mondo e nella nostra vita attraverso una porta temporale che si apre solo per un giorno, per poi richiudersi per altri tre anni. E' un neonato diverso, un neonato che non appartiene al nostro tempo e che pure sarà costretto a crescere e vivere con i nostri ritmi, tornando al suo Tempo solo una volta ogni quattro anni. Ma a lui sarà dato conoscere cose, in quel breve giorno, che noi ignoreremo sempre. Naturalmente questo lo penso quando lascio le briglie della mia fantasia e questa galoppa verso mondi sconosciuti, perché invece il poverino si ritroverà a non godere di alcun privilegio e dovrà pagare le tasse proprio come noi, subire suprusi proprio come noi, sognare mondi migliori proprio come noi.
Nel frattempo io, anche se non cerdo che l'anno bisestile porti sfortuna, visto come stanno andando le cose, incrocio le dita e mi peparo a togliermi il malocchio ....sapete, con la scodella dell'acqua e le gocce d'olio, che pare sia un sistema infallibile, così almeno diceva il mio nonno, quando toglieva la sfortuna al suo cane e al suo fucile da caccia, usando proprio questo sistema. Hai visto mai! E comunque per quelli che proprio ci credono, c'è una notizia confortante. Il 2016 è stato chiamato anche l'anno dei ponti, proprio perché si creeranno strane combinazioni festive che permetteranno di fare ponti luuuuuuuuuuunghissimiiiiiiiiiii!
venerdì 1 gennaio 2016
Il primo minuto dell'anno che verrà
Manca poco a mezzanotte e l'anno vecchio sta per finire. E' una strana fine dell'anno questa per me e la sto passando in perfetta solitudine, come non ricordo di averla mai passata. Eppure non mi dispiace quest'aria diversa che respiro stasera. E' un'aria che mi avvolge in strane spirali di ricordi, di sorrisi passati, di risate dimenticate, di gioia con quella piccola punta di tristezza...chissà perché! E improvvisamente so di stare bene con me stessa e anche con la mia vita piena di incognite, di dispiaceri mai totalmente sopiti, di speranze sempre, continuamente, caparbiamente alimentate dal mio indomabile bisogno di sentire dentro di me che la parte migliore della mia vita deve ancora arrivare. Sto bene con la persona che sono oggi.... ed ecco, la mezzanotte è scoccata tra mortaretti e tappi di spumante, la gente ride, si diverte, balla, canta ed io mi chiedo perché in questa mezzanotte si deve essere per forza allegri e contenti, anche quando non ne abbiamo voglia. Io sto così bene con la mia soffice malinconia che mi fa pensare in questo primo minuto dell'anno che è appena cominciato, a che sarà della mia vita, del mio andare, del mio interagie con gli altri. Che ne so? In questo primo minuto posso solo sperare, augurarmi che il mio tempo sia buono e senza grandi scossoni, ma che ne so io in questo primo gennaio 2016, che è appena nato e comincia a lanciare i suoi vagiti nel mondo, che ne so io, che sarà di me? In questo primo minuto ho brindato alla vita con succo di mandarino. Ho alzato il bicchiere e davanti ai miei occhi sono scorse le immagini di tutte le persone alle quali voglio bene, ho persino sorriso a quelle immagini dentro i miei occhi, alla vita che hanno portato con sé, colma della mia vita e ho detto a bassa voce: "Alla vostra ragazzi!"
E' uno strano inizio questo per cominciare il viaggio di un altro anno, ma se è vero che devo fare altre mille miglia, sarà bene che cominci a fare il primo passo che mi porterà dritta dritta a letto, dove, tra le braccia di Morfeo, potrò sognare indisturbata il nuovo anno che è appena venuto.
E' uno strano inizio questo per cominciare il viaggio di un altro anno, ma se è vero che devo fare altre mille miglia, sarà bene che cominci a fare il primo passo che mi porterà dritta dritta a letto, dove, tra le braccia di Morfeo, potrò sognare indisturbata il nuovo anno che è appena venuto.
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