venerdì 28 luglio 2017
Un soffio di vento
L'ho trovato per puro caso questo commento a un passo del Vangelo. Non lo cercavo, non lo volevo neanche, perché questo periodo mi trova un pò più lontana di sempre dalle letture abituali che faccio in questo 'libro di vita'. E non mi sforzo neanche di farlo, perché ormai so per esperienza che di tanto in tanto, attraverso momenti di distacco. Ho bisogno anche di questi momenti, per poi sentirne la mancanza e capire tutto ciò che invece mi lascia la lettura di un brano del Vangelo.
Non l'ho cercato, è venuto da solo incontro a me e al mio cielo nebbioso ed è stato come un soffio di vento che improvvisamente ha dissipato le nuvole. E' un lungo periodo questo, in cui non so più pregare e non mi sforzo, mi accetto così, ma devo dire che ho provato immediatamente un senso di gratitudine verso quell'abisso profondo che è dentro e fuori di me e che sento essere il principio di tutto.
In quel tempo, Gesù espose alla folla un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Questa parabola mi ha cambiato il volto di Dio. La interpretava con parole luminose padre Giovanni Vannucci, uno dei massimi mistici del '900. Diceva: il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce; una zolla di terra dove intrecciano le loro radici, talvolta inestricabili, il bene e il male.
«Vuoi che andiamo a togliere la zizzania?» domandano i servi al padrone. La risposta è perentoria: «No, perché rischiate di strapparmi spighe di buon grano!». Un conflitto di sguardi: quello dei servi si posa sul male, quello del padrone sul bene. Il seminatore infaticabile ripete: guarda al buon grano di domani, non alla zizzania. La gramigna è secondaria, viene dopo, vale di meno.
Tu pensa al buon seme. Davanti a Dio una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo, il bene è più importante del male, la luce conta più del buio.
La morale del Vangelo infatti non è quella della perfezione, l'ideale assoluto e senza macchia, ma quella del cammino, della fecondità, dell'avvio, di grappoli che maturano tenacemente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita.
La parabola ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dallo stilare il solito lungo elenco di ombre e di fragilità, che poi è sempre lo stesso. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio ha seminato in noi: il nostro giardino, l'Eden affidato alla nostra cura.
Mettiamoci sulla strada con cui Dio agisce: per vincere la notte accende il mattino; per far fiorire la steppa sterile getta infiniti semi di vita; per sollevare la farina pesante e immobile mette un pizzico di lievito. Dio avvia la primavera del cosmo, a noi spetta diventare l'estate profumata di messi. Io non sono i miei difetti o le mie debolezze, ma le mie maturazioni. Non sono creato a immagine del Nemico e della sua notte, ma a immagine del Creatore e del suo giorno.
L'attività religiosa, solare, positiva, vitale che dobbiamo avere verso noi stessi consiste nel
non preoccupiamoci prima di tutto delle erbacce o dei difetti, ma nel venerare tutte le forze di bontà, di generosità, di accoglienza, di bellezza e di tenerezza che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro potenza e vedremo le tenebre scomparire.
Custodisci e coltiva con ogni cura i talenti, i doni, i semi di vita e la zizzania avrà sempre meno terreno. Preoccupati del buon seme, ama la vita, proteggi ogni germoglio, sii indulgente con tutte le creature. E sii indulgente anche con te stesso. E tutto il tuo essere fiorirà nella luce.
(Letture: Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8, 26-27; Matteo 13, 24-30).
venerdì 21 luglio 2017
E' un illuso......
"E' un illuso chi crede di poter chiudere il Tempo tra due parentesi".
Da Piccoli Pensieri di Kind Butterfly
Le parentesi hanno maglie troppo larghe per il Tempo.
Il Tempo si insinua, si restringe, si allunga
il Tempo scivola tra le maglie delle parentesi della nostra vita
Il Tempo è immemore di noi e del nostro andare
Il Tempo insegue ciò che lui sa e che noi ignoriamo
Il Tempo esiste al di fuori di noi
E noi, noi, fatti di qulcosa di più delle molecole
Noi esistiamo al di fuori del Tempo
Noi siamo figli del Tempo
Noi in lotta perpetua contro il Tempo
Noi uomini liberi chiusi tra due parentesi
Noi che vogliamo uscire dalle maglie larghe delle parentesi
Il Tempo e noi
Il Padre e i figli
La lotta che si rinnova all'infinito
L'anelito alla libertà
Il desiderio di uscire dalle parentesi
La fine delle illusioni
Noi siamo il Tempo
ps. - Parola di scout che non ho bevuto niente ahahahah!!!
Da Piccoli Pensieri di Kind Butterfly
Le parentesi hanno maglie troppo larghe per il Tempo.
Il Tempo si insinua, si restringe, si allunga
il Tempo scivola tra le maglie delle parentesi della nostra vita
Il Tempo è immemore di noi e del nostro andare
Il Tempo insegue ciò che lui sa e che noi ignoriamo
Il Tempo esiste al di fuori di noi
E noi, noi, fatti di qulcosa di più delle molecole
Noi esistiamo al di fuori del Tempo
Noi siamo figli del Tempo
Noi in lotta perpetua contro il Tempo
Noi uomini liberi chiusi tra due parentesi
Noi che vogliamo uscire dalle maglie larghe delle parentesi
Il Tempo e noi
Il Padre e i figli
La lotta che si rinnova all'infinito
L'anelito alla libertà
Il desiderio di uscire dalle parentesi
La fine delle illusioni
Noi siamo il Tempo
ps. - Parola di scout che non ho bevuto niente ahahahah!!!
martedì 18 luglio 2017
Felicità
La signora Luisa è partita stamani, insieme al suo seguito e io, chi lo avrebbe mai pensato? mi sono sentita felice, di quella felicità vera autentica, che dura un attimo e poi fugge via e che ho provato solo altre due o tre volte nella mia vita. Vale la pena provare una felicità del genere, perché non si dimentica più. E tutte le volte che sono stata veramene felice, non è stato per chissà quale cosa o quale successo. Sono sempre state piccole cose mie, della sfera strettamente personale,delle quali è inutile parlare, tanto non ne verrebbe fuori niente di concreto, ma solo un groviglio di sensazioni senza nome, che tutte insieme provocano la scintilla della felicità. Esiste, esiste la felicità ed è inutile andarla a cercare, volerla programmare, cercare di provocarla. Non funziona. Lei viene da sé, e non è adrenalina, non scuote le membra, non appanna il cervello, ma entra dentro, fino alla più piccola fibra dell'essere e lo porta in alto, dove non so, perché è troppo breve per poterla contestualizzare in un luogo o in una persona, o in un'essenza, o in una musica. Troppo breve per sembrare persino vera, ma dopo che l'hai provata eccome ti rendi conto che è vera .....e non solo vera,..... è viva. La felicità è un guizzo di luce, un laser, che stampa nell'anima in un attimo tutto il vissuto di una vita. Io l'ho provata stamani? Perché?
Guardavo partire oggetti che mi sono cari, che sono stati parte integrante della mia vita e invece di essere triste ero così felice, così leggera...........
Ripeto! La felicità vera è un groviglio di sensazioni. Vita che si perpetua, avventura che inizia, passaggio dalle mie mani ad altre mani che mi sono care, incognite del percorso, profumi diversi, luoghi nuovi, pensieri reconditi, speranza nel domani. Questo ed altro ancora c'era in me stamani, mentre salutavo la Signora Luisa e gli altri compagni di una vita. E il pensiero della strana, affascinante,avventurosa vita della mia vecchia cara vetrina, che ha attraversato la prima e la seconda guerra mondiale riportando ferite indelebili, che ha cambiato aria lasciando monti, boschi, acque sorgive, per venire a vivere nella Perla del cinquecento, insieme a un vecchio baule militare, non vetusto come lei, ma altrettanto vissuto, mi faceva sorridere di soddisfazione, al pensiero delle nuove avventure che attendono entrambi! Sentiranno lo sciabordio delle onde sui fianchi di una nave, respireranno il salmastro che dilata il respiro, ascolteranno il lamento dei gabbiani che annunciano una nuova terra, e infine approderanno in un nuovo lido per ricominciare l'eterna avventura della vita, e io sarò con loro sempre e le loro esperienze saranno le mie, come le mie sono state quelle dei miei genitori e prima dei miei nonni e dei bisnonni ....e se questa non è felicità, che altro nome può avere?
Guardavo partire oggetti che mi sono cari, che sono stati parte integrante della mia vita e invece di essere triste ero così felice, così leggera...........
Ripeto! La felicità vera è un groviglio di sensazioni. Vita che si perpetua, avventura che inizia, passaggio dalle mie mani ad altre mani che mi sono care, incognite del percorso, profumi diversi, luoghi nuovi, pensieri reconditi, speranza nel domani. Questo ed altro ancora c'era in me stamani, mentre salutavo la Signora Luisa e gli altri compagni di una vita. E il pensiero della strana, affascinante,avventurosa vita della mia vecchia cara vetrina, che ha attraversato la prima e la seconda guerra mondiale riportando ferite indelebili, che ha cambiato aria lasciando monti, boschi, acque sorgive, per venire a vivere nella Perla del cinquecento, insieme a un vecchio baule militare, non vetusto come lei, ma altrettanto vissuto, mi faceva sorridere di soddisfazione, al pensiero delle nuove avventure che attendono entrambi! Sentiranno lo sciabordio delle onde sui fianchi di una nave, respireranno il salmastro che dilata il respiro, ascolteranno il lamento dei gabbiani che annunciano una nuova terra, e infine approderanno in un nuovo lido per ricominciare l'eterna avventura della vita, e io sarò con loro sempre e le loro esperienze saranno le mie, come le mie sono state quelle dei miei genitori e prima dei miei nonni e dei bisnonni ....e se questa non è felicità, che altro nome può avere?
venerdì 14 luglio 2017
giovedì 6 luglio 2017
Angioletti di bronzo
Questo ricordo risale a quando avevo circa otto anni.
I mobili della camera che avevamo a Marradi erano 'importanti'. O almeno a me sembrava così, ma si sa, che può capire una bambina di otto anni?
Erano mobili imponenti di legno scuro e semilucido (solo molti anni dopo ho saputo che era mogano), ma quello era niente. Sulla testata del letto, un'alzata che terminava in due appliques incastonate nel legno, c'erano anche delle belle rifiniture di bronzo, e al centro una lastra sempre bronzea, dove era stata portata a rilievo una Madonna con bambino. Non ricordo che Madonna fosse, ma aveva tratti fini e gentili. La cosa che però mi affascinava di più erano due sculture di angioletti, sempre di bronzo, che erano nella parte terminale del letto. Niente che dire! Era una camera sontuosa e imponente. Era solo la stanza che era un pò troppo piccola, per il grande armadio che terminava con sportelli arrotondati, per un comò, altrettanto fastoso e una toelette appena più piccola, per non parlare di due poltroncine deliziose con gli schienali arrotondati. Io la guardavo ogni volta che andavo là, accarezzavo gli angioletti e inventavo favole, nelle quali io ero sempre una gran dama. Poi, mio zio, il fratello del mio babbo, (allora la casa era ancora indivisa) ebbe la bella idea di permutarla con un armadio, un letto, un comò, che esistono tuttora e che non mi sono mai piaciuti, più la giunta di un pò di denaro, che non ho mai saputo quanto fosse.
E la camera volò via con i suoi angioletti e la sua dolce Madonna. Ma rimase per sempre impressa in quella che era la fantasia di una bambina.
Fu allora che in me prese forma l'idea, che i mobili dei miei nonni, dovevano rimanere con me, almeno quei pochi che erano rimasti, ma chi da ascolto a una bambina di otto, nove, dieci anni? E così le cose che erano state dei miei nonni, continuarono a sparire e ad essere sostituite con le brutte cose degli anni 'sessanta. Non che negli anni sessanta non siano state fatte cose belle, anzi! Ne sono state disegnate di stupende. Ma quelle erano design. Il resto era paccottaglia. Fu quando avevo poco meno di undici anni che dissi a mio padre e a mio zio, che non si azzardassero a vendere la vetrina della mia nonna. Ero legatissima a quel mobile. Per me lì dentro c'era tutta la storia della mia famiglia e questa consapevolezza si affacciava nebulosamente nella mia testolina che cominciava a entrare nell'adolescenza. Ma neanche il turbine ormonale riuscì a farmi dimenticare il rapporto che avevo instaurato con la vecchia signora Luisa, come cominciai a chiamarla, per ricordare una nonna che non avevo mai conosciuto. E da allora è rimasta sempre con me., non tanto come mobile, quanto come simbolo. Del resto quanto contassero le cose della mia famiglia fu chiaro, quando andai a richiedere una vetrinetta di nessun valore venale, ma di grande valore affettivo, che aveva costruito il mio nonno materno, e della quale, si erano impadroniti gli inquilini che stavano allora al Drudolo.
L'acqua del Lamone continuava a scorrere sotto il ponte, e io diventai una ragazza e poi una donna e infine una madre.
Un giorno, di diversi anni fa, sfogliando la rivista di arredamento AD, alla quale ero abbonata, mi ritrovai a guardare con occhi spalancati oltremisura un servizio fotografico fatto alle camere più belle. Lei era lì, con tutti i suoi angioletti, tutte le ghirlande e la bellissima Madonna, valorizzata da una stanza oltremodo spaziosa e curatissima, spettacolare, colma di tendaggi di velluto e di sete, degna di Francesca Bertini all'apice della sua celebrità e del suo amore con D'Annunzio. Io la guardavo e mi chiedevo come mai, nessuno dei miei, avesse dato valore e importanza a quei mobili. Rimpianto? No! Ma da allora mi dissi che i miei mobili, anche quelli che nessuno voleva più, specialmente nelle nuove generazioni, non sarebbero stati dati via così sconsideratamente, come è avvenuto nell'immediato dopoguera, anche se ciò può essere comprensibile, ed è per questo motivo che pochi giorni fa quando mio figlio mi ha parlato di un armadio con uno specchio bellissimo, che ha già una storia alle spalle, gli ho detto: Non te ne disfare, caso mai dallo a me. E ora, mentre aspetto che i mobili per il mio figliolo d'oltre mare e la sua famiglia, comincino la loro avventura sull'oceano, per giungere fino a loro, in modo che la storia della nostra famiglia possa continuare, preparo mentalmente il posto per quest'altro pezzetto di storia, che ha diritto di vivere.
I mobili della camera che avevamo a Marradi erano 'importanti'. O almeno a me sembrava così, ma si sa, che può capire una bambina di otto anni?
Erano mobili imponenti di legno scuro e semilucido (solo molti anni dopo ho saputo che era mogano), ma quello era niente. Sulla testata del letto, un'alzata che terminava in due appliques incastonate nel legno, c'erano anche delle belle rifiniture di bronzo, e al centro una lastra sempre bronzea, dove era stata portata a rilievo una Madonna con bambino. Non ricordo che Madonna fosse, ma aveva tratti fini e gentili. La cosa che però mi affascinava di più erano due sculture di angioletti, sempre di bronzo, che erano nella parte terminale del letto. Niente che dire! Era una camera sontuosa e imponente. Era solo la stanza che era un pò troppo piccola, per il grande armadio che terminava con sportelli arrotondati, per un comò, altrettanto fastoso e una toelette appena più piccola, per non parlare di due poltroncine deliziose con gli schienali arrotondati. Io la guardavo ogni volta che andavo là, accarezzavo gli angioletti e inventavo favole, nelle quali io ero sempre una gran dama. Poi, mio zio, il fratello del mio babbo, (allora la casa era ancora indivisa) ebbe la bella idea di permutarla con un armadio, un letto, un comò, che esistono tuttora e che non mi sono mai piaciuti, più la giunta di un pò di denaro, che non ho mai saputo quanto fosse.
E la camera volò via con i suoi angioletti e la sua dolce Madonna. Ma rimase per sempre impressa in quella che era la fantasia di una bambina.
Fu allora che in me prese forma l'idea, che i mobili dei miei nonni, dovevano rimanere con me, almeno quei pochi che erano rimasti, ma chi da ascolto a una bambina di otto, nove, dieci anni? E così le cose che erano state dei miei nonni, continuarono a sparire e ad essere sostituite con le brutte cose degli anni 'sessanta. Non che negli anni sessanta non siano state fatte cose belle, anzi! Ne sono state disegnate di stupende. Ma quelle erano design. Il resto era paccottaglia. Fu quando avevo poco meno di undici anni che dissi a mio padre e a mio zio, che non si azzardassero a vendere la vetrina della mia nonna. Ero legatissima a quel mobile. Per me lì dentro c'era tutta la storia della mia famiglia e questa consapevolezza si affacciava nebulosamente nella mia testolina che cominciava a entrare nell'adolescenza. Ma neanche il turbine ormonale riuscì a farmi dimenticare il rapporto che avevo instaurato con la vecchia signora Luisa, come cominciai a chiamarla, per ricordare una nonna che non avevo mai conosciuto. E da allora è rimasta sempre con me., non tanto come mobile, quanto come simbolo. Del resto quanto contassero le cose della mia famiglia fu chiaro, quando andai a richiedere una vetrinetta di nessun valore venale, ma di grande valore affettivo, che aveva costruito il mio nonno materno, e della quale, si erano impadroniti gli inquilini che stavano allora al Drudolo.
L'acqua del Lamone continuava a scorrere sotto il ponte, e io diventai una ragazza e poi una donna e infine una madre.
Un giorno, di diversi anni fa, sfogliando la rivista di arredamento AD, alla quale ero abbonata, mi ritrovai a guardare con occhi spalancati oltremisura un servizio fotografico fatto alle camere più belle. Lei era lì, con tutti i suoi angioletti, tutte le ghirlande e la bellissima Madonna, valorizzata da una stanza oltremodo spaziosa e curatissima, spettacolare, colma di tendaggi di velluto e di sete, degna di Francesca Bertini all'apice della sua celebrità e del suo amore con D'Annunzio. Io la guardavo e mi chiedevo come mai, nessuno dei miei, avesse dato valore e importanza a quei mobili. Rimpianto? No! Ma da allora mi dissi che i miei mobili, anche quelli che nessuno voleva più, specialmente nelle nuove generazioni, non sarebbero stati dati via così sconsideratamente, come è avvenuto nell'immediato dopoguera, anche se ciò può essere comprensibile, ed è per questo motivo che pochi giorni fa quando mio figlio mi ha parlato di un armadio con uno specchio bellissimo, che ha già una storia alle spalle, gli ho detto: Non te ne disfare, caso mai dallo a me. E ora, mentre aspetto che i mobili per il mio figliolo d'oltre mare e la sua famiglia, comincino la loro avventura sull'oceano, per giungere fino a loro, in modo che la storia della nostra famiglia possa continuare, preparo mentalmente il posto per quest'altro pezzetto di storia, che ha diritto di vivere.
Iscriviti a:
Post (Atom)