Oggi. Non so dire da quale finestra improvvisamente siano uscite le note di una canzone a me molto nota, ma il suo potere è stato tale che mi sono dovuta fermare con la macchina e restare in ascolto, mentre il mio pensiero volava lontano. Mexico è il suo titolo.
Ieri. Avevo dieci anni e mezzo ed ero a Marradi, come ogni anno nel mese di Agosto. Eravamo in ferie e con noi c'era anche la mia cugina Isabella, che aveva sette anni più di me, ma che non disdegnava di stare con una bambina. In regalo mi aveva portato un baby doll. Io non li avevo mai visti, ma a Firenze imperversano e il mio era proprio delizioso Quell'anno a Marradi si respirava un'aria di festa, di benessere, di voglia di vivere. Almeno io la intendevo così. Già da un mese si sentiva strombazzare che a ferragosto ci sarebbe stata la fine del mondo. Sarebbero venuti i quattro cavalieri dell'Apocalisse e con la loro venuta il mondo sarebbe scomparso. La cosa non mi aveva tolto il sonno, mi aveva solo incuriosito, anche perché il mio babbo, che era un giocherellone, ce ne parlava spesso per impaurirci e farci fare quattro risate.
Arrivò il quindici di agosto e quella mattina mio padre, ci riunì intorno al tavolo per fare colazione e subito notammo che c'erano paste in abbondanza, e una bella ciambella (la brasadela,come la chiamano in Romagna) e la schiacciata col rosmarino, che buona così non l'ho ma più mangiata.
Lo guardammo stupite da tutta quell'abbondanza e lui ridendo disse: "Beh! Approfittiamone finché siamo vivi. Domani forse non faremo colazione!" E così ci buttammo su quel ben di dio, finché non fu tutto spazzolato.
"Sapete che vi dico? Oggi andiamo a pranzo al ristorante. Non pensate anche voi che sia preferibile finire in bellezza?" Ci trovò immediatamente d'accordo e così a mezzogiorno ci avviammo verso il ristorante per fare il nostro ultimo pranzo a base di ravioli di ricotta e coniglio arrosto, che anche quello buono così non l'ho mai più mangiato.
Mentre si tornava a casa, improvvisamente apparvero nel cielo che fino a quel momento era stato di uno splendido azzurro, quattro nuvolette scure. Quattro capite? non tre, o due , o sei. Quattro. E allora il mio babbo, additandole ci disse:"Vedete?, quelli sono i quattro cavalieri dell'apocalisse, che vengono a distruggerci." Noi ridevamo, ma insomma, un pochino appena di paura ci prese ecco! Le nuvole passarono sopra di noi e come erano apparse, si dissolsero nella calura estiva.
"L'abbiamo scampata proprio bella - disse a quel punto mio padre che non si stancava di prenderci in giro - penso che stasera dovremo fare una bella cenetta per ringraziare di essere ancora qui. Che ne dite?" L'assenso fu unanime e entusiasto a tal punto che invitammo anche altre tre persone, a cenare con noi.
Come erano belle le cene allora. Passata la calura del pomeriggio, si alzava un venticello ristoratore che faceva smuovere l'appetito e senza tante storie ci buttavamo sopra il raviggiolo, la ricotta, il prosciutto del mio nonno che anche quello buono così non l'ho più mangiato. E poi il cocomero, quello che veniva dal sole della Romagna. Che scorpacciate!A me mi mandavano a riempire la brocca dell'acqua alla fonte che avevamo di fronte casa e quando rientravo in cucina il vetro era tutto appannato, per quanto gelida era quell'acqua. Ma quanto era buona, così buona che come quella non l'ho mai più bevuta. In tavola c'era anche il vino, il sangiovese e quella sera per festeggiare lo scampato pericolo, ne dettero un pò anche a me. Fu a quel punto che cominciammo a cantare. Allora si sentiva spesso una canzone estiva. Oggi ce ne sono altre. Allora c'era quella. Il titolo era Mexico e diceva così:
Si canta sempre alla fortuna, si canta sempre al primo amor, ma questa sera al chiar di luna io voglio cantare al Messico in fior.
Poi c'era il ritornello che diceva Messico Messiico, Messico Messicooo.....e quell'assolo lo avevano dato a me, che a quel tempo avevo una bella vocina. Però mancava la musica, e allora quasi per magia vennero fuori coperchi, pentole e mestoli e fu improvvisata un orchestra che non dimenticherò mai.
Cantavamo a squarciagola, felici, sereni, contenti di essere insieme intorno a un tavolo che portava addosso a sé ancora le ferite della guerra, come le portava la vetrina della signora Luisa, una ferita in uno sportello, che mi sono sempre rifiutata di far accomodare. Quello era il suo vissuto. Quella sera, in quella cucina che poi è diventata la cucina della Rosina, c'era gente felice e una bambina che non si stancava di guardare quando l'uno, quando l'altro, per catturare quegli attimi che poi mi sono rimasti dentro e mi permettono di rivivere anche oggi, gli occhi di mio padre, il sorriso di mia madre, i piccoli gesti della quotidianità, mentre al nostro coro si aggiungevano altre voci dalla strada e il gracidio delle rane che cantavano sulla sponda del fiume anche lui quasi baritonale, per i residui di una grossa , recente piena.
La semplicità era la padrona del gioca, un gioco che piaceva a tutti e che a me ha continuato a piacere anche oggi, in questi nostri giorni così strani e frettolosi.
Alla salute dei quattro Cavalieri dell'Apocalisse.
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