Stasera, come ormai da un pò di tempo a questa parte in televisione c'è stata la pubblicità per la prossima proiezione del film sulla vita di Bocelli. Il suo titolo è "La musica del silenzio". Io non so ancora se mi piacerà il film, che sarà trsmesso lunedì prossimo, ma so che mi piace il titolo e stasera l'ho detto proprio a voce alta: "Non so come sarà il film, ma il titolo mi piace tantissimo. Poche parole che fanno pensare, inducono alla riflessione". E sono venuta a riflettere sulla tastiera del computer. O meglio a ribadire una volta di più quello che ho sempre sentito dentro di me. Ormai non è una novità che a me piace dipingere. Probabilmente le mie sono autentiche croste, ma non è quello che importa. Ciò che invece conta è che io in quelle croste, ci metto l'anima, ci entro dentro, e mentre la spatola va su e già per la tela, trascinando con sé e spalmando emozioni di colore, io mi estraneo dalla realtà, mentre il mondo circostante, dapprima diventa brusio e poi totale silenzio. E in quel silenzio nel quale sono entrata, in quel grande silenzio, alla fine comincia la musica....una musica strana, diversa da quelle che ascolto abitualmente, qualcosa che travalica i confini del mio piccolo mondo e mi fa salire a vette mai viste, dove ci sno colori che girano in un carosello senza sosta. Solo allora, solo quando questo mi succede, e ormai è un gran bel pò di tempo che non mi capita più, io capisco di aver fatto qualcosa che mi rappresenta. Che poi piaccia o no, questo per me non ha nessuna importanza, ma ha importanza ciò che io ho sentito nel grande silenzio nel quale per breve tempo è stata la mia nuova dimensione. Detto così, può sembrare che io mi sia fatta una canna, ma io non so neanche che forma hanno queste canne, perché non ho mai provato il desiderio di fare la loro esperienza.....a me viene così, naturalmente di sentire la musica del silenzio, con tutte le sfumature che vanno sull'onda dei miei stati d'animo. Alcune volte la musica è dolce o malinconica, altre volte briosa, ma più spesso è intensa, forte, incalzante, un'aiuto alla mia spatola che corre veloce seguendo un disegno mai fatto, che nasce in quel momento. E' così che è nato un paesaggio nuvoloso, da una musica triste ed aggressiva, che in quel momento si liberava dentro di me e usciva dalla mia mano. Non ho mai dato a nessuno quel quadro, che forse al momento è quello che mi rappresenta di più. Il silenzio molte volte parla molto di più di tante parole, attraverso una musica che gli altri non possono sentire, ma, se sono dotati di sensibilità, possono leggere anche sui colori di una tela.
Va da sé che non vedo l'ora di vedere il film autobiografico di Bocelli, per capire se la mia 'musica del silenzio' è un pò anche la sua.
venerdì 29 settembre 2017
martedì 26 settembre 2017
Il montgomery
Avevo sei anni, quando la mia mamma mi cucì il 'montgomery'. Ricordo ancora la stoffa bellissima e caldissima. Mi dissero che era stoffa di cammello e mi dovetti contentare di quella spiegazione. Ricordo anche le prove interminabili di quel cappotto fatto a crescenza, perché doveva durarmi almeno due o tre anni....e io crescevo e cambiavo. Allora c'era la filosofia che nel tanto ci sta il poco, per cui anche se sparivo dentro quello che doveva diventare il mio nuovo cappotto, nessuno ci faceva caso....purché tornasse bene, cioè piombasse bello dritto. E invece quel cappotto non ne voleva sapere, ragion per cui una sera, dopo aver imbastito e riscucito non so quante volte, la mia mamma fu presa da quello che comunemente si chiama uno scatto di rabbia e si sfogò sulla bella stoffa del mio cappotto ancora da finire e lo fece con tanta forza, che con orrore si vide formarsi un grandissimo sette. La rabbia sparì d'incanto e tutti restammo a guardare l'incredibile risultato di una prova sbagliata. Passati i primi dieci minuti di attonito stupore, mia madre si fece coraggio e mi disse: "Non ti preoccupare, ci farò un rammendo e sopra ci metteremo una bella tasca". Io non dissi niente, del resto che cosa avrei potuto dire? I bambini allora non avevano voce in capitolo come oggi, o se l'avevano la facevano uscire solo attraverso segnali subliminali, che non sempre venivano compresi. A lavoro ultimato il cappotto risultò essere bello, anche se le tasche erano un tantino più basse di come avrebbero dovuto essere, ma di necessità era stata fatta virtù....e amen!
Ma quando lo rinnovai, non mi sentii per niente a mio agio, e cominciai subito a lanciare i miei messaggi silenziosi. Perché io sapevo che c'era un vistoso rammendo, che, anche se fatto con arte, non sarebbe mai scomparso, e che improvvisamente aveva trasformato un cappotto da rinnovare in uno vecchio e malandato, allo stesso modo in cui avvertivo inequivocabilmente che per me , mettere le mani in tasca non era un movimento logico e naturale, ma un movimento studiato verso il basso, che mi teneva in una posizione innaturale. Cominciai a trovare pretesti per non metterlo più. Preferivo andare in giro col mio vecchio.cappottino, ormai sfuggito, pur di non indossare quello che oltre a farmi sentire a disagio, mi ricordava ogni volta lo stridio della stoffa che si strappava. Mia madre, che è sempre stata una donna intelligente, capi. Un giorno al mio ritorno da scuola, trovai il mio cappotto completamente scucito e ridotto nuovamente in pezzi di stoffa. Sopra c'era un modello di carta e mia madre, raggiante mi disse: "Ho fatto un modello nuovo, così lo strappo verrà tolto definitivamente e le tasche torneranno nel posto giusto. Sarà un pò più corto, ma avrà anche un colletto del tutto diverso. Sono sicura che ti piacerà molto" E così fu. Sparita la causa del mio disagio, indossai il nuovo cappotto, completamente diverso dal primo,e lo portai per tre anni, sentendomi per la prima volta scaldata da quella stoffa meravigliosa, che aveva rischiato di rendere infelice una bambina, ma che improvvisamente la ripagava di tutto.
Perché ho scritto questo ricordo? Perché a me è servito per spiegare che molte volte, prima di disfarsi di qualcosa, è giusto cercare delle soluzioni diverse. Nel caso del mio cappotto, si partiva da una stoffa calda, buona, bella , perché deve essere tagliata, cucita e abbellita per diventare qualcosa di utile e duraturo. Perché buttare via una stoffa che poteva servire in maniera egregia per tanti anni ancora? Stessa cosa nella vita. Perché buttare le cose belle che ci ha dato, senza prima domandarsi se ci sono possibilità per continuare ad averle? Poi c'erano i rammendi e le toppe, che mi servono per dire che "Indietro non si torna". E' inutile rattoppare qualcosa che si è rotto. Questo anche nella vita. Chi si contenta di ciò, deve fare i conti con se stesso e sapere che ogni giorno, la sua mano o il suo pensiero passerà su quei rammendi e su quelle toppe e il ricordo di ciò che li ha provocati, sarà sempre un disagio destinato a non scomparire. Poi ci sono i pezzi della stoffa, che sono sempre quelli, così come è sempre quella la vita che abbiamo da vivere. E allora è bene fermarsi davanti a quei pezzi e studiare il nuovo modello che vogliamo avere. E infine c'è il cappotto nuovo, diverso dal primo, cucito su un modello che dia la giusta soddisfazione a chi dovrà indossarlo, senza farlo andare indietro nei ricordi. Perché se è vero che indietro non si torna, è altrettanto vero che "Si deve comunque andare sempre avanti" e questo bisogna cercare di farlo nella maniera migliore per noi e per gli altri.
Ma quando lo rinnovai, non mi sentii per niente a mio agio, e cominciai subito a lanciare i miei messaggi silenziosi. Perché io sapevo che c'era un vistoso rammendo, che, anche se fatto con arte, non sarebbe mai scomparso, e che improvvisamente aveva trasformato un cappotto da rinnovare in uno vecchio e malandato, allo stesso modo in cui avvertivo inequivocabilmente che per me , mettere le mani in tasca non era un movimento logico e naturale, ma un movimento studiato verso il basso, che mi teneva in una posizione innaturale. Cominciai a trovare pretesti per non metterlo più. Preferivo andare in giro col mio vecchio.cappottino, ormai sfuggito, pur di non indossare quello che oltre a farmi sentire a disagio, mi ricordava ogni volta lo stridio della stoffa che si strappava. Mia madre, che è sempre stata una donna intelligente, capi. Un giorno al mio ritorno da scuola, trovai il mio cappotto completamente scucito e ridotto nuovamente in pezzi di stoffa. Sopra c'era un modello di carta e mia madre, raggiante mi disse: "Ho fatto un modello nuovo, così lo strappo verrà tolto definitivamente e le tasche torneranno nel posto giusto. Sarà un pò più corto, ma avrà anche un colletto del tutto diverso. Sono sicura che ti piacerà molto" E così fu. Sparita la causa del mio disagio, indossai il nuovo cappotto, completamente diverso dal primo,e lo portai per tre anni, sentendomi per la prima volta scaldata da quella stoffa meravigliosa, che aveva rischiato di rendere infelice una bambina, ma che improvvisamente la ripagava di tutto.
Perché ho scritto questo ricordo? Perché a me è servito per spiegare che molte volte, prima di disfarsi di qualcosa, è giusto cercare delle soluzioni diverse. Nel caso del mio cappotto, si partiva da una stoffa calda, buona, bella , perché deve essere tagliata, cucita e abbellita per diventare qualcosa di utile e duraturo. Perché buttare via una stoffa che poteva servire in maniera egregia per tanti anni ancora? Stessa cosa nella vita. Perché buttare le cose belle che ci ha dato, senza prima domandarsi se ci sono possibilità per continuare ad averle? Poi c'erano i rammendi e le toppe, che mi servono per dire che "Indietro non si torna". E' inutile rattoppare qualcosa che si è rotto. Questo anche nella vita. Chi si contenta di ciò, deve fare i conti con se stesso e sapere che ogni giorno, la sua mano o il suo pensiero passerà su quei rammendi e su quelle toppe e il ricordo di ciò che li ha provocati, sarà sempre un disagio destinato a non scomparire. Poi ci sono i pezzi della stoffa, che sono sempre quelli, così come è sempre quella la vita che abbiamo da vivere. E allora è bene fermarsi davanti a quei pezzi e studiare il nuovo modello che vogliamo avere. E infine c'è il cappotto nuovo, diverso dal primo, cucito su un modello che dia la giusta soddisfazione a chi dovrà indossarlo, senza farlo andare indietro nei ricordi. Perché se è vero che indietro non si torna, è altrettanto vero che "Si deve comunque andare sempre avanti" e questo bisogna cercare di farlo nella maniera migliore per noi e per gli altri.
sabato 16 settembre 2017
Com'era bello
Com'era bello, quando dovevo nascondere il barattolo della Nutella, dalle mani rapaci dei miei figlioli e dalle loro ingorde bocche di bambini. Com'era bello quando una torta finiva ancor prima di averla portata in tavola. Com'era bello aprire una vaschetta di gelato e mettersi intorno a lei armati di cucchiai. Com'era bello preparare la torta di castagne e ritrovare in fondo alla zuppiera, dopo aver versato l'impasto nella teglia, tre cucchiai, serviti ai miei rampolli per 'aiutare' e assaggiare. Com'era bello chiudere i cappelletti e ogni tanto mangiarne uno crudo e rubare la marmellata di susine, e tuffarsi nel mascarpone con le fragole e rimpinzarsi della torta di riso....com'era bello, ma quanto, quanto , quanto bello!!! E la cosa più bella era che queste cose si associavano meravigliosamente a occhi luminosi, bocche ridenti da clown,bistrate da baffi di cioccolata e di panna montata e a vestiti sporchi di giochi e di merende rubate furtivamente, che lasciavano sulle magliette la prova del misfatto. Troppo bello! Persino per essere vero. Eppure è stato vero, anche se sembra che sia passato un secolo per come è cambiato il modo di pensare e di fare. Allora non si parlava di carboidrati e di grassi saturi, allora un panino col prosciutto era semplicemente un panino col prosciutto e una bella fetta di pane spalmata di nutella o di marmellata, ma anche di burro e zucchero, perché no, era solo un momento di gioia da condividere tra grandi e piccini, e facile da smaltire nei giochi di strada, tanto di moda allora e altrettanto disattesi oggi, aspettando una cena che il più delle volte consisteva in una tazza di caffellatte col pane abbrustolito, o con il ciambellone che come lo faceva la nonna non l'ha più fatto nessuno. Oggi siamo tutti grandi e gli occhi sono meno luminosi, ma in compenso le bocche sono più pulite e non si fa più merenda, perché oggi si mangia uno snack o uno yogurt e là! Il gioco è fatto. Nostalgia? No! Direi proprio di no...semplice constatazione e me lo dico mentre tuffo il cucchiaino nel barattolo della nutella e poi me lo porto alla bocca con gli occhi chiusi, cercando di ritrovare i sapori, le sensazioni, le parole di allora, senza più riuscirci, e più che altro constatando che alla fine la più piccola di tutti sono rimasta io, perché non è che non mi piace lo yogurt, diciamo che lo tollero, ma certo non mi da la soddisfazione di una bella fetta di pane con sopra quello che vi pare, tanto mi piace tutto e poi vado a fare una bella passegiata. Ricominciare a muoversi, ma non per fare jogging, ma semplicemente per andare a piedi a fare la spesa, o alla Posta a pagare le bollette, o a comprarsi un paio di scarpe, muoversi e parlare con la gente, scambiare pensieri, non chiudersi in se stessi, e mangiare con appetito ciò che ci va, per ritrovare il sorriso e la luce degli occhi, per non essere più tetri, tristi, e sorridere al pensiero che domani è domenica e sarebbe bello acendere il fuoco e cuocere sulla brace costolette e rigatino e intanto, mentre il fumo profumato si spande nell'aria, parlare e ridere con chi abbiamo accanto in quel momento, in attesa di condividere qualcosa che per un attimo ci faccia dimenticare le analisi, le intolleranze alimentari, il colesterolo, la glicemia e la pressione alta e più che altro la cippalippa che abbiamo nel capo. Per ritrovare quei bambini che avevano una mamma scriteriata che dava loro pane e nutella e gelato a gogò, e poi tutti a giocare finché non cala il sole. Se era vero allora, perché non può più essere vero oggi?
mercoledì 13 settembre 2017
AT
Tra poco andrò a prenotare "ORIGIN", l'ultimo lavoro di Dan Brown.
Sono un'accanita lettrice di tutto ciò che ha scritto, senza dietrologie, senza pensare se le fonti da cui ha attinto sono vere oppure no. A me piace come scrive.Punto E mi piace la sua capacità di tenere costantemente sveglia l'attenzione sulla trama, che si snoda affascinante e mai ripetitiva, dei suoi racconti. Punto. So già che l'inizio di questo nuovo romanzo si svolge in un museo di arte moderna in Spagna, e ciò mi è bastato per fare andare a mille la mia fantasia, perché anch'io ho scritto un breve racconto che ha il suo inizio in un museo di arte moderna degli Stati Uniti.
Per carità, non voglio fare paragoni, no davvero. Il suo, sarà come sempre un romanzo entusiasmante, il mio, tutt'al più un racconto che una nonna come me può fare ai suoi nipoti.....ma non è questo che conta. Quello che conta è l'idea, l'immaginazione, il quid che fa lasciare la realtà per avventurarsi negli spazi inesplorati dell'imposibile, o meglio ciò che i più ritengono impossibile, dove tutto, ma proprio tutto può accadere. Per questo mi piace tanto Dan Brown, perché, riscopro in ciò che scrive, quello che vorrei, senza averne le capacità, scrivere io.
Sono un'accanita lettrice di tutto ciò che ha scritto, senza dietrologie, senza pensare se le fonti da cui ha attinto sono vere oppure no. A me piace come scrive.Punto E mi piace la sua capacità di tenere costantemente sveglia l'attenzione sulla trama, che si snoda affascinante e mai ripetitiva, dei suoi racconti. Punto. So già che l'inizio di questo nuovo romanzo si svolge in un museo di arte moderna in Spagna, e ciò mi è bastato per fare andare a mille la mia fantasia, perché anch'io ho scritto un breve racconto che ha il suo inizio in un museo di arte moderna degli Stati Uniti.
Per carità, non voglio fare paragoni, no davvero. Il suo, sarà come sempre un romanzo entusiasmante, il mio, tutt'al più un racconto che una nonna come me può fare ai suoi nipoti.....ma non è questo che conta. Quello che conta è l'idea, l'immaginazione, il quid che fa lasciare la realtà per avventurarsi negli spazi inesplorati dell'imposibile, o meglio ciò che i più ritengono impossibile, dove tutto, ma proprio tutto può accadere. Per questo mi piace tanto Dan Brown, perché, riscopro in ciò che scrive, quello che vorrei, senza averne le capacità, scrivere io.
“Ricordartelo non fa mai male….sei
sempre così distratto!” ho ribattuto piano piano con un sorrisino,
alzando le spalle. Sol non ha potuto fare a meno di sorridermi a sua
volta e non ci siamo rivolti la parola fino a quando non è finito il
nostro giro .A quel punto il Prof. Martini ci ha chiamato a raccolta
intorno a sé e con voce ferma ci ha detto:
”Bene ragazzi! Ora
possiamo dividerci e ciascuno di voi può andare a vedere quello che
più gli interessa. Vi conviene farlo nel migliore dei modi, perché
al nostro rientro dovrete fare una relazione sulla giornata e su
tutto quello che avete visto fino ad ora e quello che vedrete
ciascuno per conto vostro. L’appuntamento è in questo posto
….diciamo fra sei ore a partire da questo momento! Domande da
fare?”
Il seguito di questo racconto è pubblicato interamente su questo Blog. Basta andare a 'I racconti di Fuf', dove i miei racconti sono pubblicati uno dietro all'altro, data la mia scarsa capacità di usare il mio amico Blog, e in cinque minuti uno se la cava. Che dire di più? Che volevo un attimo di autocelebrazione? Ahahahah!!! Ebbene sì! Che c'è di male? Non ho mica ammazzato nessuno!
lunedì 11 settembre 2017
Bomboloni Superstar
Stamani ho guardato un programma dove si parlava di astronomia, mentre facevo colazione con una tazzina di caffé e due piccoli bomboloni preparati da me con l'aiuto di mia figlia, E così, tra un morso al bombolone e un sorso di caffè, ho ascoltato 'la teoria delle stringhe', che tra l'altro mi sta piacendo sempre di più, e mi sta intrigando in maniera incredibile....e sennò che stringhe sarebbero?Un povero mortale come me, che non ha competenze astronomiche, se vuole riuscire a capire qualcosa su questi argomenti,deve per forza usare l'immaginazione e, attraverso questa fare osservazioni fantastiche andando in qua e in là nell'iperspazio, dove i più potenti telescopi di questo mondo non se lo sognano nemmeno di arrivare. Cosa che io ho fatto anche stavolta, con mia somma soddisfazione.
E forse sarà per caso, o per intuizione, fatto sta che quando, cercando di distrigarmi da queste stringhe, ho dato un morso al mio bombolone, questo mi è letteralmente scoppiato in faccia, spandendo la crema in ogni dove e ciò mi ha indotto a pensare.
Lo scienziato che cercava di spiegare in parole semplici, il Big Bang, diceva che è iniziato da un piccolo scoppio, inarrestabile, che continua tutt'ora, per cui, ogni fotone a sua volta scoppiava dando inizio a nuove formazioni, che a loro volta scoppiavano per dare origine ad altre cose , che , viaggiando a velocità superiori a quella della luce, noi non riusciremo a vedere mai. In tutto questo scoppiettio, stando alla teoria delle stringhe si sono formati tanti universi paralleli al nostro e coesistenti, per cui niente toglie che mentre io stavo guardando la televisione leccando golosamente il mio bombolone, qualcun altro, nello stesso luogo, nello stesso tempo, proprio lì con me, ma invisibile a me, come io invisibile a lui, uguale a me, o totalmente diverso da me, stesse magari annaffiando i fiori, o cucinando un uovo al tegamino, o piazzando una bomba in quqalche luogo che lui sa ma io no. Bellissimo e difficilissimo da accettare, se non vengono in aiuto i bomboloni, che io ho immaginato come altrettanti universi e allora è tutto molto semplice. Basta tornare bambini e infatti se dovessi spiegare ai miei nipoti la toria delle strighe, per prima cosa li etterei davanti a un vassoio di bomboloni e poi comincerei così: "Ragazzi, avete mai provato a dare un morso a un bombolone e ritrovarvi con tutto il muso pieno di crema? Bene, provate, perché è un'esperienza incredibile per capire come è nato il nostro universo. C'è voluto un morso, un qualcosa che cambiasse repentinamente una situazione statica, ciè ferma, in una dinamica, cioè in movimento. In questo caso voi avet dato un morso al bombolone, nel caso dell'universo lui è stato morso da un qualcosa, che ancora ci è sconosciuto e magari si è anche arrabbiato perché questo universo gli si è spiaccicato sulla faccia. Vedete questo vassoio i bomboloni? Sono tanti e tutti uguali, almeno in apparenza, perché invece qualcuno è pieno di crema, qualcun altro di nutella, e qualcun altro di marmellata. Sono i famosi universi paralleli, che coesistono nello stesso luogo e nello stesso tempo, ma ignari l'uno dell'altro. Per oggi può bastare, perché è arrivato proprio il momento di fare merenda, cioè di cambiare la teoria in pratica, e se funziona, creare un teorema. Dai, diamogli sotto!"
Dopo di ciò, credo che i bomboloni, che mi sono sempre piaciuti tanto, per me contineranno ad essere motivo di viaggi fantastici, alla ricerca delle origini e saranno bomboloni superstar.
E forse sarà per caso, o per intuizione, fatto sta che quando, cercando di distrigarmi da queste stringhe, ho dato un morso al mio bombolone, questo mi è letteralmente scoppiato in faccia, spandendo la crema in ogni dove e ciò mi ha indotto a pensare.
Lo scienziato che cercava di spiegare in parole semplici, il Big Bang, diceva che è iniziato da un piccolo scoppio, inarrestabile, che continua tutt'ora, per cui, ogni fotone a sua volta scoppiava dando inizio a nuove formazioni, che a loro volta scoppiavano per dare origine ad altre cose , che , viaggiando a velocità superiori a quella della luce, noi non riusciremo a vedere mai. In tutto questo scoppiettio, stando alla teoria delle stringhe si sono formati tanti universi paralleli al nostro e coesistenti, per cui niente toglie che mentre io stavo guardando la televisione leccando golosamente il mio bombolone, qualcun altro, nello stesso luogo, nello stesso tempo, proprio lì con me, ma invisibile a me, come io invisibile a lui, uguale a me, o totalmente diverso da me, stesse magari annaffiando i fiori, o cucinando un uovo al tegamino, o piazzando una bomba in quqalche luogo che lui sa ma io no. Bellissimo e difficilissimo da accettare, se non vengono in aiuto i bomboloni, che io ho immaginato come altrettanti universi e allora è tutto molto semplice. Basta tornare bambini e infatti se dovessi spiegare ai miei nipoti la toria delle strighe, per prima cosa li etterei davanti a un vassoio di bomboloni e poi comincerei così: "Ragazzi, avete mai provato a dare un morso a un bombolone e ritrovarvi con tutto il muso pieno di crema? Bene, provate, perché è un'esperienza incredibile per capire come è nato il nostro universo. C'è voluto un morso, un qualcosa che cambiasse repentinamente una situazione statica, ciè ferma, in una dinamica, cioè in movimento. In questo caso voi avet dato un morso al bombolone, nel caso dell'universo lui è stato morso da un qualcosa, che ancora ci è sconosciuto e magari si è anche arrabbiato perché questo universo gli si è spiaccicato sulla faccia. Vedete questo vassoio i bomboloni? Sono tanti e tutti uguali, almeno in apparenza, perché invece qualcuno è pieno di crema, qualcun altro di nutella, e qualcun altro di marmellata. Sono i famosi universi paralleli, che coesistono nello stesso luogo e nello stesso tempo, ma ignari l'uno dell'altro. Per oggi può bastare, perché è arrivato proprio il momento di fare merenda, cioè di cambiare la teoria in pratica, e se funziona, creare un teorema. Dai, diamogli sotto!"
Dopo di ciò, credo che i bomboloni, che mi sono sempre piaciuti tanto, per me contineranno ad essere motivo di viaggi fantastici, alla ricerca delle origini e saranno bomboloni superstar.
sabato 9 settembre 2017
Per una lira...
"Per una lira io vendo tutti i sogni miei" diceva Lucio Battisti......quanti anni fa non ricordo,.... ma un bel pò.
Beh, c'è stato un momento che anch'io avrei venduto i miei sogni anche per meno di una lira. Non si pensi che i miei sogni fossero rivolti alla gloria, al successo, alla richezza. I mie sogni sono sempre stati idirizzati verso la libertà, la dignità che ogni essere umano deve avere, e il rispetto per se stesso. Non ci sono mai andata di scartina, perché questi sono sogni grandi e sognare in grande, aiuta a vivere e anche a combattere i nemici che si presentano sulla strada della vita. Ma c'è stato un momento di profondo buio, circa tre anni fa, in cui mi pareva che fosse ormai inutile sognare , perché i fatti non mi stavano dando ragione e per un momento, ma solo un momento ho pensato che fosse giusto tirare i remi in barca e lasciarmi portare dalla corrente, ovunque lei avesse voluto. Credo che nella vita di tutti ci sia un attimo come questo, in cui non si crede più neanche in quello per cui si è speso una vita intera. Importante è essere consapevoli di quello che ci sta accadendo e non cedere a quell'attimo di buio. Come fare? Chi ci darà la forza? Noi, solo noi e non c'è una ricetta uguale per tutti, perché ciascuno deve trovare dentro di sé ciò che per lui conta al di là di tutto, anche di se stesso, e rimettersi in gioco proprio per quel ciò.
E così, anche quando, in un punto imprecisato del cammino, superata la crisi che ci aveva fatto pensare che si potevano vendere, o addirittura svendere i nostri sogni, anche se arriverà una batosta ancora più grande, ci accorgeremo con stupore di saperla affrontare con più energia e senza che la nostra capacità di continuare a sognare, venga scalfita. Questo si chiama crescere. E crescere significa capire che l'uomo ha bisogno di sognare allo stesso modo in cui ha bisogno di dormire, di mangiare, di respirare. Già ci pensano gli altri a distruggere le speranze...... Non li aiutiamo e continuiamo invece a progettare nuovi scenari della vita dove, intanto, in attesa che si realizzino , possiamo entrare a pieno diritto proprio attraverso i sogni.
Beh, c'è stato un momento che anch'io avrei venduto i miei sogni anche per meno di una lira. Non si pensi che i miei sogni fossero rivolti alla gloria, al successo, alla richezza. I mie sogni sono sempre stati idirizzati verso la libertà, la dignità che ogni essere umano deve avere, e il rispetto per se stesso. Non ci sono mai andata di scartina, perché questi sono sogni grandi e sognare in grande, aiuta a vivere e anche a combattere i nemici che si presentano sulla strada della vita. Ma c'è stato un momento di profondo buio, circa tre anni fa, in cui mi pareva che fosse ormai inutile sognare , perché i fatti non mi stavano dando ragione e per un momento, ma solo un momento ho pensato che fosse giusto tirare i remi in barca e lasciarmi portare dalla corrente, ovunque lei avesse voluto. Credo che nella vita di tutti ci sia un attimo come questo, in cui non si crede più neanche in quello per cui si è speso una vita intera. Importante è essere consapevoli di quello che ci sta accadendo e non cedere a quell'attimo di buio. Come fare? Chi ci darà la forza? Noi, solo noi e non c'è una ricetta uguale per tutti, perché ciascuno deve trovare dentro di sé ciò che per lui conta al di là di tutto, anche di se stesso, e rimettersi in gioco proprio per quel ciò.
E così, anche quando, in un punto imprecisato del cammino, superata la crisi che ci aveva fatto pensare che si potevano vendere, o addirittura svendere i nostri sogni, anche se arriverà una batosta ancora più grande, ci accorgeremo con stupore di saperla affrontare con più energia e senza che la nostra capacità di continuare a sognare, venga scalfita. Questo si chiama crescere. E crescere significa capire che l'uomo ha bisogno di sognare allo stesso modo in cui ha bisogno di dormire, di mangiare, di respirare. Già ci pensano gli altri a distruggere le speranze...... Non li aiutiamo e continuiamo invece a progettare nuovi scenari della vita dove, intanto, in attesa che si realizzino , possiamo entrare a pieno diritto proprio attraverso i sogni.
domenica 3 settembre 2017
Ciascuno ha il fico che si merita
Il fico si sa, è un albero importante fin dai tempi biblici. Pare addirittura che il famoso albero del bene e del male non fosse affatto un melo, ma proprio un fico. Tant'è che anche Michelangelo, lo dipinse nella Cappella Sistina e lo portò a imperitura gloria.
Pare che anche Natanaele, che noi conosciamo più come san Bartolomeo, passasse parte del suo tempo a meditare sotto un fico, il suo fico, che alla fine a forza di ascoltare le sue meditazioni diventò un fico dottato, che certo non deriva da dotto, ma che insomma male non ci sta. Tant'è che anche Plino il Vecchio, uomo di provata cultura, aveva un fico dottato, di cui apprezzava moltissimo il frutto quando era secco.
Per quello che mi riguarda ho sempre detto che una mela non mi avrebbe indotto a fare il peccato originale, ma se il frutto proibito fosse stato un fico, mi sa che ne avrei fatti anche due o tre di fila.
Bali, il mio husky mai dimenticato, aveva una particolare predilezione per i fichi che nascevano nel fico dove era il suo recinto, anche se divideva volentieri il raccolto con me. Il mio cane era bellissimo e il suo fico altrettanto. Quando Bali morì, anche il fico cominciò a seccarsi e di lì a non molto tempo dopo cessò di vivere. Semplice coincidenza? Può darsi.
C'è poi chi pianta un fico nel suo giardino, semplicemente a scopo terapeutico, perché per chi non lo sapesse, per togliere le verruche non c'è niente di meglio del latte che viene prodotto dalle sue foglie. Un portento.
Insomma io credo che ognuno di noi, a ben guardare ha un fico nella sua vita, che, non è neanche un albero bellissimo, ma evidentemente fa bene allo spirito e al corpo. E allora il fico assume la connotazione di albero saggio e dunque da rispettare.
E forse sarà per questo o forse per altro, fatto sta che ogni volta che porto Plinio il giovane, il cane di mia figlia a fare la passeggiata, si ferma sempre sotto un fico a fare i suoi bisogni e nell'occasione lo guarda con aria ispirata. E' un bell'albero dalle larghe foglie pentacolari e mi sono messa a guardarlo anch'io e a forza di guardarlo, mi sono accorta che fa i fichi molto tempo prima dei suoi colleghi....bei frutti, turgidi, che alla fino non ho resistito dal palpare per vedere se ce n'era qualcuno pronto da mangiare. Macché! Erano sempre duri come i sassi. Poi, dagli oggi, dagli domani, alla fine sono diventati cedevoli e morbidi, per cui ne ho colti due o tre e li ho aperti, pregustando la loro dolcezza. Macché un'altra volta! Dentro erano tutti secchi, pronti per essere buttati via. Ho guardato il mio cane e ho notato per la prima volta che tra lui e quel fico c'è una certa somiglianza: nessuno dei due ha capito le regole della vita.
E da ciò ne ho tratto un aforisma: "Ciascuno di noi ha il fico che si merita".
Non oso pensare a come sarà il mio fico, perché comunque so che ce n'è uno che da qualche parte aspetta che io passi acanto a lui e so che lo riconoscerò.
Nel frattempo oltre alla Querce delle Checche e al Melo di Newton, ora c'è anche il Fico di Plinio, sul ciglio della strada per andare a Monticchiello.
Pare che anche Natanaele, che noi conosciamo più come san Bartolomeo, passasse parte del suo tempo a meditare sotto un fico, il suo fico, che alla fine a forza di ascoltare le sue meditazioni diventò un fico dottato, che certo non deriva da dotto, ma che insomma male non ci sta. Tant'è che anche Plino il Vecchio, uomo di provata cultura, aveva un fico dottato, di cui apprezzava moltissimo il frutto quando era secco.
Per quello che mi riguarda ho sempre detto che una mela non mi avrebbe indotto a fare il peccato originale, ma se il frutto proibito fosse stato un fico, mi sa che ne avrei fatti anche due o tre di fila.
Bali, il mio husky mai dimenticato, aveva una particolare predilezione per i fichi che nascevano nel fico dove era il suo recinto, anche se divideva volentieri il raccolto con me. Il mio cane era bellissimo e il suo fico altrettanto. Quando Bali morì, anche il fico cominciò a seccarsi e di lì a non molto tempo dopo cessò di vivere. Semplice coincidenza? Può darsi.
C'è poi chi pianta un fico nel suo giardino, semplicemente a scopo terapeutico, perché per chi non lo sapesse, per togliere le verruche non c'è niente di meglio del latte che viene prodotto dalle sue foglie. Un portento.
Insomma io credo che ognuno di noi, a ben guardare ha un fico nella sua vita, che, non è neanche un albero bellissimo, ma evidentemente fa bene allo spirito e al corpo. E allora il fico assume la connotazione di albero saggio e dunque da rispettare.
E forse sarà per questo o forse per altro, fatto sta che ogni volta che porto Plinio il giovane, il cane di mia figlia a fare la passeggiata, si ferma sempre sotto un fico a fare i suoi bisogni e nell'occasione lo guarda con aria ispirata. E' un bell'albero dalle larghe foglie pentacolari e mi sono messa a guardarlo anch'io e a forza di guardarlo, mi sono accorta che fa i fichi molto tempo prima dei suoi colleghi....bei frutti, turgidi, che alla fino non ho resistito dal palpare per vedere se ce n'era qualcuno pronto da mangiare. Macché! Erano sempre duri come i sassi. Poi, dagli oggi, dagli domani, alla fine sono diventati cedevoli e morbidi, per cui ne ho colti due o tre e li ho aperti, pregustando la loro dolcezza. Macché un'altra volta! Dentro erano tutti secchi, pronti per essere buttati via. Ho guardato il mio cane e ho notato per la prima volta che tra lui e quel fico c'è una certa somiglianza: nessuno dei due ha capito le regole della vita.
E da ciò ne ho tratto un aforisma: "Ciascuno di noi ha il fico che si merita".
Non oso pensare a come sarà il mio fico, perché comunque so che ce n'è uno che da qualche parte aspetta che io passi acanto a lui e so che lo riconoscerò.
Nel frattempo oltre alla Querce delle Checche e al Melo di Newton, ora c'è anche il Fico di Plinio, sul ciglio della strada per andare a Monticchiello.
sabato 2 settembre 2017
Lampi di felicità: i bignè del Nannini
La storia è semplice, anche quella fatta di niente. Un'automobile e tre persone che ci saltano dentro, dopo aver fatto in fretta e furia tutto ciò che dovevano fare, proprio per poter partire in tempo e andare insieme a Fiumicino, a prendere due persone care che arrivano dagli Stati Uniti, e che allora pareva fosse veramente troppo il tempo passato da che non le vedevano.Ecco! Improvvisamente le persone non sono più solo persone, perché siamo noi, i miei figli ed io, ed è come passare da una scena di un film in bianco e nero, a un'altra a colori! Sulla strada del ritorno, ci si racconta, ci si informa, si ride, e il tempo passa in fretta. Siamo contenti pensando ai giorni che passeremo insieme. Siamo nelle vicinanze di casa, quando mio figlio, ha un'uscita che lì per lì ci spiazza tutti: "Perché non facciamo un salto fino a Siena a comprare le paste dal Nannini?" Vengono fuori le solite parole di rito e di circostanza..."Ma saranno stanchi, dovranno riposare....." però si sente che sotto sotto c'è la voglia di andare "E poi faremo un tempo a tornare per l'ora di cena?" "Sicuro che facciamo in tempo....che ci vuole?"
"A me lasciatemi a casa dai miei genitori - dice mia nuora, che la capisco bene, è stanca e ha il sacrosanto desiderio di riabbracciare i suoi - e voi fate quello che vi pare!"
E così lasciamo lei e ripartiamo. Il sole comincia a calare e si ntravedono i rossi colori all'orizzonte, mentre le colline si stagliano più nitide nel paesaggio invernale circostante. E' un lungo attimo di silenzio che dice più di mille parole. Siamo lì, nell'accoglienza di una macchina comoda, vicini uno all'altro, ancora una volta insieme, in sintonia con noi stessi e con il mondo che ci circonda, lieti di esserci, di andare incontro a quella piccolissoma avventura, che è destinata a rimanere con noi, anche quando la vita ci avrà inesorabilmente allontanato sempre di più, perché così deve essere, così va fatto, così comunque accade, anche se non deve essere e non va fatto. Quell'attimo resterà sempre nei nostri cuori, insieme ai bignè alla nocciola del Nannini, che non furono non solo alla nocciola e non solo un vassoio, ma due, e anche grossi. Uno per portarlo a casa e mangiarlo tutti insieme a cena, l'altro per scofanarcelo sulla strada del ritorno, mentre le prime stelle cominciavano a farci l'occhiolino. Neanche quei bignè potrebbero essere più gli stessi, perché nell'arco degli anni sono cambiati, fino a peggiorare inesorabilmente e ora non sono neanche più del Nannini.
Quello fu un attimo perfetto! Uno di quelli che poi non si potrebbero ripetere, neanche se si facesse la stessa cosa e si volesse con tutto noi stessi essere quelli di allora. Ci voleva quel momento, quella disposizione unanime, che aveva fatto vincere la stanchezza del figliolo che tornava, ci voleva l'intuizione di mio figlio, che aveva capito che c'era bisogno di quell'attimo per poterci ritrovare, nella semplicità e nella condivisione di qualcosa che era sempre piaciuta a ciascuno di noi, ci voleva l'entusiamo di mia figlia che comprese che in quel momento di riunione, dopo oltre un anno di lontananza c'èra il bisogno di una cosa informale, un pò pazza, che ci rendesse nuovamente tutti insieme uguali a noi stessi, come se il tempo non fosse passato, che per un momento ci facesse tornare liberi e scanzonati come i bambini, me compresa. Quella volta, per una strana alchimia gli ingredienti giusti ci furono tutti e crearono quella magia, che anche oggi, a distanza di dodici anni me la fa ricordare come uno dei lampi di felicità tra i più belli della mia collezione.
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