giovedì 10 marzo 2016

La Benedizione

Avevo scritto più di mezza pagina per parlare della benedizione della casa o meglio della famiglia, che ho avuto oggi. Avevo scritto, ma ho fatto presto anche a cancellare, perché ciò che avevo scritto non era per niente bello, e non è da me gettare fango su questa usanza che si rinnova ogni anno, aimè, in maniera molto diversa da una volta. Preferisco stendere un velo e non parlarne, volendo credere fermamente che non per tutti è così e che esistono ancora persone e sacerdoti, per i quali, questa purificazione ha sempre lo stesso valore di una volta. Un modo di incontrarsi, di parlare, di poter condividere gioie e preoccupazioni, di ricevere una parola di conforto, di sentire, che nessuno è solo, perché quell'acqua che viene a benedire è il legame che ci fa sentire fratelli, partecipi della vita del mondo, del suo evolversi, delle necessità altrui; che quella è l'acqua della speranza in un domani migliore, dove ci si incontra e ci si tende la mano. 
E allora, per non amareggiare questa giornata che era cominciata proprio con lo spirito giusto, preferisco parlare di una benedizione ricevuta, tanti, tanti anni fa, quando ero una ragazzina di tredici anni e avevo un cane nero, un bel koker che si chiamava Ares. Peferisco ricordare la casa tutta pulita anche allora, tirata a nuovo nella sua semplicità e infiochettata e la tavola apparecchiata con torta di mele e vinsanto, mentre il caffè veniva su piano piano nella moka, spandendo il suo aroma, che nessuna essenza del più bravo profumiere può eugualiare. 
Entrava il sacerdote seguito da cinque o sei chierichetti dagli sguardi lunghi e malandrini. Cercavano caramelle e cioccolatini, che dopo un pò mia madre distribuiva a piene mani. Entrava il sacerdote, dicevo, e con lui entrava l'aria nuova, anche se nel camino scoppiettava ancora il fuoco. Portava il primo vento di primavera, che si posava sulle giunchiglie, colte nei bordi  dei prati e messe nel vaso più bello per ingentilire la tavola e dare più significato alla benedizione. Era un frate francesacano, dallo sguardo burbero e severo, ma quando cominciava a parlare veniva fuori tutta la sua umanità. Faceva il giro della casa e benediceva tutte le stanze, soffermandosi in ciascuna di esse per dire una breve preghiera e qualche parole diretta a chi l'abitava. Poi tornavamo in cucina, ci sedevamo intorno al fuoco e i chierichetti si sedevano sullo scalino che avevamo per arrivare alle finestre. La nostra era una casa molto antica e tutto era grande, anche le finestre, anche gli scalini. Quell'anno posò il cestello d'argento con l'acqua benedetta su uno di quegli scalini e mentre i ragazzini mangiavano beati tutte le buone cose che aveva preparato la mia mamma. lui si sedette a parlare con i miei genitori. Io ascoltavo e imparavo. Erano buoni amci lui e il mio babbo, e per mezz'ora parlarono tranquillamente dei vari problemi che tutti avevano anche allora, dopodiché si rialzò per continuare il suo giro. Andò a riprendere il secchiello....e lo trovò vuoto. Il mio cane, aveva bevuto tutta l'acqua! Quanto ridemmo quando disse che quell'anno Ares aveva ricevuto una benedizione speciale! E quanto ci sentimmo sereni, dopo che ebbe ripeso l'acqua in casa nostra e l'ebbe nuovamente benedetta alla nostra presenza. Anch'io ero felice. Sentivo che dentro di me mi preparavo alla Pasqua, in maniera semplice, forse più istintiva che consapevole, ma bella, così bella, così bella......
Oggi invece...

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