venerdì 25 settembre 2020

Beata solitudo, sola beatitudo

 Bel titolo vero?

Sembra quasi l'etichetta di uno dei nostri vini più pregiati. Non fa venire in mente le vigne che si stendono sulle nostre dolci colline toscane, impreziosite di tanto in tanto da qualche cipresso, naturalmente solitario, che svetta verso un cielo ormai quasi ottobrino, dall'indefinibile e dolcissimo color pervinca?

Ma è davvero proprio così?

Perché se è così, allora io sono il sommelier di questo vino e con il mio Tastevin (Piattino di assaggio), ne so esaltare tutte le caratteristiche, e tutte le differenze che hanno permesso di dare un nome così importante al mio vino.

Procediamo con ordine. Per diventare un vino perfetto, uno di quelli che hanno un retrogusto e un profumo inconfondibili, bisogna saper dosare bene i vari tipi di uva, che in questo caso chiamerò solitudine.

Va da sé, che la solitudine più importante è quella che cerchiamo  da noi, e che chiamerei di pensiero,  per trovare quei momenti irripetibili, in cui siamo a tu per tu con noi stessi. Momenti fantastici, in cui le riflessioni più profonde vengono da sole a farci visita, senza che noi abbiamo fatto un gesto per chiamarle. Quei momenti servono per ritrovare il bandolo della matassa della nostra vita, per farci capire un po' di più cosa vogliamo, e chi siamo, anche solo per un attimo. Ma è un attimo importante. Questa solitudine è tranquilla e forte allo stesso tempo e serve a rendere il mio vino più robusto, dal sapore deciso, e con un retrogusto di mammole, proprio come il nostro Vino Nobile di Montepulciano.

A questo bisogna però aggiungere anche qualche grappolo di quella che chiamerei solitudine di equilibrio. E' questa un tipo di solitudine, nella quale entriamo per capire bene, se abbiamo sbagliato qualcosa, dove abbiamo sbagliato, cosa abbiamo sbagliato, e più che altro come e cosa dobbiamo fare per non sbagliare più, o perlomeno sbagliare di meno. Sicuramente quando si esce da questi momenti, siamo più filosofi, e la filosofia del vino è un ingrediente essenziale dello stesso vino.

 

Però non basta. Ci vuole ancora qualche piccolo grappolo di un'altra uva. Di quella che chiamerei solitudine di ripartenza. Quando ci si immerge in questo tipo di solitudine, in genere lo facciamo per leccare qualche ferita del nostro amor proprio, ma compiuta questa operazione che stende un balsamo sulle nostre ammaccature, ci sentiamo pronti a ricominciare. Perché ho detto piccoli grappoli? Perché ciascun grappolo è il risultato di un balsamo individuale , del quale non c'è ricetta, e quindi bisogna essere prudenti nell'uso. Del resto il mio deve essere un vino, non uno spumante. Deve avere la capacità di far sentire una forza nuova che si sprigiona da lui, qualcosa che parla di nuova gioventù e nuova carica vitale, senza deflagrare in bollicine.

 

E ora il tocco finale. E questa volta non è un grappolo d'uva, ma è  legno  o meglio la barrique. Perché la barrique ? Perché questa è un altro tipo di solitudine. E' quella in cui ci fanno entrare gli altri, a volte con gentilezza, spesso con indifferenza, altre volte con brutalità estrema. Ciò determina il legno della nostra barrique, e qui il discorso si fa difficile, perché essere messi in solitudine dagli altri, può generare reazioni molto diverse tra loro. Le più comuni sono l'apatia, la commiserazione, l'odio. Però ce n'è un'altra ed è quella che viene usata per questo vino. Si chiama amara malinconia. L'amara malinconia, per farmi capire, nasce dal ragionamento di chi è intelligente, e proprio per questo non può fare a meno di ignorare di essere stato lasciato solo, ma sempre proprio per questo riesce a canalizzare i sentimenti che vengono suscitati da certi comportamenti e li riduce in amara malinconia. In questa barrique fatta del legno duro dell'amara malinconia, il vino dovrà stare non molto a lungo, proprio per non sciupare tutti gli altri tipi di solitudine, ma sufficientemente, perché il risultato finale sia un liquido profumato , corposo, e anche con un retrogusto solamente un pò amaro. E qui si vede la bravura del cantiniere, perché quello che avrà prodotto  è il vino della vita.

 

Per degustare questo vino basta seguire la strada che è segnata qui sotto e seguire il Consiglio del Sommelier.Beata solitudo, sola beatitudo - Best of mag

 Questo vino va bevuto naturalmente in solitudine, magari di sera al tramonto seduti su un calanco della Val d'Orcia.  Chi non avesse la fortuna di possedere un simile scenario, se ne inventi uno somigliante. E' importante.

 Il vino deve essere versato in grandi calici di cristallo, e sorseggiato lentamente. Chi in quel momento è sprovvisto di calice, può attaccarsi alla bottiglia e bere come pare a lui.

L'importante è finire tutta la bottiglia e poi gettarsela alle spalle con una bella risata, rialzarsi, magari anche un po' barcollanti, fare un bel respiro liberatorio e pensare che domani è un altro giorno.



 

 



 


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