mercoledì 7 ottobre 2015

Il raggio verde

A volte capita di essere in un ambulatorio del pronto soccorso e di stare sorreggendo una persona cara , alla quale devono essere applicati dei punti di sutura in testa. A volte capita anche di trovare un medico che si accinge a fare il suo lavoro e non disdegna di rivolgere la parola a chi, in quel momento gli fa da inesperta assistente, ma più che altro da punto fermo e rassicurante del paziente a cui tiene la mano. Ma difficilmente capita che nasca una conversazione interessante, coinvolgente, addirittura entusiamante.Ebbene, sabato scorso questa cosa è capitata. Argomento della conversazione? Nessuno ci crederà, penso, ma è stato il tramonto.  Non ricordo più come siamo entrati a parlare del sole e del tramonto, ma quando ciò è successo, ho capito subito di trovare davantia me una persona che l'amava quanto e forse anche di più di quanto lo ami io. E improvvisamnte è stato come se le pareti bianche della stanza si aprissero e noi fossimo su un poggio, a contemplare quello spettacolo della natura che si compie tutti i giorni in maniera sempre nuova, per il dono che ci fa dei suoi incredibili colori, che cambiano continuamente, e ci fanno provare emozioni sempre diverse.  Così abbiamo parlato dei colori sanguigni e tragici che ci riserva a volte il tramonto del mese di ottobre e di novembre, di quelli dorati dei mesi estivi, fino ad arrivare al raggio verde, quello freddo e tagliente dei mesi invernali e più che altro di gennaio. Una meraviglia!  Un riposo per la mente, lì su quel poggio immaginario, lontano dal dolore, dalla sofferenza, dalla preoccupazione. Cinque minuti, solo cinque minuti, nell'arco di una giornata passata al pronto soccorso, tra esami, tac, raggi e quant'altro, ma cinque minuti che incredibilmente mi hanno rigenerato e mi hanno restituito la capacità di rassicurare la persona che era con me, che in quel momento,mentre noi guardavamo i nostri tramonti, vedeva le stelle.
E forse è per questo ricordo, che ierisera, quando sono andata a fare una passeggiata, guarda caso al tramonto, ho trovato uno spettacolo di colore e di luce incredibili, e forse è per questo, che seguendo quei colori e quella luce, sono arrivata in piazza grande, camminando come faccio sempre in questi casi, con gli occhi rivolti al cielo, per non perdere neanche una delle sue sfumature, e anche per vedere come appariva la nostra splendida piazza, restituita a qualcosa di più grande di lei, dalle scenografie del nuovo film che stanno girando,  e forse è per questo colore e questa luce, che mi aveva avvolto e proiettato al solito in un'altra dimensione, che non mi sono accorta di urtare qualcuno. Ho detto scusa automaticamente e ho sentito rispondermi in inglese. Ho proseguito e un attimo dopo ho visto una marea di persone che si dirigevano verso la persona che avevo così inopinatamente urtato, munite di macchine fotografiche, iphone, telecamere. Allora ho guardato e ho visto un uomo, bassotto, tracagnotto, anzianotto, con una semplice maglietta bianca e i capelli ritti. Era Dustin Hoffmam e tutta quella gente ora lo circondava, gli metteva bambini in braccio, si faceva fotografare insieme a lui. E lui, tranquillo e sorridente, diceva di sì a tutti,  non rifiutava a nessuno il minuto di fama che sarebbe derivato da una fotografia sul cellulare.
Il cielo imbruniva, il tramonto era passato e la notte avanzava. Io non mi ero nemmeno accorta di chi avevo urtato, ma in compenso avevo avuto in dono uno spettacolo di luce e colore meraviglioso. Poi mentre riprendevo la mia strada ho sorriso tra me e me. E' vero che io avevo urtato lui, ma era altrettanto vero che lui aveva urtato me. Possibile che anche lui camminasse col naso all'aria per guardare quell'incredibile tramonto?

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