mercoledì 28 gennaio 2015

Per non dimenticare

Ricordare per tramandare e fare in modo che la realtà non sia distorta come si sta già cercando di fare da molto tempo. Ricordare e testimoniare perché è un diritto e un dovere di ogni uomo, ricordare e testimoniare non solo per l'olocausto degli Ebrei, ma per quello di ogni popolo, perché la Storia per chiamarsi tale ha bisogno della Verità e non delle ideologie che nascono, tramontano, muoiono, vengono sostituite da un 'credo' sempre diverso. L'Uomo rimane nella Storia e deve portare con sé il proprio passato, perché non ci può essere Futuro se si rinnega ciò che è stato vissuto, ed è per questo che anche chi non c'era allora ha il dovere di tramandare ciò che ha imparato dagli altri, specialmente se gli altri sono i propri genitori e se questi genitori hanno fatto se pure inconsapevolmente la Storia.



Qualcuno è cresciuto con le favole, io sono cresciuta con la favola della seconda guerra mondiale e con le vicissitudini della prigionia del mio babbo in un campo di concentramento in Germania.
Io pendevo dalle sue labbra e ascoltavo gli episodi che mi raccontava e che a me, bambina, lontana da pochi anni dalle vicende di una guerra che non avevo visto, sembravano cose incredibili. Mi parlava degli stenti, del freddo, degli amici morti, delle baracche, della fame e della dissenteria, del lavoro massacrante nelle ferrovie, del pane che via via, qualche civile tedesco impietosito dalle loro condizioni fisiche, cercava di passare sottobanco e correndo anche gravi pericoli. Mi parlava del terribile lavoro alle latrine che erano l'anticamera della morte, perché qualcuno che non reggeva al fetore e sveniva o si rifiutava di continuare, correva il rischio di essere fucilato. Mi parlava della fuga e della nuova cattura di alcuni suoi compagni di baracca, che uccisi davanti ai loro occhi, caddero nel fango, davanti a loro, impotenti a fare qualsiasi cosa, se non piangere dentro se stessi, mi parlava del suo trasferimento a Dachau, dove, non sa per quale strana sorte, fu tenuto solo per pochi mesi, mi parlava infine della liberazione dopo tre anni di stenti in cui lo stare male era diventato un'abitudine di vita e dove la sopravvivenza aveva preso il posto della vita stessa.
Me ne parlava tranquillamente, senza odio, senza senso di rivalsa, ma voleva che sapessi e che non dimenticassi.
E io non solo non ho dimenticato, ma ho tramandato ai miei figli ciò che mio padre mi ha detto nei tanti anni in cui arricchendola sempre di nuovi particolari, mi ha passato la sua storia. 
Ho ancora il libretto di prigionia, una sorta di carta di identità dalla copertina rosa, sulla quale campeggia la svastica. Per me, questo piccolo libretto è una reliquia che conservo gelosamente, un tesoro da consegnare ai miei figli, una memoria che non deve morire.
Oggi in uno dei tanti programmi della televisione, ho sentito parlare un sopravvissuto italiano, prigioniero a Dachau e nelle sue parole pacate e a tratti ancora piene di commozione, ho ritrovato le stesse parole che il mio babbo diceva a me e mi sono commossa con lui.

Mio padre non era ebreo, ma era un uomo, un uomo che è riuscito a tornare.... un uomo fra i tanti che non sono tornati più. Mio padre ha avuto un futuro, ma quanti di quelli che erano con lui non l'hanno avuto?

Fino a quando ci saranno persone delle quali altre persone potranno dire "se questo è un uomo!"..... non ci sarà futuro.

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